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Autore: cryleshton    12/08/2016    3 recensioni
dal testo:
"Si erano mischiati le anime e le ossa fino ad annullarsi completamente, creando qualcosa di nuovo e potente; qualcosa di magico.
E da lì era stato solo amore puro, incondizionato, colorato."
Cockles!AU
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Forever Tonight
 


 
Jensen.” Gli occhi grandi puntati su di lui: gli sembrava d’esser giudicato, di dover dare spiegazioni senza un apparente motivo. “Tu mi ami?” il respiro spezzato da una lacrima sfuggita al controllo.
“Io...” come poteva rispondere ad una domanda del genere, se neanche lui lo sapeva con certezza? Come avrebbe mai potuto guardare quegli occhi scuri, quelle ciglia lunghe, e mentire? Se a lei o a se stesso ancora non gli era ben chiaro, ma avrebbe dovuto dire una bugia e non era sicuro di riuscirci. Una di quelle bugie bianche che si tirano fuori solo per non peggiorare la situazione, sia chiaro, ma pur sempre una menzogna. E lui odiava mentire, in modo spropositato.
Il silenzio li avvolgeva, penetrava la pelle, si insinuava sotto ai muscoli e arrivava fin dentro le ossa; li obbligava a tremare, seppur fuori ci fossero abbastanza gradi sopra lo zero da sudare sette camicie.
“Tu cosa, Jensen? Cosa? Rispondi e basta, ti prego.” Aveva allungato una mano incerta verso di lui ma l’aveva lasciata ricadere subito dopo, come sapesse già che non avrebbe risolto niente; la partita era conclusa e non esistevano vincitori. “Mi ami, allora?” cercava di spronarlo a dire la verità con quella domanda al presente, ma entrambi sapevano che sarebbe stata più corretta formulata al passato. Perché, in fondo, l’aveva mai davvero amata?
“Danneel, per favore. Non farmi questo.” Oppure sarebbe stato meglio scegliere parole come “ non fare questo a te stessa.”? La paura gli stava contorcendo lo stomaco, non lo lasciava respirare. Non voleva vederla crollare per colpa sua, guardarla mentre si sgretolava, mentre il mondo le cadeva addosso e non sapeva come tenerlo in piedi. Aveva paura di ammettere quello che entrambi sapevano da tempo ma che non avevano mai avuto il coraggio di pronunciare a voce alta, piena.
Era terrorizzato. Eppure doveva provarci. Per lei. Per se stesso. Per quei sentimenti forti e profondi che gli abitavano il cuore. Doveva essere coraggioso, mandare giù il nodo che aveva in gola e che gli impediva di parlare e affrontare il mondo a testa alta. D’altronde, non aveva nessuna colpa, no? Non si sceglie chi amare.
“Io...io lo sto facendo per te, Jay. Solo ed esclusivamente per te. Non importerebbe se la risposta fosse negativa, girerei i tacchi e guarderei avanti, senza mai voltarmi indietro. Potrei farlo davvero, ci riuscirei, credimi. Però...però, ti prego, non mentire anche a te stesso. Non farlo. Perché io so che...” un lampo di incertezza le aveva improvvisamente squarciato il volto e si era bloccata, le labbra strette in una linea sottilissima, come a trattenere un segreto doloroso, di quelli che ti strappano il cuore dal petto e non puoi raccontarli a nessuno. Di quelli cattivi e infami, che ti verrebbe voglia d’esser nato uragano per radere al suolo tutto e alleviare almeno un po’ il peso che porti sulle spalle. Di quelli dal gusto spiacevole, che puoi solo mandare giù e provare a dimenticarne il sapore amaro sul palato. Di quelli sfiancanti, che lo sai benissimo di non poterli sopportare, ma puntualmente ci provi perché l’amore è potente e vince sempre.
