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Autore: nikita82roma    10/08/2016    3 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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La festa doveva essere divertente. Si stavano divertendo tutti tranne Rick, che continuava a sorridere forzatamente a tutti senza che nessuno se ne accorgesse, bevendo più drink di quanti avrebbe dovuto e se ne rese conto, per questo preso l’ennesimo Martini portato da uno zelante cameriere, appena lo portò alle labbra lo appoggiò su un tavolo disgustato: ci mangiò qualche tartina sopra. Vide Andrew dall’altra parte della veranda e lo raggiunse ad ampie falcate. 
- Sono le quasi le 20:00 - Gli disse allontanandolo dalle persone che stava intrattenendo.
- Sì, lo so, funziona il mio orologio. - Rispose scherzosamente il ragazzo.
- Io me ne vado.
- Che stai dicendo Rick? - Rise il suo agente
- Sono qui da quasi 2 ore. È tanto. - Disse serio e Andrew capì che non scherzava
- Torni in camera?
- No a New York. I miei bagagli portali domani tu. - Gli mise in mano una copia della chiave magnetica della sua camera.
- Rick ma sei impazzito?
- Impazzisco se non torno a casa.

Tornò velocemente in camera solo per prendere le chiavi di casa. Non prese altro, nemmeno il computer. Scese nella hall e si fece chiamare una macchina dal concierge, chiedendo di mettere tutto sul conto della sua stanza. Aveva con se solo il portafogli, il cellulare e le chiavi. Tanto bastava. Chiedeva all’autista di andare in aeroporto il più velocemente possibile. Aveva trovato un volo che partiva poco prima delle 22, aveva controllato sullo smartphone. Se l’autista si fosse sbrigato avrebbe fatto in tempo a prenderlo. Arrivò circa 40 minuti dopo, si diresse al banco del check in diede documento e carta di credito chiedendo un posto per quel volo. Ci impiegò poco per i controlli di routine passando per la fast track e non avendo niente con se: arrivò al gate per l’imbarco poco prima che chiudesse. Salì trafelato. La hostess gli indicò il suo posto e gli chiese cosa volesse da bere e da mangiare. Si fece portare solo dell’acqua e chiese di non essere più disturbato perchè non avrebbe voluto nulla. Mise le cuffie, non per ascoltare la musica o vedere film, ma solo per isolarsi dall’ambiente circostante. Voleva solo che quelle 5 ore e poco più passassero il più velocemente possibile.

Pensava stupidamente che sarebbe arrivato molto prima, non aveva calcolato le tre ore di fuso orario tra Los Angeles e New York ed era già mattina. Uscì dall’aeroporto con altrettanta rapidità di quando si era imbarcato seguendo i cartelli per l’uscita senza nemmeno rendersi conto che non era al JFK ma al La Guardia. Ne fu felice, sarebbe arrivato a casa un po’ prima. 
Erano da poco passate le sette quando respirò di nuovo il profumo familiare del loft. Aprì la porta cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiò le chiavi sul mobile vicino l’ingresso, si tolse la giacca appoggiandola all’attaccapanni e le scarpe lì sotto. Aprì la porta di camera e dovette combattere contro se stesso per non assediarla con la sua irruenza dettata dall’impazienza. Dormiva di fianco, rivolta verso il centro del letto, sopra le lenzuola. Poteva vedere il profilo delle sue gambe per nulla appesantite dalla gravidanza, al contrario del suo ventre che gli sembrava un po’ più pronunciato, si chiese quanto fosse stato lontano, a vederla gli sembrava molto di più dei giorni reali. Dalla maglietta bianca si intravedeva la forma del seno florido mentre abbracciava il suo cuscino. Si sbottonò i polsini ed il collo della camicia mentre la guardava, per poi passare al resto dei bottoni la buttò sulla sedia, poi fece lo stesso con i pantaloni e le calze. Si appoggiò sul letto, cercando di fare quanto più piano potesse e la sentì lamentarsi quando il letto si abbassò sotto il suo peso, ma non si svegliò. Voleva solo stare lì con lei, aspettare che si svegliasse e vedere la sua faccia stupita nel trovarlo lì, molto prima di quando avrebbe dovuto, visto che lo aspettava solo per quella sera.
