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Autore: Bad Devil    18/08/2016    0 recensioni
Vi fu un lungo istante di silenzio, durante il quale Jon poté udire solamente dei piccoli singhiozzi, bassi al punto dall’essere quasi inudibili, coperti dal suono del traffico saltuario della notte.
“Edward?”
"Non ce la faccio più..." Gli aveva detto con un sussurro, il ragazzo, quasi come se le parole gli stessero morendo in gola.
Se prima era un timore, ora era una certezza: qualcosa non andava.
[Scriddler / RiddleCrow ]
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: L'Enigmista, Scarecrow
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
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Titolo: “Home is where the heart is”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Edward "Riddler" Nygma
Pairing: Scriddler / RiddleCrow
Genere: Malinconico, Angst
Rating: R
Avvertimenti: Slash; tematiche delicate
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



Home is where the heart is

Non era da lui telefonargli a così tarda ora e senza preavviso, non da quando Jonathan si è trasferito a Gotham. Rispose alla chiamata quasi immediatamente, nervoso nel semplice movimento di far scivolare il dito contro lo schermo per accettare la telefonata. La stanchezza della giornata era stata dimenticata in un istante, ora che l’agitazione aveva preso il sopravvento.

Temeva gli fosse successo qualcosa.

"Ed...?"

Vi fu un lungo istante di silenzio, durante il quale Jon poté udire solamente dei piccoli singhiozzi, bassi al punto dall’essere quasi inudibili, coperti dal suono del traffico saltuario della notte.

“Edward?”

"Non ce la faccio più..." Gli aveva detto con un sussurro, il ragazzo, quasi come se le parole gli stessero morendo in gola.

Se prima era un timore, ora era una certezza: qualcosa non andava.

"Cos’è successo...?"

Il ragazzo esitò ancora qualche istante prima di replicare, iniziando ad elencare una serie di eventi che, uno dopo l'altro, riuscirono soltanto a confonderlo. Suo padre era coinvolto, ancora una volta, non ne fu sorpreso, ma non riuscì a comprendere il problema vero e proprio. Aveva menzionato il lavoro, dei soldi, una scatola e delle scale (?). No, non aveva capito.

“Aspetta, Ed, con calma” Provò a placare così il suo flusso di parole, cercando di comprendere la situazione.
“Ha trovato la scatola sotto il letto, c’erano i quattrocento dollari che avrei dovuto spedirti dopodomani, ma quando ha provato a strapparmela via ho reagito, gli sono andato dietro... e poi in cucina. Ha preso un coltello, mi gridava contro, gli dicevo di restituirmela, che non era sua e non aveva il diritto di prendersi i miei soldi e poi- ”

Lo sentì piangere ancora, quei lamenti ora coperti dalla mano che doveva essersi portato alla bocca, nel vano tentativo di darsi un contegno. Gli si mozzò il respiro nel sentirlo così vulnerabile e disperato, con la consapevolezza di non poter fare nulla per aiutarlo. Non avrebbe potuto fare nulla nemmeno trovandosi accanto a lui, ma Edward aveva sempre trovato sostegno nella sua presenza silenziosa, ed ora era forzato a negargliela a causa della distanza.

"Ed, sei ferito?"

Era l'unica cosa che gli interessasse sapere. Fanculo i soldi, aveva ancora dei risparmi dal mese precedente, se avesse tagliato molto sul budget del cibo, ce l’avrebbe fatta senza problemi. In quel momento la priorità era Edward, ancora evidentemente sconvolto da quanto avvenuto, inconsolabile nel pianto isterico che malamente provava a nascondere e soffocare contro il palmo della mano.
Con un po’ di attenzione, Crane sarebbe quasi riuscito a sentirlo tremare.

Non era la prima volta che, da quando aveva lasciato Edward da solo per andare a Gotham, il ragazzo gli telefonava in lacrime, cercando nelle sue parole l’unico conforto che gli fosse possibile ricevere.
Non era la prima volta, ma questa sembrava essere peggiore delle altre.