“Non credo tu sappia. Perché non lo so neanche io, non lo sa nessuno.” Si vergognava da morire, non riusciva a guardarla in faccia, teneva gli occhi fissi sulle punte dei piedi e i pugni stretti dentro le tasche dei jeans. “Stiamo pensando alla stessa cosa, ne sono sicuro, ma nessuno dei due ha il coraggio di-”
“Tu ami lui, non me.” Aveva sussurrato in un soffio di fiato lei. “Hai sempre amato lui.”
 
Misha guarda Jensen, guarda le dita che si muovono veloci sulle corde della chitarra, guarda gli occhi chiusi e le ciglia lunghe che accarezzano dolcemente gli zigomi, guarda il sorriso timido che gli colora il volto e la pelle abbronzata del petto e delle braccia che mette in risalto i capelli castani, e si sente al sicuro; quella è casa, per lui. Lo ascolta rapito mentre canta la loro canzone, quella che Jensen gli aveva dedicato all’improvviso, tra le lacrime, una sera di due anni prima. Se ne stava comodamente seduto sul divano a mangiare patatine – quelle alla paprika, le sue preferite – quel giorno e non credeva di vederlo fino al pomeriggio dopo; gli aveva detto che avrebbe passato la notte dalla sua fidanzata e lui ci era rimasto così male da volerlo chiamare di nuovo e urlargli contro che era la loro serata, che non ne avevano mancata mai una, che potevano non parlare per giorni, ma quello era un momento solo ed esclusivamente dedicato alla loro amicizia e lui lo stava sprecando per vedere una ragazza che conosceva da pochi mesi. E anche che gli faceva schifo quella situazione perché lo amava più della vita stessa dal primo giorno in cui si erano incontrati all’università e vederlo lontano come non era mai stato lo distruggeva dentro, gli strappava l’anima, e che prima o poi se ne sarebbe andato, che lo avrebbe lasciato, anche se aveva promesso di non farlo mai. Eppure non aveva detto niente di tutto quello, si era limitato a rannicchiarsi contro un angolo del divano a mangiare cibo spazzatura e a immaginarlo accanto a sé. Perché, anche se non c’era, il pensiero di Jensen e i suoi occhi verdi vicino a lui era meglio del nulla più totale.
Aveva visto tutta la trilogia de Il Cavaliere Oscuro, seppur non fossero tra i suoi film preferiti, e gli veniva solo da pensare che sarebbe stato bello avere il suo amico a fianco, a dire le battute ancora prima dei personaggi e a portarlo in braccio in camera, come un papà con il proprio figlio. E poi era finito a desiderare un bambino da Jensen, magari con gli occhi verdi e le lentiggini sul naso. Oppure completamente diverso, magari moro, magari adottato. Magari, si ripeteva, ma era un pensiero che doveva scacciare immediatamente, non sarebbe mai e poi mai accaduto, doveva rimanere un sogno. Chiuso a chiave nel cassetto segreto in fondo al suo cuore.
Invece Jensen era arrivato a casa, alle tre del mattino, e lui non se ne era neanche accorto. Non lo aveva sentito parcheggiare, non lo aveva sentito entrare, non lo aveva sentito camminare. Si era anche leggermente spaventato, quando una mano gli si era posata sulla spalla. Poi si era girato e aveva visto solo le lacrime, non riusciva a concentrarsi su nient’altro. Jensen, l’amore della sua vita, piangeva e non era in grado di fermarlo. Avrebbe voluto riempirlo di domande per sapere cosa fosse successo di tanto grave da scuoterlo, proprio lui che non piangeva mai, che si teneva tutto dentro fino a scoppiare. Era una delle cose che lo avevano colpito di più all’inizio, quella sua ostinazione nel reprimere le emozioni, nel far vedere agli altri solo la punta dell’iceberg. Lo affascinava, perché sembrava andare sempre tutto bene e poi un giorno, senza apparente motivo, veniva fuori uno tsunami di parole e pensieri, a volte anche sconnessi fra loro, ma tremendamente dettagliati e attenti. In quel momento, però, odiava il fatto che Jensen fosse fatto in quel modo. Lo odiava perché non sapeva. Non sapeva come muoversi e cosa dire, se fosse giusto parlare o abbracciarlo solamente. Di solito era Jensen che andava lui, si sedeva per terra o su una sedia e iniziava con i suoi monologhi infiniti, a volte urlava, altre invece sussurrava. E il compito di Misha, il più delle volte, era quello di rimanere in silenzio, ammirarlo scoprirsi di tutte le maschere ed essere grato a Dio per averlo regalato proprio a lui. Gli capitava anche di dargli consigli su consigli, di rimanere sveglio la notte ad ascoltarlo e di farlo dormire nella sua stanza per non lasciarlo solo. Era così il loro rapporto: strambo e, per certi versi, anomalo.
