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Autore: VaticanCameos221B    09/08/2016    2 recensioni
Non aveva in programma di incontrare nessuno quella sera. Abbandonò la penna sulla superficie del tavolo ed andò ad aprire la porta dopo aver percorso la distanza che lo separava da quest'ultima con la sua solita ed innata eleganza. Alla vista della persona sul ciglio della porta d'entrata, l'espressione sul suo viso si trasformò radicalmente.
«Buonasera Will. Prego, entra pure», disse affabilmente notando subito qualcosa di strano nell'amico.
[Hannigram]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il gusto metallico del sangue si propagò nella sua bocca, mentre la lingua saettò un'ultima volta sulla ferita aperta procurandogli un leggero fastidio. Hannibal abbassò il braccio appoggiando la mano destra sulla scrivania in legno, osservando con attenzione la gocciolina di sangue che ad ogni secondo sembrava allargarsi sul polpastrello del dito indice.

Si era tagliato con un semplice foglio di carta, una cosa da nulla, ma che lo contrariava alquanto poiché, la lettera su cui stava scrivendo, si era macchiata di sangue. E se il bruciore per il taglio era cosa da nulla, insignificante, la piccola macchia lo disturbava enormemente. Il fastidio che provava era tangibile. Accigliato, prese un nuovo foglio immacolato da uno dei cassetti della scrivania optando per una nuova stesura. Non poteva sopportare di vedere imperfezioni vicino alla sua elaborata calligrafia.

Uno sguardo veloce all'orologio al polso – segnava le nove meno dieci –, e la penna stilografica fu nuovamente nella sua mano. Iniziò a scorrere fluidamente, mentre l'inchiostro nero dipingeva quel foglio bianco trasformandolo in una piccola tela piacevole alla vista. Dopo nemmeno due righe, qualcuno bussò alla porta dello studio; sul volto di Hannibal si dipanò un'espressione sorpresa. Non aveva in programma di incontrare nessuno quella sera. Abbandonò la penna sulla superficie del tavolo ed andò ad aprire la porta dopo aver percorso la distanza che lo separava da quest'ultima con la sua solita ed innata eleganza. Alla vista della persona sul ciglio della porta d'entrata, l'espressione sul suo viso si trasformò radicalmente.

«Buonasera Will. Prego, entra pure», disse affabilmente notando subito qualcosa di strano nell'amico.

Le guance del profiler erano arrossate, e di certo non per l’imbarazzo di essersi presentato a quell’ora senza il benché minimo avviso.

«Hey…», esclamò a mo' di saluto, varcando la soglia dello studio mentre lo psichiatra chiudeva la porta alle sue spalle. Il passo era traballante, lo sguardo vagava intorno con aria intontita, e stava sforzando la vista a causa della mancanza degli occhiali. Gli ci volle qualche istante per capire esattamente dove si trovava. Aveva la sensazione che Lecter gli stesse parlando, ma non ne era affatto sicuro. Poteva benissimo esserselo immaginato.

Si avvicinò a quella che era la solita poltrona dove si accomodava durante le sedute con il medico. Più che sedersi, cadde. Reclinò la testa sullo schienale e chiuse gli occhi, sospirando.

«Hai qualcosa da bere?», domandò con voce arrochita. Aveva bisogno di alcool; come se non avesse già bevuto abbastanza. Era riuscito a guidare in quelle condizioni rimanendo miracolosamente illeso fino alla casa del dottore.

Senza un apparente valido motivo, iniziò a ridere sommessamente. Il corpo sussultava, ed una mano si alzò andandosi a posare sul suo viso da brillo mentre borbottava qualcosa d'incomprensibile.

«Dio, tutto quel sangue... Tutto quel sangue!» Rideva come un folle.

«Non sarò io a portarti al coma etilico. Il livello di alcool nel tuo sangue è tale che domani non avrai alcun ricordo di come tu sia arrivato fin qui, da me. Ma è evidente che perdere il controllo della situazione non è un problema per te. Non quanto lo sarebbe per me.»

Hannibal rimase immobile, a braccia conserte, osservando l'amico nel bel mezzo di tutta la sua ubriacatura, risate comprese. Lo sguardo gli si fece improvvisamente vacuo, ma solo per un breve attimo. Nella propria mente aveva visto prendere forma un pensiero che gli aveva fatto subito scappare un mezzo sorriso compiaciuto. Chi era, per non sostenere un amico nel momento del bisogno? A maggior ragione se era venuto proprio da lui.

Poche falcate e raggiunse la poltrona davanti a quella del profiler. Vi si sedette dopo aver sbottonato il primo bottone della giacca e aver lisciato la cravatta sul proprio petto.