Temeva che potesse fare qualcosa di stupido...

Il ragazzo non rispose alla sua domanda, come se non l'avesse nemmeno sentita, ma la sua voce si spezzò e il suo pianto si fece più pacato, tenuto faticosamente sotto controllo.

"Edward. Ho bisogno di sapere se sei ferito." Ripeté ancora Crane, cercando di mantenere il tono fermo, imponendogli di rispondere.
La voce gli tremava, tradiva preoccupazione, ma il tono autoritario sembrò funzionare.

"...no." Il ragazzo aveva esitato nuovamente nel rispondergli e Jon lo conosceva abbastanza da sapere che gli stesse mentendo.

"Mandami una foto."

Ancora una volta Edward prese del tempo, prima di negargli la richiesta, stringendo i denti intorno al proprio indice destro per placare quel pianto che, da isterico, ora si era fatto più silenzioso.

“No, non è il caso.”
Jonathan si sentiva sempre più vicino al perdere la calma.
Si impose di prendere un bel respiro, per evitare di urlargli contro al telefono; anche se adirarsi e alzare il tono si era spesso rivelato essere la chiave vincente per imporre ad Edward le cose, in questa situazione avrebbe solamente peggiorato la situazione.

Ora ne aveva la certezza.
Gli stava mentendo, era evidente, e se lo stava facendo, doveva essere per un motivo grave.

“Sto bene.” Aggiunse ancora, esitante e tirando su col naso.

...per favore...

Edward rimase in silenzio qualche istante, combattuto sul da farsi.
Si odiava per avergli telefonato in piena notte per fargli carico, ancora una volta, dei propri problemi; odiava la sua costante dipendenza da lui, la nostalgia per le sua stretta e le sue carezze, per aver un bisogno così disperato di un suo abbraccio, ora che più che mai sentiva di non potercela fare. Forse rendersi conto della situazione avrebbe aiutato Crane a capire che non era poi così grave.
Stava bene, ora. Era vivo.
Sì sentì un egoista nel tenerlo in sospeso a quel modo, per questo motivo decise di obbedire in qualche modo alla sua richiesta e mandargli lo scatto.
L’audio della chiamata fu disturbato per qualche istante, il tempo sufficiente per permettere ad Edward di inviagli la fotografia.

...dio.

Era peggio di quanto avesse temuto.

Edward, nella foto, era seduto nel parcheggio di quello che aveva riconosciuto essere il pronto soccorso della città.
Aveva dei lividi sul viso, sbiaditi e vecchi di giorni, ma nonostante tutto ben visibili nonostante il buio della notte.
Alcune zone del suo volto erano più arrossate di altre, segno evidente di dove fosse stato colpito più recentemente; la pelle era chiara e risaltava alla luce del flash e dei lampioni, così come i segni evidenti delle lacrime lungo le sue guance o quelli delle ferite, come quella ormai chiusa sull’angolo della sua bocca.
A preoccuparlo maggiormente, però, era la presenza di una fasciatura sulla sua gola e quella sulla mano che il ragazzo aveva incluso nell’inquadratura.

“Che cosa ha fatto?!”

Ringhiò contro di lui, non appena ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo da quella immagine.
La mano libera si strinse con forza sul proprio ginocchio, tremando nel tentativo di mantenere la calma.

“Ha preso i quattrocento dollari che tenevo da parte per questo mese, mi dispiace” disse Edward, ora nuovamente in lacrime.

“Ho provato a riprenderli, ma ha preso un coltello e sono riuscito a mala pena a difendermi”
Spiegò in tono concitato, poggiando la fronte contro la mano ferita. Si sentiva abbattuto e pieno di vergogna.

Il taglio sul suo collo, nonostante l’abbondante quantità di bende usate per medicarlo, era affare di poco conto, appena superficiale e senza il rischio di potersi infettare.
Se non avesse avuto la prontezza di riflessi di bloccare il colpo di suo padre con la mano, però, avrebbe potuto andare a finire molto peggio.
“Ha ragione, sono un buono a nulla, non riesco nemmeno a mantenere la promessa che ti ho fatto-”

Crane scosse la testa più volte, nell’udire quella marea di sciocchezze e puerili giustificazioni.