Ma Castle non aveva resistito al suo ultimo messaggio. “Mi manchi troppo”. Non tanto, troppo. Perchè tanto quantifica la quantità, troppo, invece, il bisogno. Troppo vuol dire che è più di quanto si può sopportare. Quindi non doveva sopportare più del necessario, lui doveva tornare, era già stato lontano troppo per incasinarsi la vita più del dovuto.
Non resistette a toccarle la pelle del braccio teso verso la sua parte di letto e la scoprì fredda, più di quanto dovesse essere. Le lenzuola e le coperte erano sotto il suo corpo e non voleva andarle a cercare altre chissà dove con il rischio di svegliarla comunque, se proprio doveva, l’avrebbe svegliata nel modo che pensava le potesse piacere. La coprì con l’unica cosa che aveva a disposizione, se stesso, avvolgendola nel suo abbraccio sempre molto più caldo di lei. 
Kate mugugnò qualcosa di assolutamente incomprensibile facendolo sorridere, si mosse e lui riconobbe i segnali di lei che si stava svegliando. Non poteva dire di esserne totalmente dispiaciuto e lei non ebbe nemmeno bisogno di aprire gli occhi.
- Castle… cosa ci fai qui? - Gli chiese Kate con la voce impastata dal sonno.
- Avevo voglia di vederti.
Beckett aprì gli occhi e lo vide a poca distanza da lei, faticando anche un po’ a mettere a fuoco il suo volto. Alzò una mano e gli sfiorò il contorno delle labbra e facendolo lui le baciò le dita. Kate non riusciva a smettere di guardarlo, con gli occhi carichi di domande che cercavano una risposta in lui. Fece scendere la mano dal suo volto al petto, lasciandola appoggiata sul suo cuore. Era felice di averlo lì, di poter tornare a comunicare con lui con tutta se stessa, con i suoi gesti e i suoi sguardi, di andare oltre le parole che non esprimevano quello che realmente provava.
- Che c’è Kate?
- Sono contenta che sei qui. Sei sempre arrabbiato?
- Non ci voglio pensare adesso. - La baciò delicatamente sulle labbra
- Ti devo parlare Castle… - Gli disse Kate cerando di tirare fuori le parole tra un bacio e l’altro di Rick.
- Non adesso Kate. Non adesso… - si tuffò di nuovo sulla sua bocca traendo ossigeno direttamente da lei. Un bacio che questa volta aveva il sapore della necessità e dell’urgenza, come se volesse dimostrare qualcosa a lei o molto più probabilmente a se stesso, dimostrare che l’amava, quanto l’amava. Rick sentiva il cuore esplodergli nel petto per come batteva deciso e non era solo passione: c’era ancora una scia di rabbia nei suoi gesti, rabbia per se stesso per quello che aveva fatto, per quello che aveva fatto lei, per tutta la situazione. E c’era la paura, quella paura che sa settimane ormai non l’abbandonava più, che rimaneva lì, strisciante e viscida come una serpe, che sibilava la sua presenza nei momenti più inopportuni. 
Kate fu sopraffatta dalla sua irruenza, ci mise qualche momento per riuscire a rispondere come lui avrebbe voluto alle sue attenzioni, stringendo la sua pelle sotto le mani, riacquistando la memoria tattile del suo corpo. Lo sentì avventarsi sulle sue labbra e poi scendere sul collo, baciarle la base così prepotentemente che le avrebbe sicuramente lasciato il segno e una scarica elettrica le percorse tutta la spina dorsale arrivando fino a dove il desiderio di lui si fece più presente. Non si era resa conto di quanto le fosse mancato anche da quel punto di vista e quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano amati, erano ancora negli Hamptons. Si lasciò sfuggire un gemito mentre la mano di lui si intrufolò sotto la sua maglietta, stuzzicandole i seni sensibili. Aprì gli occhi per guardarlo e vide i suoi che non erano del solito azzurro profondo, ma erano così scuri da sembrare quasi neri. La guardava con le labbra semi aperte ed il respiro pesante, Kate lo trovava così dannatamente eccitante che si alzò per prendersi ancora un bacio dalle sue labbra e lui la accontentò andandole incontro e impossessandosi di nuovo di della sua bocca, esplorandola con insolenza, succhiando e mordendo le sue labbra, stringendo le mani sul suo corpo con più vigore tanto che lei ne fu sorpresa e sobbalzò alla sua stretta possessiva. 
