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Autore: Windter    27/04/2009    2 recensioni
[Maria-Sama Ga Miteru - Youko x Sei]
Attenzione: spoiler su "La Foresta di Spine", Shoujo-Ai.
C'è una ragazza che si aggira, annoiata da tutto e tutti, nei giardini dell'Istituto Lillian.
Il suo nome è Satou Sei. Ed anche se nessuno se lo potrebbe attendere, è il demone biondo destinato a sconvolgere l'esistenza dell'integerrima Mizuno Youko.
Rosa Chinensis en Bouton, per la prima volta nella vita, si ritrova a dover far fronte ad un sentimento che sembra capace di schiacciare la sua razionalità ed il suo senso del dovere. Costretta fra nuove ossessioni e desideri repressi, fra i doveri e i "no" del suo cuore, dovrà imparare a convivere con gli strani ritmi della vita di Sei. Oppure arrendersi e lasciarla volare via, lontano da sè.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Riflessi - Abitudini Antiche

[ Riflessi - Youko x Sei ]


XII

Abitudini Antiche



Le parole sono importanti. Attraverso di esse è possibile plasmare il mondo.
Importante conoscerle. Importante saperle impiegare con maestria, soppesando l'esatto significato di ognuna di esse per utilizzarle con il giusto ritmo affinché non siano mai troppo leggere o pesanti, mai inadeguate.
Le parole possono lambire e sedurre, distruggere e costruire. Cambiando le società, attraversando le ere.
Serbano in sè il potere del divino, e per questo sono immortali.

Quando avevo visto quella rosa, e compreso cosa Sachiko realmente intendesse dirmi, all'istante avrei voluto sentirmi avvolgere da un rassicurante mantello bianco e sordo che, come una mano, mi stringesse al suo interno e mi nascondesse alla vista del mondo, in un'alcova ovattata e protetta, trascinandomi via nel suo silenzio.
Quel momento e la consapevolezza del suo sguardo che si alzava, piano, su di me fu invece come il veemente schiantarsi di onde sul legno di una nave in balìa della tempesta. Un tuono a squarciare la notte, una scarica violenta d'imbarazzo - acqua da respirare, acqua in cui soffocare.
Imbarazzo furibondo, e nulla più.


Non potevo accettare che venisse svelato, con tale semplicità, un tassello così vitale. La mia carne viva, il mio cuore pulsante rosso di sangue esposto al cupido sguardo del mondo... no. Ogni fibra del mio essere ruggiva di sdegno all'idea di esser stata deliberatamente aggredita ed umiliata, per nessun motivo in particolare. Messa alla berlina, esposta come uno straccio al sole della domenica pomeriggio per la sola soddisfazione di una Sachiko troppo curiosa per i miei gusti e per il suo stesso bene.

Quel che mi colpì come un pugno, in profondità, fu il realizzare che non ero veramente irritata. Anzi per la prima volta mi resi conto che provavo imbarazzo per la mia petite soeur, e la cosa mi lasciò stupefatta. Covavo uno spazio vuoto nel centro del petto ed in quel bianco infinito, circondato dalle alte mura del mio turbamento, vagava irrequieto lo spettro della mia imotou. Cosa aveva fatto!
E non saprei dire perché, ma in quegli istanti, nascosto dietro le ombre che erano accorse per banchettare della stupefatta gioia di solo pochi istanti prima, mentre fissavo la figura inconsapevole di Sachiko riconobbi a tentoni in me i contorni di un vuoto ancora più grande. Un mostro sopito, dagli occhi rosso sangue; una bestia famelica e raccapricciante che nella sua deformità, in qualche maniera, mi attraeva.

Non potevo pensare in alcun modo che quella curiosità fosse normale. Eppure, sebbene non sappia spiegarlo, sono sicura di quel che provai nel momento in cui, trattenendo il fiato, cedetti ed osai spingerei il pensiero poco più in là, ad afferrare l'idea di osservare quella situazione attraverso gli occhi di Sachiko; in quegli attimi farneticanti, immaginando di trovarmi nei suoi panni, mancò poco che l'imbarazzo mi sbranasse viva.

Allora, ancor prima di uscire dalla serra, decisi che non avrei potuto punire la mia petite soeur più crudelmente di quanto già non avesse fatto da sè.



***



Mai le vacanze di fine anno parvero tanto brevi. Quando oltrepassai di nuovo il cancello del Lillian, aprile aveva già spalancato le sue braccia alla primavera ed un tappeto di petali di ciliegio tratteggiava la via verso un nuovo anno scolastico, solcato dai passi leggeri di sparute nuove iscritte che ancora ignoravano chi fossi. Ogni cosa era squisitamente tranquilla, nessun "Youko-sama" di qua o di là. Se non per questo, avrei detto che non fosse passato nemmeno un istante da quando avevo lasciato l'Istituto l'ultima volta, ormai quasi un mese prima.

