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Autore: Scarcy90    08/08/2016    3 recensioni
La giovane infermiera Lisa Light vive la sua solita vita nel reparto di Neurochirurgia in un ospedale universitario. Ad accompagnarla, nel viaggio di tutta una vita, il suo esuberante collega e migliore amico, Chris.
Julian Blackwood, uno sceneggiatore spiantato e colmo di pensieri, circondato da strani amici. Insieme ai quali ha fondato una casa di produzione cinematografica indipendente, la Maudits.
Un incidente motociclistico e un particolare progetto, costringeranno la zelante infermiera a confrontarsi con un mondo quasi completamente opposto al suo, in cui regnano solo le idee e l'immaginazione di chi crea qualcosa praticamente dal nulla. I due protagonisti saranno posti davanti a loro stessi. Dovranno fare scelte importanti per poter comprendere e accettare appieno le loro anime così diverse ma al contempo simili.
Dal Capitolo 5
-Lo fai sempre?- chiese lui con occhi strani.
-Cosa? Vestire i pazienti che ne hanno bisogno?-
-No, accarezzare le gambe dei pazienti in modo così provocante.-
Le guance di Lisa presero fuoco mentre si rendeva conto che non aveva tenuto l’elastico dei pantaloni largo ma aveva permesso che il dorso di una delle due mani restasse in contatto con la pelle di Julian
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 8
 
Lisa era corsa fuori dal reparto senza neanche avvertire uno dei suoi colleghi. Si diresse veloce verso la porta d’uscita che dava sulla scala antincendio. Prese un profondo respiro, avvertendo i muscoli rilassarsi e il cuore rallentare il battito.
 Si sedette su uno dei gradini della scala e nascose la testa tra le mani.
 La situazione stava precipitando e la colpa era di Julian Blackwood. Il pomposo, viziato paziente della stanza numero diciannove.
 Doveva tenere la bocca chiusa, bisognava dimenticare quello che era accaduto.
 Alla fine dei conti si trattava solo di una specie di esperimento: se non ci avessero pensato, il ricordo sarebbe svanito e avrebbero potuto lavorare insieme. Quell’attrazione che provava doveva essere soffocata.
 Eppure quel bacio era stato diverso da altri che aveva ricevuto. Non c’era un vero e proprio sentimento, aveva avvertito distintamente solo la fame nei confronti di quel corpo. Un istinto ingestibile che non le era mai capitato di provare. Non poté fare a meno di ammettere che Blackwood sapeva cosa accarezzare e in quale istante essere più deciso e profondo. Aveva una capacità nel baciare che avrebbe ridestato la voglia sopita in qualsiasi donna.
 Se solo nel baciare era così talentuoso, Lisa non osava immaginare quali altre capacità possedesse nel dare piacere al sesso femminile. Con quelle mani così grandi e quelle spalle larghe, da accarezzare e graffiare…
 Scosse la testa mentre il viso le avvampava per la vergogna.
 Era proprio quello che a Theo mancava. Non che fosse un tipo frigido ma ad un bacio del genere non si era mai neanche avvicinato.
 Nonostante fuori ci fosse un’aria decisamente fresca, Lisa si sentiva del tutto avvolta dalle fiamme e il sapore di Blackwood non si decideva ad andarsene dalle sue labbra.
 La porta da cui era uscita lei, si aprì. La donna alzò lo sguardo e incontrò gli occhi scuri e dolci di Martha.
 -Lisa, ti stavo cercando- vide la sua collega seduta sui gradini delle scale e la sua faccia da funerale la costrinse ad accovacciarsi davanti a lei, preoccupata. –Tutto bene? Non hai una bella cera. Ti senti male?-
 Lisa rimase in silenzio per qualche secondo. Non conosceva quella ragazza, non poteva sfogarsi con lei. Senza contare che Chris l’avrebbe uccisa se si fosse confidata con qualcun altro prima di lui.
 -Ho passato momenti migliori. Una situazione personale mi sta stressando molto.-
-Capisco- mise una mano in tasca e tirò fuori un pacchetto di sigarette. –Fumi?-
 La donna fissò il pacchetto.
 -Ogni tanto, quando sono agitata o con gli amici.-
 -Allora, non fare complimenti. Serviti pure. Così puoi calmarti e provare a tornare dentro senza quella faccia orribile.-
Forse era proprio quello che ci voleva: l’intensità del tabacco sarebbe stata in grado di eliminare il sapore di Julian.
 Prese la sigaretta e l’accese. Martha fece lo stesso.
 -Da quanto lavori qui?- chiese Martha sedendosi vicino a lei.
 Lisa non aveva molta voglia di conversare ma era certa che Martha provasse ad intavolare un discorso per distrarla dai suoi pensieri. Si stava rivelando una persona molto gentile ma soprattutto per niente impicciona riguardo al motivo del suo malumore.
