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Autore: Old Fashioned    14/08/2016    13 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 18

La sera, Stuart rientrò al proprio alloggio in preda a sentimenti contrastanti. Da una parte, forse per la prima volta non si sentiva a disagio all’idea di passare davanti al cancello che separava la canonica dalla chiesa. Dall’altra era terribile pensare che entro breve quel ragazzo sarebbe stato giustiziato in quel modo così atroce e disonorevole.
La guerra rendeva incerto il destino di tutti – forse solo più incerto del solito – ma guardare in faccia von Rohr sapendo quando e come sarebbe morto lo faceva stare male.
Nonostante questo non rinunciò a fermarsi davanti alla tenda scura. Accese come di consueto la candela e scostò il pesante lembo di stoffa.
Al di là tutto taceva, ma Stuart non si lasciò ingannare: sicuramente il tedesco era da qualche parte che lo scrutava nel buio.
“Tenente von Rohr?” chiamò.
Forse al giovane ufficiale la solitudine stava cominciando a pesare, perché invece di spostarsi verso il fondo della navata e girargli le spalle come faceva di solito si avvicinò adagio.
Rimase a fissarlo diffidente a qualche passo di distanza.
“Ho qualcosa per lei, tenente,” disse Stuart tendendogli attraverso le sbarre una mano chiusa.
Von Rohr non si mosse.
“Coraggio, questo era suo,” insisté l’altro, “sono sicuro che sarà contento di riaverlo.”
“Cos’è?” chiese il tedesco, sempre senza muoversi.
Il maggiore sorrise. “Non riesco ad arrivare fin lì, deve avvicinarsi lei.”
“Mi dica di cosa si tratta.”
“Venga a vedere lei stesso.”
Un passo dopo l’altro, cautamente, Hans von Rohr coprì la distanza che li separava. Stuart vide che lo fissava sospettoso, pronto a balzare indietro al minimo accenno di pericolo.
Di nuovo provò un vago senso di tenerezza nei suoi confronti, tanto che si sentì in dovere di rivolgergli un sorriso incoraggiante. “Credo che lei tenga molto a questa cosa,” gli disse, “quindi mi farebbe piacere restituirgliela.”
Aprì finalmente le dita, rivelando una piccola spilla a forma di losanga, di smalto bianco e rosso e decorata al centro da una croce uncinata nera.
“Il mio distintivo della Hitlerjugend!” non poté fare a meno di esclamare von Rohr, quindi prese quasi con reverenza l’oggetto che il maggiore gli porgeva e solennemente se l’appuntò sulla tasca sinistra dell’uniforme.
“Grazie,” disse rialzando il capo. Per un istante i suoi lineamenti severi si addolcirono in un sorriso.
“Le sono molto obbligato,” aggiunse poi tornando serio, quindi arretrò fino a scomparire nel buio.
Stuart rimase fermo dinnanzi al cancello ancora qualche secondo, ma von Rohr non si fece più vedere.
Alla fine il maggiore si risolse ad allontanarsi. Si sentiva come se un daino fosse uscito dalla foresta, gli avesse mangiato dalla mano e poi fosse tornato nel folto degli alberi. Provava una sensazione di meravigliata felicità, che però si velava di amarezza se pensava a ciò che sarebbe accaduto di lì a qualche giorno.

Se ne andò perplesso, e man mano che aumentava la distanza tra lui e l’ufficiale tedesco, la meraviglia cedeva il posto allo sconcerto.
Tutto questo è assurdo, si disse infine lasciandosi sprofondare in una poltrona, assurdo, te ne rendi conto? Von Rohr è un nemico. Un crauto, un nazista. Cosa credi che ci sia dentro gli aerei con cui ti scontri ogni giorno? Tanti piccoli von Rohr, ognuno con il suo bravo distintivo della Hitlerjugend sul petto, e ognuno pronto a farti secco se gliene dai l’occasione.
Con un sospiro afflitto si prese la testa fra le mani. Non sapeva che fare. Perché gli aveva dato quel distintivo? Cosa sperava di ottenere? Il buon senso gli avrebbe suggerito di ignorarlo fino a quando non sarebbe giunto il momento di consegnarlo all’Intelligence, ma lui non lo faceva.
Tutto il contrario, anzi: cercava di convincerlo a parlargli, addirittura gli faceva dei regali.
Si ripresentò lo spettro che aveva già cercato di allontanare senza successo giorni prima: Dio, fa che non stia diventando un anormale, pregò.