Dopo essermi chiusa la porta della serra alle spalle, e con essa i cancelli del Lillian, le settimane trascorse in vacanza mi avevano vista a Yokohama, presso la famiglia di mio padre. L'idea di quella trasferta non mi aveva entusiasmato fin dal primo istante, di per sè, ma avevo avuto le mie buone ragioni per partecipare. Sapevo che mio zio, un importante avvocato, sarebbe stato presente. E considerato il fatto che covavo l'idea di iscrivermi a Giurisprudenza, una volta diplomatami, ero sicura che quella conoscenza in futuro sarebbe risultata comoda.

A tempo perso, inoltre, avevo sperato che allontanarmi un po' mi avrebbe aiutata a distendere la mente ed a distrarmi. Naturalmente non era accaduto nulla di simile. Nonostante l'interesse profuso ed il tempo impiegato nell'accattivarmi l'ammirazione di quel mio zio, non ero veramente mai riuscita ad allontanarmi del tutto dal Lillian. La serenità che avevo provato in quei rari istanti, nella serra, si era fatta presto un mero ricordo sepolto nel passato che tendeva a ritornare, beffardo, per schiaffeggiarmi con onde residue d'imbarazzo ed avversione quando meno me l'aspettassi. Un istante prima di dormire, fissando la luce filtrare dalle imposte. Al ristorante, mentre uno zelante cameriere versava del vino ad un commensale. Al porto, osservando le navi muoversi lente nella baia. Sprazzi della brutta figura della mia petite soeur rivivevano in luoghi impensati.
Avevo trascorso, insomma, giorni convulsi e ricchi d'impegni cercando a intervalli regolari di ricacciare giù quella sensazione d'inquietudine che, da quando era finita la scuola, continuava a tentare di risalire a galla.

Nonostante tutto, l'idea di aver lasciato in quel modo Sachiko mi pesava non poco. E l'idea che tutto ciò fosse legato a te e al fatto di non essere riuscita, per l'ennesima volta, ad affrontare il nostro problema - che rimaneva lì, granitico ed immutabile, impossibile da aggirare o da abbattere in alcuna maniera, fastidiosamente oltre le mie limitate forze mortali - non faceva che rendere il tutto ancor meno digeribile.


In quel momento, mentre con senso di cupa anticipazione sfilavo tra gli alberi, mi trovai a considerare che no, davvero non sembrava passato nemmeno un istante. Maria-Sama era sempre là in fondo, immobile e minacciosa. Incombendo con il suo severo e silenzioso rigore su di me che, passo dopo passo, mi avvicinavo.

"Lo so. Non dovrei prenderla così", mormorai pensando alla Casa delle Rose, e al tuo profilo confuso tra le tende. Invece che affrontarti ancora, e dare di nuovo vita a quella nostra grande, eterna sfida, questa volta avrei dato qualsiasi cosa pur di scappare. In quel momento in cui tutto, ancora una volta, ricominciava, mi sentivo più stanca e sfiduciata che mai.

Poi una ragazza mi si affiancò, iniziando a pregare. E nel timore potesse avermi sentito parlare mi affrettai verso la mia classe.



***



Lo Yamayurikai era avvolto da un'aria di febbrile operosità.
Eriko, incredibilmente, era arrivata prima di me e stava già vagliando i piani delle attività annuali dei club, che come ogni anno erano già state presentate all'attenzione del Concilio Studentesco, per approvazione. Era sempre stata la mia Onee-sama ad occuparsi di quel compito, ed osservando la mia amica intenta in quel compito sentii per la prima volta la nitida sensazione della sua lontananza.
Rei mordicchiava una matita. Un inusuale calo di eleganza, che indicava sicuramente tensione. Probabilmente anche lei in quel momento, come me, iniziava a rendersi conto di cosa volesse dire dover essere pronte a svolgere quel lavoro mentre, seduta di fianco a Rosa Foetida, prendeva nota delle sovrapposizioni che man mano venivano a galla.

Di Sachiko non c'era l'ombra. Mi chiusi la porta alle spalle salutando e lanciai un'occhiata colpevole alla finestra, dove la tua assenza feriva i miei occhi più del sole che filtrava ovattato attraverso le tende. Perché non c'eri?


"Gokigenyou, Rosa Chinensis".


Una voce squillante incrinò i miei pensieri, e solo in quel momento notai la presenza di qualcuno che decisamente non mi aspettavo avrei trovato lì.

