Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Natory28    12/08/2016    1 recensioni
La mia storia parla di vita vissuta di una ragazza alla ricerca di se stessa.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

UNA RAGAZZA COME TANTE

 
Vorrei raccontarvi una storia, non so se ci riuscirò, ma vorrei provarci.
E' la vicenda di una ragazza di nome Francesca. Non è una storia tragica e travagliata, come è frequente leggere, ma è semplice, perché la protagonista è una ragazza molto ingenua, senza tante ambizioni, e, come si dice, senza grilli per la testa. Il suo grosso problema è sempre stata la timidezza, essendo molto introversa. Da piccola non era così, giocava allegramente con tutti, era praticamente un maschiaccio: giocava a pallone e con le macchinine invece di giocare con le bambole. Pensate che addirittura, una volta sua nonna le regalò una bambola e la reazione della giovane fu di piangere disperata, forse qui c'era già qualche segno di irrequietezza!
 
La salute della ragazza non è mai stata una certezza, sin dalla nascita le diagnosticarono un difetto congenito alle articolazioni delle spalle. Aveva la sindrome da conflitto sub-acromiale, non è una parolaccia e non è neanche una cosa gravissima ad essere sinceri. La definizione per profani è presto detta: periartrite alle spalle, provocando un notevole dolore anche al gomito, con conseguente limitazione dei movimenti delle braccia. Francesca giocava spesso a calcio e a basket, non stava mai ferma, e così il più delle volte si ritrovava con le spalle infiammate o, peggio ancora, slogate o lussate. Ma chi la teneva ferma una ragazzina che a 12 anni voleva entrare nella squadra di basket?!
 
Nonostante la sua timidezza con lo sport riusciva a tirar fuori un po' di sé con gli altri, forse non se ne rendeva conto ancora, ma era il suo modo per evadere dalla realtà che la stava letteralmente mettendo in una campana di vetro.
La vera svolta fu a 11 anni, quando si innamorò per la prima volta, ma non di un ragazzo o di una ragazza, bensì della PALLAVOLO: uno sport di squadra. Molto diffuso soprattutto tra le ragazze, però come tutti gli sport, o lo ami alla follia o ti lascia completamente indifferente! Per questa ragazza fu un colpo di fulmine, non poteva sapere che, grazie a questo, più avanti negli anni, avrebbe conosciuto l’amore, quello vero con l’A maiuscola.
 
I suoi genitori non erano molto contenti di questa passione: sua madre era continuamente in ansia per le spalle, e, cosa peggiore, con gli impegni della squadra Francesca stava trascurando la scuola, ottenendo non brillanti risultati, quindi fuoco e fiamme in casa! Comunque riuscì a sempre cavarsela anche se per il rotto della cuffia. C’era molta guerra fredda in casa, spesso si litigava, per lo più per la scuola; la ragazza si rifugiava nel suo sport, le compagne di squadra, le amiche, l’aiutavano molto, si sentiva libera solo lì, solo che non se ne rendeva conto. Spesso si rifugiava tra le braccia della nonna per qualche parola di conforto nonché per qualche coccola, praticamente l’aveva cresciuta lei, e, visto che l’adorava (e l’adora ancora molto), quel riparo era sempre un posto molto sicuro. 
 