 -Da due anni, Chris ed io siamo stati assunti insieme.-
 -Non è male come reparto, alla fine la caposala Burton fa funzionare tutto a dovere. Anche se i momenti più belli sono quando se ne torna a casa sua. Quando è qui sta sempre a borbottare contrariata, non le va mai bene niente.-
 Le due donne si guardarono e scoppiarono a ridere.
 -La caposala è un personaggio un po’ particolare ma sa fare il suo lavoro. Il suo metodo rende noi infermieri più efficienti anche se ha un carattere molto autoritario.-
 Scese un attimo di silenzio. I pensieri di Lisa erano ancora preda della confusione e cercare un argomento di conversazione risultava davvero un’impresa.
 Fece un altro tiro e la porta si aprì di nuovo.
 Quando vide la persona che si era affacciata fuori per poco non si strozzò col fumo. Era l’ultimo essere umano al mondo che avrebbe voluto vedere.
 -Quindi ti nascondevi qui?-
 -Theo, ti prego. Lasciami in pace.-
 -Lo sai che dobbiamo parlare, è inutile che cerchi di evitarmi.-
 Martha fece per alzarsi, aveva l’intenzione di togliere il disturbo, ma Lisa l’afferrò per un braccio trattenendola accanto a lei. Non aveva voglia di restare da sola con Theo e aveva la sensazione che la presenza della sua collega le avrebbe reso il compito più semplice.
 -Non dobbiamo parlare, Theo. Mi sembrava di essere stata chiara al riguardo.-
 -Mi stai trattando da imbecille, per caso? Lo sai che la resa non mi appartiene quindi adesso esigo sul serio delle risposte.-
 -Ho già detto tutto quello che dovevo. Non ho intenzione di tornare insieme a te e quello che è accaduto l’altra sera non mi ha portato a cambiare idea. Mi dispiace. Metti in pratica ciò che mi hai detto giorni fa: mi hai urlato che non avresti mai supplicato una donna che ti aveva lasciato nel modo in cui ho fatto io. Quindi, fa onore alle tue stesse parole, e lasciami in pace.-
 -Sei veramente una stupida.-
 Lisa avvertiva Martha restare immobile. Si rese conto che per lei non doveva essere una situazione semplice ma la ringraziò mentalmente per aver deciso di non muoversi. Le avrebbe chiesto scusa non appena Theo avesse deciso di andarsene.
 -Non sono una stupida, sono coerente. Ho preso una decisione e la porto avanti.-
 -Quindi dovrei ammirare la tua coerenza a discapito dei miei sentimenti?-
 A quel punto Lisa non ci vide più. Gettò via la sigaretta, si alzò in piedi di scatto e si avvicinò a Theo, affrontandolo in tutta la sua altezza. In confronto al medico lei sembrava una ragazzina ma la sua forza d’animo era così potente da non poter essere schiacciata da niente e da nessuno.
 -Dei miei sentimenti te ne sei sempre sbattuto. Perciò spiegami il motivo per il quale io dovrei avere anche solo il minimo riguardo per i tuoi? Scrivi la tua tesi, diventa neurochirurgo e lasciami andare! Non ho intenzione di tornare con te, mettitelo in testa!-
 La stava portando all’esasperazione con le sue insistenze. Doveva troncare quella storia una volta per tutte altrimenti avrebbe rischiato di ricascarci e di soffrire ancora.
 -Quel bacio non è servito a niente? Mi stai dicendo questo?-
 Lisa si passò con calma la lingua sulle labbra. Il tabacco della sigaretta che aveva appena spento non aveva cancellato nulla: il sapore di Julian era ancora lì, prepotente, a ricordarle che il bacio di Theo non era stato poi così eccitante come avrebbe voluto. Aveva sentimento e forse rimorso ma non le aveva fatto scattare quel qualcosa in più da avere la certezza che le cose con quel ragazzo sarebbero migliorate.
 In quel momento la sua mente stava finalmente facendo chiarezza. Chris aveva ragione: Theo stava solo rivendicando ciò che pensava gli appartenesse ma una volta riottenuto si sarebbero trovati punto e a capo.
 Era sufficiente.
 Non avrebbe più sacrificato se stessa per far contento quel medico da quattro soldi.
 -Quel bacio è stato inutile, Theo.-
 Lui spalancò gli occhi incredulo.
 -Un altro ragazzo mi ha baciato dopo di te e ti assicuro che il confronto mi ha reso tutto più chiaro. Forse provo ancora qualcosa per te ma l’altro bacio mi ha sconvolta almeno quanto il tuo, se non di più. Perciò togliti dalla testa che tornerò da te strisciando. Continua sulla tua strada, io scelgo di andare altrove.-
La sincerità prima di tutto, e più onesta di così risultava difficile esserlo.
 Theo non lasciava i suoi occhi neanche per istante. Respirava con energia mentre, notò Lisa, si stava di certo trattenendo dall’urlarle contro. Nonostante lei lo avesse lasciato da diversi giorni, era sicura che lui lo considerasse una sorta di tradimento. Eppure di tradimento non si trattava. 
