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Autore: id_s    12/08/2016    2 recensioni
«C'è un luogo dentro me dove la luce del sole non arriverà mai, ed è lì che vivrai per sempre. È lì che tu mi rivedrai.»
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cherry Blossom

 

 

«Stare qui ti fa male. Forse dovresti solo andare via per un po’. Cambiare aria.»
Luke era preoccupato, Ashton lo sapeva, lo capiva e lo intravedeva nei suoi occhi occhi azzurri che, da due settimane a quella parte, non sorridevano più. Erano sempre stati allegri, gli occhi di Luke. Erano belli come una mattina estiva, come un cielo senza nuvole che promette risate e promette calore. Ultimamente, però, l’azzurro delle sue iridi si era screziato di grigio. Erano arrivate le nuvole anche in quel cielo perennemente luminoso, perennemente felice. Ashton lo sapeva, Luke stava male. E nonostante questo continuava a preoccuparsi per lui. Si sentì in colpa. Avrebbe voluto dirgli che no, non poteva andarsene, che lei era lì e lì doveva rimanere anche lui; avrebbe voluto spiegargli che non c’era bisogno di fingersi forti, ché lui la sua sofferenza la vedeva. La leggeva dietro le sue iridi chiare, la percepiva nei suoi movimenti più lenti e meccanici, meno energici di prima. Sì, Luke stava male. Ma a differenza sua, forse, non aveva smesso di vivere.
«Non è ancora il momento.» rispose con uno sforzo, la voce roca per le ore in silenzio scossa da un tremito. «Non sono ancora pronto.»
Luke si alzò dal letto con un movimento scattante, prendendosi la testa tra le mani. Era combattuto, e il suo dibattito interiore era facile da immaginare. Probabilmente – si disse Ashton – sta cercando di decidere se urlarmi contro o cercare di persuadermi ancora. Non ci sarebbe riuscito. Nessuno, da due settimane a quella parte, era riuscito a smuoverlo. Era come se tutta la felicità gli fosse stata risucchiata via, come se le sue energie vitali fossero state prosciugate, e lui continuasse a sopravvivere solo per miracolo – per quanto la sua vita si fosse ridotta quasi a quella di un vegetale.
«Cazzo, Ashton, basta.» scoppiò infine Luke, passandosi una mano sul viso stanco. «Da quel giorno non vivi più, non fai più niente, tra poco neanche per pisciare ti alzi! Sei diventato un… un cazzo di vegetale, sei in uno stato pietoso e...» si fermò un attimo, sospirando. Diede la schiena all’amico, ma Ashton fu certo di aver scorto un luccichio nei suoi occhi, che decise di ignorare. Il dolore di Luke era qualcosa di troppo forte da poter sopportare, di troppo soffocante: ti investiva con la forza di un treno, ti prendeva in pieno e non ti dava possibilità di reagire, di renderti conto di cosa stesse succedendo; da un momento all’altro, ti ritrovavi schiacciato da una sofferenza immane e neanche capivi perché. Forse, semplicemente, era perché Luke non mostrava mai il proprio dolore; lui, l’amico sempre felice e pronto a sollevare chiunque, avrebbe potuto distruggere chiunque solamente svelando al mondo il proprio dolore così puro e forte.
«Sono passate due settimane, Ash. Abbiamo perso Cherry. Io non voglio perdere anche te, non posso. Non ce la faccio a perdere il mio amico.»
Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso. Ashton scattò a sedere sul letto, tremando, guardando Luke con occhi di fuoco, e lui che ancora gli dava la schiena, ma di sicuro lo sapeva, come Ashton lo avrebbe guardato. Sapeva cosa aveva appena inflitto al suo migliore amico, eppure quelle parole gli erano sfuggite dalle labbra con la leggerezza e la velocità di un aeroplanino di carta nel vento, impossibile da gestire, che non si sa dove atterrerà. E quella volta, per uno scherzo del destino, era caduto su un piccolo incendio e lo aveva alimentato, dandogli nuova vita. Le parole di Luke, quel nome sussurrato a mezza bocca, avevano riacceso in lui la luce dei ricordi. Chiuse gli occhi, e dietro il buio delle sue palpebre si scomponeva già un viso famigliare: due grandi occhi grigi, gentili; capelli lunghi fino alle spalle, mossi e scuri, e un viso estremamente lentigginoso, corredato di uno splendido sorriso e due dolcissime fossette.