Le spalle, il cruccio di Francesca, peggioravano la sua timidezza; sua madre aveva fatto di tutto per farla stare meglio, l'aveva portata anche ad un sacco di visite ortopediche. Quando aveva 15 anni, un dottore specialista, che le aveva consigliato un amico, la visitò attentamente e disse, rivolgendosi a sua madre, una frase che non si sarebbe più scordata per tutta la vita, “Signora la ragazza è assolutamente da operare”. Inutile dire che la reazione di Francesca non fu per niente stoica, usciti dall’ambulatorio si mise a piangere disperata, mentre la povera mamma cercava di consolarla. Dopo essersi sfogata, si rassegnò all’idea; pensò alla sua valvola di sfogo, la pallavolo, avrebbe potuto giocare senza dolore e senza paura di farsi male. Questa fu la spinta determinante, sicuramente le parole “Se non ti operi, a 40 anni non riuscirai più a muovere le braccia” dette dal medico non erano di certo rilevanti. Aveva delle priorità tutte sue.
Ad essere sincera non fu semplice (io c'ero). Il primo intervento fu fissato per il 26 luglio 1995, Francesca aveva 16 anni, ricordo che aveva una paura immensa, ma cercava di non farlo vedere, come al solito si teneva tutto dentro.
L’intervento consisteva nell’aprire la spalla e cercare di pulire la cuffia rotatoria senza danneggiare troppo i tendini.
Già il giorno dopo l’operazione doveva muovere l'arto, doveva fare dell’esercizio per alzare la spalla, ad essere sincera non so come Francesca abbia superato tutto ciò, ha avuto una tenacia impressionante. Quel santo uomo di suo padre le faceva tutti i giorni le medicazioni per disinfettare le ferite aperte: si prendeva tanti di quei nomi poveraccio!! Diciamo solo che la procedura era veramente dolorosa. Per la ginnastica l’aiutava la nonna, che, grazie alla sua delicatezza e costanza, riusciva ad ottenere ottimi risultati, anche se il dolore non era proprio uno scherzo.
Francesca ha tenuto costantemente la fasciatura per circa 4 mesi, quindi tutta l’estate più qualche mese di scuola, una scomodità unica. Ciò nonostante riuscì a superare questo scoglio, la sua spalla destra era quasi a posto, la mobilità che era riuscita ad ottenere era quasi completa, e non c’erano state controindicazioni, insomma uno spettacolo, sotto con la prossima! Neanche da dire: esattamente l’anno dopo il 26 luglio 1996, ci fu il secondo intervento.
La ragazza era decisamente più tranquilla, si, non era uno scherzo lo stesso, ma affrontò la cosa più serenamente. L’intervento andò bene come il precedente. Ci furono dei problemi dopo, le tolsero il drenaggio troppo presto. Nonostante la febbriciattola la mandarono a casa. Purtroppo la temperatura si alzò fino ad arrivare ai 39/40 gradi, sua madre fece avanti e indietro casa/CTO (centro traumatologico ortopedico) per tutta l’estate, fino a quando si stancò e, urlando contro il dottore, quasi ordinò il ricovero della figlia. Praticamente le provarono tutte, gli antibiotici non funzionavano, era troppo caldo, provarono a siringare la spalla, ma non funzionò neanche quello. In pratica sull'articolazione si era formato un grumo di sangue infetto che scatenava la febbre. Alla fine volevano intervenire nuovamente in artroscopia. Ma l’estate era quasi finita, la temperatura era calata, e gli antibiotici stavano facendo effetto, così alla fine la ragazza non fu operata. Dopo una settimana la febbre scomparve. Solo che grazie a questa infezione non aveva potuto fare ginnastica, e la spalla era molto rigida, non so se mi spiego.
Morale: Francesca attualmente ha la spalla sinistra che si alza solo all’80%, beh meglio di niente no?!
 
Forse mi sono lasciata un po’ trasportare dalle operazioni, torniamo a bomba, sugli altri eventi.
Ovviamente la pallavolo era un ricordo, sua madre le aveva quasi proibito di giocare, e d'altra parte lei non se la sentiva più di continuare, quindi non fece obbiezioni.
Tra i 17 e 18 anni Francesca divenne quasi un’altra. Cominciò ad uscire con una compagnia di amici, era diventata un tipo da discoteca, il suo essere introverso era stato sovrastato da una espansività notevole, si stava aprendo con tutti, forse un po’ troppo. Così si era legata al gruppo nuovo di amiche/amici. Ma ben presto capì che buttarsi a capofitto nelle cose senza prima riflettere non sempre porta a qualcosa di buono. Infatti non ci volle tanto, solo qualche mese, e imparò una grossa verità: quella compagnia, quelle amiche, davano troppo importanza all’aspetto esteriore, dovevi sempre essere in tiro, e comportarti in un certo modo. Una volta Francesca commise l’errore di mettersi dei jeans stracciati, con una maglia aderente sopra, e le dissero “Ma non vorrai mica venire così?”, dov’era il problema?! Era stanca di minigonne, tacchi alti e di un trucco smodato. In fondo andava in discoteca perché voleva ballare, le piaceva molto scatenarsi, per stare in compagnia, qualche chiacchiera, qualche cazzata. Beh inutile dire che la serata in disco la passò un po’ in disparte dagli altri. Francesca si era infatuata di un ragazzo della compagnia e l’aveva confessato a quella che riteneva un'amica fidata, forse sarà scontato ma questa cosiddetta “amica”, in poco tempo la prese in mezzo facendole fare una pessima figura e si prese pure il ragazzo.
 