 -E’ stato Chris?-
 Questa volta lo stupore apparve sul viso di Lisa.
 -A fare cosa?-
 -A baciarti.-
Negli occhi di Lisa passò un lampo divertito. Dovette dare fondo a tutta la sua forza di volontà per evitare di scoppiare a ridere. Theo sarebbe andato su tutte le furie se fosse accaduto.
 -Stai scherzando, vero? Non bacerei mai Chris!-
 -Di chi stai parlando, allora? Se non me lo dici potrei pensare che stai inventando tutto per farmi ingelosire.-
Un sospiro esasperato spezzò l’aria. Proveniva dall’infermiera Light che non ne poteva più di quel quarto grado.
 Lisa pensò alla sventurata Martha che se ne stava ancora seduta sui gradini. Era una scena penosa a cui assistere, al posto della collega si sarebbe sentita imbarazzata e mortificata. Le avrebbe offerto sicuramente una cena per farsi perdonare.
 Rimaneva il fatto che il nome di Julian Blackwood non sarebbe saltato fuori, piuttosto che rivelarlo sarebbe scappata in un altro paese. Quindi Theo doveva ritenere sufficienti le ragioni che aveva ottenute sino a quel momento.
 -Non lo conosci- cominciò Lisa con voce sicura. –Da quando ho chiuso la nostra storia non deve interessarti chi bacio e perché, non ti appartengo più.-
-Ma…-
 -Basta, Theo. Ti presenti a casa mia mentre sono con degli ospiti e mi baci. Vieni qui mentre sto parlando con la mia collega in un attimo di pausa e pretendi spiegazioni che non sono tenuta a darti. Per essere uno che non avrebbe supplicato mi sembra che tu abbia già raggiunto il ridicolo. Vai a casa, fatti una dormita e domani trovane un’altra da tormentare con le tue scuse inutili.-
 Il tono di Lisa era risultato duro, più di quanto avrebbe voluto. Sapeva, tuttavia, che Theo era in grado di diventare testardo all’inverosimile. Se non avesse agito con quell’atteggiamento deciso non se lo sarebbe mai scrollato di dosso.
 Lui l’aveva ferita tanto, non aveva intenzione di provare pietà per quell’uomo che continuava a trattarla come il giocattolo preferito soffiato da sotto il naso.
 Non aveva proprio recepito nulla di tutti i discorsi che lei si era presa il disturbo di fare.
 -Me ne vado, ma sappi questo: sei solo una stupida ragazzina egoista.-
 Theo si voltò di scatto e chiuse la porta alle sue spalle con un gesto di stizza.
 Lisa rimase per un attimo a fissare la porta prima di guardare Martha con occhi mortificati.
 -Mi… Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere, ma se fossi rimasta da sola con lui non so se avrei agito con tanta risolutezza.-
Martha si alzò con calma dal gradino dove si era trovata costretta a sedere per tutta la conversazione e si lasciò andare ad un dolce sorriso. Era incredibile come il piccolo viso di quella ragazza potesse risultare amabile anche con un gesto semplice come un sorriso.
 -Non devi preoccuparti. Il discorso non mi riguardava. Per come la vedo io, ero solo seduta sulle scale antincendio durante la mia pausa sigaretta.-
 -Te lo terrai per te, quindi?-
 I pettegolezzi in reparto erano all’ordine del giorno. Theo e Lisa erano sulla bocca di tutti da quando avevano deciso di uscire insieme fino al momento in cui lei aveva rotto la loro relazione. Aveva saputo che molte colleghe l’aveva ritenuta una scelta crudele e la scena che c’era appena stata avrebbe solo alimentato questa convinzione.
 Se nessuno l’avesse saputo, Lisa si sarebbe sentita molto più tranquilla.
 -Non ho visto nulla, Lisa. Le voci che girano nei reparti non sono un hobby a cui mi dedico. Senza contare che sei la mia collega di turno e non ho intenzione di pestarti i piedi. Sei simpatica e questo mi è sufficiente per lavorare bene con te.-
 -Grazie.-
 Fu una parola pronunciata con il cuore. La sua collega non le aveva chiesto altre spiegazioni, nonostante avesse assistito a quella scena spregevole. Aveva capito le circostanze e la stava appoggiando senza neanche conoscerla.
 Ad un certo punto, tutta la frustrazione di cui Lisa era ormai preda da giorni trovò la sua valvola di sfogo e delle lacrime silenziose cominciarono a rigarle il volto. Quanto odiava le lacrime, soprattutto detestava piangere in presenza di altre persone che non fossero Chris o al massimo suo padre.
 -Ascolta- disse Martha avvicinandosi e tirando fuori un pacchetto di fazzoletti di carta dalla tasca della divisa. Ne porse uno a Lisa e le riservò un sorriso colmo di comprensione. –Lasciare qualcuno non è mai un affare semplice, ci sono tanti fattori che entrano in gioco.-
 Lisa prese il fazzoletto e cercò di asciugare le lacrime, ma quelle continuavano a scendere senza sosta. Non aveva neanche la voce per singhiozzare, uscivano in un religioso silenzio.
