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Autore: _E r i s_    12/08/2016    2 recensioni
| Storia partecipante al contest "per ogni citazione una storia" indetto da i love ace 30 sul forum di EFP |
"Jack non si era mai definito bello; a malapena rammentava i tratti del suo volto, quando era lì, per strada, a portare avanti una vita misera. E fu forse proprio quel commento – magari pronunciato più per pena che per altro – a stimolare i suoi demoni interiori, quelli che per tanto tempo aveva combattuto ed erroneamente pensato di aver sconfitto."
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilbert Nightray, Jack Vessalius, Lacie Baskerville, Oscar Vessalius, Oswald Baskerville
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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jack

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Jack non era mai stato puro. Era sempre stato sporco, sbagliato; solo il suo corpo splendido impediva di scorgere la brutalità che, strisciante, covava nel profondo del suo animo. I suoi innocenti occhi smeraldini erano solo una maschera, un muro che copriva il suo vero Io fatto di discordia e orrore, di follia. All’apparenza era solo un giovane ragazzo, bello come il sole, che vendeva il proprio corpo.
Lui stesso l’aveva definita un’azione sporca, nel momento in cui gli era stata proposta – “Hai un viso davvero carino, dovresti prostituirti”, gli aveva detto Lacie, quel giorno freddo in cui si era seduta di fianco a lui, scrutandolo curiosa. Nonostante l’imbarazzo iniziale, non aveva potuto far a meno di sentirsi adulato, ricevendo quello che in apparenza sembrava un complimento. Jack non si era mai definito bello; a malapena rammentava i tratti del suo volto, quando era lì, per strada, a portare avanti una vita misera. E fu forse proprio quel commento – magari pronunciato più per pena che per altro – a stimolare i suoi demoni interiori, quelli che per tanto tempo aveva combattuto ed erroneamente pensato di aver sconfitto.
Il fatto che l’avesse mormorato lei, lei che non aveva la minima idea di chi fosse, lei che era giunta lì per puro caso, lei che, con i suoi occhi scarlatti e luminosi, gli aveva sorriso, in quella buia giornata ordinaria ed eguale alle altre, lo faceva sentire in qualche modo importante. Perché lei l’aveva definito bello, così, a primo impatto. Non gli aveva dato del barbone come tutti gli altri; lei aveva riconosciuto la sua bellezza esteriore, ignara dell’orrore che vi era all’interno. Se ne rammaricava, il giovane ragazzo, che la povera Lacie fosse morta senza sapere realmente chi fosse Jack Vessalius. Quello vero, non quello stupendo. Quello brutale, folle e tremendamente ossessionato da lei.
Lacie probabilmente lo amava – almeno lo sperava -, cantava sempre per lui quelle note malinconiche quanto romantiche. Ma così com’era arrivata improvvisamente nella sua vita, improvvisamente se n’era andata, trascinata da suo fratello nel profondo del baratro.
Poi era nata Alice, medesimo aspetto delicato e gentile della madre. Stesso carattere mite, stessa dolcezza di Lacie, stessa ossessione di Jack nei suoi confronti.
Gli occhi di lei non erano cremisi, eppure la figura tanto amata della madre si sovrapponeva, e a Jack sembrava che non fosse mai morta.
Si comportava con lei nella medesima maniera, forse un po’ più gentile – era pur sempre una ragazzina -, e nella medesima maniera si instaurò nella mente di Alice la figura di Jack come benevola e innocua. Lui non voleva fosse così, entrambe lo amavano – perché Lacie era viva in ogni gesto della figlia – per ciò che di buono c’era in lui: i serafici occhi verdi, la chioma color oro, il sorriso perennemente dipinto in volto.
Qualche volta si chiedeva a come sarebbe stato se Alice avesse scoperto la sua vera natura – innocente com’era, quella bambina non s’era nemmeno resa conto dell’ossessione che l’uomo aveva nei suoi confronti. Forse l’avrebbe abbandonato, così come aveva fatto quella traditrice della madre del nobile. Forse sarebbe rimasta vicino a lui incondizionatamente.
Gli sarebbe piaciuto, pensava, se qualcuno avesse saputo chi fosse realmente Jack Vessalius. Non avrebbe dovuto indossare quella maschera per compiacere gli altri, avrebbe potuto interpretare la parte dell’uomo brutale che interiormente era.
Dire che la servitù lo adorava era poco: la sua gentilezza innata – finta – aveva colpito nel profondo gli animi di coloro che abitavano in quella regale magione, in cui anche lui da poco sostava – se pensava che prima viveva per strada, gli veniva quasi da ridere amaramente.
Anche quel bambino dagli occhi eterocromi, uno dorato e l’altro cremisi – proprio come quello di Lacie – si era affezionato a lui. Jack gli voleva bene, rammentava ancora in che stato aveva trovato lui e suo fratello. Se non erano morti era tutta fortuna, un miracolo.
“L’ennesima violenza subita per quello”, aveva spiegato il più grande, il corvino dagli occhi ambrati, marcando particolarmente l’ultima parola e alludendo con un cenno del capo all’occhio vermiglio del minore. Jack si era fin da subito affezionato a quei due ragazzini, forse perché la loro umanità e la loro innocenza l’avevano colpito nel profondo – forse un tempo anche lui era così.