«Di quale sangue stai parlando, Will? Hai fatto qualcosa che richiede il mio aiuto?»

Per Will era come avere mille tamburi nella testa che rimbombavano all'unisono. Non riusciva a distinguere se fosse ubriaco o drogato, o addirittura se stesse sognando. Iniziò a privarsi della giacca preso da un’insostenibile vampata di calore. La fronte era lievemente imperlata di sudore, e il rossore sulle guance gli donava un'aria quasi innocente.

«Dov'è il cervo?», domandò invece, aguzzando la vista sullo psichiatra che aveva davanti. «C'era sempre un... cervo, qui. L'hai mangiato?» Riprese a ridere senza ritegno, stando seduto su quella poltrona in modo sgraziato e scomposto. «Io invece ho mangiato un cuore», esordì con tono plateale, come se ne andasse fiero. «O era solo nella mia testa?» S’incupì, distogliendo lo sguardo da Lecter che lo osservava rapito. «No, no. Io l'ho mangiato!», esclamò infine ritrovando quell'aria vittoriosa di qualche istante prima.

Improvvisamente si alzò di scatto, e questo bastò a fargli girare talmente tanto la testa che temette di star per vomitare.

«Va' al diavolo, Hannibal! Se non mi dai da bere, allora mi servo da solo», grugnì allontanandosi con passo incerto verso una vetrinetta accanto alla libreria dello studio, ricolma dei vini e dei liquori più pregiati, accompagnati da un set di bicchieri di vetro nel ripiano inferiore. Scelse un vino di cui non riusciva a leggerne il nome ma solo ad intravederne il colore rosso scuro. Prese un bicchiere con la mano tremante e lo riempì quasi fino all'orlo.

Hannibal lasciò Will al suo delirio. Non intervenne, non lo bloccò. Era evidente che delle allucinazioni o un incubo dovessero averlo colto prima di prendere la decisione di ubriacarsi. Che fosse sul punto di rottura? Che i giochi perversi nella sua mente fossero diventati insostenibili? Era un aspetto curioso del suo comportamento, poiché non era mai emersa questa sua tendenza al bere. Di certo non era un ex-alcolista, l'avrebbe saputo.

L'imprecazione rivolta contro la propria persona non lo turbò minimamente. Si alzò per seguirlo e ripercorse i suoi stessi passi. Lo sorprese da dietro, afferrando il calice dalla sua mano. Alcune gocce di vino erano traboccate sporcandola, ed Hannibal poteva ben seguire la traccia delle linee imperfette che si allungavano lungo il suo dorso. Sembravano sangue, e brillavano, come piccoli rivoli di un fiume incontaminato. Il pensiero nella mente del dottore fu solo uno: assaggiarlo.

Appoggiando il calice su una mensola alla sua destra, con un solo passo si mise lateralmente rispetto a Graham, e dopo aver afferrato quella stessa mano, se la portò alle labbra. La lingua saettò sulla sua pelle calda e morbida, seguendo quelle piccole scie, gustandola come se fosse uno dei piatti più prelibati di cui si fosse mai cibato. Mai avrebbe fatto una cosa del genere con l'amico sobrio. L'avrebbe solo immaginato nella propria mente, relegando il pensiero in un piccolo angolo del suo palazzo mentale. Ma poiché Will era in quello stato... Non era di certo stato lui ad andare a caccia quella sera. Era stato l'agnello a presentarsi a casa del lupo.

«Dimmi, Will», iniziò il dottore senza distanziare troppo le proprie labbra dalla sua mano, guardandolo di sottecchi. «Com'è stato mangiare quel cuore? Dimmelo, e la bottiglia di vino sarà tua.»

Graham osservava con sguardo vitreo la lingua dello psichiatra ripercorre scie di vino rosso come vene di sangue sulla propria pelle. Non seppe dire se chiuse le palpebre per la sensazione piacevole e calda della labbra di Lecter su di sé, o perché avvertì le gambe cedere e le vertigini assalirlo.

«Mi sono sentito Dio», sibilò.

Il sogno gli si presentò alla mente con ferocia. Lui, che strappava a mani nude il cuore dal petto di un uomo. Il corpo senza vita che cadeva a terra come un sacco ai suoi piedi. Le mani grondanti di sangue, il sapore metallico in bocca mentre lo divorava pezzo dopo pezzo. Il desiderio insaziabile di volerne ancora. Nell'oscurità, come unico spettatore di quello scempio, il sorriso compiaciuto di Hannibal che ammirava la sua iniziazione. Rabbrividì, dondolando sui propri passi instabili, portandosi l'imboccatura della bottiglia di vino alla bocca. Se l'era guadagnata. Altre scie scarlatte scesero dall'angolo delle sue labbra fino a perdersi sotto all'ombra del mento.