 -In una relazione l’affetto c’è sempre. L’amore non è obbligatorio ma il provare un senso di appartenenza sì. Tu hai deciso di perseguire la tua decisione e questo richiede davvero un grande coraggio. Non ascoltare quello che ti dice Theo: è un uomo di carattere che è stato ferito. La sua rabbia è del tutto giustificata ma non dipende da te. Ha fallito in qualcosa, e sono certa che non gli sia capitato spesso.-
-Theo ottiene sempre quello che vuole- disse Lisa mentre asciugava le lacrime. Sentiva gli occhi gonfiarsi e dolere per lo sforzo di versare lacrime di quelle dimensioni.
 -Se hai fatto una scelta e la ritieni corretta non devi cambiare idea, anche se lui ti fa delle pressioni. Non c’è nulla di peggio al mondo che stare con una persona per le ragioni sbagliate.-
 Lisa sapeva bene che Martha ci aveva visto giusto. Doveva ascoltare lei, Chris ed il suo stesso istinto. Theo non sarebbe tornato nella sua vita. Non vi erano altre soluzioni.
 -Facciamo così- disse Martha porgendole un altro fazzoletto. –Adesso io torno dentro a dare una mano a Chris con la preparazione della terapia, tu resti qui finché non ti sentirai meglio. Non preoccuparti per il reparto, a quest’ora i pazienti sono più che tranquilli. Prendi aria e rifletti quanto ti è necessario.-
 -Non dire nulla a Chris- il tono di Lidia era triste, non poteva essere diversamente. Ancora non si sentiva pronta per raccontare ogni cosa al suo amico, doveva essere prima sicura delle proprie reazioni.
 -Va bene, gli dirò che la dottoressa Green ti ha chiesto di andare in radiologia a cercare un referto. Tanto quella è talmente sbadata che se non avesse la testa attaccata al corpo se la perderebbe per strada.-
 Lisa si lasciò andare ad un piccola risata. In due giorni Martha aveva già capito tutto di quel reparto.
-Giuro che puoi venire a cena a casa mia quando vuoi, ti devo ringraziare per tutto quello che stai facendo.-
 -E’ una sciocchezza- disse Martha aprendo la porta. –Ma non rifiuto mai un invito a cena. Ora però vado, altrimenti Chris comincerà a cercarci per mari e monti.-
 Detto questo, subito dopo un occhiolino, Martha rientrò in reparto lasciando modo a Lisa di restare un po’ da sola.
 La donna chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, inspirando aria fresca che le arrivava dritta nei polmoni. Una soluzione a tutto quel marasma di avvenimenti l’avrebbe trovata, come sempre era successo. Ora doveva solo smettere di piangere e tornare al suo lavoro.
 Theo prima o poi si sarebbe arreso, con le buone o con le cattive.
 Chris prima o poi avrebbe saputo tutto e sarebbe stato felice di darle dei consigli, restandole accanto.
Blackwood.
Julian Blackwood doveva solo tenere le mani al loro posto e niente di male sarebbe accaduto. Avrebbero scritto il libro senza intoppi e tutto sarebbe finito prima di un battito di ciglia.
 Lisa sperava solo che non avrebbe cestinato subito i primi capitoli che gli aveva consegnato.
 A quel pensiero un’ondata di freddo le attraversò il corpo. Non aveva ancora dato quei maledetti capitoli a Blackwood. Li aveva stampati, aveva ripiegato con un cura i fogli e messi in tasca alla divisa, ma quello stupido le aveva dato quel bacio mozzafiato e per la fretta di scappare dalla stanza non aveva più pensato a ciò che portava in tasca.
 -Accidenti!- mormorò a se stessa.
Voleva infischiarsene e tenere quei capitoli con sé fino a quando non fosse stata costretta a lavorare con Blackwood, ma dopo quello che le aveva detto Daisy non aveva intenzione di sprecare un solo minuto. Se davvero non avrebbe potuto usare quei capitoli, era meglio saperlo il prima possibile.
 Ancora una volta prese un respiro profondo, avvertendo l’aria fredda entrarle nel torace.
 -Solo un ultimo sforzo, Lisa. Puoi farcela.-
 Così si ritrovò a camminare per il lungo corridoio del reparto intenta a dirigersi verso la stanza di Julian. Lisa era sempre stata una persona sprezzante del pericolo, aveva affrontato tutte le difficoltà nella sua vista a testa alta, senza mai attendere. In quell’occasione si stava comportando come suo solito ma dentro di lei qualcosa non andava: l’ansia di rivedere Julian dopo quello che era accaduto la stava divorando. Era cosciente di dover dar fondo a tutta la sua forza di volontà per affrontare un altro incontro con lui.