Possessivo, ecco come lo sentiva Kate. Castle reclamava il suo corpo, la sua bocca, tutto di lei, la voleva per se, ne rivendicava il possesso in un modo che quasi la spaventò se non fosse che lei voleva esattamente la stessa cosa. Così anche le sue mani si fecero più audaci, cercando il confine dei suoi boxer per poi oltrepassarlo strappandogli un grugnito quando la sua mano raggiunsero la meta che si era prefissata. Rick fece lo stesso con lei che inarcò la schiena e reclinò all’indietro la testa al suo tocco impertinente e rapido.
- Castle… - riuscì a malapena a mugugnare Kate abbandonata ai suoi sensi riportando la mano fuori dai suoi boxer facendola scivolare sul petto per poi andare dietro la schiena e facendo pressione per avvicinarlo, invitandolo a se. 
Rick sorrise sfilò la mano dai suoi slip e si portò sopra di lei stando bene attento a non pesarle con il suo corpo. La osservava vogliosa e languida e la eccitava ancora di più. Cercò di contenersi: rilassò la sua mandibola contratta, cercando di respirare più profondamente e la guardò con occhi diversi, le percorse il profilo del volto con le dita, indugiando sulla sua bocca, e lei le avvolse con le sue labbra avide di lui e bastò questo per fargli perdere di nuovo ogni barlume di razionalità, scendendo con gesti rapidi a sollevarle la maglietta che sfilò senza troppa grazia da lei per poi tuffarsi sul suo petto lasciando scie umide sui suoi seni. 
- Castle… ti prego… - le sorrise soddisfatto. Era felice di vedere che lo voleva, sentirsi desiderato lo faceva sentire bene. La voleva anche lui, ma gli piaceva di più vederla fremere per lui, gli dava quel senso di potere su di lei che aveva bisogno di sapere di avere, che era lui che bramava e non altri. Ed ogni suo tocco, ogni suo gesto, ogni bacio reclamavano questo. Lei voleva lui, ma lei era sua.
Rick alzò lo sguardo oltre la testiera del letto mentre Kate percorreva il suo torace fino a stringere i suoi glutei tonici passando di nuovo le mani all’interno dei boxer: era la prima volta nella loro camera nel loro letto. Questo gli creò un fitta al petto e si sentì come bruciare, scottato da quel pensiero. Provò a distogliere lo sguardo da lì, a rientrare in quel mondo di sensi dove c’erano solo lui e lei, scosse la testa, come se volesse far uscire quell’inquietudine dalla sua mente. 
Il suo sguardo, però, cadde sul comodino di Kate e quello che vide lo fece immediatamente irrigidire. Si alzò di scatto scostando le sua mani, mettendosi in piedi a lato al letto. Si passò una mano tra i capelli sudati di quel desiderio ed eccitazione che erano come defluiti via dal suo corpo, quasi avesse ricevuto una secchiata d’acqua ghiacciata in  pieno petto. Prese il suo manoscritto in mano. Lo sfogliò per accertarsi che fosse proprio quello. Poi guardò Kate che era rimasta sdraiata incredula di quanto stesse accadendo. 
- Perché è qui? - La sua mandibola era di nuovo contratta. Gli occhi brillavano ma non più di desiderio.
- Rick io… - Kate tentò di giustificarsi.
- Perchè lo hai preso? - Le parve di sentire nella sua voce quasi tracce di pianto trattenuto, ma non credeva fosse possibile, non capiva quella reazione
- Ero solo curiosa.
- Beh non dovevi esserlo! - Sembrava un bambino capriccioso a cui avevano tolto un giocattolo. Kate si sollevò, cercò la sua maglia tra le lenzuola rivestendosi velocemente, le sembrava tutto impossibile che stesse accadendo. Lo guardava allibita scuotendo impercettibilmente la testa, ma non le andava di farsi trattare come se avesse fatto chissà quale reato.
