Film > Kingsman: The Secret Service
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Autore: Vacilando    10/08/2016    1 recensioni
La mamma gli ha detto di telefonare quel numero se è nei guai. E allora lo fa.
Eggsy continua a chiamare un morto perché venga a salvarlo.
{ Harry/Eggsy | One shot | 2170 parole | Fix-it | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gary - Eggsy - Unwin, Harry Hart, Merlin, Roxy Morton
Note: Traduzione | Avvertimenti: Violenza
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Note della traduttrice (Hiraeth): credo che questa storia mi abbia spezzato il cuore la prima volta che l’ho letta e, mah, perché non tradurla e far patire anche altri? Haha.
 La versione originale della fanfiction si trova qui: non c’è modo migliore per onorare l’inglesità del film se non dando un’occhiata alla fic in inglese. Ad ogni modo, buona lettura!










The Fire’s Out But Still It Burns
di Vacilando




La prima volta che Eggsy lo fa, è una reazione istintiva.

 Le pallottole piovono da tutte le parti mentre lui, sotto il caldo sole egiziano che gli scotta la nuca esposta, corre in avanti, serpeggiando tra la carneficina e superando con un salto i cadaveri. Il completo lo protegge dal peggio, il tessuto che fa il suo dovere e che deflette le pallottole, ma cazzo se non fa male essere colpiti. Eggsy svolta un angolo e rischia di ruzzolare a terra sulla via polverosa inciampando con la caviglia distorta in uno zaino dimenticato. Quando era stato paracadutato sul luogo, aveva osservato di non aver mai avuto a che fare con niente di simile alle strade dei villaggi rurali. I tendoni sono ridotti in brandelli, i negozietti e i chioschi sono in rovina e non c’è un’anima in vista che non sia vestita di kevlar.

 Lui è a mani vuote, sporco di sangue, pieno di lividi, e la voce di Merlino è l’unica cosa che lo guida attraverso il labirinto d’argilla splendente. Eggsy individua una jeep capovolta e si tuffa, le costole rotte che protestano quando si rannicchia sotto il rifugio temporaneo, mentre continuano ad aleggiare dei ruggiti in lingua straniera e i proiettili si fanno costantemente sentire, tintinnando contro il veicolo. Eggsy ansima e rantola, i suoi occhiali si appannano per via del calore del suo fiatone ed è conscio che la sua tachicardia non indica nulla di buono. Merlino nelle sue orecchie gli urla di resistere, di restare vivo ancora per un po’ mentre schiera i rinforzi. Gli occhi blu analizzano selvaggiamente l’area intorno a sé, alla ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa – con cui armarsi. Il cuore gli batte a mille e lui ha l’impressione che stia per squarciarsi. Altrove, una granata a mano esplode ed Eggsy si aggomitola ulteriormente per evitare il peggio.

 Poi lo vede. Il sottile ciondolo, che fa capolino dal colletto aperto della camicia. Scorge a fatica la medaglia rosa che pende da esso, nota a malapena quello che sta facendo fino a quando le sue dita incrostate di sangue non premono il piccolo bottone sulla montatura.

 «Eggsy, Eggsy, che stai facendo? Sono ancora qui…»

 La voce di Merlino è interrotta a metà frase, ma Eggsy se ne accorge a stento mentre sussurra il numero, sommessamente ma abbastanza forte perché gli occhiali percepiscano l’ordine.

 «Digitare 121997».

 Eggsy trattiene il respiro, il torso circondato dal braccio sinistro offeso, il palmo che pressa contro uno strappo nel completo e il sangue che scorre da una ferita. Riesce a udire distintamente un rumore di passi che gli si avvicina quando si fermano gli spari, ma non gliene importa. Il suo corpo è immobile mentre attende e attende e poi:

 «Il numero da lei chiamato non è più in servizio».

 Il respiro che stava reprimendo sembra abbandonargli il corpo tutto in una volta e lui è vuoto. Eggsy si concede un altro istante per farsi sopraffare dal senso di inconcludenza, perché la consapevolezza opprimente che lui non c’è più coglione non verrà in tuo soccorso lo travolga come catrame. Il rumore di passi si arresta proprio a un soffio dal suo riparo ed Eggsy stringe i denti, raddrizza le spalle e si prepara a fuggire.

 È capace di salvarsi la pelle.




Continua ripetutamente a farlo e la cosa fa impazzire Merlino quando Eggsy si blocca nel bel mezzo di una missione fallita nell’esatto momento in cui l’uomo gli assicura che stanno per arrivare i rinforzi. Eggsy ne è al corrente. Lo capisce.

