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Autore: Mayth    17/08/2016    3 recensioni
Dopo anni di silenzio, Erik era comparso nuovamente sul divano del suo studio privato, ed aveva, in ordine, rovesciato a terra l’abat-jour appartenuto ad un trisavolo morto in guerra, finito l’ultima bottiglia di Glen Grant, sporcato il tappeto di terriccio e causato la fine del mondo.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Nonsense, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi appartengono tutti alla Marvel, l’idea di base a “2012” di Roland Emmerich (o ai Maya?) e ad una fanfiction, sempre dell’universo mutante, che lessi mesi fa su AO3, di cui purtroppo non ricordo né il nome né l’autrice. Fatto sta che quel che racconto accade anche nella serie animata X-Men Evolution, senza però la fine del mondo e tutta l’ironia che io inserisco a bizzeffe nonostante l’ambiente tragico.
Note: se tengo ancora per troppo questa cosa nel pc probabilmente non vedrà mai la luce. È una OneShot del tutto insensata, ma di cui vado un pochino fiera (♡) Nota bene, la fanfiction non è ambientata nel 2012, nonostante le dinamiche siano quelle accadute nel film sopracitato. Diciamo che questa storia risiede in un universo a sé stante, dove Apocalypse non è accaduto e Charles, sistemata la sua vita a seguito di DOFP, ancora una volta deve sopportare i piani poco geniali di un Erik che sì, ha le sue ragioni, ma le sviluppa male. Molto male.


 

 

Comedy of Errors
 
Era iniziata come una buona giornata. Okay, forse non perfetta, troppo poco zucchero nel caffè e un leggero fastidio alla tempia destra, ma tutto pareva dover risolversi con l’avvenire della tarda mattinata e del sole alto nel cielo.
 
Supporre semplicemente nel buono — che sia del giorno, del suo umore o, generalmente parlando, del futuro per l’intera umanità e razza mutante, — era stato, lo ammette, un grande sbaglio. Aveva imparato da tempo a smetterla di costruire castelli di carte intorno ad immagini sbiadite di persone che credeva di conoscere, ma che in realtà si erano rivelate piene di… sorprese, per così dire. Aveva imparato da tempo, anche, a saper distinguere un particolare genere di calma che annuncia le tempeste più violente della stagione. L’esperienza, sulla pelle di Charles, aveva dato i suoi frutti. Nulla di tutto questo sarebbe dovuto verificarsi come una sorpresa.
 
Aveva toppato, però, su tutti i fronti. Si era alzato dal letto e posato sulla propria sedia a rotelle con in mente la felice canzone di Barry Manilow, Copacabana, scivolando verso il piano di sotto con la testa che oscillava a ritmo di musica. E non aveva pensato mentre ricalcava il ritornello, che raramente tutto quel giubilo potesse durare più di qualche raro minuto, che a momenti potesse comparire quel cazzone del suo ex— ex qualcosa, a riportare a galla materiale di lunghe contese e vicende mortali.
 
Tutto sarebbe sembrato più semplice se il messaggio riportato fosse stato qualcosa di diverso, poi. Che ne sa, un avviso di grandine improvvisa nonostante l’estate torrida che stavano vivendo, la tragica verità sulla morte di Marylin Monroe, un ‘Ti odio’, che volendo avrebbe sortito una reazione migliore. Va bene che gli era stato ripetuto da Hank Alla Fine C’Ho Sempre Ragione Io McCoy più di un milione di volte, di come la fiducia non valga un cazzo se dieci anni più tardi la persona in cui l’hai riposta tenta di ammazzarti — di nuovo, — che due sconfitte non sistemano la testa di un tizio come Lehnsherr. Dunque, sì, forse qualcosa sarebbe andato nel verso opposto se Charles si fosse preso la briga di dargli retta e avesse messo da parte convinzioni rapprese, ma non si potevano mettere paletti ai principi, all’ego, al cuore.
 