 Quando l’infermiera entrò silenziosa nella stanza tirò un enorme sospiro di sollievo: Julian stava dormendo. I suoi occhi erano chiusi, e l’unica luce accesa era quella sopra il letto, troppo soffusa per infastidire il paziente mentre riposava.
 Un enorme sorriso prese possesso del volto di Lisa. Non avrebbe dovuto affrontare l’irriverente Blackwood così presto come aveva pensato. Tutta contenta, si mosse silenziosa come un gatto, verso il letto del paziente. Tirò fuori dalla tasca i fogli ripiegati e con molta calma li appoggiò sul comodino. Era pronta a voltarsi e a lasciare la stanza.
 -Passiamo già alle lettere d’amore?-
 Lisa dava le spalle al paziente e poté alzare platealmente gli occhi al cielo per ciò che stava succedendo. Quel Julian Blackwood stava mettendo a dura prova la sua leggendaria pazienza.
 -Neanche ti rispondo.-
 Fece per andarsene quando si sentì afferrare il polso. Si voltò di scatto verso Julian e lo fulminò con gli occhi mentre sentiva la presa bollente della sua mano farsi più salda.
 -Lo sento, sai?-
 -Che cosa?- chiese Lisa confusa.
 Successe tutto in attimo. Julian tirò con forza il braccio di Lisa e l’attirò verso di sé. Lei era troppo sorpresa, e il suo corpo era troppo minuto, per resistere a quella forza esercitata con tanta decisione. La donna si ritrovò con il viso sulla spalla del paziente mentre lui la teneva imprigionata, stringendola con una mano sulla schiena.
 -L’odore di sigaretta- soffiò lui sul collo della ragazza. La sua voce era bassa, roca e tremendamente sensuale. –Non fumo una sigaretta da giorni e questo odore ti rende ancora più attraente per i miei sensi.-
 Le annusò il collo con decisione mentre lei non riusciva a muovere un solo muscolo. Il calore di quel corpo così vicino, il ricordo del bacio che c’era stato solo qualche minuto prima e Julian Blackwood in generale, stavano bloccando qualunque reazione logica che avrebbe dovuto avere.
 Il cuore di Lisa stava per sfondare la cassa toracica mentre vere e proprie vampate di calore prendevano completo possesso del suo corpo.
 Julian passò con delicatezza la punta del naso sul collo della sua prigioniera, poi posò le sue labbra su quel lembo di pelle ormai sensibilizzato dal contatto precedente. Lisa riuscì a trattenere un gemito per puro miracolo mentre Julian aprì la bocca lasciando che la lingua saggiasse con lentezza struggente quel collo morbido e delicato.
 -Il sapore della tua pelle e quasi più dolce di quello delle tue labbra- soffiò quelle parole sulla parte inumidita del collo e Lisa avvertì i brividi percorrerle schiena e testa.
 -Non ti avevo detto di tenere le mani a posto?- sussurrò Lisa in un momento di lucidità, ma ancora non aveva trovato la forza di provare a liberarsi.
 Avvertì la bocca di Julian aprirsi in un sorriso mentre continuava a baciarle il collo con determinata insistenza, ma soprattutto con rinnovata sensualità.
 -Non sto usando le mani, ti ho lasciata andare già da un po’.-
 Lisa spalancò gli occhi incredula. Si rese conto che il polso, intorno al quale aveva sentito il calore della mano di Julian, non era più in trappola. Fino a quel momento aveva solo avvertito la sensazione che quel contatto le aveva lasciato ma in realtà la mano di Julian non c’era. Mentre le sue labbra c’erano eccome, e le stavano coccolando il collo con una maestria che non credeva nemmeno esistesse. La mano che le stringeva la schiena, non la tratteneva più, era solo poggiata con delicatezza senza muoversi, il suo scopo era solo far sentire tutto il calore che poteva emanare.
 Il suo corpo le urlava di non muoversi, di lasciarlo continuare. La sua mente, tuttavia, era conscia del fatto che Julian Blackwood andava fermato prima che il loro rapporto si complicasse ulteriormente. Dovevano lavorare insieme, accidenti!
 Le labbra di Julian raggiunsero il lobo dell’orecchio e gli occhi di Lisa si chiusero senza che lei potesse impedirlo. Il buio aumentò il piacere che quel piccolo gesto dell’uomo le stava provocando sino a quel momento. Doveva fermarlo, ma proprio non riusciva a trovare la forza per farlo.
 Poi un rumore in corridoio la fece sobbalzare. Il suono del carrello della terapia che avanzava le consentì di ridestarsi dal sogno che stava vivendo.
 Spalancò gli occhi e posò le mani sul petto di Julian con la ferma intenzione di separarlo da lei. Il ragazzo le passò ancora la lingua sul lobo dell’orecchio e le sue mani al posto di respingerlo si strinsero sul tessuto della sua maglietta come a chiedere di più. Era il momento di reagire ma Julian fu più veloce: lasciò il collo e raggiunse le labbra di lei chiudendole in un bacio delicato senza dimostrare alcuna fretta nell’approfondirlo. Ancora quel calore, ancora quel sapore irresistibile. Il suo cervello aveva voglia di scollegarsi completamente e di lasciar fare tutto al suo corpo ma non poteva permettere che i suoi colleghi la trovassero in una situazione del genere. Proprio non poteva.