“Edward avrebbe potuto ucciderti...” disse con disgusto, stringendo la presa sul proprio ginocchio.

“...forse riuscirò a fare il doppio turno la prossima settimana, per provare a rientrare nella perdita...”

“Sei andato al pronto soccorso, no? Non ti hanno fatto domande?”
Insistette ancora, provando a spostare la conversazione.

“...con un po’ di fortuna dovrei avere ancora centosessanta dollari, da parte. Centonovanta, se salto pranzo per tre settimane.”

Iniziò a fare una serie di calcoli in base alla propria possibilità fissa di guadagno, in aggiunta ad una media delle mance che avrebbe potuto ottenere, ai risparmi di cui era ancora in possesso e al netto della parte che gli sarebbe stata necessaria per sopravvivere lui stesso.
Continuava a ripetere cifre su cifre, calendarizzando le stesse in modo da dargli un contesto e un filo logico.

“Perché non l’hai denunciato?” Sbottò Crane, nel tentativo di far cessare quel comportamento ossessivo.

“Dovrei riuscire a spedirti trecentocinquanta dollari, entro fine mese. Devi risparmiare intorno ai cen-”

Non ce la faceva più ad ascoltarlo.

“NON ME NE FREGA UN CAZZO DEI SOLDI, EDWARD!!”
Sbottò, disgustato e adirato, ignorando i propositi che si era imposto per non alzare la voce.

“COSA PENSI DI FARE?! CONTINUARE COSI’ FINO A QUANDO NON TI AMMAZZERA’ SUL SERIO?!”

Edward strinse i denti e abbassò lo sguardo, allontanando di poco il telefono dal proprio orecchio.

“E CHE SCELTA HO?!” Gli gridò di rimando, nuovamente in lacrime.

“NON POSSO ANDARMENE, SONO BLOCCATO QUI FINO A QUANDO NON AVRO’ FINITO LA SCUOLA” gli ricordò, ancora una volta.

Anche se Jonathan aveva avuto occasione di andarsene, a lui non era stato concesso lo stesso lusso.
Aveva promesso di dargli tutto il sostegno emotivo e finanziario di cui sarebbe stato capace, ma allo stesso tempo si erano giurati reciprocamente di non cedere e non incontrarsi fino a quando Edward non avesse finito la scuola o Crane l’università.

“TUTTO QUELLO CHE MI MANDA AVANTI E’ RIUSCIRE A PENSARE A QUANTI SOLDI RIUSCIRE A MANDARTI DI MESE IN MESE, PERCHE’ E’ L’UNICA COSA CHE POSSO FARE PER TE, NELLA SPERANZA CHE TU MANTENGA LA TUA PROMESSA E POI FACCIA LO STESSO PER ME!”
Gli gridò, sincero per la prima volta nei propri dubbi.

“FINIRA’ PER UCCIDERTI PER QUEI CAZZO DI SOLDI, SE LO AFFRONTERAI UN’ALTRA VOLTA!”

“E COSA DOVREI FARE?! AMMAZZARLO COME HAI FATTO TU CON LEI?!”

Il silenzio che seguì quelle parole fu tombale, pesante, carico di rancore per entrambi.

Il respiro di Edward era affannato, spezzato da qualche timido singhiozzo che ancora non sembrava volerlo abbandonare, mentre Crane era rimasto senza parole alla sua accusa, incapace di formulare una risposta concreta.

Non avevano mai più parlato di quella notte, non del massacro, almeno.
Ingenuamente, aveva creduto che l’averlo aiutato a coprire l’omicidio di Mary Keeny non fosse stato un grosso problema, per lui.
Credeva avesse capito il perché del suo gesto, che fosse dalla sua parte.

Si era sbagliato?

“...fanculo." Disse Edward in un sussurro, continuando a piangere e senza nemmeno provare più a nasconderlo.

