Avvertenze: Non prendete troppo sul serio
questa
storia, è stata scritta perché non fosse
né impegnata né impegnativa! XD
Sarebbe un sequel di Helter
Skelter.
Le ho ambientate nello stesso AU, ma è un ambiente talmente
lasco/vago che
potete leggere questa storia senza conoscere l’altra: le cose
che servono
vengono qui menzionate, per cui vi posso consigliare di leggere la
prima one
shot solo per farvi due risate. lol.
Ci sono anche alcuni punti un pochino volgari in termini di parolacce/linguaggio "colorito" ma nulla che, credo,
richieda l'arancione.
Spero
vi possa
piacere!
Smokin’ Hot
Chiunque
stesse
fumando quella marca di sigarette – roba di classe, non la
prima bravata da
ragazzini – doveva essere lodato ora e per sempre. Dal
momento che stava
cercando di smettere di fumare, una zaffata di Death era una tentazione
da
evitare, ma fanculo il mondo, il profumo era molto invitante. Il vento
scemò
improvvisamente e Smoker rimase senza morte passiva, perciò
insultò il creato
per aver dato vita alle sigarette e per tutte le malattie che dal fumo
si
sviluppavano. Perché respirare, se respirare uccide? Tutte
le ore feriscono:
tanto valeva, per lei, godersele con una bella sigaretta da fumare.
Fanculo il
medico. Avrebbe chiesto da accendere a chi stava fumando (e con il suo
fumo-radar individuò subito l’angolo e il muretto
della strada dove si trovava
la fumatrice). Immaginate il suo stupore quando si trovò
davanti la ragazzina
che Smoker stessa, con le proprie mani, aveva
perquisit—cioè, aveva sbattuto in
cella (in cella, non in senso—insomma!)
qualche mese prima per tentativo di furto e oltraggio a pubblico
ufficiale.
«Ah,
ci si rivede,
ufficiale.»
Ecco,
appunto. La
marmocchia era seduta sul muretto del parco e agitava le gambe avanti e
indietro, con quella tremenda faccia di bronzo (e scura come bronzo
sotto le
luci dei lampioni).
«Portgas.»
«Ti
ricordi come
mi chiamo?»
«Ricordo
i nomi e
le facce di tutte le persone che ho portato in cella,
ragazzina.» Si
complimentò con se stessa per essere riuscita a dire portare e non sbattere.
Ottimo lavoro!
«Forse
te le
ricordi tutte, ma di certo non ti avvicini a tutte. Come mai sei
qui?»
Smoker
sbuffò,
prima di rispondere. Sembrava seccata da tutte queste domande (era
seccata
davvero da tutte queste domande). «Sono in ferie.»
Anne
era
perplessa, ma divertita. «Lo sai, Smokie, che essere in ferie
significa
staccare e andare al mare o in montagna, o in qualche bella
città? O almeno dai
tuoi? Insomma, non stare a casa tua.»
Alla
faccia della
marmocchia impertinente! Essere in vacanza non vuol dire per forza
andarsene di
casa per una settimana: chiedetelo agli studenti, per esempio! Una
bella ubriacatura
di alcol e fumo, per esempio, vale benissimo come essere in ferie. Chi
cazzo
aveva inventato lo stereotipo della vacanza fuori porta?
«Fammi un favore,
Portgas. Dammi una sigaretta e io vedrò di non rispedirti a
fare un giro in
Centrale.»
«Ma
se non ti ho
fatto niente! Non puoi mica portarmi dentro per qualcosa che non ho fatto!»
Maledetta
stronza.
Smoker se ne sarebbe andata al distributore a prendersi un pacchetto da
venti—no, aspettate: lei voleva smettere di fumare, non
ricominciare! Aveva bisogno
di una sola sigaretta per trascorrere una nottata almeno decente: poi
non
avrebbe toccato sigarette per due giorni. Promesso.