- Allora Castle avvisa i tuoi collaboratori che quando non ci sei non devono portare a me cose che non vuoi farmi leggere non so perché.
- Non dovevi leggerlo ora! - Ed ora non era più una sensazione, lui stava veramente piangendo, vide due lacrime rigargli le guance, un pianto nervoso, lo vedeva da come stringeva quei fogli.
- Mi dispiace Castle… È molto bello…
- Almeno quello… Ma non lo dovevi leggere ora… - Buttò a terra il suo manoscritto e di voltò di spalle.
- Castle? Rick? Per favore… - Si allungò prendendo la sua mano e tirandolo un po’
- Doveva essere una sorpresa. Avevo fatto di tutto per farlo rimanere una sorpresa… per te. - Kate chiuse gli occhi e respirò profondamente. Aveva fatto tutta quella scena perché la sua idea di farle una sorpresa era stata rovinata. Scosse la testa, al pensiero che quell’uomo avesse quelle uscite così infantili.
- Mi dispiace per la sorpresa Castle, ma non è necessario che reagisci così, mentre noi…
- Beh, forse è stato meglio così… - La sua risposta acida la colpì profondamente. Lasciò la sua mano come se avesse voluto lanciarla via e si alzò dal letto andando verso il bagno.
- Kate… non volevo dire quello.
- Beh, lo hai detto Castle. - Si chiuse la porta del bagno alle spalle lasciandolo lì in piedi con il suo libro buttato per terra. Lo raccolse, appoggiandolo di nuovo sul comodino. Aveva avuto una reazione assurda, lo sapeva. I suoi pensieri si erano scontrati entrando in cortocircuito, facendolo comportare come un idiota.
- Kate! Kate! - Bussò alla porta del bagno ma non ottenne risposta. La chiamò ancora, scusandosi, fino a quando lei non gli rispose.
- Lasciami stare Castle, voglio solo farmi una doccia.
Ma Rick non aveva nessuna voglia di lasciarla stare, se ne fregò di ogni forma di gentilezza e di rispetto della privacy, entrò e lei si accorse di lui quando già era sotto il getto d’acqua calda ed i vetri si stavano cominciando ad appannare. 
- Castle, per favore.
- No… Ho esagerato, scusa… - Aprì la porta della doccia e vide Kate che istintivamente si coprì con le mani, spostandosi verso il muro nell’angolo più lontano dalla entrata. Lui molto lentamente si spogliò di quel poco che aveva ancora addosso ed entrò, richiudendo le porte alle sue spalle, lasciando che i vetri si appannassero ancora. - Scusa… - le ripeté bagnandosi sotto il getto mentre si avvicinava a lei che lo guardava truce. 
Quando le fu davanti aprì semplicemente le sue braccia e la guardò con l’espressione di un bambino che si rendeva conto di aver combinato un guaio. Kate roteò i suoi verso l’alto, esasperata da quel comportamento così altalenante, ma quello che provava per lui era più forte della sua voglia di mantenere il punto e quando lui posò le mani sulle sue spalle, facendola avvicinare a se, non oppose nessuna resistenza, appoggiando la testa sul suo petto e stringendo le braccia dietro la sua schiena. Lui le alzò il viso, per baciarla questa volta con estrema dolcezza mentre gocce rapide percorrevano i loro corpi e fu addosso a quelle piastrelle bagnate, avvolti dal vapore caldo che completarono quello che avevano interrotto prima, lasciando che il rumore dello scroscio dell’acqua coprisse i loro gemiti.

Castle l’avvolse nell’accappatoio, gli piaceva prendersi cura di lei anche in queste cose, massaggiarle i capelli con la spugna per tamponarli, stringerla così da asciugarsi con lo stesso indumento.