Non piangere.

Come se fosse stato facile.

Non piangere.

 

 

 

 

 

«C’è un posto particolare che ti piacerebbe visitare, dopo il diploma?» Ashton sorrise quando la ragazza si buttò di peso sul materasso accanto a lui, con un rumore sordo. Cherry si mordicchiò le labbra: era solita farlo, quando si concentrava su qualcosa in particolare; stette così, ferma e in silenzio, per alcuni attimi, poi il suo viso si illuminò di uno splendido sorriso.
«Ci sono! Mi piacerebbe andare in Perù.» sentenziò sicura, guardando dritto negli occhi il ragazzo accanto a lei. Si girò su un fianco, stendendo un braccio sotto la testa e rannicchiandosi di più, riuscendo solo a sembrare ancora più minuta di quanto già non fosse. Ashton tossicchiò, abbassando lo sguardo. Se Cherry avesse capito l’effetto che lei aveva su di lui, come avrebbe reagito? Avrebbero perso il loro rapporto, o le cose avrebbero preso una piega diversa? Magari quella in cui Ashton sperava, anche se non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso nonostante i frequenti sogni ad occhi aperti che, la notte, gli impedivano di dormire. Scosse la testa, come risvegliatosi da un incantesimo. Non doveva pensarci. Era di Cherry che stava parlando, e lei era la sua migliore amica da quando lui aveva nove anni e lei sette, erano cresciuti insieme e… no, sarebbe stato impossibile.
«In Perù?» le sorrise quindi, inarcando le sopracciglia.
Lei annuì. «Sì. Voglio vedere le rovine di Machu Picchu!»
Ashton era a conoscenza di quel particolare sogno, che la ragazza covava da quando – all’età di tredici anni – aveva avuto l’occasione di vedere un documentario sulla civiltà Inca, restandone incredibilmente affascinata. Si sporse verso di lei, aggiustandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio solo per avere una scusa per sfiorarla, per sentirla più vicina.
«Facciamo così: appena finirai le scuole partiremo insieme, io e te. Andremo lì.»
«Davvero?» gli occhi di Cherry erano luminosi, felici: guardava il suo migliore amico con adorazione, quasi, lei che di lui si fidava ciecamente, che gli avrebbe affidato la sua stessa vita.
Lui annuì. «Promesso.»
La ragazza gli si avvicinò di più, stringendolo tra le sue braccia magre e nascondendo il viso sul suo petto. «Ti voglio bene, Ash.»
Fu con un impercettibile sospiro che Ashton rispose «Anch’io.»

 

 

 

 

«Dove credi che potrei andare, Luke? Pensi davvero che basterebbe andarmene?» la voce di Ashton era più ferma di quanto il ragazzo avesse creduto di riuscire a fingere, mentre la imprimeva di una durezza che non gli apparteneva.
Il biondo lo guardò con aria implorante. «No che non basterebbe, ma sarebbe qualcosa. Un inizio.» rispose, tornando a sedersi sul letto. «Potresti andare in Perù, organizzavi quel viaggio da due anni ormai.»
Ashton sentì che qualcosa, dentro, gli si rompeva. Un coltello gli era stato piantato in pieno petto, gli impediva di respirare o di trattenere le lacrime che, però, riuscì ugualmente a contenere con il massimo sforzo.
«Progettavo di andarci con lei.»
«Beh, lei non ha fatto in tempo a vedere il posto dei suoi sogni, allora fallo tu al posto suo. Fingi di essere i suoi occhi, le sue orecchie e le sue mani, no? Così un giorno gliene potrai parlare.»
Ashton sapeva che Luke, nonostante non appartenesse ad alcuna religione, era convinto che ci fosse un luogo dove le anime si recavano comunque dopo la morte, un qualcosa di indefinito. D’altra parte, sosteneva sempre Luke, era qualcosa di troppo assurdo pensare che – da un momento all’altro – gli esseri umani smettessero di esistere. Era un concetto che la sua razionalità non voleva accettare.
«Non credo in quella roba.» Ashton però si era alzato, finalmente. Camminava lentamente avanti e indietro per la stanza, pensando ai biglietti aerei conservati nel cassetto della sua scrivania, biglietti che programmava di utilizzare alla fine dell’estate.
«Lei però ci credeva.»
E, ancora una volta, un ricordo.
Un ricordo di quel giorno.