Seduto sul suo letto nelle tenebre più complete, frattanto, von Rohr meditava sugli ultimi avvenimenti.
Perché quell'inglese gli aveva restituito il distintivo? Ricordava bene che non era stato lui a rubarglielo, gliel'aveva preso un sergente corpulento quando l'avevano portato al campo, e se l'era messo in tasca. Evidentemente il maggiore in qualche modo se n’era accorto e se l’era fatto consegnare per poi darlo a lui.
Si chiese se facesse parte delle procedure. Magari era normalissimo che agli ufficiali nemici catturati venissero restituiti gli oggetti personali rubati dai cosiddetti cacciatori di souvenir. In Germania succedeva, quindi era plausibile che succedesse anche in Inghilterra.
In effetti erano state più che altro le modalità a lasciarlo perplesso: perché presentarsi di notte, con quella strana aria di complicità, e dargli il distintivo come si sarebbe data una caramella a un bambino?
Di colpo gli venne la folgorazione: sapeva bene quello che dicevano degli inglesi.
Il pensiero gli fece correre un brivido di ribrezzo lungo la schiena. Possibile che quell’ufficiale nutrisse nei suoi confronti sentimenti anormali?
Valutò che in effetti, viste sotto quella nuova e inquietante ottica, parecchie cose che gli erano sempre parse senza senso di colpo divenivano terribilmente logiche: ecco perché l'inglese cercava continuamente di parlargli, ecco perché lo teneva segregato lì invece di inviarlo a un campo di prigionia, ed ecco perché, infine, si era presentato con quell’atteggiamento da cospiratore e gli aveva restituito il suo distintivo.
Voleva sedurlo, ecco cosa voleva fare.
Quell'improvvisa consapevolezza lo rese piuttosto inquieto, tanto che nonostante il buio si alzò, desideroso di camminare in su e in giù come faceva di solito quando ponderava la soluzione di un problema particolarmente complesso.
Azzardò qualche passo, ma era un pilota da caccia e non era fatto per la navigazione strumentale: camminare senza vedere dove andava lo metteva a disagio. Dopo qualche tentativo rinunciò e riguadagnò faticosamente il letto.
Si sedette di nuovo ragionando ansiosamente sul da farsi. Aveva considerato tutto della prigionia: non dare confidenza, non fraternizzare, non lasciarsi sfuggire per sbaglio informazioni di importanza strategica e dar prova di fermezza e coraggio, ma non aveva mai pensato all'eventualità di trovarsi a dover fronteggiare voglie pervertite.
Rimase un altro po’ meditabondo, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto fra le mani, poi di colpo gli balenò in mente un’idea: e sfruttare la cosa per tentare la fuga?
Fece una smorfia come quando da piccolo doveva prendere una medicina particolarmente cattiva.
Che schifo, pensò inorridito, un ufficiale tedesco non deve nemmeno prendere in considerazione un’azione del genere!
Alzò lo sguardo verso le finestre. Durante l’ultimo bombardamento le vetrate erano andate in frantumi e si vedeva il cielo stellato.
Gli sfuggì un sospiro. Aveva come unica prospettiva quella di rimanere in gabbia fino alla fine della guerra. I suoi compagni avrebbero conquistato la gloria combattendo contro i nemici del Reich e lui sarebbe tornato in Patria a cose fatte senza aver abbattuto un solo aereo nemico.
Quella sì che sarebbe stata una vergogna per un ufficiale tedesco, altro che sfruttare le perversioni del nemico per evadere. Non doveva lasciarsi condizionare dai retaggi di una pruderie reazionaria figlia di tempi ormai passati.
C’era in corso una guerra in cui si sarebbero decisi i destini dell’Europa, sarebbe stato quanto meno egoista anteporre il proprio onore alla vittoria finale della Germania.
Ci ragionò su un altro po’. Nonostante la tensione ideologica, non riusciva a prendere a cuor leggero la decisione di cedere alle profferte di un altro uomo. E quando mi vorrà toccare? pensava raccapricciato, quando tenterà di baciarmi? Come farò?
Era certo che non sarebbe riuscito a nascondere il disgusto.
Ma doveva, ovvio, altrimenti quell’inglese si sarebbe accorto subito dell’inganno.
Come fare, però? Non poteva certo buttarsi fra le sue braccia come una specie di cocotte, anche in quel caso il maggiore avrebbe subodorato l’inganno. Doveva anzi mantenere un contegno ritroso, per cedere infine senza aver l’aria di volerlo fare.
Dio, che schifo, non poté fare a meno di pensare ancora una volta, ma cos’era meglio? Accettare supinamente la prigionia o rassegnarsi al disonore pur di tornare a combattere?

   
 
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