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Autore: stefanvox94    15/08/2016    3 recensioni
Ricca, egocentrica, sicura di sé: Adelasia, una ragazza che si distingue soprattutto per gli atteggiamenti che assume nel rapporto con gli altri, specialmente con coloro che lei crede si trovino a un livello inferiore rispetto a lei e alla sua "gente". Eppure la sua personalità, la sua famiglia e il suo passato nascondono qualcosa che può riemergere soltanto grazie a chi è capace di capire a fondo una persona, senza fermarsi alle apparenze. E così si va alla scoperta non solo del suo mondo, ma anche di coloro che le stanno intorno (per scelta o meno): ragazzi e ragazze con le proprie insicurezze e i propri sentimenti conflittuali...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salgo sulla bilancia.
“53… molto bene!”.
“Non avrai mica intenzione di perdere un altro po' di peso, vero? Se continui così, rischi di scomparire” mi fa mia madre, mettendo improvvisamente piede nel bagno.
“Mi hai fatto quasi venire un infarto” le faccio, fulminandola con lo sguardo.
Si presenta come al solito in qualunque stanza di soppiatto. Sì, lo so che è anche colpa mia: ho il vizio di non chiudere mai le porte. Dovrò dunque imparare presto ad avere questa accortezza. Stavolta non ribatto, tanto so già quale sarebbe la sua risposta: “Io sono l'unica a gestire questa casa… sono l'unica che lava, che stira, che cucina… devo starvi dietro di continuo, devo girare dappertutto a sistemare il disordine che voi lasciate in giro”. “Ma quale disordine?” le feci io qualche giorno fa, stufa delle sue lagne. Era solo l'inizio dell'ennesima litigata, dunque non sto qui ad annoiarvi con un patetico botta e risposta tra una mamma schizzata e una figlia sgallettata.
Indosso le ciabatte, tiro dietro i miei capelli biondi e mi rivolgo a lei con molta calma. Una calma molto forzata, ovviamente. “Stavo semplicemente osservando i risultati della palestra. Non sto seguendo alcuna dieta, non ho intenzione di arrivare a non mangiare nulla. Voglio solo essere… perfetta”.
“Se perfetta significa non avere un filo di grasso...” risponde subito, senza nemmeno guardarmi negli occhi. Appende gli accappatoi e poi controlla che nel suo beauty case sia tutto a posto. “E poi, non è vero che non ti stai fissando col cibo. Eviti i carboidrati come la peste, ad esempio. Credevi che non me ne fossi accorta? Stai sempre a prepararti insalate e passati di verdura”.
“Cerco solo di mangiare in maniera adeguata” controbatto, afferrando il mio scrub corpo con prepotenza e lasciando il bagno dopo aver aggiunto: “non mi riempio di schifezze per poi lamentarmi della salute che va a farsi friggere”. Ovviamente era una frecciatina bella e buona. Ho sempre la risposta pronta. E se non ce l'ho, cerco di formularla in men che non si dica: devo essere sempre io a dire l'ultima.
Per fortuna non risponde, non sopporterei di sentire ancora la sua voce, soprattutto adesso che è mattina e che il mio sistema nervoso è più facilmente irritabile. O probabilmente mi sono già talmente allontanata che non la sento. Già, la distanza tra un bagno e un altro, in questa casa, è abissale. D'altronde, che cosa vi aspettereste dalla residenza di un dottore medico chirurgo sindaco e rappresentante provinciale di non mi ricordo che cosa? Denaro a palate, dimora sfarzosa e ville sparse in diversi posti di mare limitrofi e non.
Sto per urlare alla domestica di prepararmi la colazione con yogurt greco e cereali dietetici, ma ricordo che si è ammalata una settimana fa e maledico il suo nome. Non vedo l'ora che torni. Non solo perché sa bene come massaggiarmi i piedi, ma anche perché è ovviamente più brava di mia madre a cucinare e… a fare tutto il resto. Sono sette giorni che è a letto con un'influenza che io ancora non riesco a concepire (perché è estate e non è la stagione dei malanni e perché una domestica dovrebbe comunque stare attenta a non ammalarsi a priori, dato il suo ruolo di estrema rilevanza in una casa del genere) e sono dunque sette giorni che mia madre dice di essere stanca di fare la casalinga, come se lo facesse da una vita. In realtà credo che voglia semplicemente tornare a stare sul divano e a fumare i suoi sigari cubani tutto il giorno per poi trovare il piatto pronto due volte al dì. Nonostante non mi stia simpatica, non la biasimo, la mia mammina. Ha i soldi (del marito) per godersi questo stile di vita, pertanto quella cavolo di domestica deve tornare al più presto oppure sarò io a ingaggiarne un'altra.