Shimazu Yoshino-chan, in piedi vicino al bollitore, era inchinata in mia direzione con le mani distese lungo i fianchi e due lunghe trecce scure a ricaderle lungo il petto. Una ragazza di buona famiglia. Osservai Rei, di sottecchi; di certo non aveva perso tempo. E tanto bastò a riaccendere una scintilla di speranza nelle profondità di quel mare di amarezza nel quale avevo sguazzato per tutta la mattina. Un anno nuovo si stava aprendo, con tutte le sue speranze e le sue possibilità. In qualche modo, anche se non sapevo come, saremmo uscite dalle conseguenze di tutto quel che era accaduto.

Stavo considerando tutto ciò quando tu spalancasti la porta, entrando impetuosamente con quel tuo esplosivo "Gokigenyou". Avresti veramente fatto tremare i vetri, come avevo pensato tante volte in passato, se non l'avesse già fatto il violento sbattere dell'uscio contro il muro.
Guardandoti mentre incassavi di scatto la testa nelle spalle, come se volessi attutire quell'inevitabile colpo, mi riscoprii a sorridere con inatteso sollievo. Il tuo solito ritardo. La tua solita zazzera bionda, il tuo solito baccano, il tuo solito sorriso. Come se non fosse cambiato mai nulla. Come il più bel premio, dopo tanta angoscia.
Forse, mi dissi, non sarebbe stata dura come avevo immaginato inizialmente. Probabilmente, mi dissi, quello che si apriva si sarebbe dopotutto rivelato un anno interessante.

Non potei reprimere un nuovo sorriso quando, con assoluta naturalezza, tu occupasti il mio posto accanto alla finestra, riempiendo con la tua sagoma quell'angolo di mondo. E tutto sembrò completo; come se fosse l'unica cosa possibile, quella giusta, il pezzo mancante.

E in quel momento, ogni cosa sembrò quadrare.


Yoshino-chan preparò il the e lo offrì a noi tutte, con l'entusiasmo di chi si trovi in una situazione nuova ed eccitante. Non era un'esperta, lo si vedeva dai gesti insicuri e forse un po' imbarazzati, ma il risultato fu, lo stesso, eccellente.
Quando ti passò a fianco per porgerti la tua tazza, sfiorando appena le tende ricamate, un po' invidiai quella sua ingenuità che le consentiva di avvicinartisi con assoluta tranquillità, come se tu non fossi nessuno di speciale; nessuno di importante.
Quando però poi tu sollevasti lo sguardo su di me, e mi sorridesti - un sorriso tutto mio, solo per me, assolutamente esclusivo - il coltello che avevo quasi dimenticato di avere piantato nel cuore si smosse un po', e sanguinando di gioia capii che non avevo nulla da invidiare alla giovane cugina di Rei.

Mi permisi di affondare nella felicità di quei momenti e, inspirando il forte odore del the, mi costrinsi a distogliere lo sguardo, per evitare di arrossire.


Trascorremmo un'ora, o forse due, esaminando le sovrapposizioni degli orari dei club e le loro richieste di aule e palestre, sospinte dalla curiosa presenza di Yoshino-chan, che sembrava entusiasta di ogni cosa.

Sachiko non si faceva viva, ed io diventavo sempre più nervosa. Voleva forse farmela pagare, facendomi così pesare la sua assenza? Concluso il lavoro passammo al punto seguente, ed io mi alzai in piedi per presentare al Concilio Studentesco il programma che la Direttrice mi aveva affidato quella mattina stessa, a termine delle lezioni, per la Cerimonia d'Ingresso. Nessuna traccia della mia imotou. Lanciando un'occhiata alla finestra, per una volta dedicata ad una ricerca di diversa natura, mi augurai in cuor mio di starmi sbagliando. Ma quando voltai nuovamente lo sguardo ed incrociai i tuoi occhi all'improvviso mi sembrò di dimenticare ogni cosa.

Parlai a lungo del progetto, cercando di spiegare tutti i suoi dettagli e rispondendo alle mille domande di Rei, che sembrava avere perplessità su ogni cosa, come se non avesse partecipato alla cerimonia dell'anno precedente. Chiarii che sì, vi avrebbero partecipato tutte le nuove iscritte - compresa la cugina di Rei che nel frattempo se n'era andata, considerato quel che dovevamo discutere - che avrebbero ricevuto entro metà settimana un invito personalizzato, e annunciai che secondo il volere della Direttrice il tutto si sarebbe svolto la settimana successiva, di lunedì.
Ci soffermammo a lungo sulle linee del discorso che avremmo fatto alle nuove iscritte ed il ruolo che ognuna di noi avrebbe rivestito nell'organizzazione, ma mentre si parlava di cosa e di come mi accorsi con sollievo di quanto fosse piacevole discutere tutte quante insieme. Tu, con le tue domande e le tue ingenuità. Eriko, con la sua quasi eterea presenza. Rei, con tutta la sua concretezza e le sue buone intenzioni. Ce l'avremmo fatta, sicuramente. E saremmo state degne di chi era venuto prima di noi, tenendo alto il nome dello Yamayurikai.