Il medico abbassò lo sguardo sul suo viso, su quelle labbra socchiuse impegnate ad abbeverarsi, ed un brivido gli corse lungo la schiena facendolo inspirare profondamente. Nonostante apparisse sempre freddo e analitico nel suo modo di pensare, la propria immaginazione lo coglieva spesso alla sprovvista, elaborando senza tregua scene su scene che in questo caso riguardavano una piacevole situazione a due.

Improvvisamente, il profiler strinse con una mano la stoffa della camicia dello psichiatra e gli si accasciò con la testa contro il petto, strusciandosi con frustrazione.

«Sono un mostro, dottor Lecter?» L'ilarità sembrava averlo abbandonato, dando spazio al turbamento e al senso di colpa.

Hannibal lo afferrò prontamente facendo passare un braccio attorno alla sua vita, diventando il suo unico sostegno.

«Guardami, Will. Guardami in viso», ordinò il medico aspettando che l’altro ubbidisse prima di continuare. «La concezione di mostro è un'idea estremamente labile, dettata dall'ignoranza dell'uomo di fronte alle cose che vanno al di là della sua ristretta e superficiale comprensione.» Una mano si levò in aria, e le dita andarono a scostare due ciuffi dalla fronte del più giovane, per poi scendere ed andare ad asciugare col pollice una goccia di vino. «Non lo sei e non lo sarai mai, non ai miei occhi, almeno», affermò quasi in un sussurro.

Will annegò nell'oro degli occhi di Hannibal quando sollevò il viso. Le parole dello psichiatra erano come carezze che alleviavano le proprie ferite aperte, un disinfettante per la sua anima infettata dai demoni. Al contempo, Lecter riusciva a fargli distorcere la percezione di se stesso, collocandolo nelle condizioni che più divertivano il medico, come un burattinaio muove i fili di una marionetta. L'agente Graham diventava così l'uomo che allungava una mano per aiutare, ma che con l'altra trafiggeva, risplendendo di una brutalità che non gli apparteneva e che tentava in tutti i modi di reprimere.

Come poteva essere, tutto questo, giusto?

«Fare del male, credo sia una concezione per lo più comprensibile a molti. È di questo che ho paura. Poter fare, anzi, desiderare di fare del male a qualcuno.»

Si guardarono negli occhi solo per un breve attimo, quella frazione di secondo che bastò ad Hannibal per decidere che aveva aspettato fin troppo. Ignorò completamente le sue parole ed abbassò la bocca, andando a baciare il suo mento lì dove la scia di vino aveva lasciato le sue tracce, ma non era abbastanza, non per lui. Seguì la linea della mandibola ricoprendola di piccoli e umidi baci, incurante della barba che gli pizzicava le labbra.

Le palpebre di Will si chiusero istintivamente. Era reale? Magari stava sognando mentre camminava nel sonno chissà dove nel cuore della notte. Eppure l'odore di Lecter era così forte da sovrastare perfino quello del vino, non poteva essere solo frutto della propria immaginazione. Per un brevissimo istante sperò con tutto se stesso che stesse accadendo per davvero. L'istante dopo, fu atterrito da un desiderio simile.

Se non fosse stato per l’enorme autocontrollo, Hannibal avrebbe sbattuto Will senza alcun problema contro il muro dietro di lui. Non che fosse un'opzione del tutto preclusa, ovviamente.

Il cannibale si avvicinò al suo orecchio sinistro e la propria voce uscì come il suono delle corde di un basso.

«C'ero anch'io lì con te, Will?»

La bottiglia di vino cadde, andando in frantumi sul pavimento.

Lo schianto fece spalancare gli occhi dell’agente dell’FBI che guardò con espressione muta le scaglie di vetro tra quel mare di vino rosso che si dipanava sul pavimento.

«Sì», sussurrò con voce strozzata. «Eri fiero di me, come un padre che applaude la vittoria di un figlio. Nei miei sogni tu mi plasmi e mi modelli, come uno scultore. Io sono la tua creazione.»

Restarono a fissarsi per qualche attimo in un muto silenzio, finché Will si divincolò dalla presa del dottore e se ne distaccò, calpestando con noncuranza i frammenti della bottiglia nel raggiungere con passo barcollante il centro della stanza.

«La mia insanità mentale ti eccita, Lecter?!», urlò in uno scatto d'isteria mentre si voltava verso lo psichiatra. «Inizio a dubitare chi sia realmente il mostro tra noi due.» Portò entrambe le mani a nascondersi il viso avvertendo le lacrime pizzicargli gli occhi.