Quella sera Jensen non parlava, si limitava a stringergli i polsi talmente forte da avere le nocche delle mani bianche e a singhiozzare. Vederlo in quello stato, così distrutto, per Misha era pura agonia, gli toglieva ogni forza vitale, lo faceva sentire una nullità.
Erano rimasti in quella posizione per minuti e minuti e ancora minuti, con il chiacchiericcio del televisore in sottofondo, e poi all’improvviso un “dopotutto sei tu la mia ancora di salvezza” era uscito faticosamente dalle labbra del suo Jensen. Aveva alzato lo sguardo e il verde chiarissimo delle iridi continuava a brillare nonostante gli occhi gonfi e rossi. Era bello, tremendamente bello, e così vulnerabile da far male, da spezzare il respiro. Lo fissava incessantemente, ancora scosso dai singhiozzi, e cantava, cantava quella canzone con la voce ancora più roca del normale, bassa e profonda. I brividi di entrambi si erano mescolati quando, senza pensarci, Misha gli si era rannicchiato contro, infilando il naso nell’incavo del collo e abbracciandolo più forte che poteva. Poi era diventato tutto confuso, le labbra di Jensen sulle sue, le mani tremanti a sfiorare la pelle nuda, i respiri affannati e occhi verdi dentro a occhi blu. Si erano mischiati le anime e le ossa fino ad annullarsi completamente, creando qualcosa di nuovo e potente; qualcosa di magico.
E da lì era stato solo amore puro, incondizionato, colorato.
 
“Vai da lui, Jensen.” Gli aveva sussurrato Danneel sciogliendo l’abbraccio. Il calore di lei era stato immediatamente sostituito da un freddo quasi glaciale, prepotente; si sentiva vuoto per la prima vera volta in vita sua. Eppure sapeva di aver fatto la cosa giusta, di essere libero e non dover più mentire a se stesso e agli altri. Poteva essere chi voleva perché lo voleva, aveva deciso di farlo. Ed era grato solo ed esclusivamente alla donna davanti a lui, la donna che gli aveva donato tutta l’anima, nonostante i pochi mesi di conoscenza. Perché per compiere un gesto del genere, per essere così altruisti, devi amarla davvero una persona. E Danneel lo aveva amato con tutta se stessa dal primo istante, da quando i loro occhi si erano incrociati – e mai più staccati –  parecchie sere prima. E anche lui provava lo stesso sentimento, ma in maniera totalmente diversa. Il suo cuore era già occupato, da parecchi anni, e avrebbe voluto capirlo prima per guardarla e dirle la verità senza farla soffrire in quel modo. Perché, se c’era una cosa che Jensen odiava più delle menzogne, era proprio fare del male alle persone più importanti della sua vita. E con pochi mesi ne aveva ferite già due.
“E se lui non mi volesse, se le tue ipotesi fossero sbagliate, se avesse già qualcuno per la testa?” le parole erano uscite di getto, tutte d’un fiato. Al solo pensiero, il respiro veniva meno. Quello era un salto nel buio, non aveva nessuna certezza, lui avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa per Misha, ma quest’ultimo avrebbe fatto lo stesso? Questo non lo sapeva. E non sapere lo spaventava a morte. Perché lui aveva sempre bisogno di conferme, di sentirselo dire che qualcuno lo amava, il mistero non faceva per lui.
