光
– Hikari
Pioveva quel
giorno. Forse era un segno, come la
lunga crepa che solcava il volto del Terzo Hokage. Mancava poco e
all’improvviso mi venne una gran voglia di fuggire, ma non
potevo. Gliel’avevo
promesso. Anni fa, ma era pur sempre una promessa. E io mantango le
promesse, è il
mio credo
ninja. Poi c’era un’altra cosa che mi terrorizzava.
Da quando avevo messo piede
nel Paese del Fuoco, continuavo ad immaginarmi quella maschera ovunque.
Paranoia
forse, se lui mi avesse anche solo lontanamente fiutata a
quest’ora sarei sua
prigioniera, ossessionata dalle sue parole. Dal suo viso. Da lui.
Per fortuna ero
stata scaltra, molto.
“Memei?”,
disse una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto, non aveva
fatto il minimo rumore. Sospirai. Non era lui. Guardai attentamente la
donna
davanti a me. Poi mi voltai verso la montagna e tornai a lei.
“Maestra
Tsunade? Quinta Hokage?!”, domandai stupita.
“Bentornata
Memei. Come mai sei venuta?”, aveva un cipiglio strano,
pensieroso.
“Non
sono tornata, sono solo...di passaggio. È...per Asuma,
maestra.
Riguarda la nostra promessa”, abbassai gli occhi cercando di
nascondergli i
lucciconi. Lei parve capire a cosa mi riferissi.
“Ah,
si...adesso ricordo. Ma non hai fatto bene a
“passare”. Sai che rischi
di essere trattenuta, non è vero? Non ti lascierebbe fuggire
di nuovo, ti ha
cercata per troppo tempo. Non ti perderà
mai più....lo
ha
giurato...”, mi disse affranta.
“Maestra
io so badare a me stessa. Ho la mia vita adesso. Non sono qui per
restare. Ne per parlare con lui. Non mi lascierò
coinvolgere Tsunade! Mi hai insegnato bene...non sono più la
stessa
ragazzina di una volta....io sono cambiata!”,
dissi decisa.
Mi
guardò a lungo, stava cercando un punto di
cedimento, ma non ne avevo. Avevo imparato a chiudere fuori tutti i
sentimenti.
“Memei...dobbiamo
andare. Sta per iniziare. Ma
preparati. Molti non saranno felici di vederti. Ti considerano una
traditrice
della foglia”, mi fece un cenno e saltò giù
dal muretto.
Il vento mi passò
sul viso, come se volesse
parlarmi. Ma non potevo sentirlo, non potevo leggerlo, potevo solo
avvertirlo...
“Quinta
Hokage”
“Maestra
Tsunade”
“Tsunade,
il tuo posto”
Tutti i capi
del villaggio accolsero Tsunade e
Jiraya l’accompagnò a sedersi accanto a lui.
Il ninja
supremo mi squadrò, ma non mi riconobbe,
grazie al cappuccio del mantello che portavo.
Mi fece sedere
accanto a Tsunade e non disse
niente.
Poi lei si
alzò per andare a parlare e con la mano
mi spostai piano i capelli dagli occhi, per poterla vedere meglio.
Sentii Jiraya
trattenere il fiato e il suo chakra
agitarsi. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:
“Che sorpresa...bentornata
Memei...mi sei mancata”. Sussultai stupita, cercando di
capire cosa mi avesse
tradito.
“Sei
stata carina a tenere il mio bracciale. Farai
un discorso? Lui ci rimarrà secco lo sai vero?”
Ah, giusto. Il
bracciale di Jiraya.
“Si,
penso che adesso tocchi a me...”.
Tsunade aveva
appena terminato il suo elogio sulla tomba di Asuma. Sulla
tomba di mio fratello. Il mio fratello gemello. Mi alzai trattenendo il
tremore
alle gambe e alle mani. Arrivai davanti alla tomba, mi piegai e
raccolsi della
terra. La gettai sulla tomba. Poi, molto lentamente, mi voltai. Erano
tutti li,
con faccie sospettose, domandandosi chi fossi. Quella che mi
colpì di più fu il
volto stravolto di Kurenai e quella di un ragazzino al suo fianco, che
teneva
una sigaretta in bocca...come Asuma. Erano tutti li, e non erano tanto
cambiati. Gai, Hiashi,
Shibi, Choza, Shikaku, Inoichi, Yamato, Iruka, Iwashi, Suzume,
Tonbo, Yoshino...e, nascosti, i membri della squadra speciale...Anko,
Ebisu,
Tsume, Ibiki, Genma, Raido, Aoba....cercai di evitare il suo viso,
l’ultimo, ma
era troppo per me.