 Lo capisce dal modo con cui la mascella di Merlino si irrigidisce e gli spunta una vena sulla tempia, proprio sopra l’orecchio sinistro. Lo capisce dal modo con cui l’espressione di Merlino è un po’ sospettosa. Lo capisce – dopo una missione ad Amsterdam andata a finire particolarmente male in cui aveva rischiato di bruciare a morte o perire per l’eccessiva inalazione di fumo, uno dei due – quando Merlino gli afferra la testa per impedirgli di affondare il viso nel cuscino d’ospedale, per costringere Eggsy a guardarlo negli occhi e per sbottare: «Che stai facendo, Eggsy?» Le iridi scure trafiggono Eggsy e lui lo trova ingiusto, dato che è praticamente legato a letto. «Dimmi la verità o giuro su tutto ciò che è santo che ti lascerò in panchina fino a quando non svilupperai un istinto di autoconservazione o ti trovi un cervello e mi racconti cosa diavolo ti sta succedendo».

 Eggsy sbuffa, sa bene che la Kingsman non può permettersi di lasciare nessuno in panchina date le conseguenze provocate dal V-Day. Per cui scrolla le spalle, si lamenta delle terribili maniere con cui è stato trattato come paziente e finge che Merlino non sembri ferito dalla sua indifferenza.




Merlino, però, lo scopre lo stesso.




«Eggsy!» La voce di Roxy è un punto fisso nella mente di Eggsy e lui si fionda verso di essa, spesso dovendo schivare delle colonne che crollano. I detriti cadono dal soffitto ricoperto di spaccature, mentre un’ennesima esplosione distrugge la vecchia chiesa, scuotendo le sue fondamenta e minacciando di inabissarsi nel cimitero acquatico di Venezia.

 «Roxy! Roxy, dove cazzo sei?» tossisce Eggsy, la polvere granulosa nei polmoni. Il suo completo è più che rovinato ed è macchiato e sdrucito, ma gli occhiali sono ancora miracolosamente intatti. Il taglio sulla guancia sanguina, ma non presta ad esso attenzione mentre salta in avanti per evitare un supporto metallico che si schianta al suolo. Un urlo gli fa girare il capo e lo avvisa di Roxy che corre parallelamente a lui, il completo ugualmente danneggiato e sporco di sangue. «La porta! Roxy, raggiungi la fottuta porta!»

 Entrambi gli agenti vanno a sbattere allo stesso tempo contro le doppie porte chiuse, mentre tutt’intorno a loro il mondo collassa letteralmente su se stesso. Affondano interi pezzi del pavimento a mosaico ed Eggsy ascolta l’acqua che schizza mentre le rocce collimano contro essa.

 Ormai la parola “panico” non è nemmeno lontanamente sufficiente per descrivere accuratamente le emozioni che Eggsy prova mentre alza la faccia giusto in tempo per ammirare il vetro colorato alla fine della navata che va in frantumi e precipita in una pioggia di luci e tinte nel sole pomeridiano. «Roxy». Le stringe il braccio. Si volta e lei è appiattita contro le pesanti doppie porte, le labbra strette in una linea ostinata ma gli occhi dietro le lenti che la tradiscono.

 «Porca miseria, giuro che questi cattivi si fanno sempre più melodrammatici». La voce di Merlino echeggia nelle loro orecchie ed Eggsy vede il volto di Roxy emozionarsi prima di assumere un’aria di silenzioso sollievo. «È in arrivo una squadra, il tempo stimato è di due minuti». Lo stomaco di Eggsy si contorce. Non hanno due minuti a disposizione e Roxy lo sa bene quanto lui, le ciglia che fremono e le palpebre serrate, il corpo accasciato ulteriormente contro la porta. «Resistete…»

 Eggsy smette di dargli retta.

 Ormai solleva quasi in automatico la mano destra verso il bordo della montatura, impiastricciandovi del sangue sopra. Il polpastrello preme delicatamente il piccolo bottone e lui è calmo mentre recita le parole familiari.

 «Digitare 121997».

 Eggsy schiaccia la schiena contro le porte tremanti, il mento in su e lo sguardo che vaga pigramente, scrutando gli affreschi deteriorati sul soffitto. Gli angeli e i cherubini e le persone sulle nuvole lo fissano di rimando attraverso le crepe e la vernice scheggiata, sgretolandosi in briciole. Avverte la presenza di Roxy che gli si avvicina, comprimendo il proprio fianco contro il suo. La sente parlare – urlare, a dire il vero – con Merlino con in sottofondo il caos della chiesa che va in rovina.

 «Il numero da lei chiamato non è più in servizio».

 La risata è terribile.

 Striscia dal profondo del cuore di Eggsy passando per la trachea e uscendogli dalla bocca come pezzi di un mosaico rotto. Esplode dalla sua gola sotto forma di minuscoli frammenti scintillanti di vetro che falciano tutto ciò che toccano. Con Roxy accanto, Eggsy non fa a meno di notare la maniera con cui lei sussulta violentemente e rabbrividisce.

 Ma poi le porte scure e pesanti cominciano a separarsi e avvertono delle voci dall’altra parte che gridano frasi rassicuranti su come sia arrivata la cavalleria. Eggsy tronca la linea di comunicazione e la sua espressione è tranquilla mentre guarda Roxy negli occhi.

 Mentre guarda Merlino negli occhi.

 Eggsy scrolla le spalle.




Merlino non gli permette più di andare in missione da solo, non se può fare a meno di qualcuno.