Comunque… poso lo scrub corpo sullo sgabello dorato di uno dei cinque bagni (quello più vicino alla mia camera), mi spoglio, entro nella vasca e comincio a sciacquare la mia pelle candida per poi passare al mio quotidiano rituale di bellezza mattutina: devo apparire splendente quando entrerò nel municipio.
Loris mi aspetta. Lavora per mio padre, gli fa da assistente nei suoi impegni di amministrazione comunale. Non so di preciso di cosa si occupi. Non che mi interessi più di tanto… è il ragazzo più bello della città, è popolare, gli sbavano dietro ragazze e ragazzi e questo è ciò che importa. È alto, ha capelli e occhi castani, è depilato e sbarbato. Una volta pensavo che questo tipo di ragazzi rappresentasse il classico stereotipo gay che ricerca la perfezione estetica: i miei due amici più stretti sono così. Ma mi son dovuta ricredere. Dicono che i ragazzi del genere siano peggio delle femminucce. A me non importa: li preferisco così piuttosto che sbadati, rozzi e puzzolenti. A fianco a una come me c'è bisogno di una figura altrettanto splendente e affascinante. E Loris è quello giusto. Ora che la scuola è finita (almeno per questi tre mesi estivi), vado a trovarlo ogni mattina. Prendiamo il caffè insieme. Quelle poche volte in cui c'è anche papà (ovvero quando quest'ultimo non è in ospedale o in qualche altro palazzo politico eminente) io riesco comunque a catturarlo e farlo mio per la nostra mezzoretta insieme. Naturalmente capita che ci vediamo anche di sera, ma non sempre, dato che lui in settimana si allena o fa cose da maschi insieme alla sua combriccola. Poi ci sono le serate-evento, quelle a cui solo persone come me e come lui possono presentarsi. In genere sono feste di classe che si tengono il venerdì o il sabato. In poche parole sono le occasioni per farmi vedere con lui dal pubblico. Ovviamente sono serate che io mi son guadagnata, in un certo senso: ogni mattina prendo il caffè insieme a lui quando invece potrei fare tutt'altro, rinuncio a perseguitarlo quando non è con me e non so cosa combina coi suoi amichetti, non faccio scenate di gelosia ogniqualvolta vengo a sapere che farà dei servizi fotografici con delle modelle, eccetera. Non credete sia qualcosa di ammirevole? Vengo ricambiata con la sua compagnia davanti a una massa di gentaglia invidiosa ogni weekend. E mi sento importante. Più importante del solito.

Arrivo in Via Municipio.
Lascio la mia bici rosa vicino ad un lampione e mi avvio verso le scalinate grigie che portano all'ingresso dell'imponente edificio. Noto la Mercedes di papà e ricordo che oggi è il suo giorno libero, non deve occuparsi di nessun paziente nell'ospedale della città e quindi può permettersi di dirigere le futili faccende comunali.
Loris mi aspetta proprio di fronte al portone: sta finendo di fumare una sigaretta e mi sorride esibendo la sua magnifica dentatura ed emanando luce dagli occhi.
“Amore mio” mi saluta.
“Ciao cucciolo” gli rispondo, correndo verso di lui.
“Sei magnifica stamattina” esclama, mentre io mi ci avvicino, muovendo le spalle.
“Oh, ma cosa dici mai! Non ho indossato chissà che cosa”. Quanta falsa modestia. Sono consapevole di quanto sia figa la mia maglietta zebrata, per non parlare degli shorts e delle ballerine bianche, tutta roba acquistata nel negozio di prima classe in cui mi reco molto spesso.
“Baciami” mi fa, una volta raggiunto.
Le nostre sdolcinatezze svaniscono non appena papà spunta dietro il mio ragazzo.
“Buongiorno, bellezza” saluta babbo, un bell'ometto poco più alto di me, dai capelli brizzolati e vestito sempre in maniera elegante.
Io vado ad abbracciarlo. Gli voglio tanto bene.
“Come va il lavoro oggi?” domando.
“Nuovi progetti, mia cara, nuovi progetti in vista” risponde, rivolgendosi poi a Loris “non è vero, mio caro assistente?”.
“Oh, sì, signor De Vittori” conferma Loris, con atteggiamenti da bravo ragazzo. Immagino faccia così perché vuole assicurarsi che mio padre accetti la nostra relazione.
“Allora, mia cara Adelasia, sei venuta per il solito caffè?”.
“Oh, babbo...” gli sorrido, quasi vergognandomi.
“Non c'è bisogno di fare la timida” mi rassicura lui, “questo giovincello merita perfettamente di prendersi una pausa con uno splendore come te”.
Loris accenna un occhiolino, io chino il capo e agito di nuovo le spalline, tutta contenta.