Da quel momento rientrò nei suoi canoni, ritornò la ragazza introversa e timida di sempre.
Si buttò sullo studio con grossa soddisfazione dei suoi genitori: quell’anno aveva la maturità. Stava sempre in casa, era diventata una secchiona, dava lezioni ai suoi compagni, o meglio li faceva copiare, usciva con la sua unica compagna di classe, e, a volte, andava al cinema con la nonna (avevano gli stessi gusti, film romantici e strappa lacrime). Poi si stava avvicinando all’italiano, materia che da sempre odiava, non le piaceva leggere, ma cominciò ad interessarsi alle poesie di Lorca, di Neruda, di Emily Dickinson, ai racconti di Freud, di Molière, di Kafka, ai drammi di Shakespeare, e altri scrittori, tranne Leopardi che proprio non le andava a genio. Tutto quello studio le giovò notevolmente, infatti all’esame non ebbe problemi, si portò a casa un bel 58/60 che per lei era un ottimo risultato, non prese 60 solo perché il tema non era un granché.
 
Visto l’onda positiva decise di dare altri pensieri ai suoi, iscrivendosi alla facoltà di ingegneria (leggerina), era molto convinta, voleva saperne di più di informatica ed elettronica, del resto era un perito elettronico voleva proseguire il filone. La realtà era decisamente differente, la metodologia di studio andava cambiata. Bisognava fare quasi a botte per prendere i posti. Decisamente titubante, prese coraggio e fece amicizia con un paio di ragazzi e una ragazza, anche loro matricole. Ben presto si creò un gruppetto di amici, ed a turno prendevano i posti per le lezioni. I primi esami non furono semplici, Francesca era un po’ in difficoltà, nonostante tutto però riuscì a passare il primo scoglio. Ad essere sincera non fu molto brillante ma tutto sommato le andava bene. In quel periodo però ricevette una telefonata a casa. Era una ditta di elettronica, che aveva ottenuto il nominativo dalle scuola che aveva frequentato, voleva fissare un colloquio con lei. La ragazza ci pensò molto, parlò ovviamente con i suoi, e alla fine decise di presentarsi all’incontro. Per la sua timidezza era una prova di coraggio notevole. Dicono che avere coraggio è fare una cosa che ti spaventa, e non hanno tutti torti. Francesca ancora non lo sapeva ma doveva affrontarne delle altre di prove di coraggio. Il primo colloquio non andò male, anzi, la settimana dopo ci fu un secondo incontro, che confermò il posto di lavoro. La ragazza era a dir poco entusiasta, la realtà della ditta era piccola solo 40 persone, questo perché era la sede distaccata della centrale di Genova.
 
Così salutò i compagni di università con la promessa che se facevano delle uscite l’avrebbero chiamata, e cominciò a lavorare. Era l’aprile del ’99, non aveva neanche 20 anni. La realtà lavorativa, la rese più indipendente, forse un po’ meno timida (ma non molto), imparò molte nozioni, a gestirsi e a occuparsi dei progetti.
Quasi contemporaneamente ci fu un ritorno nella sua vita, la pallavolo bussò di nuovo alla sua porta, la vecchia squadra era tornata alla carica, la rivolevano nel gruppo. Francesca era felice, in quel momento aveva bisogno anche di svago, la sue interazioni non andavano poi così bene. Lo scoglio maggiore rimaneva sua madre: sicuramente non ne sarebbe stata felice. Ovviamente ci fu un mini duello, ma la ragazza era testarda con le cose che le interessavano, quindi ottenne la vittoria, e tornò a respirare un po’ di quello sport che tanto la rendeva viva.
I primi tempi fece un po’ fatica ma con l’allenamento ritornò in forma. Le compagne di squadra la rendevano forse più sicura nel modo di comportarsi, tanto che armata di un insolita audacia, telefono ad un suo ex compagno dell’università e gli chiese di uscire (non curandosi che lui stava fuori Roma), non aveva mai fatto una cosa simile, forse per timore di ricevere un rifiuto o più semplicemente non aveva interesse nella cosa. Francesca e questo ragazzo si misero insieme. Lei non poteva certo saperlo, ma sarebbe stato il primo e anche l’ultimo ragazzo della sua vita.
 