 Le sue mani si aprirono di nuovo e questa volta furono in grado di spingere via il corpo di Julian che si staccò da lei guardandola con un sorriso divertito e consapevole.
 -Adesso basta! Non devi più fare una cosa del genere.-
 Il sorriso di Julian sembrò allargarsi ancora.
 -Prometto di non farlo più- la sua voce era bassa, sensuale come nessuna che Lisa avesse mai ascoltato. –Ma se in futuro sarai tu a cominciare, come la mettiamo?-
 Lisa si allontanò definitivamente mentre si concentrava a far scomparire il rossore dalle sue guance.
 -Non c’è pericolo che io… Non ho intenzione di saltarti addosso, se è questo che intendi.-
 Julian scoppiò a ridere.
 -Sei brava a raccontarti frottole.-
 La rabbia prese di nuovo possesso di Lisa che incenerì Julian con lo sguardo.
 -E’ tu sei troppo sicuro di te stesso per i miei gusti, caro Blackwood.-
 -Non mi sembra che ti tu sia lamentata poi così tanto fino ad ora.-
 -Mi hai solo colta di sorpresa.-
 -E tu mi hai lasciato fare, prima o poi cederai.-
 -Se non la smetti con questo atteggiamento, il libro puoi pure scrivertelo da solo.-
 Julian la guardò per qualche istante e poi abbassò gli occhi cominciando a fissare il pavimento dietro a Lisa.
 -Come vuoi, vedremo chi avrà ragione alla fine.-
 -Non ci sarà niente da vedere.-
 -Se lo dici tu.-
 Lisa neanche rispose, quel battibecco non aveva una via d’uscita se non il silenzio.
 -Leggi quei fogli che ti ho lasciato e dimmi che ne pensi.-
 -Cosa sono?- adesso il tono di Julian era più pacato, più curioso, la nota sensuale si era persa.
 -I primi due capitoli del manoscritto. Daisy mi ha avvisato che demolirli diventerà il tuo scopo nella vita, quindi se sono da modificare preferisco saperlo il prima possibile.-
 Julian prese i fogli e li aprì. Diede un’occhiata veloce al primo.
 -E questo?- disse indicando una scritta a penna.
 -E’ il mio numero di telefono. Altrimenti come conteresti di contattarmi dopo che ti dimetteranno? Quel giorno avrò il turno di mattina, potrei anche non riuscire a passare da te prima della tua uscita.-
 -Sei premurosa- disse Julian divertito.
 -Sono previdente- ribatté lei con decisione, mentre smontava la flebo con l’antibiotico. La bottiglia era ormai vuota.
 -Ti stai creando una scusa per i tuoi colleghi? Non avevi buoni motivi per sta qui, vero?-
 -Blackwood, chiudi quella cavolo di bocca!-
 La risata di Julian si diffuse nella stanza.
 -Farti arrabbiare è uno spasso, piccola Light.-
 -Continua così e mi vedrai arrabbiata sul serio, se ancora sarà uno spasso me lo dirai tu.-
 Lisa non disse altro. Con la bottiglia di antibiotico vuota in mano, si diresse verso la porta.
 -Leggi quei capitoli e dimmi che ne pensi.-
 Non attese la risposta, uscì veloce dalla stanza lasciando Julian ai suoi pensieri.
 Quella ragazzina era troppo invitante perché lui la potesse ignorare come lei aveva chiesto. Era una preda complicata da catturare ma alla fine anche lei avrebbe ceduto al grande maestro Julian Blackwood. Erano poche le donne che alla fine non erano cadute ai suoi piedi, e tutte perché lui non era realmente interessato.
 Invece, la piccola Light lo intrigava molto più di qualunque ragazza avesse incontrato fino a quel momento. Caratterialmente era una disastro ma il suo corpo… Il suo corpo valeva la pena di essere esplorato, in ogni più piccolo dettaglio. Si sentiva come se proprio lo stesso corpo di quell’infermiera lo stesse supplicando per ricevere attenzioni.
 Scosse la testa per provare a scacciare via il ricordo di quella pelle così succulenta e abbassò gli occhi sui fogli che aveva in mano.
 -I primi due capitoli, eh? Vediamo cosa sei in grado di fare, piccola Light.-
 
 
 Essere figlia di due avvocati di successo non era mai stato semplice per me. Trascorrevo l’intero anno scolastico in un collegio femminile, lontano dalla mia casa. Durante le vacanze estive, invece, mi parcheggiavano dalla mia nonna paterna senza fare tanti complimenti. Non accusavo i miei genitori, ma ero arrivata alla conclusione che il loro lavoro fosse più importante della loro unica figlia.
 Tutto sommato non potevo lamentarmi.