 

 

 

 

 

 

«Luke dice sempre che c’è qualcosa dopo la morte, sai?» la voce di Cherry era carica di vivo interesse. Ashton sapeva quanto la incuriosissero quegli argomenti. «Io credo che abbia ragione.» sentenziò poi, prendendo un sorso del suo frappè e sporcandosi il labbro superiore.
Il ragazzo non trattenne una risata divertita – seguita da un “sei proprio antipatico, Ash!” addolcito da un sorriso – e scosse le spalle, stringendo un po’ di più la mano minuta intrecciata alla sua.
«Io non ne sono così convinto. Secondo me dopo non c’è niente e tutta la nostra vita è solo una presa in giro, immagini come sarebbe? Scoprire che dopo non c’è niente. Anzi, no, nemmeno lo scopri, perché sei morto e smetti di esistere.»
Il suo discorso suonò particolarmente cinico alla bruna, che alzò gli occhi al cielo, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria assorta.
«Non voglio immaginarlo, è una prospettiva che mi dà i brividi!» sbottò poi concitata, gesticolando animatamente con la mano libera. In quei piccoli gesti si vedevano le sue origini italiane, cosa che Ashton aveva sempre trovato buffa e – da qualche tempo – anche adorabile. «E comunque se non vuoi crederci non fa niente, ma io sono sicura che poi un giorno, quando entrambi saremo morti, ci ritroveremo e vedrai che Lukey ed io avevamo ragione.»
«Come fai ad esserne così sicura?»
Le guance di Cherry si chiazzarono di rosso, che risaltava luminoso contro la sua carnagione pallida. «E’ che le persone che si amano si ritrovano sempre, no?» borbottò a bassa voce, sciogliendo la presa dalla mano del ragazzo.
Ashton la osservò per un attimo, paralizzato sul posto. Intendeva che lo amava come un fratello, giusto? Come avrebbe potuto amare Jackie, la sua sorellina, o suo padre o il suo cucciolo di pastore tedesco – anche se effettivamente era abbastanza squallido paragonarsi ad un cane. Perché era arrossita, però?
«Tu mi ami?» sussurrò a sé stesso, ancora scioccato e incapace di concentrarsi sul mondo esterno. Fu in quel momento che la ragazza attraversò, adocchiando un cestino dove buttare il bicchiere vuoto del frappè.
Fu sempre in quel momento che, da una curva del largo viale, un’automobile sbucò correndo a tutta velocità, inseguita poi da una volante della polizia. Cherry ebbe solo un attimo per guardare alla sua destra, gli occhi spalancati dal terrore, prima di ritrovarsi sbalzata in aria.
Ashton osservò la scena al rallentatore. Sembrava essere un macabro scherzo, un attimo prima loro parlavano di morte e poi eccola lì, la sua migliore amica, il suo fiore di ciliegio, stesa su una strada: e la volante di polizia ora non correva più, ma era ferma, e qualcuno gridava aiuto, e lui non sapeva come fosse accaduto ma adesso era lì, vicino a lei, e le teneva una mano debole mentre lei lo osservava tramite occhi socchiusi che non lo vedevano davvero. Ricordava di aver urlato qualcosa, di aver implorato un dio in cui non credeva di aiutarla, di fare sì che andasse tutto bene: ricordava come, un attimo dopo, la sua piccola mano gli era scivolata dalle dita, e gli occhi grigi dei quali si era innamorato si chiudevano per quella che, anche se lui non lo sapeva ancora, sarebbe stata l’ultima volta.