Divenne ben presto un rapporto serio, fidanzati in famiglia per intenderci. Sembrava andare tutto nel migliore dei modi, Francesca sembrava contenta, ma a quel tempo non sapeva nulla della vera felicità. Diciamo che si accontentava, dentro di sé magari pensava che ci fosse qualcosa che non andava, ma non ci badava più di tanto. Continuò con la sua passione per la pallavolo ancora più tenacemente, dedicava sempre più tempo allo sport (chissà come mai?!). L’idea di essere in trappola le fece capolino nella testa, ma come era solita fare, reprimeva i suoi sentimenti dentro di se.
Gli anni passavano imperterriti. A 22 anni con alcune compagne entrò a far parte della squadra di serie A della zona. Questo cambiamento fu enorme e neanche se ne accorse. In squadra c’erano anche delle ragazzine provenienti dalla giovanile della società, una si chiamava come lei. Francesca, nonostante la timidezza, a prima vista aveva il viso di una persona che sapeva ascoltare e dare consigli. Quindi faceva più o meno da calamita alle più piccole: la subissavano di domande, le raccontavano le loro disavventure, insomma un po’ un mamma chioccia. Soprattutto la sua omonima si affezionò molto a lei. Grazie a questo legame di amicizia, conobbe Gemma, la sorella maggiore, non poteva certo saperlo: quell’incontro avrebbe cambiato tutta la sua vita! L’anno sportivo finì. Francesca aveva fatto molte amicizie alcune decisamente preziose anche se non se n'era resa conto. Per lei la serie A era troppo impegnativa, soprattutto per le sue spalle, 3/4 allenamenti alla settimana, due partite nel week-end, non ci stava decisamente dietro. Così terminato l’anno salutò tutti e decise insieme alle vecchie compagne di tornare a giochicchiare nelle serie inferiori.
Il legame d’amicizia con la giovane Francesca e con Gemma continuò. Quando la squadra della ragazza giocava in casa le due sorelle andavano sempre a trovarla, una specie di curva tifosi personale, e ovviamente viceversa.
 
I rapporti con il ragazzo sembravano procedere, praticamente la settimana lui era in un appartamento a Roma con altri studenti e il week andava a casa dai suoi. I segnali c’erano tutti, lei non ne sentiva la mancanza quando non c’era, si, gli voleva bene, ma era amore?! Qualche interrogativo le venne in mente, ma non voleva approfondire forse perché in cuor suo aveva paura di farlo. La famiglia di Francesca, nonna compresa, avevano adottato di buon grado il ragazzo come se fosse già il genero, e la stessa cosa fece la famiglia di lui con la ragazza. Spesso le toccava andar su per il week-end controvoglia. Non si trovava molto a suo agio, si sentiva quasi sempre sotto esame, e la cosa cominciava ad innervosirla sempre di più.
Non se ne accorgeva ma era sola, soprattutto nel week end.
L’amicizia con Gemma divenne più forte, tutte e due si sentivano molto più spesso e non solo per le partite, ma anche per uscire insieme, spesso Francesca faceva il lumino, Gemma la trascinava fuori con il suo ragazzo, inizialmente si sentiva un po’ a disagio ma poi ci si abituò.
L’affetto per Gemma cresceva sempre più, non aveva mai avuto una sorella, era figlia unica, l’idea di condividere ogni più piccolo segreto ed emozione era veramente una cosa nuova per Francesca, tanto che dopo un po’ la considerò come una sorella maggiore, quando potevano stavano sempre insieme. Andavano in palestra, facevano la pausa pranzo insieme. Non sapeva bene cosa stava succedendo dentro di lei ma la cosa importante era una: quando stava con Gemma era felice.
 
La vita correva via rapidamente. Poco dopo il 26 compleanno di Francesca, Gemma lasciò il suo ragazzo. Era strano, da un lato era triste per la sua amica, dall’altro invece era contenta, poteva stare con lei più spesso, un po’ egoistica come visione, ma nella sua mente non riusciva a capire che c’era qualcosa che non andava nella sua vita.
Intanto a casa sua qualcun altro stava programmando la sua vita futura: il suo ragazzo aveva finito l’università, voleva trasferirsi a Roma ed andare a vivere con lei. I genitori di lui stavano già progettando il matrimonio e dei figli, mentre quelli di lei si accontentavano della convivenza. Peccato che nessuno avesse interpellato la ragazza su cosa voleva fare. Forse per accontentare tutti tranne che se stessa fu accondiscendente, e cominciarono a cercare casa. Gemma fu molto sconvolta quando lo venne a sapere, sapeva benissimo che le cose sarebbero cambiate, ostinatamente Francesca negava l’evidenza, non si sarebbero mai separate, avrebbero continuato a vedersi.
 