In tutto questo, dopo mesi assaporai anche lo strano sapore del ritrovarti. Osservare dal vivo i tuoi movimenti, che per lungo tempo avevano vissuto solo nella mia fantasia, dava alla tua presenza un senso quasi di irrealtà. Era strano e piacevole: come trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo e sconosciuto, eppure assolutamente familiare. Occhiate capaci di stupirmi, movimenti inattesi che non avrei mai immaginato. Eri viva, ed io ti sentivo. Viva come non avresti mai potuto essere nelle mie limitate fantasie, viva e vivida, reale, presente come mai eri stata prima.

Ritrovarti era come riscoprirti e svelare ricordi appannati dal tempo, pronti a danzare al suono della tua voce. Nota dopo nota, bastò tanto poco perché in me si risvegliasse quell'armonia di sentimenti che, in un modo o nell'altro, avevo cercato di reprimere ad ogni costo, e speravo si fossero nel tempo sedimentati.


Fu anche per questo, forse, che non mi accontentai di così poco. Guardarti sparire al di là di quella porta senza nemmeno poterti fermare con una scusa ed invitarti a stare ancora un po' con me con un pretesto qualsiasi, dato che Rei era ancora in quella stanza, non mi poteva bastare. Assaggiato ormai il dolce, ne volevo ancora una fetta. E cosa c'era di male, dopotutto, se per una volta mi fossi permessa di cedere a quel languore ed inseguirti, almeno con la mente, fin quando possibile?

La porta si chiuse, inesorabilmente, alle tue spalle, mentre Rosa Foetida en Bouton lavava le tazzine che avevano ospitato il the di sua cugina. Non era possibile instaurare un dialogo, in quella situazione. Approfittai dell'insperata fortuna e, ignorando con fermezza una voce che dentro me si lamentava, accusandomi di starti già nuovamente cedendo per così poco, mi avvicinai alle finestre, insinuandomi fra le tende e riprendendo il posto che era stato mio, di diritto, per così tanti mesi di dolore.


Quei tempi erano passati, certo. Avevano lasciato ricordi che, ancora, vorticavano pesanti e avrebbero tardato ad andarsene, lo sapevo. Le cicatrici erano ancora fresche; l'impronta nera della sofferenza ancora presente, ancora molto vicina. Eppure, da qualche parte dentro di me aleggiava una piccola piuma bianca, splendente, in balìa dei venti travolgenti del mio cuore. Una piccola scintilla di speranza che, dopo aver attraversato tempeste e piogge a dirotto, iniziava forse a prendere le prime correnti ascendenti, e a salire piano, incerta, verso i vasti cieli incrinati della mia anima.

C'era paura, in me. C'era titubanza.

Da una parte, quelle crepe erano vistose. Il male di cui avevo sofferto mi aveva condotta quasi alla follia, all'autodistruzione. Mi aveva presa, mi aveva lanciata per aria, mi aveva stracciata in mille pezzi e poi mi aveva abbandonata al suolo come un vestito stracciato, stremata a tal punto da non essere più nemmeno capace di reagire. Mi aveva annichilita.

Dall'altra quella piccola, assurda speranza esisteva, e ciò era assolutamente innegabile. Anche nel momento più buio, ne ero sicura, a quel punto non sarei mai più riuscita a cancellarla. Avevo attraversato le più terrificanti ed oscure profondità del mio essere, mi ero ferita, mi ero sfibrata. Ero arrivata a dimenticare chi fossi mai stata e a perdere la cognizione del mondo, del tempo e di me stessa. Eppure, senza sapere nemmeno come, una forza ancestrale era sgorgata in me nel momento in cui avevo creduto che la fine fosse veramente giunta, e l'ultimo momento ormai scoccato. Quando mi ero riscoperta senza più fiato, e senza più la forza di respirare, un soffio tra le mie labbra mi aveva ridato vita. Un miracolo, un dono inestimabile, la capacità di sopravvivere. Tu.
Finché tu avessi avuto un posto nella mia vita, insomma, finché fossi stata sicura di poterti trovare da qualche parte, vicino o lontano, e di poter sentire la tua voce, sapevo che quella brillante goccia di fiducia non sarebbe sparita. E con essa, niente avrebbe potuto schiacciarmi mai del tutto.