Però, davvero, una cosa del genere anche un uomo ai livelli di Erik Lehnsherr se la sarebbe risparmiata. E invece, a quanto pare, no. E Charles non ci aveva pensato mentre gli anni passavano e vedeva sempre più terremoti, eruzioni, tsunami riportati ai telegiornali. Mentre le persone morivano e morivano e morivano e lui non si era nemmeno accorto di quanto fossero spaventati i suoi studenti. Era sembrato tutto così onirico, così passeggero, che non ci aveva creduto, non davvero, finché poi il caos non aveva raggiunto anche New York, e nuovamente i suoi studenti erano stati richiamati nelle loro case, lontano dalla sua sorveglianza e protezione.
 
Era l’epilogo di una storia durata miliardi di anni e il pianeta si stava loro ritorcendo contro. Hank era partito con una squadra di specialisti provenienti da tutto il globo per dare una spiegazione valida a queste catastrofi improvvise. Prima di avviarsi aveva bofonchiato “Tempeste solari con una forte emissione di neutrini” e si era preoccupato di chiedere per una ventina di volte di seguito se a Charles andasse bene stare per un po’ da solo. Charles lo aveva lasciato andare, quasi contento, e poi, dopo anni di silenzio, Erik era comparso nuovamente sul divano del suo studio privato, ed aveva, in ordine, rovesciato a terra l’abat-jour appartenuto ad un trisavolo morto in guerra, finito l’ultima bottiglia di Glen Grant, sporcato il tappeto di terriccio e causato la fine del mondo.
 
“Questa è un’ottima opportunità, Charles. La svolta d’oro che stavamo aspettando da quel lontano millenovecentosessantadue.”
 
“Questa è la fine del mondo, Erik!
 
“Anche questo,” annuì Erik, quando Charles gli permise di aprire nuovamente bocca, “ma guardala da un’altra prospettiva. È altresì l’inizio di una nuova era. Un’era decisamente migliore. Purificata.”
 
Charles s’infilò il viso fra le mani. Quel che sentiva innalzarsi nel petto era sicuramente disperazione. Il suo migliore amico era anche colui che lo aveva paralizzato, che si era fatto sua sorella adottiva, era finito in prigione ingiustamente per dieci anni e una volta liberato gli aveva lanciato addosso un intero stadio, senza preoccuparsi di immobilizzare qualche sua altra parte del corpo; e adesso, con un bicchiere vuoto di whiskey in mano e un sorriso scintillante, gli rivelava di aver surriscaldato il nucleo terrestre con conseguente liquefazione del mantello esterno.
 
“E, fammi capire bene,” chiese Charles, “hai fatto in modo che tutto accadesse molto lentamente, così da ricavare del tempo per costruire una navicella spaziale che portasse te, un gruppo di persone eccelse selezionate da te, e me, il tuo arci nemico più acerrimo, su un pianeta—”
 
“L’asteroide «M»[1]
 
“—su cui creare una popolazione di soli mutanti?”
 
“Non avrei saputo dirlo in modo migliore.”
 
“E quale neurone, di cortesia, ti ha suggerito che io potessi anche solo sognare di accettare qualcosa del genere e venire con te senza controbattere e cercare di combatterti?!”
 
Erik si alzò dal divano, camminò sino alla parete e indicò il pendolo appartenuto alla sua defunta madre, che a sua volta l’aveva ereditato da sua madre e così sino a raggiungere le radici della famiglia.
“Ho fatto spazio anche a questo,” disse Erik indicando il vecchio cimelio. “Ricordavo ti piacessero le cose alte e grosse e un po’ kitsch.”  
 
La vita era così ingiusta nei suoi confronti. Era partito con l’idea di fare giardinaggio quel pomeriggio e non di finire con Erik a parlare di come dovessero occupare insieme una sola stanza a causa dello spazio ristretto della navicella. E di certo non si era aspettato di dover negoziare la presenza o meno di Hank sul nuovo pianeta, finendo per lanciare — con merito — in faccia ad Erik il primo tomo che era riuscito a recuperare dal comò lì vicino.
 
Dio, gli verrà un gran mal di testa a convincere Erik che distruggere il pianeta non è la risposta a tutti i mali.

 

[1] Non me lo sono inventato, nel cartone nominò un asteroide «M», indette gli Hunger Games, per così dire, e rapì Charles perché aveva un posto speciale al suo fianco nel nuovo mondo.
  
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