Francesca era veramente a pezzi, i preparativi stavano continuando, da li a un paio di mesi si sarebbe dovuta trasferire, non sapeva neanche lei cosa le stava succedendo. In quel periodo, stava sempre di più con Gemma, erano gli attimi che riuscivano a farla stare bene. Non erano neanche le parole che si scambiavano, a volte stavano in silenzio, ci fu qualche abbraccio intenso e fugace, che a un passo dalla data fatidica fece luce.
Una sera dopo allenamento chiese a Gemma di vedersi, andarono in un parcheggio del parco a pochi chilometri dalla casa di entrambe. Francesca aveva assoluto bisogno di parlarle ma le parole non uscivano così facilmente. Aveva una paura fottuta di quello che voleva dire, così prese il cellulare e scrisse un messaggio, “E se io oggi ti avessi chiesto: posso  baciarti? Come avresti reagito?”. Gemma rispose con molta semplicità “Perché non lo fai?!”. Francesca di colpo sorrise e la baciò. In quel momento si rese conto di amarla, quell’amore che tanto stava cercando che aveva confuso con l'affetto in tutti quegli anni. Le sensazioni erano talmente invasive che non riusciva proprio a contenerle.
La sera le due ragazze si dovettero salutare, una volta salita in macchina Francesca le scrisse un messaggio con su scritto “Dada ti amo!”, poi se ne andò.
 
La casa era già pronta, praticamente il trasloco era già stato fatto, l’indomani dovevano trasferirsi.
Non so bene cosa scattò nella testa di Francesca, ma alla fine sbottò, non voleva far del male a nessuno ma non poteva continuare così, parlò con il ragazzo, e gli disse chiaramente che non l’amava più, incredulo provò a convincerla, di solito bastava poco, bisognava solo insistere un po’, ma questa volta no, aveva per troppo tempo vissuto la vita come volevano gli altri, era stanca di essere infelice, o felice a metà, egoisticamente voleva vivere la sua vita come voleva lei.
Non fu di certo semplice questo, e la reazione fu piangere, ma alla fine lasciò il ragazzo, dopo oltre 6 anni e mezzo (diciamo che di tempo ce n'è voluto) ad un passo da convivenza, matrimonio e famiglia.
La madre, impicciona come al solito, voleva dire la sua, ma la ragazza non ce la poteva fare quella sera, aveva dato risorsa a tutte le sue energie, quindi chiese a sua madre se potevano parlare il giorno dopo. Telefonò subito a Gemma e ancora un po’ provata le raccontò tutto. Gemma era veramente felice, Francesca aveva fatto tutto quello per lei, per loro. Voleva tranquillizzarla un po’ ma semplicemente parlando con lei Francesca si calmò.
 
Il pandemonio cominciò il giorno dopo, aveva tutti contro, la sua famiglia, il suo ex-ragazzo, la famiglia del suo ex. Le stavano tutti addosso come dei cani affamati, come se lei fosse l’unico osso disponibile. L'appartamento l’avevano preso in affitto per 6 mesi, il ragazzo se ne lavò le mani e fece ritorno dai suoi. Francesca era decisa comunque ad andare via di casa, non ce la faceva più con i genitori si sentiva continuamente oppressa. Prese tutti i suoi vestiti e le sue cose e le portò nell'appartamento. Inutile dire che non ci restò per molto, i suoi di gran carriera la riportarono a casa, era una sorvegliata speciale ormai, avevano paura che non mangiasse più e diventasse anoressica dal dispiacere.... Ma quale dispiacere? Aveva cominciato finalmente a vivere. Nonostante non ci abitasse doveva pagare l’affitto fino a che i proprietari non avessero trovato dei nuovi inquilini, fu decisamente dura ma ce la fece, Gemma l’aiutò molto le stava più vicino possibile, anche se Fort Knox non era proprio il massimo, in parte la famiglia di Francesca aveva dato la colpa a lei di quella situazione (avevano ragione, ma non era colpa, era merito).
 