Lo psichiatra non rispose. Con le braccia abbandonate lungo i fianchi, rimase immobile, osservando Will e la sua rabbia furiosa. Stava implodendo, e questo non era ciò che Hannibal voleva. L'aveva portato sull'orlo della pazzia, prendendosi tutto il tempo del mondo per portare in superficie e far riversare nel mondo reale quell'immaginazione oscura che per anni Will aveva tentato di relegare nel piccolo spazio della sua mente. C'era così tanto potenziale in lui, perché sprecarlo? Perché privarsene?

Un piccolo ghigno gli si formò ad un angolo della bocca.

Portarlo sull'orlo del baratro lo eccitava?

Ed eccome.

La loro partita, il loro gioco, era qualcosa di cui Hannibal non poteva farne a meno. Graham era una droga, ne era ossessionato. L'eccitazione che provava in quel gioco a due, gli riservava lo stesso carico di adrenalina che provava quando toglieva una vita, o forse anche di più. Will era l'afrodisiaco più forte fra tutti.

Gli si avvicinò in pochi passi e l'attirò a sé in un unico gesto. Appoggiò la guancia contro il suo capo come a volerlo confortare, come a fargli capire che per lui c'era e ci sarebbe sempre stato.

«Un giorno capirai tutto.» Ci sarebbe voluto del tempo, probabilmente anni, ma un giorno avrebbe capito chi era, cosa lui stesso era, e lo avrebbe accettato. «Calmati», gli intimò con voce bassa e ferma, aggiungendo una piccola nota di conforto.

La mano andò ad accarezzare i suoi ricci capelli, mentre il braccio si trovava stretto attorno alla sua vita. Del perché avesse sentito il bisogno di saltargli addosso un attimo prima, e quello di consolarlo un attimo dopo, non lo sapeva. Questo gli faceva il profiler. Lo sorprendeva, sempre, in mille modi. Will era convinto di essere manipolato da Hannibal, ma non lo era affatto, o almeno non tanto quanto credeva lui. La manipolazione era qualcosa che il dottore aveva sempre attuato senza problemi, gli veniva naturale, lo soddisfaceva, ma con Will era diverso. Con Will era tutto diverso.

Le lacrime iniziarono a solcare le guance di Will; non riusciva a fermarle. Gli bagnarono i palmi delle mani e caddero sulle sue labbra cosicché poté avvertirne il sapore salato. Restò completamente inerme tra le braccia di Hannibal, come lo è la preda nelle mani del cacciatore. Era così che si sentiva alle volte durante le loro sedute, quando evitava perfino l’idea di sedersi su quella poltrona per non sentirsi una facile preda ammaliata dalle persuasioni dello psichiatra.

Con un lamento, si distaccò ferocemente da lui e gli diede le spalle, iniziando a camminare sbadatamente per lo studio. La collera che lo assalì gli donò un maggior rossore sul viso.

«Calmarmi?! Un giorno capirò COSA, Hannibal?!», sbraitò gesticolando con le braccia, andando poi a levar via col dorso della mano quelle scie umide dalle guance. «No, no, no! Non posso calmarmi! I-io... Come posso essere calmo se non so nemmeno se quello che vedo è reale oppure me lo sto solo immaginando? Alle volte non so più nemmeno chi sono. Se sono quello che io credo di essere, o quello che tu credi che io sia.» La propria risata isterica riempì il silenzio della stanza.

«Capirò di essere solo un povero folle dalle manie omicide represse quando mi ritroverò rinchiuso in un manicomio criminale, dottor Lecter? Magari mi verrai a trovare e mi rifilerai che gli atti da me compiuti sono semplicemente incomprensibili per la superficialità dell’uomo. Cristo, Hannibal, PARLAMI! Che cosa aspetti che io faccia per soddisfare la tua perversa curiosità?!»

L’immagine del cervo si materializzò all’istante dietro le spalle dello psichiatra. Will avvertì nuovamente la realtà distorcersi, finché le gambe non gli cedettero, così come le pupille gli si capovolsero all’indietro. Svenne.

I pronti riflessi di Hannibal, gli permisero di afferrare l’amico un secondo prima che sbattesse di testa a terra. L'osservò, con tranquillità, ripetendo più volte il suo nome per accertarsi che fosse svenuto realmente. Non vi erano dubbi, e la cosa lo soddisfò. Un veloce controllo al polso e senza alcun sforzo lo sollevò da terra, tenendolo ben stretto tra le proprie braccia.

Nel giro di mezzo secondo valutò dove farlo stendere. Tre erano le opzioni che si profilarono nella sua mente: lettino dello studio, letto degli ospiti, letto in camera propria. Ognuno aveva i suoi pro e i suoi contro, ma la decisione ricadde inevitabilmente sul letto matrimoniale degli ospiti. Pro: farmaci a portata di mano, ambiente familiare a Will – vi aveva già dormito precedentemente–, maggiore comodità e tranquillità (considerato ciò che gli avrebbe iniettato nel sangue da lì a poco).