Anne
l’aveva
fissata per tutto il tempo. Forse aveva anche intravisto la lotta
interiore di
Smoker tra il vizio del fumo e la voglia di uscirne. Ad ogni modo, dopo
aver
lasciato Smokie a cuocersi nel
proprio brodo per altri due minuti, Anne le offrì una
sigaretta, dicendo: «Mi
sembra che manchi qualcosa alla tua—aura,
quando non fumi. Come un boss senza Timore Reverenziale: non
c’è gusto se non
c’è il brivido dei Tiri
Volontà.»
Smoker
non capì il
riferimento ai giochi di ruolo, ma prese la sigaretta quasi
strappandogliela di
mano, come se Anne avesse intenzione di farle uno scherzo e di usare
una paglia
per un ricatto, o qualche altra storia del genere. Nulla di tutto
ciò accadde,
comunque.
«Hai
l’accendino?»
Chiese Anne.
Smoker
annuì.
Dalla tasca estrasse uno zippo per accendersi la sigaretta. Anne
fischiò e si
fece dare quel gioiellino per giocare un po’, rigirandoselo
tra le dita con
destrezza.
«Cerchi
di
smettere di fumare, Smokie?»
«Quello
è
l’intento.»
Rimasero
in un
silenzio abbastanza confortevole. Quando Smoker finì di
fumare, Anne le
restituì lo zippo. Era tornata la faccia da schiaffi di
sempre, e per un
secondo Smoker si pentì di averle chiesto da fumare,
perché quella smorfia non
presumeva nulla di buono – nulla di buono per la poliziotta,
ovviamente.
«Non
ti sembra di
dovermi qualcosa?» Chiese Anne, con un sorriso che pareva
gentile ma portava
tempesta.
«Non
ti sembra sufficiente
aver giocato con lo zippo?»
Anne
mise su il
broncio: era sorprendente la velocità con cui le sue
espressioni si
trasformavano. «No. Promettimi che non ti arrabbierai per
quello che sto per
chiedere.»
«Ch.
Va bene,
prometto.» Più che preoccupata, era infastidita:
ora che s’era goduta una
sigaretta, il suo obiettivo era diventato allontanarsi sana e salva da
quella
ragazzina.
«Ti
piace di più
il rosso o il blu?»
«Ma
che cazzo di
domanda è—»
Anne,
veloce come
una leonessa, prese il viso di Smokie tra le mani e la baciò
delicatamente. Poi
saltò giù dal muretto (stando seduta
lì sopra le era stato più facile baciare
Smokie, che portava pure i tacchi alti) e guardò la donna,
con un’aria da gatta
che ha spazzolato tutta la ciotola, e che si sta leccando i baffi.
«Portgas—»
«Avevi
detto che
non ti saresti arrabbiata!»
«Tu
devi smettere
di baciare gli sconosciuti!»
«Tranquilla,
lo
faccio solo con le tipe, e solo con quelle carine. Ti è
piaciuta la mia
citazione dal nuovo Star Trek? Il dottor McCoy è il mio
preferito!»
Smoker
non
riusciva a capire se Portgas fosse rincretinita o se rincretinisse gli
altri.
Forse entrambe le cose. Per evitare ulteriori coinvolgimenti (e
già era
abbastanza compromessa, a questo punto), la nostra poliziotta
pensò bene di non
commentare, anzi: visto che Anne aveva ottenuto quello che voleva,
Smoker cominciò
ad allontanarsi, camminando a passo di marcia. Anne rimase ferma un
po’ a
contemplare un lato di Smokie che ancora non aveva ben colto (non il
suo
sedere, sia chiaro, ma la sua tattica di ritirata! Ok, forse un
po’ anche il
suo sedere. Non era mica male!); poi, finito il momento di
apprezzamento, corse
per raggiungere l’altra donna.
«Cos’è,
non hai
visto Star Trek?»
Smoker
guardò Anne
negli occhi, fulminandola, come un taser. Le mani di Anne, in effetti,
si
mossero come se avessero preso la scossa, quando in realtà
solo l’occhiataccia
di Smoker le aveva colpite. «Preferisco il capitano
Picard.»
Anne
sbiancò.
Quanta teatralità! «No! No, no, no, no! Non ci
credo!»