Lo fissai. Era
bellissimo. Il suo viso non era più
quello di un
ragazzino tenace, era un uomo forte, un ninja molto esperto, un ninja
le cui
imprese venivano raccontate fino alle estremità
del
paese del mare, dove vivevo.
Kakashi Hatake.
Il copia-ninja.
Era
così bello. Non riuscii a guardarlo un secondo
di più
e mi concentrai sul ragazzo accanto a lui. Somigliava terribilmente al
Quarto Hokage. Aveva un chakra spaventoso. Eccolo li. La forza portante
dell’enneacoda. Naruto Uzumaki. Ma a lui avrei pensato dopo.
Era ora di
mantenere la mia promessa.
Portai piano le
mani alla testa e abbassai il cappuccio. Non distolsi lo
sguardo da Kakashi un secondo. Le emozioni che attraversarono il suo
viso e il
suo occhio furono inimmaginabili. Qualcosa nel suo bello sguardo rivelò
che era crollato, che lo avevo distrutto. Di nuovo.
I mormorii si
fecero più
alti, tutti
mi guardarono, i più grandi arrabbiati, i più
piccoli spaventati.
“Fate
silenzio per favore!”, esclamò
Tsunade.
Il brusio si
abbassò fino a scomparire. Uno dei
capi si alzò gridando: “Cosa vuoi Memei? Sei
venuta a turbare la quiete della
sacra tomba di tuo fratello? Sei venuta a ritirare i beni di tuo padre,
il
nobile Terzo Hokage, e di tuo fratello, Asuma Sarutobi?
O sei tornata
per mangiarti ciò che resta del cuore
del povero Kakashi? Non ti basta quello che gli hai fatto? Quello che
gli hai
portato via? Vergogna! Presentarti qui, dopo dieci anni! Anche tu
Tsunade! Come
puoi averla riportata qui?!!”
“Taci
vecchio! Non l’ho portata io! È
venuta lei! E
sono certa che avrà
avuto un valido motivo....e
che ha qualcosa da dire!”, disse e mi guardò.
Prima di
parlare guardai Kakashi e vidi chiaramente
una lacrima cadere dal suo occhio e sparire nella benda, sotto lo
sguardo
stupito e meravigliato di tutti i Genin che Kakashi aveva addestrato e
conosciuto.
La cerimonia
finì e mi apprestai ad andarmene. Il
mio discorso era stato degno di Asuma. Ma era troppo richioso restare
ancora, i
Daymo si stavano avvicinando. Mi voltai in fretta verso Tsunade
rivolgendogli
un cenno e m’incamminai nel bosco, veloce.
Sapevo che
sarebbe successo. Una mano mi prese il
braccio, con forza e con delicatezza. Mi voltai di scatto liberandomi
della sua
presa. Lo guardai negli occhi. Volevo fargli capire quali fossero le
mie
intenzioni.
“Kakashi
ti prego fammi andare via. Non voglio
parlarti”, dissi decisa e cercai di correre ma mi riprese.
“Memei...ti
prego...sono dieci anni che sei
sparita...ho bisogno di parlarti! Sono passati dieci anni e ogni giorno
ho
guardato le porte del villaggio nella speranza che tu varcassi quella
soglia.
Ti ho aspettato e aspettato, ma non sei mai tornata. Ho bisogno di
sapere perchè!
Perchè mi
hai fatto questo Memei? Ti prego!”, supplicava. Era troppo
ferito per
controllarsi, sentivo l’elettricità
scorrergli nelle mani,
battergli nel cuore. Non potevo cedere ma lo feci. Perchè
sebbene in
quegli ultimi dieci anni avessi cercato di dimenticarlo, sebbene lo
avessi
chiuso fuori dalla mia mente, sebbene cercassi di non pensare mai a
lui....io
lo amavo ancora incondizionatamente. Lo amavo ancora troppo. Troppo.
Lo guardai, in
entrambi gli occhi e mi materializzai nella sua stanza. Non
era cambiato nulla neppure li....
“Memei...mi
sei mancata...”, disse ma io gli chiusi la bocca con un dito.