Kate sorrideva ed era felice, totalmente felice. Quel momento di tensione lo aveva già dimenticato, o meglio era stato lui a farglielo dimenticare, facendola rilassare ed appagandola in modi in cui solo lui riusciva, credendo che si fosse trattato solo dello sfogo per quanto accaduto in quei giorni, perché lui era ancora arrabbiato per quanto gli aveva detto di Eric. Ora lei aveva quel sorriso che aveva sempre riservato solo a lui, un sorriso tenero e brillante e lo trovava estremamente buffo mentre le strofinava velocemente l’asciugamano sui capelli, mentre il suo ciuffo tutto bagnato era appiccicato sulla sua fronte e lei provava a spostarlo. Anche lui sorrideva, ma aveva un sorriso più tirato e stretto, come se quei fantasmi che ogni tanto in quei giorni offuscavano la sua mente non lo lasciassero mai del tutto libero di rilassarsi. Si asciugò anche lui velocemente e poi si spostarono di nuovo in camera. Si vestirono ognuno con una delle tshirt di Castle e risero per questo, visto che ormai lei quando stava a casa si vestiva solo con cose di lui, sia per comodità che perché le piaceva sentirle addosso.
Si sdraiarono di nuovo sul letto, molto più calmi di prima. Kate era distesa sulla schiena, mentre Rick su un fianco e si teneva la testa con una mano: le carezze ora era delicate e gentili, le dita scorrevano sulla pelle disegnando trame immaginarie, componendo parole non dette sui loro corpi. 
- Chi ti chiama Kiddo? - Gli chiese Kate sorridendogli
- Mia madre - Disse imbarazzato.
- È una bella storia. Ho pianto leggendola
- Quelli sono gli ormoni della gravidanza, non è colpa mia! - Lo disse sottolineandolo con una carezza al ventre di Kate che, per farlo tacere, gli schiacciò un cuscino in faccia ridendo. Lui se lo tolse e rimase immobile ad osservarla ridere di gusto.
- Sembri diversa. Sei ancora più bella.
- Forse lo sono.
- Uh Beckett! Abbiamo finalmente abbandonato la falsa modestia dandomi ragione che sei bellissima.
- No, Castle, intendevo diversa.
- Spiegami allora… - La guardò attento, lanciando lontano il cuscino, come se si attendesse da lei una lezione imprescindibile su un qualche argomento vitale. In effetti era così, riguardava lei, era imprenscindibile e vitale per lui.
- Ho capito delle cose… che riguardano me, te… il nostro futuro…
- Sembra interessante - La interruppe meritandosi un’occhiataccia che lo fece immediatamente tacere. Lei gli prese la mano libera e la strinse tra le sue. 
- Voglio stare con te, Castle. Oggi, domani, dopodomani e poi ancora. Tu per me sei importante e non lo sei perché ho bisogno di te ed è questo che ho capito in questi giorni. Io posso vivere senza di te, ma non voglio farlo. 
- Non devi farlo Kate. - Rick si spostò per baciarla ancora dolcemente. Quelle parole di sua moglie gli avevano rischiarato l’anima.
- Quando non c’eri l’ho sentita… - Disse muovendo la mano di lui sul suo ventre e Castle si volto a guardarla regalandole questa volta uno dei suoi ambi sorrisi da bambino che adorava. - … Secondo me sei mancato anche a lei… Ci sente, adesso, se le parliamo…
- Tu le parli? - Chiese sorpreso, non si aspettava questo lato di Beckett
- Le ho parlato tutte le sere. Di me, di te, di noi… Le ho letto la tua favola ieri sera, così la poteva sentire anche lei.
- E ora? La senti? - Chiese ansioso e proprio con la sua voce sentì quell’ormai familiare scoppiettio di bolle di sapone dentro di se che diventava sempre più chiaro e riconoscibile, spostando la mano di Castle nel punto dove quella sensazione era più forte.
Rick si alzò e si adagiò con la testa proprio sul ventre di Kate, alzò la sua maglia per poterla accarezzare, poi chiuse gli occhi come se volesse cercare di carpire ogni più piccola vibrazione e poi cominciò a parlare.
- Ciao piccola, il tuo papà è tornato a casa. Io e la tua mamma siamo sempre più impazienti di conoscerti. Vedrai che andrà tutto bene, saremo una bellissima famiglia, la più bella di tutte e quando la tua mamma avrà ritrovato la memoria sarà tutto perfetto tra noi. - Alzò lo sguardo a cercare quello di Kate ma non vide quello che si aspettava. Lei era pietrificata.

   
 
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