«Che
cosa c’è,
adesso, Portgas?»
Anne
decise di
aver bisogno di un’altra sigaretta. Accenderla e camminare
allo stesso tempo
non era facile, specie in una sera di vento (che era tornato appena
Smoker
aveva cominciato a camminare, quasi per accompagnarla lontano da Anne),
ma alla
fine ci riuscì. «Senti, il tuo partner di lavoro,
ecco – sai se preferisce Kirk
o Picard?» Chiese, con tono falsamente indifferente.
«Lascia
fuori
Tashigi da questa storia.» Rispose Smoker, avanzando di
qualche passo per poter
sbarrare la strada ad Anne. Incrociò le braccia per cercare
di essere più
minacciosa possibile. «Puoi tornare a casa tua,
ora.»
«Ah,
va bene!
Cercherò di essere chiara,» disse Anne, soffiando
il fumo della sigaretta di
lato, «se quell’altra volta ti ho preso il
portafogli, l’ho fatto per
divertimento. Ma se ti ho baciato è stato perché
sei uno schianto. Te l’ho
detto, bacio solo le tipe dal carino in su. Hai anche uno strano senso
dell’umorismo, che a me non dispiace. Volevo
solo—sondare il terreno.»
Stava
farneticando. Chiaramente.
«Ci stai
provando con me, in sostanza.» Concluse Smoker, con lo stesso
tono con cui una
persona avrebbe accusato l’altra di prenderla in giro.
Anne,
però, era
serissima. «Quello è
l’intento.»
Rimasero
una di
fronte all’altra per un minuto, in silenzio; Anne stava per
fare l’ultimo tiro,
quando Smoker le strappò di mano la sigaretta e
l’ultimo pezzetto di cicca.
Anne non poteva davvero essere scontenta (oppure offesa) per quel
gesto: lo
dimostrò esibendo un bel ghigno di soddisfazione.
«Quello era un bacio
indiretto, lo sai, Smokie?»
Quando
arrivarono
alla fine della strada, dove la linea dei lampioni si interrompeva e le
case si
tuffavano nel buio, le due vennero inghiottite dalla notte mentre erano
ancora
fianco a fianco.
⁂
«Che
cosa ci
facevi, sul muretto del parco?»
«Abito
da quelle
parti.»
«E
i tuoi non
sanno che fumi.»
«Ma davvero, Sherlock.» Anne
sbuffò, e la
torcia che aveva in mano (non usciva mai senza) venne puntata contro il
viso di
Smoker, in un movimento che voleva essere d’accusa
– e che invece colpì la
donna in faccia dal basso, al punto tale da farla sembrare un ghoul.
Invece di
arrabbiarsi, Anne scoppiò a ridere. «La prossima
volta ti faccio una foto e la
mando al primo regista di horror che trovo: potresti essere una
non-morta
perfetta!»
«Leva
quella
torcia dalla mia faccia.»
«Non
è sulla tua
faccia, è nella mia mano.»
Ah,
questa volta
Smoker aveva colto la citazione. «Allora togli quello che hai
nella tua mano
dalla mia faccia.»
«Hai
vinto,
signorina Watson!»
Smoker
fermò la
propria marcia. Anne, perplessa, indirizzò il getto di luce
della torcia poco
più avanti, sulla strada, e illuminò
un’utilitaria color argento; vide Smoker
estrarre dalla tasca un paio di chiavi e poi indicare l’auto.
Pur dopo tutto
quello che Anne le aveva detto e le aveva fatto, quella lì
si ostinava a
portarla a casa? (Be’, non che Smoker non gliene avesse
combinata qualcuna di
poco conto, ma in ogni caso Anne si domandò se avesse dovuto
mettere in conto
una proposta simile, quando aveva cominciato a seguire Smoker
chissà dove.)
«Muoviti.
Non è
sicuro, per una ragazzina, andare in giro a
quest’ora.»
«Ti
ricordo che
sono una studentessa universitaria di Chimica in Statale, e che se
serve so
come usare la lacca con un accendino senza farmi saltare una mano. Non
ho
bisogno di Xena per tornare a casa.»
