Survive
“
Addio ” . In un lampo fuggii da lei. La vidi tendere
le braccia e urlare qualcosa ma ne seniti
solo un sussurro…. “ Aspetta! ”
No, adesso
basta amore. Non posso aspettare. Correvo veloce, sempre più
veloce, con rabbia, con dolore, con disperazione....appena passata La
Push
raggiunsi il mare e lasciai tutti i vestiti sulla spiaggia. Mi buttai e
ripresi
la mia folle corsa, nudo, senza più maschere, senza
più finzioni, senza più
inibizioni...non ero Edward l’umano attento, ero Edward il
vampiro. Accellerai.
Tokyo, Taejon, Qingdao, Xining e poi Kabul, Teheran, Tabriz, Smirne,
Atene,
Roma, Marsiglia, Santiago di Compostella e di nuovo mare...New York,
Columbus, Chicago,
Salt Lake City,
Sacramento e Forks. In meno di un’ora avevo fatto il giro
completo del mondo.
Mentre mi avvicinavo a casa sentii un odore famigliare, Carlisle, e
perlustrai
con la mente i dintorni, pronto a fuggire da mio padre. Ma non
c’era nessuno.
Filai in casa fino alla mia stanza, dove aprii la valigia. Mi vestii,
badando a
sentire tutto il dolore della mia sconsiderata azione. Finito, presi la
valigia
e rimasi un attimo sulla soglia. La mia stanza era pregna di ricordi
dolorosi.
Bella. No, non ora. Chiusi la porta e scesi le scale fino
all’ingresso. Mi
voltai. Per l’ultima volta guardavo la mia casa...chissà
tra quanti anni sarebbero tornati ad abitarci. Io non
ci sarei stato, lo sapevo bene, potevano tornare solo dopo la morte di
tutti
quelli che ci avevano conosciuti. Bella compresa. E io
l’avrei seguita. Per un
attimo il mio sguardo cadde sul tavolo del salotto. Una chiave
attaccata ad un
portachiavi blu. Raggiunsi il tavolo e la presi: - Isola di Esme - .
Si. Era
proprio quello di cui avevo bisogno.
Correvo di
nuovo attraverso il Messico, poi
attraverso il Venezuela fino al Brasile. A Rio andai al porto e cercai
Juanito.
Era un omone grosso, scuro di pelle, di origini spagnola. Lo raggiunsi
e mi
condusse al casotto sul porto. Senza fare domande, la mia espressione
faceva
intendere chiaramente che non ne volevo, mi consegnò le
chiavi della barca di
Carlisle e andò via. Saltai sulla barca e misi in moto.
Velocemente uscii dal
porto e schizzai a tutta velocità in mare aperto. Dopo
un’ora circa vidi le
prime palme e la baia sull’oceano. Attraccai e legai la
barca, poi mi
incamminai verso la casa, col cuore che batteva forte, impaziente di
sentire il
dolore. Entrai nella graziosa casetta che mio padre aveva ragalato a
Esme molto
tempo prima. Feci in tempo a chiudere la porta e appoggiare la valigia
sul
divano, poi le ginocchia mi cedettero e crollai.
Raggomitolato a
terra, soffrivo come un’animale,
distrutto dalle ondate di sofferenza. Se avessi potuto avrei pianto, ma
riuscii
solo a gemere, disperato. Cercai di farmi male, più
male che
potessi, sbattei la testa per terra, mi morsi le mani, le braccia, la
lingua,
ma il dolore arrivava solo dal mio petto. Odiai il mio corpo con
un’intensità
che non avevo mai provato, odiai me stesso e quello che
ero, che mi aveva costretto a lasciare la mia anima bella...la mia
stella
gemella....Bella. Il ricordo del suo viso mi fece di nuovo male, le sue
labbra
dolci e calde, il suo viso a forma di cuore, i capelli mordidi e
profumati...i
suoi baci, le sue carezze....gemetti più
forte e lanciai un righio acuto, un ringhio senza
inibizioni. Il dolore della sete che avevo provato il primo giorno in
cui vidi
Isabella Swan non fu niente, niente confronto a questo dolore
insopportabile
per averla perduta...per avergli mentito dicendogli che non la
amavo...che non l’amavo...io
che avevo giurato di
proteggerla da ogni dolore gli avevo inflitto questo supplizio. Ma lei
avrebbe
dimenticato...tra dieci, venti o cinquanta anni lei sarebbe riuscita a
chiudere
questa ferita...magari qualcun’altro si sarebbe preso cura di
lei, l’avrebbe
accudita e amata in un modo migliore di me....
Il primo giorno
avevo sentito i pensieri di ogni studente maschio nella
mensa e ero certo che anche uno di loro poteva renderla una persona
felice...Mike, Tyler, Eric...i loro pensieri erano sempre protettivi
nei suoi
confronti e la trovavano bella e simpatica....e non
l’avrebbero mai lasciata
veramente....amore....
La tristezza si
abbattè sulla disperazione e mi permise di ricompormi. Mi
alzai con uno scopo preciso. Se l’avevo abbandonata per
proteggerla, allora
dovevo eliminare ogni possibile pericolo sulla sua strada. Victoria in
primis.
Si, sarebbe stato il mo scopo da quel momento. Ma per ora no. Avevo
bisogno di
liberarmi della disperazione visibile almeno, per poter tornare nel
mondo degli
umani come uno di loro. Si, potevo farcela. Lo avrei fatto per lei. Per
Bella.
Per la mia unica e sola ragione di vita...io sarei sopravvissuto.