Gli animi si calmarono un po’, ci volle quasi un mese. Intanto le due ragazze vivevano in segreto il loro amore. Non lo sapeva nessuno questo rendeva la cosa ancora più difficile. Ma per loro l’importante era stare insieme.
Francesca in famiglia era comunque irrequieta, più di una volta aveva manifesto l’idea di andar via. La nonna che non ci vedeva chiaro in questa faccenda, si era lasciata trascinare dalla foga della figlia, ma vedendo che la nipote soffriva, alzò la testa, e propose di comprare un appartamentino per Francesca. Dopo svariati giri, trovarono una soluzione interessante, in fase di costruzione in provincia di Roma. Beh la ragazza non ci voleva credere, doveva aspettare un po' ma si avvicinava l’idea di andarsene dall'ovile. Questo voleva dire più indipendenza, ma soprattutto più libertà nel vivere il suo amore con Gemma. Vivevano di espedienti per stare insieme e diventava sempre più difficile. Ma ogni giorno che passava il loro amore le rendeva più forti. Inizialmente erano molto attente a non dare nell’occhio soprattutto Francesca che aveva paura del giudizio della gente; il tempo l’aiutò a fregarsene, ad essere più consapevole di se stessa e a prendere un po’ più coraggio.
 
Le due ragazze vennero messe a dura prova quando il padre di Gemma lo scoprì, distrattamente la ragazza mandò per sbaglio a lui un messaggio diretto a Francesca. Diciamo che non la prese per niente bene, arrivò a dirle che preferiva vederla triste ed infelice piuttosto che con un’altra donna. Gemma era naturalmente a pezzi, Francesca fece di tutto per tranquillizzarla “Andrà tutto bene tesoro vedrai, l’importante è che stiamo insieme”. Fu un periodo molto duro, per fortuna avevano un’alleata, la sorella di Gemma. All’inizio non l’aveva presa benissimo, ma poi vedendo la sorella così felice si rasserenò anche lei. Gemma decise di dirlo anche a sua madre, anche lei non la prese bene, ma per lo meno voleva la felicità della figlia. Ci volle molto tempo per tranquillizzare un po’ tutti. Francesca non era più la benvenuta nella casa di Gemma, quindi dovevano cercare altri espedienti e soprattutto posti per vedersi.
 
Il tempo passava e il loro amore cresceva. La casa era finalmente finita. Francesca non vedeva l’ora di trasferirsi, lo dava a vedere con tutta se stessa, e sua madre le chiedeva sempre “Ma che fretta hai?”. Ne aveva e anche tanta e non riusciva più a stare in quella casa aveva bisogno di evadere da quella gabbia.
Il giorno del trasloco era giunto (ed è il caso di dire finalmente). Una volta trasferita la prima visita che ebbe fu Gemma ovviamente. Finalmente avevano un posto tutto loro. Francesca era veramente felice.
 
Però un altro ostacolo le si parava davanti, era ormai il tempo di parlare con i suoi genitori, era da tanto che ci provava ma non aveva mai trovato le parole, non ne aveva mai avuto il coraggio. Solo allusioni, mezze frasi, niente di concreto. Da quando si era trasferita era solita fermarsi a mangiare da loro un paio di sere alla settimana. Una di queste sere non so cosa le passò per la testa, ci rimuginò tutto il giorno, e alla fine disse tutto a sua mamma, cominciando dal fatto che loro insistevano che volevano dei nipotini e che lei non gliene poteva dare. Sua madre aveva già capito, non c’erano bisogno di altre parole, ma Francesca disse “Sono innamorata di Gemma”. La prima reazione della madre fu di sorpresa, fu decisamente comprensiva, e alla fine abbracciò dolcemente la figlia. Francesca sentiva il cuore sollevato da un peso. Era riuscita a parlare, finalmente aveva detto quello che sentiva dentro. Gemma era orgogliosa di lei: avevano lottato per il loro amore.
 
I genitori di Francesca volevano sapere cosa avevano intenzione di fare, si, erano comprensivi ma anche loro avevano paura dei pregiudizi. L’idea era quella di vivere insieme, anche se non venne fuori subito, alla ragazza serviva un altro po’ di tempo. Ma alla fine chiese a Gemma di trasferirsi da lei, tutte le volte che se ne andava, si portava via un pezzo del suo cuore e le mancava talmente tanto da urlare.
Ora, a capodanno, sono 2 anni che vivono insieme. Le famiglie hanno accettato la cosa, alle volte vanno a mangiare a casa loro, e viceversa, sono una coppia di fatto, è vero non sono sposate ma solo sulla carta. Per il primo anno di convivenza, Francesca ha ordinato le fedi, le ha fatte incidere e ha chiesto a Gemma di sposarla, per ora non è ufficiale, ma lo è sicuramente per il loro cuore.
 