Ma alla Kingsman mancano ancora dei Cavalieri e le missioni congiunte sono adesso un lusso.




Durante il corso dei venti mesi contati in cui Eggsy è stato un Kingsman con un repertorio impressionante di missioni svolte con successo, quelle che hanno come obiettivo l’estrazione di informazioni sono le sue spreferite. La miglior cosa che possa accadere è che il bersaglio sia facile e che a Eggsy basti andare a letto con qualcuno o infiltrarsi direttamente in una base. La peggior cosa che possa capitare, tuttavia, è che lui venga scoperto e picchiato e ridotto in fin di vita perché riveli l’identità di coloro che lo hanno assunto.

 Per coincidenza, si trova proprio nella posizione che più detesta, quella in cui è completamente indifeso. Lo hanno svestito fino ai pantaloni, con il resto degli abiti e dell’equipaggiamento gettato in un angolo di una cella buia, umida e cliché. Eggsy è a faccia e a pancia in giù e ha un occhio gonfio. Del sangue e della saliva gli colano dalla bocca e gli disgusta il fatto che la sua pelle esposta sia a contatto con il pavimento bagnato e viscido.

 La sua testa è violentemente tirata all’indietro e la sua spina dorsale si oppone all’angolo difficile in cui sta venendo piegata. La sua spalla sinistra è dislocata, le sue dita sono deformate e lui può ancora percepire le lacerazioni provocate dalle frustate sulla schiena. Eppure sorride. «Ho già detto che non vi svelerò niente, no?»

 Non è sorpreso dalle percosse e, ad essere onesto, le accoglie volentieri. Lo inchiodano alla realtà e gli impediscono di cedere all’oscurità, dove può sognare di essere qualcun altro. Gli impediscono di soffermarsi sulle fantasie di una vita in cui lui si sveglia le mattine alla vista di capelli marroni striati di grigio e scompigliati e allo spettacolo di un sorriso indulgente, che enfatizza le gambe di gallina intorno a degli occhi color whisky e che aggravano le rughe delle risa intorno a delle labbra sottili.

 Ma ciò che è più importante è che i colpi lo fanno avvicinare al criminale e agli occhiali della Kingsman che ha infilato nella tasca dei jeans. Eggsy scorge a stento il metallo che fa capolino tra le pieghe e si affloscia al suolo. Il malvivente urla, lo scuote con aggressività prima di lanciarlo dall’altra parte della piccola cella. Eggsy si acciambella in una posizione fetale e tiene il conto del numero delle sue espirazioni, la mente lucida nonostante il male lancinante.

 Ha solo una possibilità e la utilizza per fracassare ripetutamente il cranio del delinquente contro il pavimento. Le mani di Eggsy tremano e infilarsi gli occhiali è un’impresa a causa delle otto dita rotte, ma ce la fa. C’è un rumore statico quando apre il canale di comunicazione, ma la cosa non lo infastidisce.

 «Digitare 121997».

 Eggsy si trascina verso l’altro lato della cella, in direzione della porta sprangata, e aspetta di assolvere le consuetudini. Intravede delle ombre in movimento attraverso la sottile fessura sotto la porta e smarrisce se stesso fissandole.

 «Il numero da lei chiamato non è più in servizio».

 Eggsy sospira.

Bip

Bip

 «…Qual è la parola d’ordine?»

 Eggsy inspira bruscamente. Il dolore è accecante, il cuore gli batte come un tamburo, i suoi polmoni si gonfiano e delle macchie iniziano a danzare e a offuscargli la vista. L’interfaccia degli occhiali mostra che lui è connesso, che tutto questo sta succedendo per davvero, che qualcuno ha risposto e che sembra essere… sembra essere…

 «Eggsy», un baritono profondo e intenso pronuncia il suo nome sospirando, «non posso aiutarti senza la parola d’ordine».

 Ed Eggsy pensa che questo sia quanto. Che questa sia la sua fine, che sia così che Gary Eggsy Unwin morirà: picchiato a sangue in una cella in culo al mondo con la voce di un morto nelle orecchie. Adesso fuori dalla cella c’è un trambusto. Esplosioni e spari e grida, ma Eggsy è distratto. Sbatte debolmente la testa contro il muro.

 Apre bocca.

 «Oxford, non brogue».

Bip

Bip

 «Resisti, Eggsy. Resisti».




Quando Eggsy si riscuote dall’oscurità a forza di artigliare, la prima cosa che registra è la morbidezza familiare di un letto d’ospedale della Kingsman. La seconda è il ronzio del monitor cardiaco e degli altri macchinari. Poi segue l’odore dell’antisettico ed Eggsy avverte una vecchia sensazione di lutto che gli si arrampica dalle piante dei piedi fino al petto come tante formiche. Deglutisce e si costringe ad alzare le palpebre.

 Harry Hart è seduto sulla stessa poltrona di pelle marrone che Eggsy aveva requisito dopo l’incidente con il professor Arnold. È vivo e il suo tocco è carezzevole, quasi carezzevole quanto la sua voce che gli dice:

 «Mi hai chiamato?»

   
 
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