Il tragitto fu breve. Dopo averlo fatto stendere sul letto e avergli dato una dose con un mix di tranquillante e neutralizzante (illegale) degli effetti dell'alcool, si sedette a propria volta dall'altra parte del letto, accanto a lui, con una gamba allungata e l'altra piegata verso il petto. Restò a fissarlo per qualche minuto, in rigoroso silenzio, notando il suo respiro farsi sempre più regolare.

Ripensando alle sue parole, Hannibal si chiese perché gli desse così tanta soddisfazione vedere Will in quello stato. Certo, lo divertiva e incuriosiva, ma c'era anche un terzo motivo che non riusciva del tutto a focalizzare nonostante avesse sempre il controllo totale sulle proprie emozioni e pensieri.

Afferrò la sua mano sinistra, sfiorando i polpastrelli con i propri, risalendo lungo le dita fino al palmo dove iniziò a formare dei piccoli cerchi concentrici con il pollice. Mentre si divertiva ad osservare le varie linee della mano, scrutando attentamente quella della vita e dell'amore, la risposta prese pian piano forma nella sua mente. Avere effetto su lui, lo soddisfaceva. Vederlo in preda a mille domande e tormenti a causa propria, vedere come le sue parole riuscissero a scuoterlo... Non era come con gli altri pazienti, tutti banali dal primo all'ultimo. Con Will poteva parlare e chiacchierare come non aveva mai fatto con nessuno. E non era solo la sua incredibile empatia a tararsi sul modo di parlare o porsi di Hannibal. Lui aveva qualcosa che gli altri non avevano.

La mano risalì lungo il suo braccio, anticipata dal pollice che seguiva con precisione le vene in rilievo. Continuò finché non incontrò la barriera della manica della camicia arrotolata fino al gomito, e lì si fermò.

Quando pensava a tutti quegli psichiatri che vedevano il profiler come un ineguagliabile oggetto di studio, capiva quanto la mediocrità fosse una caratteristica fin troppo comune nella loro categoria. Will non doveva essere una cavia da laboratorio, un caso da mettere in bella mostra. Aveva solo bisogno di essere capito, accettato, spronato a far emergere la sua vera natura.

Sì chinò su di lui. Quasi poteva contare le ciglia aperte a ventaglio sulle sue palpebre e il caldo respiro ancora pieno di alcool che traspirava dalle labbra socchiuse. Poteva sentire, oltre all'odore di vino e di birra, quello dei suoi amati cani, quello del fastidioso dopobarba che si ostinava ad usare, combinato all'odore virile tipico della sua pelle. Di quello sì che avrebbe fatto difficilmente a meno.

Lecter era l'unico che potesse realmente capirlo, l'unico che lo avrebbe mai potuto accettare. L'unico che potesse vedere sotto mille maschere diverse la sua vera anima.

Le proprie labbra sfiorarono le sue per un breve momento. Calde, come aveva immaginato, morbide, come erano sempre sembrate. Il proprio respiro si mescolò con il suo solo per un breve attimo, e la mano che era scesa sul collo con l'irrefrenabile voglia di serrarsi in una stretta omicida, restò immobile. Will era l'unica minaccia nella propria vita che avrebbe mai potuto considerare tale. Non era un complimento da poco.

Will stava cadendo, e ciò che era peggio, non poteva salvarsi. L’oscurità lo inghiottì nell’oblio, finché non avvertì la gravità strizzargli i polmoni, togliendogli il respiro. Stava precipitando nell’abisso infernale di se stesso. Più a fondo andava, più si sgretolava, perdendo pezzi di sé, compresa la propria umanità. L’immagine del Windigo era con lui; si presentava come una sorta di demoniaco spirito guida che lo accompagnava nella caduta verso le tenebre. Era quasi rassicurante sapere di non essere solo all’inferno, così come nella realtà sapeva di non esserlo quando aveva al proprio fianco Hannibal. Aver fatto la conoscenza del dottore l’aveva indubbiamente cambiato. Con lui aveva trovato una seconda casa nella quale poter rifugiarsi dal mondo esterno, dove liberare i propri mostri sapendo di essere compreso e accettato, ma allo stesso tempo manipolato. Per lo psichiatra il bene ed il male non erano paragonati a concetti assolutistici. Non c’erano confini, né limitazioni. Nessuno aveva il diritto di stabilire delle regole. Così Will sapeva di dover dar vita alla parte di sé che temeva, doveva completarsi ed evolversi perché lo desiderava Lecter, che aspettava con trepidante attesa il compimento, come un credente attende il sorgere del Dio.