Beh direi che il quadro è completo. Questa ragazza ha trovato la sua via, il suo amore, la sua felicità, anche se tutt’ora è molto timida, sta vincendo le sue paure, giorno dopo giorno, finalmente sta vivendo la sua vita.
 
La nostra vita è fatta per essere vissuta, è l’unica che abbiamo, per imparare, sbagliare, e recuperare, senza mai doversi sentire in colpa. La morale o forse la preghiera che voglio fare è questa: vivi e lascia vivere, sii sempre te stesso, fregatene dei giudizi degli altri, ma soprattutto la felicità arriva quanto meno te l’aspetti.
 
////////////////////////////
 
NOTE AUTRICE:
 
Ora che ho finito di raccontare la storia lasciandovi con un cliché come morale, vorrei rendervi partecipi dei miei pensieri, e questa sono io in prima persona, non la voce narrante. Spero di non annoiarvi troppo.
 
Spesso e volentieri mi capita di sentire la frase “Tutto il mondo è paese” ma in realtà cosa significa? Tutto e niente.
A volte mi vengono in mente certi pensieri ed è per questo che ho cominciato a scriverli, sicuramente al momento saranno un’accozzaglia di frasi senza un senso logico ma magari con il tempo riuscirò ad ordinarli e rendere questa cosa leggibile anche agli altri.
 
Tutto questo è partito dal fatto che al giorno d’oggi non c’è tolleranza per niente e soprattutto per nessuno, cavolo viviamo nel 21esimo secolo ma siamo sicuri di questo? Io non tanto, basta solo pensare alle minoranze come vengono trattate, emarginate e maltrattate il più delle volte, utilizzando luoghi comuni e al peggio insulti gratuiti, la gente ha troppa paura di quello che non conosce, si dice che la miglior difesa è l’attacco, ma a che pro. Beh il mio buon proposito per l’anno che verrà è proprio quello di farmi gli affari miei, può sembrare egoistico come approccio o forse lo è, ma non c’è peggior sordo che non vuol sentire, io sto bene con me stessa e se a qualcuno non va bene sono problemi suoi non certo miei. Troppo spesso in passato ho dato troppo peso ed importanza a quello che pensavano gli altri, ma sapete che vi dico, e da molto tempo che non me ne frega più niente si vive molto meglio così, sei libera di essere te stessa e di amare la persona che vuoi senza remore e costrizioni conservatrici e bigotte.
 
A proposito dimenticavo una cosa, io faccio parte di una di quelle minoranze spesso maltrattate, eh già sono GAY, o se vogliamo usare l’etichetta giusta lesbica; anche se devo ammettere che se c’è una cosa che davvero odio in assoluto sono le etichette, io sono sempre me stessa a prescindere da chi amo. Una volta mi hanno chiesto: “Ti sono sempre piaciute le donne? Come hai fatto a capire che ti eri innamorata di una donna?”, la mia risposta è stata molto semplice: “Mi sono innamorata di una persona!”.
Finché non ho incontrato la donna della mia vita ho sempre sopravvissuto nella mia vita, non ho mai vissuto, non sapevo bene cosa significasse amare e tanto meno essere amata. Questo lo devo ammettere: sono stata un po’ lunga nel trovare la strada, i segnali c’erano tutti ma forse non riuscivo a leggerli bene, non ascoltavo … non stavo ad ascoltare il mio cuore, ma solo la testa, avevo paura dei miei sentimenti, e credetemi non c’è cosa più sbagliata. Può sembrare banale ma per vivere appieno la propria vita bisogna seguire il cuore, non puoi sempre dar retta alla ragione perché se no, non VIVI, sei un automa, un robot. Io lo sono stata per tanti anni, eh già, mi ero buttata a capofitto in una storia perché era giusto così, il guaio che forse all’inizio era una cosa giusta, ma dopo avevo bisogno di altro, meno male che avevo la pallavolo. Infatti questo sport era diventato la mia ancora di salvezza, senza non riuscivo a tirare avanti, era diventato tutto per me, la mia valvola di sfogo, a cui mi aggrappavo con tutte le mie forze, la mia boccata d’aria per evadere dalla mia vita, triste ed opprimente. Non fraintendetemi ho sempre adorato giocare, è vero, ma a ripensarci bene, non avevo molte altre scelte ero ‘quasi’ costretta perché se no sarei pian piano morta dentro. Secondo me riconoscere anche i palliativi che ti fanno sopravvivere è già un passo avanti, per non renderli tali.
Beh infatti la svolta è arrivata, si è vero, ho continuato a giocare per un altro anno, ma non avevo più bisogno della pallavolo anzi, era diventato quasi un ostacolo allo stare insieme, il tempo non era mai abbastanza, avevo, o meglio ho bisogno di lei, ogni giorno, quindi ho semplicemente smesso di giocare, senza remore, né rimpianti, né tanto meno rimorsi. Poi alla fine per non abbandonarlo completamente è saltato fuori il compromesso dell’arbitraggio, non avrei mai creduto mi piacesse, ma non è un palliativo, io non dipendo da questo per vivere dipendo solo ed esclusivamente da lei, il mio unico e grande amore.
 