 

 

 

 

 

 

«Lo so che ci credeva. Me lo aveva detto. Era convinta che un giorno ci saremmo rivisti, quando entrambi fossimo morti, e che allora vi avrei dovuto dare ragione.»
E Ashton rise, una risata sofferente, amara; il sorriso doloroso di chi si sente squarciare dentro, di chi sta così male da non riuscire a sentire nient’altro, e nonostante ciò è troppo abituato al dolore per farci davvero caso. Si avvicinò tremante al secondo cassetto della scrivania, ne estrasse i due biglietti che, in quel momento e nelle sue mani, sembravano scottare.
Ci sarei dovuto andare con te, Cherry. Ci saremmo dovuti andare insieme, e scusami se ti ho abbandonata, se ti ho lasciata andare, se ti ho delusa una volta di più. Scusami se non ti ho trattenuta, ma eri così piccola, amore mio, e le tue mani erano fredde e poi non mi guardavi, e ti giuro che vorrei poter tornare indietro nel tempo. Ci sarei dovuto essere io, lì, inerme su quella strada, non tu. Che tu avevi sedici anni, ed eri così fragile, e perché te ne sei andata?

Scusami se non sono mai stato forte abbastanza da dirti la verità.

Scusami se non ti ho detto di amarti quando ne avevo la possibilità. Perdonami gli errori continui, tutte le volte che ti ho fatta arrabbiare, perché credimi so di essere un disastro, ma quando ero con te mi sentivo almeno un po’ diverso. Un po’ migliore. Mi sembrava di poter ricominciare e di potermi sentire amato, e invece è finita prima di cominciare e adesso tu non ci sei, e fa male, Cherry.
Fa davvero male. Mi manchi.
C'è un luogo dentro me dove non arriva la luce del sole, ed è lì che tu vivrai. E' li che mi rivedrai.

Spero che un giorno ci rivedremo.
Spero che tu abbia avuto ragione una volta di più.”
Il ragazzo si voltò verso Luke, che lo osservava circospetto, quasi intimorito. Spaventato dai movimenti così scattanti di Ashton, sembravano adatti ad un robot, non ad un essere umano. Lo guardò con la cosa più simile ad un sorriso che le sue labbra riuscissero a creare, poi sospirò.
«Ti va di andare a Machu Picchu?»






#NdA
Hello everybody.
Non so neanche cosa ne sia uscito, da questa one-shot, se devo essere sincera. So che l'ho scritta di getto, oggi, tra sentimenti contrastanti e una tristezza di fondo che, però, non se n'è andata.
Molti mi dicevano che mi diverto a far soffrire i miei personaggi. Io sostengo che non è così, ma che nel mondo c'è la sofferenza, ce n'è davvero tanta, e la morte esiste ed io stessa l'ho sperimentata. Quindi questa storia è intrisa anche di ricordi personali, di un dolore che - forse - non è stato ancora smaltito del tutto. So che forse è scritta male, non corretta, ma non ce l'ho fatta a ricontrollarla perché, purtroppo, faceva davvero male.
Stavo pensando che potrei anche scriverci una mini, un giorno, se questa dovesse piacere.
Cercando di renderla un po' meno triste rispetto a questa accozzaglia di parole che vi presento qui.
Detto ciò, vi lascio il link della fanfiction che ho in corso su Ashton, se qualcuno avesse voglia di leggerla, e vi mando un abbraccio enorme.
Ida, x.

Blowing in the Wind - Ashton Irwin

 

 

   
 
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