Aveva iniziato a tremare, di nuovo, e le lacrime erano tornate a rigargli le guance e a farlo sentire una nullità. Non aveva mai pianto così tanto, non in una sola sera almeno. Si sentiva spossato, i brividi di freddo gli percorrevano la spina dorsale e le gambe erano molli; non credeva di potercela fare. Non ce l’avrebbe fatto, ne era certo.
“Nel suo cuore ci sei solo tu, credimi. Ho visto come ti guarda, sai?” la voce debole. “Avete la stessa luce negli occhi quando siete insieme. E tu lo ami, no?” aveva provato ad accennare un sorriso allegro, ma di felice non aveva niente. In cambio, lui aveva annuito senza guardarla negli occhi e l’aveva abbracciata ancora, sussurrandole all’orecchio che le voleva bene e che le era grato per la vita; che era il suo piccolo angelo. Poi se n’era andato, le aveva dato le spalle e si era voltato indietro solo per vederla tirare su con il naso per la milionesima volta. Era bella, di quella bellezza che ti avvolge e ti fa sentire al sicuro, benvoluto, amato e accettato. E Jensen si era sentito tutto quello e molto di più in quei pochi mesi, ma non era abbastanza. Lui amava la positività di Misha, quell’aura di perenne gioia che lo circondava ad ogni ora del giorno; amava la colazione che gli lasciava tutte le mattine sul tavolo, prima di andare a lavoro o, nei primi anni di convivenza, all’università; amava il modo in cui si rannicchiava sul divano ogni venerdì sera mentre guardavano un film e amava anche doverlo svegliare e trascinare in camera una volta finito. Ma più di tutto, Jensen amava gli occhi di Misha – il blu intenso che li colorava di notte, quando erano nella penombra della sua stanza e parlavano di qualunque cosa, purché stessero altro tempo insieme. Il blu acceso delle giornate serene, quelle passate al parco a non fare niente e a ridere di gusto. Il blu chiaro, quasi azzurro, che li illuminava quando, puntualmente, il sole li baciava. Per Jensen, gli occhi di Misha erano come stelle comete che gli indicavano la via e non poteva non amarvi; erano casa.
Durante il tragitto, la voglia di tornare indietro e non affrontare la situazione provava a far capolino da dietro la spessa nube di confusione e angoscia che lo avvolgeva e soffocava da parecchie ore ormai. Milioni di immagini e pensieri gli appannavano la vista: Misha sorridente dopo la tesi di laurea, Misha sdraiato sul divano a vedere la sua serie tv preferita, Misha accucciato in un angolo del salone con un libro in mano, Misha addormentato con la testa sulla sua spalla, Misha appena sveglio con gli occhi semiaperti e le labbra gonfie. E poi Misha deluso, Misha triste, Misha preoccupato, Misha arrabbiato, Misha, Misha, Misha. C’era solo Misha davanti a lui e non riusciva neanche più a vedere la strada.
O, forse, era colpa delle lacrime che non smettevano di scendere e infastidirlo. Si sentiva come se dovesse sfogare anni e anni e anni di sentimenti repressi, come se la diga si fosse improvvisamente distrutta e non sapesse come fermare il fiume in piena. Eppure aveva creduto di stare bene fino a quel momento, ne era sicuro, ci avrebbe messo la mano sul fuoco. E si sarebbe scottato non solo il palmo, ma tutto il braccio e anche oltre. Non aveva mai provato una paura simile, un terrore così acuto e invadente, un nodo alla gola talmente stretto da non riuscire a deglutire. Era spaventato dall’idea di essere rifiutato, di sentirsi dire che era solo un amico e niente di più, di ritrovarsi la dura verità sbattuta in faccia come se niente fosse. Perché non avrebbe mai più potuto guardare Misha senza ripensare a quelle parole, alle sue espressioni e ai suoi gesti, tutto avrebbe fatto un male cane e lui si sarebbe chiuso in se stesso. Avrebbe sicuramente deciso di traslocare, di non vederlo più, perché, anche se il pensiero di stargli lontano lo faceva soffrire, il saperlo distante emotivamente era devastante, gli rendeva le ginocchia deboli e le mani tremolanti. Non avrebbe sopportato quell’amicizia, mai e poi mai, ora che era finalmente riuscito ad ammettere ad alta voce i suoi sentimenti, forti e potenti. Sarebbe morto un po’ dentro ad ogni respiro e non doveva essere quella la sua vita. Perché si amava, dopotutto. Forse un po’ meno di quanto amasse Misha, ma anche lui ne valeva la pena. E se non fosse andata come desiderava, avrebbe sventolato bandiera bianca e si sarebbe fatto da parte, lo avrebbe lasciato in pace a vivere la sua vita e splendere di luce proprio. E gli avrebbe promesso che lo avrebbe ricordato sempre con un sorriso sulle labbra, ché persone come lui sono un dono dal cielo e lui ne era profondamente grato. Ne sarebbe stato grato per l’eternità.