Buffo, l’altro giorno stavo pensando, che la maggior parte delle cose importanti le si rimanda sempre al giorno dopo, convinti, magari, che sia in qualche modo più semplice da fare, vi svelerò un segreto: se si rimanda all’infinito non è che la cosa diventi più facile anzi c’è rischio di non riuscire mai a fare quello che ci si propone. Può essere che abbia scoperto l’acqua calda indubbiamente, ma se mi soffermo a pensare non c’è cosa più giusta; quello che sei non è una tua scelta è il tuo io non puoi opporti, spetta a te cercare il coraggio di vivere la vita nel modo più intenso e felice che puoi, purtroppo sono convinta che di vita ne hai solo una ed è un peccato buttarla via. Tutto questo per arrivare all’outing o meglio al coming-out. Per quel che mi riguarda credo sia la cosa più difficile di questo mondo, richiede un coraggio notevole, questo perché le conseguenze non sono quasi mai semplici da gestire, molto spesso l’ignoranza ha il sopravvento e vieni additato e non vieni più considerato come persona, ciò nonostante lo ritengo un passo inevitabile. La consapevolezza di quello che sei, di quello che vuoi, della vita che vuoi vivere con la persona che ami sovrasta tranquillamente tutte le tristi battute, gli sguardi storti, gli insulti. Si è vero la conseguenza di non essere accettati può essere pesante soprattutto dalla propria famiglia (ne so qualcosa), ma la cosa più importante è tenere ben presente quello che si desidera di più come focus principale.
 
Se 15 anni fa mi avessero detto: “Andrai a convivere con la donna che ami con tutta te stessa, e vivrai il tuo grande amore alla luce del sole, accettate dalle relative famiglie!”, non ci avrei mai creduto ed invece è proprio così ci è voluto molto tempo, molta fatica, molta sofferenza ma alla fine la mia scelta si è rivelata vincete, con tutte le sue conseguenze, e ora non mi interessa più niente, non me ne frega di quello che può pensare la gente io amo la mia compagna ogni istante di più e questo mi rende sempre più felice.
 
Capirai l’Italia è il paese più conservatore e bigotto che ci può essere, ciò nonostante non è detto che non si possa vivere la propria vita alla luce del sole, non bisogna per forza nascondersi dietro un dito, perché se no si rischia di avvallare il lato conservatore e bigotto che contraddistingue gli italiani. Stare insieme alla persona che ami è una gioia immensa dovunque o con chiunque ti ritrovi intorno, sia ben inteso io non sono un’esibizionista, non mi piacciono quelle persone, ma semplicemente camminare per mano, tenersi abbracciate, non vedo che male può fare.
A mio avviso l’outing è un passo invitabile se si vuole finalmente vivere la propria vita, non ci si può nascondere in eterno, e buttare via così un sacco di tempo, alla lunga nascondersi non fa altro che rendere infelici: ti riduci a mentire, vivi di sotterfugi, vivi il tuo amore di nascosto nei ritagli di tempo, che diventano sempre meno durante le festività, senza contare che se ci fosse un urgenza saresti da sola; questo per me adesso sarebbe insopportabile io non ce la farei proprio.
 
Quindi nonostante tutti i problemi, i pianti e le sofferenze derivanti alla mia scelta non rimpiango niente, forse l’unica cosa è quella di essere stata un po’ troppo lunga avrei dovuto decidermi prima, sprecare meno tempo, ma si sa che con il senno di poi è tutto più facile o sbaglio?!? 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Natory28