“… Ma...” continua papà “stavolta ci sarò anch'io con voi!”.
“Ehm.. cosa?” gli faccio, sbigottita. Io e Loris ci guardiamo perplessi.
“Ti dicevo che abbiamo nuovi progetti e… vorrei che tu collaborassi con noi”.
“Significa che dovrò lavorare in questi uffici d'ora in avanti?” chiedo, storcendo il naso.
“Non proprio, ma quest'estate dovrai aiutarci. C'è bisogno del tuo straordinario contributo… insieme a te creeremo quello spirito di squadra che in questo momento risulta necessario. Entriamo, forza, ti spiego meglio di cosa si tratta”.
Papà riapre il portone del municipio, io e il mio ragazzo ci guardiamo nuovamente, scrolliamo entrambi le spalle e poi lo seguiamo.
Attraversiamo i corridoi in cui i dipendenti lecchini quasi si inchinano di fronte al dottor sindaco e io sussurro a Loris: “Perché fai finta di non sapere? Tu sei sempre a conoscenza di quello che papà e i suoi consiglieri, assessori e compagnia bella combinano in questo comune”.
“Conosco i progetti, ovviamente. Ma non capisco come mai vuole coinvolgerti”.
Se ci penso bene non è una cattiva idea. Avrò una scusa in più per stare con il mio ragazzo e magari per dimostrarmi una persona attiva agli occhi dei cittadini. Però se tutto questo si fa troppo pesante non voglio mica stressarmi. Ho troppe cose a cui pensare… feste, beauty routine, shopping… vabbé, prendiamoci 'sto benedetto caffè e ascoltiamo 'ste proposte.

Sono passati dieci minuti. Mio padre mi ha spiegato tutto e io sono letteralmente basita, anzi direi sconcertata. Accontento sempre il mio paparino, soddisfo le sue richieste, ma stavolta la cosa mi sembra inaccettabile. So già che gli farò questo favore, che non mi tirerò indietro, ma… cavolo, no, non posso negare che questo è chiedermi davvero troppo!
Cercherò di tollerare questa situazione pensando al fatto che molto probabilmente servirà a farlo rieleggere sindaco. Lui ne è convinto: in questi pochi mesi che ci separano dalle nuove elezioni papà deve fare di tutto per apparire una persona benevola, il paladino del bene della comunità: ecco perché si occuperà degli anziani, dei disoccupati e immagino anche degli emarginati e di altri tipi di disgraziati. Io dovrò aiutarlo in questa impresa: mi ha rifilato un posto nel centro ragazzi disabili della città, o una cosa del genere. Dovrò svolgere un tirocinio in un luogo in cui io non so proprio come muovermi. Non voglio dimostrarmi disgustata nei confronti di quei poveri adolescenti che non sono fortunati come me (benché ci sia da sottolineare che anche molti tra quelli non disabili, ovviamente, non sono fortunati o dotati intellettualmente e fisicamente come la sottoscritta), farò del mio meglio, anche perché non è questa specie di volontariato che mi spaventa, ma ben altro. In quell'edificio lavorano i ragazzi più sfigati della città: è questo ciò che mi turba. Dovrò collaborare o comunque stare vicina alla feccia della società, a gente che neanche lontanamente si avvicina a individui come me, che può solo sognarsi le mie feste, i miei vestiti, eccetera. Eterni poppanti che grazie a un corso gratuito di due mesi hanno trovato, subito dopo la maturità, conseguita nei professionali più squallidi della zona, il primo lavoro disponibile praticamente sotto casa. E, come se non bastasse, uno di questi esseri mediocri è il figlio dell'altro candidato sindaco, un rockettaro che un anno fa si dichiarò innamorato di me… ma, lasciamo perdere, mi viene la nausea soltanto a pensarci! Non è brutto come ragazzo, se devo essere sincera, i suoi capelli mori e ondulati non sono male, la sua statura è accettabile… ma… okay, dicono che “altezza mezza bellezza”, però… tralasciando per un attimo la sua classe di appartenenza, le amicizie e quant'altro, io ribadisco che l'abito fa il monaco. E i suoi indumenti acquistati dai cinesi sono la dimostrazione che Madre Natura può regalarti la bellezza, ma non lo stile. Fulvio… Fulvio Terreno, sì, è così che si chiama, ora ricordo.
Loris cerca di consolarmi. Strofina il suo naso sul mio orecchio sinistro, ma io lo respingo. Non è il momento di stare alle sue smielate attenzioni.
“Smettila, okay? Sei fuori luogo” gli faccio.
Lui corruga la fronte, poi sorride, china il capo e torna nel suo ufficio.
Respiro profondamente. Papà mi raggiunge, chiedendomi: “Tutto bene, cara?”.