“Ce la puoi fare.” Cercava di ripetersi, guardando la sua immagine riflesso nello specchietto retrovisore. Aveva un aspetto improponibile: i capelli arruffati, le labbra gonfie e screpolate, secche di pianto, gli occhi e il naso rossi come il fuoco, le occhiaie profonde e nere di chi non dorme bene da giorni, forse settimane. Ma quello che lo spaventava di più non era quello che Misha avrebbe potuto guardare, lo aveva visto in situazioni peggiori. A Jensen preoccupavano le mani tremolanti e il respiro spezzato, la schiena curva e l’espressione distrutta che gli caratterizzava il volto. Perché lui era sempre stato un tipo tutto d’un pezzo, che non si faceva piegare da nulla e le emozioni le teneva per sé. In quel momento, invece, si sentiva vulnerabile e questo lo terrorizzava, forse più del resto. Sarebbe riuscito a raccogliere i pezzi da solo, se fosse finito tutto? O l’avrebbe aiutato il suo Misha, con amore e pazienza?
I dubbi lo divoravano ed era sempre meno convinto di voler continuare a camminare, di arrivargli alle spalle e sorprenderlo, magari abbracciandolo, magari sorridendogli anche se era difficile. Eppure le gambe andavano da sole, passo dopo passo si avvicinavano all’obiettivo e non sembravano avere ripensamenti, lo guidavano e lui non poteva fare a meno di seguirle. Erano mosse dal cuore e il suo avrebbe spostato anche le montagne, se solo avesse avuto braccia abbastanza allenate.
Lo vedeva, rannicchiato come al solito in un angolo del divano, e avrebbe davvero provato a ridere, se solo le lacrime e la tachicardia glielo avessero permesso. Era così Misha, occupare troppo spazio non faceva per lui ed era una cosa che piaceva a Jensen, completava il suo bisogno di essere invadente.
Aveva tirato un sospiro, anche abbastanza rumoroso, e si era avvicinato di un altro passo, il giusto per toccargli la spalla e farlo voltare. Era stato tutto confuso da quel momento in poi, era solo sicuro di aver visto il blu di quegli occhi che lo avevano fatto innamorare e si era sentito protetto, profondamente se stesso.
 
Misha esce dal bagno a petto nudo e trova Jensen seduto sul letto, il  loro letto, che lo guarda e sorride, gli rivolge un’espressione dolce e amorevole, e non sa se se ne stia rendendo davvero conto. Lui è così, ha il volto e gli occhi che parlano senza nessun consenso e il più delle volte Misha non glielo fa notare perché ama ammirarlo per ore e ore di nascosto, gli piace vedere come il suo viso cambi e perda la durezza dei lineamenti squadrati quando sono insieme. Lo incanta con la sola forza dello sguardo, senza proferire parola.
Misha lo fissa di rimando, incatena i suoi occhi a quelli di Jensen e si avvicina a lui, con passo lento ma deciso. Quando gli infila le mani nei capelli, lo sente sospirare e gli scappa una risata rumorosa.
“I capelli, il tuo punto debole.” Gli lascia un bacio casto sulla fronte e si avvia verso l’armadio. “Quando smetterà di farti questo effetto?”