Avrebbe tanto voluto essere in quel modo, innocente come la gente lo dipingeva. Anche Vincent, il suo “fratellino e servo”, e Gilbert, il maggiore, erano cascati nella trappola dell’uomo nobile d’animo. Ed anche con loro avrebbe dovuto fingere per sempre.
Nella ristretta cerchia di persone che considerava “più che conoscenti”, l’ultimo elemento era Glen – Oswald.

L’aveva da subito incuriosito, in particolare il rapporto di parentela con la sua Lacie. Ed era per questo che l’odiava. L’aveva lasciata morire. Lui, che era il suo adorato fratello, l’aveva lasciata appassire nel nulla di Abyss. Ma era destino, si diceva. Gli occhi di Lacie la classificavano come di natura non umana, come Figlia del diavolo, e quella era l’unica scusa con cui tirava avanti, l’unica che gli impediva di non accanirsi contro i Baskerville – ed odiava anche Lacie, nonostante non lo volesse ammettere a sé stesso, perché se n’era andata. E faceva buon viso a cattivo gioco anche con loro, con lui. L’aveva sempre paragonato all’acqua, Glen. L’acqua è insidiosa, bella quanto letale – quante volte la sua adorata giovane dagli occhi vermigli era affogata nel suo finto Io?
Era come acqua, diceva. Non si riusciva a scorgere la sua vera natura.
Poi, dopo la nascita di Alice, fu un lento processo di degrado. Forse la stessa apparsa della ragazzina fu essenziale per lo scaturirsi del suo essere “pazzo”.

E Jack era terribilmente normale e innocente nella sua pazzia. Lo faceva per Lacie, per portare il mondo da lei. Quale azione poteva essere più nobile?
Dopo successe quel che successe: la maschera di gentilezza si sciolse, il lato brutale venne fuori. E la città venne risucchiata nell’Abisso. E tradì la fiducia di tutti. E mostrò chi era Jack Vessalius. Il vero Jack Vessalius. Senza bellezza o allegria, solo la sua cattiveria. L’avrebbero odiato, ma era il suo vero Io.
Dopo che fu passato un secolo dalla tragedia, quando controllava corpo e mente di Oz Vessalius – anche se il corpo non gli apparteneva completamente, anzi, affatto -, del B-Rabbit, rammentava ancora compiaciuto le urla sconcertate di Gil, lo stesso servo che cent’anni prima aveva trovato in stato pietoso. Lo stesso servo che, durante la tragedia, con freddezza e precisione, aveva colpito brutalmente. L’aveva ferito sulla schiena, e se non fosse stato uno di loro sarebbe morto irrimediabilmente. Poi erano passati anni, e i loro sguardi si erano incrociati di nuovo. Forse per la perdita di memoria, forse per ceca fiducia, ma il ragazzo gli aveva creduto quando aveva affermato che quella ferita era stata causata dal tentativo di proteggere lui, Jack, da Glen. Ed invece era stato totalmente il contrario, era stato lo stesso Vessalius a colpirlo, pronunciando poi quelle piatte parole – “Glen… getta la spada, prima che uccida il tuo piccolo e dolce servo”.

Poi fu un susseguirsi d’eventi che dal corpo di Oz – povero illuso che ancora sperava nel non essere un falso – non riusciva a distinguere accuratamente. Rammentava solo quelle urla assordanti, quelle di chi è appena stato vittima di una tremenda consapevolezza – come quella di essere stati totalmente imbrogliati.
Quando Gilbert si era reso conto che tutto ciò che gli aveva detto era falso, Jack si era sentito quasi bene. Quando quel ragazzo tanto impacciato e incredibilmente gentile aveva sparato ad Oz, associando la sua figura a quella dell’”eroe”, Jack, dall’interno di quell’effimero corpo, non aveva potuto far a meno di sorridere mellifluo. Quando aveva notato l’odio impresso negli occhi dorati del corvino - non l’adorazione verso la figura gentile e bella del biondo, ma un autentico sentimento di rancore verso il vero Io dell’uomo -, Jack si era sentito improvvisamente in pace con sé stesso. Gilbert lo odiava. Lo odiava talmente tanto da riuscire a sparare al proprio padrone, quello la cui vita avrebbe dovuto paradossalmente proteggere. E Jack avvertiva una sensazione di serenità espandersi in testa, perché, diamine, non era più visto come “l’eroe”, ma come “il mostro”, quello che davvero era. Ed anche se era odiato, era sé stesso. La sensazione di essere riconosciuto per quello che era veramente era più gratificante dei sorrisi pacati che la gente rivolgeva all’altra faccia della medaglia, a Jack, “il bravo ragazzo”. Forse perché per una volta non era più visto come il giovane dalla bellezza delicata, ma come un viscido verme che, per raggiungere i propri scopi, non si sarebbe fatto scrupoli ad usare chi gli stava intorno – e aveva sempre fatto, ad insaputa di tutti. E si sentiva terribilmente bene mentre brandiva quella spada, macchiata del sangue degli innocenti.
Finalmente non avrebbe più dovuto nascondersi.

 

  
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