Perché?

Perché doveva farlo?

Perché Hannibal lo desiderava?

Perché una parte di lui avrebbe voluto accontentarlo, curioso di sapere cosa il nuovo se stesso sarebbe riuscito a fare, curioso di sapere cosa avrebbe provato?

Eppure, quell’incubo che si era vigliaccamente impossessato della propria mente, l’aveva sconvolto tanto da volersi ubriacare. Guardare negli occhi colui al quale stava togliendo la vita, l’aveva fatto sì, sentire invincibile, ma al contempo miserabile e sporco. No, uccidere non gli piaceva. No, questo non era il vero Will Graham.

Nella caduta riuscì a toccare il fondo rosso scarlatto, ed immediatamente i suoi occhi si affacciarono alla realtà. Vide per primo il viso di Lecter vicino al proprio, il suo alito caldo che gli solleticava le labbra come in procinto di un bacio. Vide il luogo dove si trovava, riconoscendolo come la camera degli ospiti dove aveva precedentemente dormito colto da una febbre improvvisa.

Come ci era arrivato, lì? L’aveva portato il medico?

Per ultimo, avvertì la mano di lui intorno al proprio collo, immobile e leggera, come se stesse ancora decidendo il suo scopo. Avrebbe potuto ucciderlo, pensò. Lui, così inerme, non avrebbe opposto resistenza. Sarebbe stato facile, forse addirittura un sollievo per la propria anima se l’avesse ucciso. Si domandò, inoltre, se quello fosse un reale pensiero di Hannibal che si rifletteva in sé grazie alle proprie capacità empatiche, o magari era solo disgraziatamente bravo a pensare come un assassino. O forse, più semplicemente, entrambe le cose.

«H-Hannibal... C-cosa è successo? Sono svenuto?», domandò con voce strozzata, facendo fatica addirittura a tenere le palpebre aperte.

Si sentiva debole, terribilmente debole, ma al contempo rilassato. Probabilmente il medico non si era fatto sfuggire l’occasione di rifilargli qualche farmaco.

Tossì, alzando lentamente un braccio, e la mano andò a posarsi su quello dello psichiatra che ancora teneva la presa sul proprio collo. Risalì per tutta la lunghezza sfiorando con i polpastrelli il tessuto leggero della camicia, finché non abbandonò la mano sulla spalla, quasi all’attaccatura dei capelli chiari. I loro visi erano talmente vicini che bastava così poco per...

«Che cosa ti ferma dal farlo, qualsiasi cosa tu stia pensando?», sussurrò. Gli occhi indugiarono sulle sue labbra, per poi rispecchiarsi in quelli ambrati dell’altro. «Sono il tuo agnello, la tua tentazione, Hannibal?»

«Sei molto di più, Will.»

Un brivido corse lungo la schiena del cannibale, rendendosi immediatamente conto di star per perdere il controllo. Seppur riuscisse perfino a provocarlo in uno stato di torpore indotto dal dottore stesso, Will non stava giocando con lui, Hannibal ne era convinto. Poteva cambiare idea come il vento, passare da uno stato d'umore ad un altro nel giro di cinque minuti, alzare un muro alto centinaia di metri tra lui e chiunque, ma se c'era una cosa che non era in grado di fare, era mentire. Non con lui almeno, o comunque, non fino in fondo. La facciata che mostrava al resto del mondo era ben diversa da quella che il dottore era riuscito faticosamente a vedere scavando con dedita perizia dentro il profiler.

Ora Lecter doveva solo capire dove e in che modo incanalare la propria forza distruttiva.

Le dita della mano strette lievemente attorno al collo di Graham presero a salire lentamente, come a memorizzare ogni centimetro di pelle che si lasciavano dietro. Il pollice accarezzò quelle morbide labbra, mentre le altre dita si dedicarono alla guancia ponendovi delle lievi carezze. Se solo Will avesse avuto uno specchio davanti a sé, si sarebbe reso conto del perché le pupille di Hannibal si fossero dilatate. Coglieva in lui così tanta bellezza... E non solo fisica. La sua mente, lo attirava più del suo corpo stesso, e l'attrazione verso di lui non era che una conseguenza scaturita dalla connessione che si era instaurata con i suoi pensieri, con il suo modo di pensare, di essere. Ed era reciproca. Hannibal lo sapeva perfettamente.