 Il collegio non era il posto ideale per fare amicizie. I miei migliori amici erano i libri e il mio passatempo principale consisteva nel prendermi cura dei suddetti libri. Le relazioni con altri umani non erano mai state importanti per me.
 Se avevo bisogno di un’amica, mia nonna era la persona giusta.
 Quell’estate, l’estate dei miei undici anni, quando la macchina di mio padre si fermò nel vialetto di nonna, mi sentivo serena e felice per i mesi che mi aspettavano in compagnia di quella donna solare e gentile che mi aveva sempre trattato come una figlia. Lei era la mia confidente, l’unica persona che sapeva tutto di me. Mi ascoltava senza dare giudizi, dispensava consigli senza imporre la sua opinione. Era un diario segreto in grado di rispondere ad ogni mia domanda.
 La vidi. Mi aspettava come sempre sotto il portico della sua villetta, la casa in cui aveva vissuto da sempre, fin da bambina.
 Scesi dalla macchina e mi catapultai tra le sue braccia.
 -La mia piccola Geni.-
 Il mio nome era Eugenia ma solo i miei professori mi chiamavano in quel modo. Per tutti gli altri ero solo Geni.
 
 Julian completò la prima pagina e la sua mente vorticava all’idea di ciò che stava leggendo. Lo stile di Lisa era pulito, semplice ma allo stesso tempo minuzioso di particolari. Doveva ammettere che Peter aveva fatto centro con lei: con qualche piccola modifica quel capitolo avrebbe rasentato la perfezione.
 
 Ero in giardino con mia nonna.
 Sedute al tavolino in ferro battuto, era lì che facevamo colazione nelle calde mattinate estive. La nonna aveva preparato frittelle e succo d’arancia, la mia colazione preferita.
 -Sai- mi disse a un certo punto bevendo con eleganza innata un sorso di succo. –Da un paio di mesi villa Wellington ha un nuovo ospite.-
 Alzai gli occhi dalle mie frittelle e osservai la nonna con grande sorpresa. Villa Wellington era la grande casa accanto a quella della nonna. I nostri giardini erano confinanti, divisi da un’alta siepe sempreverde che io non avevo mai avuto il coraggio di attraversare, neanche presa dal mio istinto curioso di bambina. Il motivo di tanto timore era semplice: il padrone di casa Wellington. Si trattava di un anziano aristocratico che io avevo sempre visto come cupo e solitario. Non mi sarei mai permessa di ritrovarmelo di fronte, neanche per sbaglio.
 -Di chi stiamo parlando?-
 La nonna mi sorrise dolcemente.
 -Il figlio di Nadiya.-
 -Stai scherzando?!-
 Nadiya era stata la cameriera e governante del signor Wellington per anni. Era sempre stata gentile con me, quando il signor Wellington non era in casa veniva sempre da noi a prendere un caffè o una tisana. Un paio d’anni prima ci aveva raccontato che il suo padrone era sempre stato gentile con lei, cosa alquanto incredibile conoscendo il tipo, e che lei gli aveva dato un figlio anni prima, un bambino che ora doveva avere all’incirca la mia età.
 La donna si era trovata costretta a mandarlo a vivere in Russia con i suoi genitori per evitare che le voci su di lei e il signor Wellington trovassero una conferma. Le uniche ad aver sentito quella storia da Nadiya eravamo solo la nonna ed io, perché doveva essere un segreto. Ora quel segreto era stato svelato a tutti.
 -Dopo la morte di Nadiya, il signor Wellington ha voluto accanto suo figlio. Dopotutto quel bambino è l’unica famiglia che gli rimane- disse la nonna dopo aver addentato un pezzetto di frittella. –Delle voci, a quanto pare, se ne sta infischiando. Amava quella donna, ne sono convinta, e suo figlio Ivan e la persona più vicina a lei. Presumo che lo voglia affianco per avere la conferma che Nadiya sia esistita.-
 -Mi sembra un po’ tardi per ricordarsi di fare il padre.-
 
 Questa battuta non c’era nella sceneggiatura. Lisa stava influenzando Geni con il suo carattere, ma probabilmente, pensò Julian, non era un male. Si era reso conto, più di una volta, che Geni non parlava molto spesso come una ragazza. La battuta andava bene così. Un bel punto per Lisa.
 Ormai era arrivato al primo incontro tra Ivan e Geni: la curiosità lo stava invadendo. Si trattava di uno degli avvenimenti cardine della sceneggiatura, era quel titolo che Lisa aveva modificato con tanto ardore.
 
 La nonna era rientrata in casa mentre io me ne stavo in giardino. Mi piaceva stendermi sull’erba, con un cuscino dietro la testa, e leggere all’ombra del grande salice che la nonna e sua sorella minore avevano piantato lì quando erano solo delle bambine.
 Le foglie che ricadevano, quasi a celarmi del tutto, mi facevano sentire al sicuro. Era il mio posto speciale, in cui potevo starmene ore e ore, senza patire il caldo o la noia.