Così, tu eri la mia forza e la mia debolezza, la fonte delle mie più terribili paure - morire, morire di te, Sei - e quella delle mie più solide sicurezze.
Finché tu fossi esistita, la mia speranza non avrebbe avuto fine.
Ed in questo modo i miei sentimenti, stretti nel ricordo di un ciuffo biondo fra le mie dita, sarebbero sopravvissuti.

La mia paura di te non era mai tramontata. Si era fatta più forte, anzi, tanto più male eri riuscita a farmi.
Però quella piccola piuma in me non era più ignorabile, e niente più - nemmeno tu, Sei - sarebbe riuscito a schiacciare il suo volo esitante. Verso cieli di pietra spezzata, levandosi dalle macerie che avevi lasciato dopo il tuo passaggio sul terreno brullo del mio cuore, cantava di una forza più grande del terrore, più forte della morte.
Cantava l'amore, che come uno scudo di fuoco si lascia ferire, ardendo, ma indomito non recede affrontando con coraggio - o follia? - la sua guerra.

Mi affacciai senza remore allo specchio dei miei desideri, e il vetro splendente della finestra mi premiò con la visione della tua figura, solitaria, che si allontanava lungo il vialetto.

Trattenni il fiato, come se potessi ancora respirare il profumo dei tuoi capelli.

Ed in quel momento si spalancò la porta.



Si può dire che Sachiko mi colse in flagrante. Non avrei mai potuto ragionevolmente negare in alcun modo di starti guardando dalla finestra; vi eravate incontrate sulle scale, per forza di cose. Calcolai rapidamente tutte le eventuali possibilità. C'era Rei, percui non mi avrebbe mai fatto domande esplicite e dirette. Inoltre, dopo l'ultima volta doveva sicuramente aver riflettuto molto, e se conoscevo Sachiko non si sarebbe mai permessa di ripetere l'esperienza, tantomeno durante il nostro primo incontro dopo quell'increscioso discorso.
Se ciò non fosse bastato di per sè, la mia petite soeur era in ritardo per la riunione, abbastanza almeno da averla del tutto saltata. Considerai che probabilmente l'aveva fatto apposta, e decisi di tenere in conto l'evenienza nel caso Rei si fosse congedata rapidamente. Nel caso avrei potuto aggredirla, sicura che una sola parola sul suo ritardo l'avrebbe inchiodata al muro impedendole di criticarmi su qualsiasi altra cosa.
Perché porsi in una situazione così svantaggiosa? Doveva per forza star macchinando qualcosa. Ma, non sapendo prevedere con precisione cosa, mi limitai a impugnare la sicurezza dell'idea che qualsiasi cosa fosse accaduta non avrebbe potuto attaccarmi in alcun modo. E mi preparai ad affrontarla.

Forse ero ancora troppo agitata da quella volta, perché Sachiko si comportò con totale tranquillità, con maniere assolutamente nella norma. Salutò con la consueta eleganza, scusandosi per l'assenza durante la nostra riunione. Chiese informazioni riguardo quel che si era deciso, ed approfittai della situazione per chiederle di suonare il pianoforte durante la cerimonia che stavamo preparando. Un piccolo passo avanti, una mano leggermente tesa verso di lei.

Come mi aspettavo avrebbe fatto, accettò con entusiasmo. Di più, durante tutto il discorso non diede mai l'impressione di aver notato quel che stavo facendo poco prima, né di aver lasciato qualcosa in sospeso dal nostro ultimo incontro. Fu come se nulla fosse mai esistito; non accennò a riprendere il discorso che era rimasto a metà quando me n'ero andata, lasciandola da sola nella serra, ed io feci altrettanto.
Seguendo le mie regole, questa volta, tutto filò liscio. Di comune accordo, ci comportammo come sempre avevamo fatto, Ed anche quando Rei se ne fu andata, lasciandoci pericolosamente da sole, non smettemmo un attimo di parlare dell'organizzazione e della festa.


Man mano avvertii sciogliersi, piano, un nodo che mi si era stretto dentro senza che nemmeno me ne rendessi conto. Forse la mia imotou aveva ragione, e per quanto cercassi di dividere la mia attenzione pensavo talmente tanto a te che mi capitava facilmente di non accorgermi di quanto fossero importanti tutti gli altri, intorno a noi.
Comunque fosse, al di là di te, che ormai eri lontana, mai come in quel momento fui tanto sollevata dal tornare a ricostruire un contatto con la mia Sachiko.


  
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