«Sei una tentazione così grande...», sussurrò appena il medico guardando Will dritto negli occhi, come a voler marchiare a fuoco nella sua testa ogni singola parola. La bocca si abbassò sul suo collo, sostituendo quella stessa mano che scese come un serpente verso la sua vita e si addentrò sotto la camicia aprendosi sul fianco. Lo accarezzò, mentre le labbra centellinavano dei piccoli baci posti lungo la linea pulsante del suo collo. Oh, il profumo della sua pelle... Lo inspirò a pieni polmoni, beandosene. Non era ancora salito a cavalcioni su di lui, né aveva aderito al suo corpo, nonostante desiderasse ardentemente farlo. Non era timore il suo, e tanto meno paura. Aveva solo bisogno che Will si sintonizzasse sulla sua frequenza d'onda, che capisse che ogni singolo bacio che Hannibal gli stava dando, anche il più lieve, non era scaturito dal semplice bisogno carnale. Procurandogli il più piccolo brivido, o portandolo verso l'eccitazione più grande, Lecter gli stava donando infinitesimali parti di sé.

Tentazione. Tutto sembrava girare intorno a questa parola. L’essere umano è, di per sé, un individuo che passa la maggior parte del tempo temendo ciò che desidera, barricandosi in doveri prestabiliti dalle convinzioni sociali per paura di essere giudicato. Will lottava continuamente con la tentazione di cedere ai propri istinti più oscuri, come quello di concedersi totalmente al dottore. Il lasciare che si insinuasse nella propria mente facendolo entrare in tutte le stanze del proprio palazzo mentale affinché lo riordinasse e lo ricomponesse nel modo che lo psichiatra riteneva più appropriato, curioso dell’opera d’arte che Hannibal Lecter avrebbe dato vita. Permettergli di insinuarsi fin sottopelle, scoprendo il proprio lato più vulnerabile. Farsi assaggiare così come assaggiarlo a propria volta, come stava accadendo su quel letto, dove ogni tocco delle mani di Hannibal su di sé, era una venerazione.

«C-cosa…?», farfugliò confuso mentre le palpebre si celavano e istintivamente s’inarcava all’intrusione delle mani dello psichiatra sotto la camicia, creando così maggior attrito tra i loro corpi. La mano che teneva adagiata sulla spalla di Lecter, risalì fino a permettere alle dita d'insinuarsi tra i suoi capelli chiari, stringendoli. L’altra, invece, gli accarezzò un fianco, per poi raggiungere la schiena dove rimase aggrappata. Con le labbra gli sfiorava gli alti zigomi, le tempie, la pelle sotto il lobo dell’orecchio, come fossero lievi carezze, lasciando che nella mente si imprimesse il ricordo del suo profumo.

Era strano desiderarlo e temerlo, voler perdere il controllo o tentare di impadronirsene. Non era da scartare l’ipotesi che stesse sognando in quel momento, così come la caduta verso l’inferno gli era sembrata così reale da rassegnarsi ad accettare la resa. Perché non farlo anche in una tale circostanza? Arrendersi ad Hannibal, anche solo per il gusto di vederlo spogliarsi della sua maschera di perfezione.

«Che cosa desideri farmi?», gli sussurrò all’orecchio, quasi ansimante.

Ad Hannibal quasi mancò il respiro. Ogni sua carezza, ogni sussurro, ogni lieve sfioramento, era un piccolo brivido che andava ad aggiungersi ai precedenti, e la velocità del respiro che andava man mano aumentando nel suo petto, gli fece capire che la lucidità l'avrebbe presto abbandonato.

«Tu vedi riflessa in te una statua di argilla pronta a sgretolarsi in qualsiasi momento. Io vedo qualcosa di diverso», sussurrò contraccambiando a quei lievi baci, spostandosi al lato della sua bocca, verso l'orecchio, in ogni singolo punto del suo viso pieno di terminazioni nervose. Ma lo sguardo da predatore fu di nuovo nel suo prima di riprendere la parola, mentre le loro labbra si sfioravano appena come in una danza sinuosa. Voleva che Will imprimesse a fuoco nella propria mente ogni sua singola parola.

«Ai miei occhi sei come il David che fu per Michelangelo. In questo momento sei colui che più si avvicina alla mia idea di perfezione nonostante tu creda di essere l'esatto opposto, e io sono attratto da te come la falena nell'oscurità è attratta dalla luce.» Il proprio corpo scivolò sul suo senza aderirvi completamente, dandogli ancora libertà di movimento, mentre la mano destra si posizionò tra il cuscino e la sua nuca, stringendola, con l'intento, in quel semplice gesto, di dar maggior forza alle proprie parole.