Stavo cedendo. Gli tolsi il coprifronte e passai le mani nei suoi
bellissimi
capelli. Li annusai, come facevo un tempo, e sapevano di buono,
sapevano di
lui. Lo guardai negli occhi, di nuovo, e piano, con un dito gli aprii
l’altro
occhio...poi passai il dito sotto la benda che gli copriva la bocca e
la
abbassai. A quel punto vidi nei suoi occhi lo specchio di ciò
che sarebbe accaduto. Pianissimo si avvicinò alla mia
bocca e mi baciò come non mi aveva mai baciato prima. Fu
straordinario. Da
piano le sue labbra furono veloci, affamate, disperate. Le scintille ci
circondavano come tanto tempo fa, ma quel giorno erano più
luminose,
rinnovate di energia....
Avevo
dimenticato il suo tocco, avevo dimenticato le sue labbra, la sua
lingua morbida, il suo profumo, avevo dimenticato le sue mani sul mio
corpo, la
sensazione di euforia nel mio petto, la gola serrata
dell’emozione...avevo
dimenticato cosa voleva dire amare
Kakashi. Rinunciare a lui aveva significato perdere uno scopo. Perdere
la
vita...
“Memei
dove
vai?”
“
Basta me ne
vado! Non cercare di fermarmi! Lo odio, lo odio! Odio tutto il
villaggio! Odio
tutti! Lasciami Kakashi! È solo per colpa tua se non diventerò
Hokage! Era il mio sogno e
tu me lo hai portato via! Ti odio!”
“Memei
io ti amo! È
la mia unica colpa! Ti prego!”
“No!
Basta! Tu
ami solo te stesso e mio padre! Spero che Orochimaru lo faccia fuori!
Avrà
solo quello che si merita!
Io vi odio!!”
Sentii le
sue parole a distanza di anni...e capii che quando mi disse di amarmi
quel
giorno lontano...era davvero sincero...
Lo strinsi a me
e sentii le sue mani slacciarmi la
tuta. Tremava. Aveva lo sguardo terrorizzato.
“Che
cosa c’è?”
“
Fermami ti prego! Non farmi fare questo...”, e mi baciò e
continuò a spogliarmi.
“ Non
posso morire due volte Memei...se te ne
andrai ancora non posso farlo...”
“ Io
non posso fermarti...non ci riesco”, e mi
gettai sulle sue labbra e anche io cominciai a spogliarlo. I suoi
muscoli erano
perfetti, molto più
splendenti e vigorosi dell’ultima volta. Aveva sempre
avuto un corpo bellissimo. In pochi secondi quel corpo nudo e
meraviglioso fu
nelle mie mani, potevo farne ciò
che volevo. Ma prima lo
guardai. Lo facevamo sempre prima di fare l’amore e sperai
che non se ne fosse
dimenticato.
E infatti mi
guardò, lo sguardo pieno d’amore. Con
le lacrime agli occhi mi prese per mano, la strinse e come un rituale
mi chiese
“ Dove la porto signorina?”
“ Su
una cometa...”, dissi piangendo. Era quella la
felicità? Forse...per me era già il paradiso. Era
davvero molto più di
quel che
meritavo.
Allora mi prese
in braccio ed entrò in
me, piano, e si mosse
leggero, come a cullarmi. Sospirai. E cominciammo il nostro viaggio,
verso
quella stella cometa lontana ma così vicina che ci permise
di ritrovarci. Di
amarci di nuovo. Per sempre.
“Ti
amo Kakashi”
“
Cosa?”
“ Ti amo, e non ho intenzione di lasciarti mai più.
Io ti amo. E voglio invecchiare
al tuo fianco, voglio camminare in questa vita tenendoti la mano e
aiutandoti
quando cadi...l’ho capito solo adesso...che è
stato un errore lasciarti...ho
capito solo adesso che il mio sogno non era diventare Hokage. Il mio
sogno sei
tu. Ti amo e spero che anche tu, in qualche modo, possa amarmi e
perdonarmi per
tutto il dolore che ti ho causato...”
Il suo sguardo
era...non so dire cosa. Ma la felicità
traboccava da ogni poro. Migliaia di piccole scintille
luminosissime schizzarono attorno a noi e un vento caldo ci
scompigliò i
capelli e ci fece piangere di gioia.
“Certo
che ti amo...io non ho mai smesso di farlo e
continuerò ad amarti ogni giorno, per sempre. Noi staremo
insieme per sempre”,
e mi posò la mano sul suo cuore.
“Per
sempre”, e anche io posai la sua sul mio.