“Sì, babbo, torno a casa e… cerco su Google Maps la strada di questo luogo di invalidi di cui mi hai parlato”.
“Oh, non preoccuparti, tesoro mio, domani ti ci porto io”, poi si avvicina e mi sussurra: “ci saranno i paparazzi del giornale locale a fotografarci non appena arriviamo lì… sarà l'inizio di tutto!”.
“Ah… capisco...” balbetto, “dovrò dunque scegliere un abbigliamento adatto”.
“Oh, ma lo fai sempre!”.
“Sì, certo, non metto mai niente di inappropriato, ma… devo riflettere bene su come devo apparire sulla stampa!”.
“Se è così, allora, datti da fare… conto su di te!”, e si allontana dopo avermi dato una pacca sulla spalla.
Mi sento disorientata. Sto per impegnarmi assiduamente in un qualcosa che mi farà sicuramente sentire soffocare. Sto per sacrificare un'estate… ma, per il mio babbo, questo ed altro! O, almeno... farò quel che potrò!
Testa alta. Sarò circondata dalla bassezza, ma non mi farò influenzare. Ecco, è una situazione abbastanza difficile, ma devo farmi forza. Sarò capace di affrontare tutto affidandomi alle mie capacità di dissociazione.
Si tratterà soltanto di tre o quattro ore al giorno, per cinque giorni alla settimana. Ce la posso fare.
Forza, Adelasia.
Svolgerò i miei compiti senza pensare ad altro. Magari interloquirò con i disabili a cui le mie graziose mani presteranno assistenza, spiegherò loro cosa significa essere ricca sfondata, avere stile, racconterò un po' della mia meravigliosa vita, ma… con i dipendenti, no… non avrò nulla a che fare. Li eviterò e basta.
Stasera prenderò una coppetta di gelato con Federico e Manuel, i miei due amici gay, e cercherò conforto in loro. E poi… mi aspetterà una notte in compagnia dell'ansia, finché non sorgerà di nuovo il sole e… avrà inizio la mia nuova sfida personale.

Papà ha praticamente sostato per cinque secondi di fronte al centro disabili, ha abbassato il finestrino per farsi fotografare il bel faccino, abbellito dall'ultimo modello Ray-ban, e, una volta che io ho portato il mio culetto fuori dalla sua Mercedes, se ne è andato via.
Ecco dunque che mi ritrovo a dover attraversare il vialetto pieno di fotografi.
Ho scelto un meraviglioso vestito bianco, calze chiare e ballerine nere, una borsa argentata e occhiali giganteschi Dolce&Gabbana. Ho raccolto i miei capelli in una semplice e sbrigativa acconciatura munita di fermacapelli dorati.
Non da meno è il mio trucco. Avendo tolto gli occhiali con eleganza, sfoggio un ombretto viola non troppo pesante, un eyeliner che risalta i miei occhi verdi e un lucidalabbra fucsia.
Sento però che il mio protagonismo viene soppiantato non appena metto piede nella struttura.
Cammino, spaesata, nella sala comune, piena di disabili e relativi assistenti.
“Ecco lei, la smorfiosa… viziata… figlia del riccone… guarda che aria superba...” mormorano gli adulti più volgari della città che ci lavorano, al contrario dei più giovani, a tempo pieno.
Giuro che non mi sono mai sentita così emarginata e in imbarazzo prima d'ora. Per me è tutto… così nuovo…
Vedo che si avvicina la direttrice (ho capito sin da subito il suo ruolo dall'aria sicura e altezzosa che la contraddistingue in mezzo a questi esemplari) e mi sento leggermente sollevata soltanto perché ci sarà qualcuno che mi indicherà cosa fare, ma, per il resto… se non fosse per mio padre sarei scappata via senza pensarci due volte.
Li vedo… sì, vedo anche loro… i ragazzetti dei ceti bassi. Tra loro spicca il belloccio e allo stesso tempo sempliciotto Fulvio Terreno.
Mi sento ancora di più a disagio.
“Ben arrivata, Adelasia” saluta la direttrice.
“Buongiorno”.
“Sei pronta? Vieni con me, ti spiego tutto davanti a un bel cappuccino”.
Giunta nell'ufficio della signora, leggo nome e cognome sulla cattedra: è la moglie dell'altro candidato sindaco! La madre di quel Fulvio lì! Sembrerà strano, ma non l'ho mai incontrata prima d'ora, sapevo soltanto come si chiamava, la moglie del politico Ernesto Terreno.
È per caso un complotto contro di me? Io, che sono sempre circondata da gente che mi osanna, o che accetta ordini da me, adesso… mi ritrovo a dover ricevere direttive da individui che appartengono a tutto un altro mondo.
Mi sento umiliata.
Mi sento svenire.
Mi sento in trappola.

   
 
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