«Desidero nutrirmi di te, Will, affidandomi ai cinque sensi. Desidero imprimere nella mia mente ogni singola vena, linea, e muscolo del tuo corpo. Desidero toccarlo come lo scultore modella la creta tra le proprie mani. Desidero mescolare il tuo odore col mio. Desidero essere l'artefice di ciò che le tue labbra non riusciranno a trattenere e che emaneranno la più magnifica sinfonia da me mai udita. Desidero appropriarmi del gusto della tua essenza, dalla più dolce alla più amara. Desidero avere con te una connessione mentale, amplificando fino al limite della sopportazione quelle emozioni che nascono dal cuore e dalla testa, e che si mescoleranno creando l'opera più sublime. Bramo tutto ciò, Will, con forza e bisogno.»

Il silenzio cadde per qualche attimo. Hannibal voleva permettergli di elaborare ogni singola parola scelta solo ed esclusivamente per lui. Sapeva di aver fatto un azzardo, sapeva che il profiler avrebbe potuto abbandonarsi a lui come scappare da un momento all'altro. In quel caso, non lo avrebbe fermato, perché in un modo o nell'altro Will sarebbe sempre tornato.

Mai nessuno aveva osato tanto, mai nessuno aveva sprecato parole così eleganti e cariche di bellezza per descriverlo, pensò Graham. Lui, che a malapena riusciva a vedere il riflesso di se stesso allo specchio, considerandosi un essere difettoso, convinto di trascorrere una vita piatta e monotona, lasciandosi circondare solo da cani randagi, proprio come lo era lui, un randagio. Eppure Hannibal lo raffigurava come la più celestiale delle creature, come se fosse una delle tante divinità greche di cui più volte aveva sentito parlarne attraverso le labbra poetiche dello psichiatra. Ma cos’era invece per lui, Lecter? Poteva ancora considerarlo come quello che più si avvicinava alla figura di un amico fidato per il modo in cui lo capiva? Sapeva solo che l’altro era il rifugio sicuro che ormai si stava sgretolando, perdendo pezzi come trasportati via da una tempesta. Ma si appartenevano, tra il bene e il male che si facevano l’un l’altro. Non si può uscirne da storie così.

Will accolse su di sé il corpo di Hannibal, e le mani si mossero istintivamente andandosi a posare sulla sua robusta schiena come in un abbraccio. Eccitato, forse era il termine che più descriveva meglio come si sentiva mentre gli occhi erano incatenati in quelli di lui ambrati, lasciandosi penetrare da quelle parole che mai in vita sua aveva immaginato di poter ricevere da qualcuno. A parte le dita, che creavano percorsi immaginari sul tessuto costoso della camicia dello psichiatra, Will non mosse un muscolo e nemmeno respirò.

«Ho risposto alla tua domanda?», domandò con voce bassa il medico in un sussurro intimo, pieno di potenza, capace di arrivare e scuotere fin nei recessi più profondi dell'anima.

A Will ci volle qualche istante per connettersi alla realtà. Poi, bastò ben poco per sporgere il viso in avanti e baciare degnamente le labbra di Hannibal con una sicurezza e un desiderio che gli erano totalmente estranei.

«Sì», rispose infine in un sussurro, labbra contro labbra, con occhi chiusi, mentre si lasciava ricadere sul cuscino. Le forze lo stavano abbandonando del tutto, e perfino le mani caddero dalle sue spalle per sprofondare sul materasso. Si stava addormentando.

Lo sguardo di Hannibal si assottigliò, e non poté fare a meno di pensare quanto fosse inopportuna l'improvvisa sonnolenza di Will. Quasi se la prese con se stesso per avergli dato dei tranquillanti. Voleva ancora sentire il gusto di quelle labbra sulle proprie, la sua lingua calda insinuarsi nella propria bocca e viceversa. Troppo breve, era stato tutto troppo breve.

«Resta... Non andartene», farfugliò infine Will nel dormiveglia prima di assopirsi del tutto.

Ben conscio dell'effetto dei tranquillanti che gli aveva somministrato, Hannibal sospirò profondamente, ma prima di decidere di scostarsi e di rimettersi in piedi, accarezzò con il pollice il labbro inferiore del profiler, reprimendo l'idea di chinarsi e di baciarlo ancora una volta. Si chiese quanto l'indomani avrebbe ricordato di quei momenti, se le proprie parole sarebbero semplicemente andate perdute come foglie ormai secche nel vento autunnale o meno.

Velocemente scostò i bottoni delle maniche della camicia dalle piccole asole, e arrotolò la stoffa fino al gomito, giusto per perdere un po' di tempo mentre lo sguardo era fisso sul viso di Will. Aveva la brutta (o la bella, a seconda dei punti di vista) sensazione che quell'uomo sarebbe stato l'unico in grado di distruggerlo. Will poteva essere l'incarnazione della sua nemesi, come quella della sua anima gemella.

Sorrise.

   
 
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