Anne
non vide
chiaramente il viso di Smoker, ma avrebbe giurato che quella stronza
(perché
era stronza: l’aveva lasciata due giorni in cella solo
perché—be’, due
giorni in cella!) stesse sorridendo. Non sapeva se essere contenta,
perché
poteva essere una visione inquietante, o se essere triste,
perché forse era un
bel sorriso in stile Wonder Woman. «Neanche se ti lascio
scegliere quali
canzoni mettere su?»
Oh.
Oh. L’autoradio era
un’enorme debolezza
di Anne, in effetti. «Ci sta!»
«Ma
niente audio a
palla.» Precisò Smoker, prima che si potesse
scatenare una guerra per il
controllo del regolatore del volume.
«Sissignora,
ho
capito. Fammi dare un’occhiata a quello che hai in memoria su
quest’affare.»
Disse Anne, e subito cominciò a pigiare tasti alla
velocità del fulmine: Smoker
era sempre affascinata dalla rapidità con cui ragazzine e
ragazzini utilizzavano
telefonini e tablet, e per questo rimase sorpresa per un secondo solo
quando
Anne sollevò la testa dall’autoradio e aggiunse:
«Ma c’è solo musica della
preistoria o hai qualcosa di più nuovo?»
«Cos’hai
contro AC/DC,
Jethro Tull e The Doors?»
«Da
ora in poi ti
chiamerò vecchia e non potrai ribattere. Vediamo la disco...
Boney M?
Seriamente? Grazie al cielo ancora non ho visto gli ABBA, qui dentro.
Vabbè,
Santana ok, poi—oddio, veramente i Nickelback? Ma tu fai
salire delle persone
su questa macchina, essendo consapevole
del fatto che hai i Nickelback in radio?»
«Sta’
zitta e
mettiti la cintura di sicurezza.»
«Ok,
ok—vecchia.»
«Se
critichi, vuol
dire che li conosci.»
«E
se li conosci,
li eviti! Ovvio che so chi sono.» Tutta la discussione era
avvenuta mentre Anne
finiva di controllare quali album fossero disponibili sulla chiavetta
USB
attaccata all’autoradio, finché, demoralizzata,
non decise di tirar fuori il
proprio cellulare e di usarlo come stereo. «Sentiti questa.
Halsey ha una voce
bellissima.» Partì Ghost
prima ancora
che Smoker accendesse il motore. In effetti la cantante aveva una voce
morbida,
che calzava con l’orario notturno. Anche il contenuto della
canzone pareva
proprio adatto alla vita dei giovani in vacanza, per quello che
ricordava
Smoker dei propri primi anni dopo aver preso la patente.
«Portgas,
tu non
capisci niente di musica. Sai, almeno, qual è la prima
canzone in cui è
comparso il termine heavy metal?»
Anne
disse di no.
Non sembrava molto interessata a quest’argomento, visto come
non si mosse dalla
posizione in cui si trovava – vale a dire con la testa
attaccata al finestrino
e il braccio contro il vetro. Se avesse avuto un chewing gum con cui
soffiare
delle bolle, probabilmente sarebbe sembrata una teenager infastidita
dal fatto
che una gran bella festa s’era appena conclusa.
«Born to be wild, dei Steppenwolf. Mai
sentita?»
«Non
di quel
gruppo – mi sarei ricordata il loro nome, se
l’avessi letto. Ce l’hai qui sulla
tua chiavetta?»
«No.
Non l’ascolto
spesso.»
Avevano
giusto
lasciato il quartiere in cui Smoker abitava: prima di immettersi sulla
strada
che si sarebbe allargata, dopo mezzo chilometro, in una rotonda,
c’era uno
stop. Vicino al segnale Smoker fermò la macchina,
com’era previsto dalle regole
della strada – ma rimase lì immobile per un tempo
di molto superiore a quello
in genere consumato per controllare che nessuno stesse arrivando a
destra e a
sinistra. Anne non se n’era preoccupata granché:
era appena iniziata Control, e lei
adorava quella canzone.