“Mai, lo sai.” Risponde Jensen e sa che sta dicendo la verità, è una delle poche certezze che ha. L’unica cosa che lo tiene ancora al terreno, che lo fa sentire vivo ed essenziale, è l’effetto che ha su di lui, il modo in cui Jensen si piega sotto le sue mani, come fosse creta da modellare. Basta un tocco, anche leggero, e si scioglie per opera sua.
Si volta e lo guarda ancora, stavolta sorridendogli, e pensa che non si stancherebbe mai di quella vista. Pensa che vorrebbe baciarle sempre quelle labbra perfette, che vorrebbe perdersi ogni secondo della sua vita in quegli occhi verdi e curiosi, attenti anche a minuscoli dettagli quasi insignificanti. Poi pensa che potrebbe rimanere fermo in quella posizione per ore e sembrare un dipinto, magari di Giotto, o una scultura, magari di Michelangelo. Pensa che dovrebbe essere esposto al Louvre da quanto è bello, ma cambia immediatamente idea perché no, Jensen è solo suo e ne è geloso. E’ la forma d’arte che preferisce e non intende condividerla con il mondo. “Quindi, stasera è il tuo turno. Che film vediamo?”
“Tu quale vuoi vedere?” Jensen inclina la testa da un lato e fa spallucce, come a sottolineare che per lui va bene qualsiasi cosa purché siano insieme.
“Tanto lo so che a metà mi addormenterei comunque, quindi non è che me ne importi molto.” Scoppiano a ridere entrambi e Misha lo prende per mano, trascinandolo in salone. “Tu rimani qui, che poi devo dirti una cosa.” L’espressione perplessa di Jensen gli stringe il cuore, gli fa perdere un battito. Perché quello che sta per raccontargli è un pezzo di loro che conosceva solo lui fino a quel momento. Ne è sempre stato geloso in modo ossessivo, non l’ha mai confidato a qualcuno, come se dirlo a voce alta avesse potuto far scoppiare la bolla di assoluta felicità in cui vivevano. “Questo, voglio vedere questo.” Gli sussurra nell’orecchio sedendosi al suo fianco e porgendogli il terzo capitolo della trilogia de Il Cavaliere Oscuro. “E sai perché?”
“No, ma non so se voglio saperlo.” Scherza Jensen, con un lampo di terrore negli occhi.
“Invece te lo dico.” Gli fa la linguaccia e prova a rilassarlo. “Voglio vedere questo perché quando, quella sera, sei tornato da me con le lacrime agli occhi, avevo appena finito di guardarlo. Avevo scelto questo, due anni fa, sapendo che è uno dei tuoi film preferiti e che tu non saresti stato lì con me, non avresti potuto ripetermi le battute nell’orecchio. Ero solo, ma vedere qualcosa di tuo ti rendeva più vicino e presente.” Un sospiro da parte di entrambi. Le mani di Jensen strette a pugno lungo le cosce. Le nocche diventate bianche. “E ora è diventato il mio portafortuna. Tu non lo sai, ma quando sento che qualcosa potrebbe andare male, tra noi, a lavoro, nella mia famiglia, premo play e tutto sembra migliore. Perché quella sera sei arrivato e mi hai reso un uomo felice, sicuro e consapevole. Consapevole di quanto la vita sia più bella con te al mio fianco, a darmi forza e a farmi sentire a casa. Non te l’ho mai detto, mai in tutti questi anni, pensa che stupido, ma potrei essere ovunque con te e non mi importerebbe del resto. Ci sei tu e poi tutto il mondo.” Il sorriso luminoso di chi è in pace con se stesso dipinto sul volto di Jensen.
“Amore mio.” Sussurra piano, con la voce roca e profonda, e il cuore di Misha fa una capriola. O forse due, anche tre. “Stasera guardiamo quello. E guai a te se ti addormenti.”
 
 
A love
that’s
sweeter
than sunshine

and more
pleasing
than
moonlight.
   
 
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