 Il libro che stavo leggendo mi aveva rapita del tutto, eppure avvertii il bisogno di alzare gli occhi per un istante e in quell’esatto momento mi accorsi di qualcosa: un dettaglio particolare attirò la mia attenzione.
 Quando avevo all’incirca quattro anni, mi ero divertita con le forbici da giardinaggio della nonna. Mi era sembrato molto divertente sfoltire un po’ quella siepe alta e tenebrosa che divideva la nostra casa dall’enorme e splendido giardino della tenuta Wellington. Così, felice e contenta, avevo cominciato a tagliare via foglie e rami. Ci avevo preso talmente gusto che quando la nonna si accorse di ciò che stavo facendo, quella sfoltita era diventata un buco enorme che poteva essere attraversato con tranquillità anche da un ragazzino.
 La nonna era andata dal signor Wellington scusandosi per ciò che avevo combinato, ed era persino disposta a pagare il danno che avevo causato alla sua parte di giardino. Tuttavia, lui non volle niente come risarcimento. Accettò le scuse e quella siepe non venne mai più sistemata. Pensai che avesse ragionato così perché quella parte della siepe era troppo lontana dalla sua immensa casa per poter essere d’intralcio per la privacy del padrone del maniero. Così quella specie di porta era rimasta lì per anni. Ogni tanto avevo contribuito a farla restare in quel modo, tagliando le foglie e i rami che volevano chiuderla. Quella porta mi aveva sempre trasmesso una meravigliosa sensazione di luce nell’ombra, di speranza. Guardarla mi tranquillizzava.  
 Solo che quella mattina c’era qualcosa oltre la mia particolare porta.
 Degli occhi che mi fissavano. Occhi azzurri come l’acqua cristallina, penetranti come un vento gelido.
 Lasciai il mio libro sul prato e mi avvicinai a quegl’occhi.
 -Sei Ivan?- chiesi quando mancavano solo pochi passi alla siepe.
 Il ragazzino dall’altra parte annuì senza mostrare emozioni su quel volto dalla carnagione chiara. Aveva dei capelli neri ribelli, ereditati dal padre, dato che Nadiya era bionda. Vedendo il viso di quel bambino capì perché Wellington lo avesse voluto accanto. Era identico a sua madre. La nonna aveva avuto ragione nel dire che forse il signor Wellington aveva amato davvero la sua cameriera. Ora che aveva addirittura voluto suo figlio con lui, senza curarsi dei pettegolezzi che avrebbe scatenato, ne era la prova conclamante.
 -Vuoi venire a giocare nel mio giardino?- chiesi con un sorriso.
 Il bambino strabuzzò gli occhi spaventato.
 -Il signore della grande casa si arrabbierà- un rumore fece voltare Ivan che tornò a guardarmi con la confusione negli occhi. –Devo andare.-
 Scomparve veloce come era apparso.
 In quel momento non avrei mai creduto che quel bambino sarebbe diventato la persona più importante della mia vita. Il mio primo vero amico.
 
 -Cazzo…- mormorò Julian ripiegando i fogli, dopo che li aveva letti con foga fino all’ultima pagina.
 Le dita andarono in automatico sulle sue labbra mentre con la lingua cercava di sentire ancora il sapore della donna che poco prima aveva baciato.
 -La piccola Light ha talento. Chi lo avrebbe mai detto…-  
 Mentre cercava quel sapore che tanto lo aveva affascinato, avvertì qualcosa di strano. Una specie di nota fuori posto che prima non aveva notato. Era salato. Era il sapore delle lacrime.
 Lisa aveva pianto?
 
 
***L’Autrice***
 Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo.
 Ormai Julian e Lisa stanno cominciando a darsi molto da fare. Diciamo che l’attrazione che provano l’uno per l’altra sta diventando insostenibile. Ma non pensate che questo sia un buon motivo per farli quagliare troppo presto ahahahah
 Julian rimane ancora un personaggio un po’ misterioso ma già dal prossimo capitolo lo vedremo molto più spesso e finalmente entreremo di più nel suo personaggio.
 In più, in questo capitolo, si è visto anche l’inizio di questo famoso libro che Lisa deve scrivere. L’incipit della storia è quello che avete appena letto. Tuttavia, anche la storia di Geni e Ivan crescerà insieme a quella dei due protagonisti. Ovviamente non allungherò troppo con il manoscritto di Lisa ma si vedranno spezzoni ogni tanto che serviranno a far capire la storia a grandi linee, e ovviamente si vedranno Lisa e Julian discutere parecchio sulle scelte della trama.
 Finalmente sembra che Theo si farà da parte, anche se non datelo per certo. Potrei anche decidere di farlo rispuntare fuori ad un certo punto. Dipende da che piega prenderà la storia.
 Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo e le ragazze che sul gruppo di facebook (Il figlio della prof) stanno mostrando interesse e supporto per questa mia nuova storia.
 Vi ringrazio infinitamente.
Un abbraccio 
   
 
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