«Potremmo
fare una
piccola deviazione,» disse Smoker, sistemandosi i capelli
dietro l’orecchio, «per
sentire quella canzone. Poi a casa.»
Adesso
sì che Anne
fu perplessa. Che cavolo era questo passo in avanti, questa proposta?
Anne non
era certo convinta di voler arrivare a quel
punto in quella notte. Smokie non era male (proprio per niente),
però la
fiducia massima in lei proveniva non dal suo carattere –
perché Anne non la
conosceva bene –, bensì dal suo ruolo nella
società. Se Smoker non fosse stata
una poliziotta, Anne non si sarebbe mai fidata così
velocemente di lei, e anche
così non aveva lasciato la presa sulla torcia, né
aveva permesso a Smoker di
chiudere le portiere a chiave. «Mi stai già
invitando a vedere la tua
collezione di farfalle? Non ti sembra un po’
affrettato?»
«Trovo
insopportabile la tua mancanza di fede,» rispose Smoker, e
Anne non poté non
apprezzare la citazione da Darth Vader.
«C’è un bar vecchio stile,
giù dalle
parti di casa tua, e c’è uno di quei vecchi
jukebox su cui hanno installato un
software moderno. Te la faccio sentire lì.»
«D’accordo.
Ma i
soldi ce li metti tu.»
Smoker
sbuffò, ma
quella fu l’ultima protesta. L’utilitaria
ripartì e il giro ricominciò. Anne
non era un’amante dell’aria condizionata nelle
auto, ma guai a contraddire
Smoker sulla sua macchina – dopotutto le aveva dato via
libera solo per
l’autoradio, per cui Anne si godette Drive
tenendo gli occhi fissi sul percorso che stavano seguendo (tutta
questione di
s-fiducia, niente di veramente personale nei confronti della
poliziotta).
Sembrava non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, alla fine: Anne
conosceva bene
le strade di Linrossa e quello era proprio il suo quartiere. Aveva
anche una
mezza idea su quale fosse il locale di cui Smoker aveva parlato.
«È
quello» disse
Smoker, indicando con un cenno un bar chiamato Quinn Robinson. Scese
dall’auto,
le due donne diedero un’occhiata all’orario di
chiusura: avevano ancora una
mezz’ora, un tempo sufficiente per ascoltare la canzone e
tornare ognuna a casa
propria.
⁂
Finirono
per
spendere metà delle monete nel portafogli di Smoker,
ascoltando vecchie canzoni
rock di quei gruppi che al tempo erano giovani, belli e dannati (e che
ormai,
data l’età delle tracce, dovevano essere solo
dannati). Alla chiusura del bar,
verso l’una di notte, recuperarono l’auto e Smoker
accompagnò Anne fin davanti
alla porta di casa sua.
«Arrivederci,
vecchia metallara! Grazie per il passaggio!»
Anne
si accorse di
un piccolo particolare, molto divertente, solo quando Smoker accese il
motore per
tornare a casa e si lasciò dietro Anne: appena sotto la
targa posteriore
dell’auto era attaccato un adesivo che doveva sicuramente
aver preso
nell’Occidente estremo, visto che c’era scritto WE
BRAKE FOR NOBODY. Cose di un
altro universo, proprio.
⁂
⁂ ⁂
Stavano
guardando
(o meglio, ascoltando) Born to be wild
su TùTube. Da quando l’aveva ascoltata quella sera
al bar, Anne si divertiva a
sentire vecchie canzoni rock ‘n roll per non sentirsi in
colpa nel bere un
bicchierino di gin Tanquerey e nel far finta di essere vecchia per giusto quei
quattro
minuti di musica. Ehi, era già trascorso un po’ di
tempo – e non era stata
rispedita in cella. Un progresso, insomma.
«Dice
davvero “I
never wanna die”, cioè, che vorrebbe non morire
mai?»
«Così
dice, sì. Tu non
vorresti morire?» Chiese Smoker, fumando l’unica
sigaretta della settimana. Se
la stava godendo dall’inizio alla fine, in un
lunedì sera che, senza una Death
e senza Anne, sarebbe risultato veramente deprimente.
(Dopotutto,
era
passato del tempo. Adesso riusciva a fidarsi.)
«Dipende,»
rispose
Anne, «fossi tu a uccidermi, un pochino, allora
sì.»
L’aveva
buttata
lì, con tutta la noncuranza possibile perché
l’argomento potesse essere
dimenticato o raccolto senza troppe parole inutili. Per Anne si
trattava
comunque di una questione importante, perché si sentiva
pronta e voleva
provarci sul serio: nell’imbarazzo del portar avanti una
proposta simile s’era
inventata la prima frase che le era capitata in testa e, per quanto
fosse una
battuta infelice, pensò che non le sarebbe venuto in mente
qualcosa di meglio.
Seduta sul divano in casa di Smoker, con il computer portatile sulle
ginocchia,
Anne si rese conto degli eventi che l’avevano portata
lì: prima il suo
divertimento coi portafogli, poi il vizio di Smokie di fumare, e infine
un’altra serie di (più o meno) scuse o
giustificazioni abbastanza solide per
ritrovarsi in un bar o giù al parco.
Fortunatamente,
su
TùTube era stata aggiunta l’opzione loop,
perché nessuna delle due avrebbe
avuto voglia e pazienza di rimettere Born
to be wild ogni tre minuti, specie mentre erano nel mezzo di
quello che gli
Steppenwolf stessi avrebbero forse chiamato love
embrace (e che noi, nella nostra lingua, tradurremo malamente
con amplesso
amoroso).
Note Autrice:
Death
– marca di
sigarette che Sanji fuma nel manga, almeno fino a un certo punto della
storia.
Mi piaceva. -w-
Star
Trek e Star
Wars sono ovunque perché non so decidere quale dei due mi
piaccia di più. E
sarò una brutta persona inaffidabile, ma preferisco Picard a
Kirk. adoro
Patrick Stewart, che posso farci? biscotti virtuali a chi
becca tutte le
citazioni.
Quinn
Robinson –
ok, tributo alle Harley Davidson perché sono belle. Harley
Quinn è un pg della
serie di Batman, e dal suo nome viene il nostro Quinn; Robinson
perché mi piace
l’idea che Franky abbia ideato il modello Harley Davidson in
questo AU, e che
il nome di queste fantastiche moto sia, in onore della moglie Robin
(sì, FRobin
ovunque), proprio Robinson. È contorto, ma spero sia chiaro.
C’è
anche una
piccola citazione da un film di Mel Brooks. YOHOHOHO
Tù
vuol dire “tu” in spagnolo. Sì, mi
spreco in queste cose. YEEE
Mi
sa che il love embrace della
canzone non era
esattamente quello di cui ho parlato io, ma ehi, è una
fanfiction che ho
scritto per rilassarmi, senza cercare di essere troppo precisa. Ho
cercato di
parlare di tutte le cose che adoro e che rendono la mia vita quotidiana
un po’
più leggera: la musica, i giri in auto di sera, i film, i
tacchi alti (ho la
fissa terribile per i tacchi, aiuto), i bar con buona musica, i
videogiochi.
Ultimo ma non ultimo, la SmoAce! Amo queste due rincoglionite! Volevo
scrivere
qualcosa di arancio-rosso, ma figuriamoci, non sono capace. sith
happens.
Il
titolo è uno
stupido gioco di parole come al solito che riguarda
il fuoco e il fumo: smoking, in
inglese, è anche un termine
slang per indicare una persona attraente. In genere è
accompagnato da hot, a dare quindi smoking hot. Ma Smokie (e qui anche Anne,
ma solo perché è una
studentessa universitaria piuttosto stressata, e quindi fuma un
po’ solo sotto
esami) fuma...! Sì, mi diverto con questi pun, manco fossi
Brook con i suoi
skull jokes. Non sapendo come tradurlo, l'ho tenuto in inglese.
Spero
vi abbia
divertito. Da qui posso dire solo che mi son divertita molto a
scriverla!
Buone
vacanze!
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.