Tutto quello che Jonathan riuscì a fare fu restare in silenzio, pronto a dargli tutto il tempo che avrebbe ritenuto necessario.
La sua accusa non gli era piaciuta, ma sapeva e sperava con tutto se stesso che le parole di Edward fossero state dettate dall’emotività del momento e che questi non intendesse davvero rinfacciargli quello che aveva fatto.
Era sconvolto. Lo poteva capire.

I minuti trascorsero lenti.
Ogni volta che Jonathan lo sentiva singhiozzare, combatteva con la voglia uscire di casa e prendere il primo treno per tornare da lui.
Diamine, sarebbe tornato persino a piedi, da lui, ma sapeva di non poterlo fare. La promessa che si erano scambiati aveva un valore, ed entrambi non avrebbero perdonato se uno dei due l’avesse infranta: farlo avrebbe significato vanificare tutto quello per cui avevano lavorato e combattuto fino a quel momento.

Poco dopo Edward riuscì a calmarsi. Riprese fiato, si asciugò il volto con le mani, cercando regolarizzare il proprio respiro.

“Jon...?”

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, in attesa che il rosso dicesse qualcosa.
La sola idea di Edward, ferito e abbandonato alla solitudine di quel parcheggio, lo disgustava.
Avrebbe dato qualunque cosa pur di potergli essere accanto in quel momento, per poterlo stringere a sé e baciargli la fronte, come aveva fatto in passato in situazioni analoghe.

Non dista molto da qui, la stazione.

Sorrisero tristemente entrambi, a quelle parole, consci che il loro gioco aveva appena avuto inizio.

Di tanto in tanto, le loro conversazioni telefoniche diventavano ipotetiche, valutando insieme in concreto la possibilità di potersi rivedere al più presto. Un gioco crudele e al contempo una bellissima illusione, capace di dare a entrambi un po’ di sollievo e distrazione.

“Potresti prendere il treno delle cinque ed essere qui per mezzogiorno.” Gli disse Crane, facendo la propria parte.

“...e presentarmi nel tuo dormitorio appena in tempo per farmi cacciare dal sorvegliante.”

“Dovrai stare attento...”

“Oppure potremmo cercare un appartamento nella zona, da dividere!” gli disse con un filo di entusiasmo nella voce, così genuino e naturale al punto che al punto che, a quella proposta, Crane fu sul punto di accettare sul serio.

Ne parlarono come se fosse stata una decisione presa.

Edward sembrava distratto dall'idea di cercare un appartamento da condividere e un lavoro per continuare ad aiutarlo; se solo fosse stato possibile, l’avrebbero già fatto, ma l’intera questione avrebbe portato loro più problemi di quanti fossero stati in grado di affrontarne.
Il ragazzo era più giovane di Crane di due anni e quindi tutt’ora legalmente minorenne.
Andarsene avrebbe implicato la sua scomparsa, mentre trovarlo con Jonathan, un reato ancora peggiore.

Parlarono a lungo di ogni cosa fin nei minimi dettagli: dei soldi che aveva da parte al momento, quanto gli sarebbe costato prendere il treno e raggiungerlo, per quanto quei risparmi sarebbero bastati e quanto sarebbero riusciti a durare, prima che Ed potesse trovare un altro lavoro, magari full time.

“Dovrai cercare una scuola e finire le superiori.” Gli disse Jonathan, contrario all’idea appena proposta.

Non glielo avrebbe mai permesso: era troppo intelligente per non finire la scuola, soprattutto non per causa propria.

"Potrei imparare a cucinare. Ho il sentore che tu ti stia lasciando morire di fame. Quanto pesi ora? Venti chili?"
La sua incapacità di prendere peso fu nuovamente oggetto di scherzo.

“Ventidue, quando respiro, ma sto cercando di smettere.”

La risata di Edward riuscì a farlo sentire più sereno.
Non gli piaceva essere deriso, non per quello che, negli anni, era stato davvero un problema, ma da parte sua riusciva ad accettarlo.

Sapeva quanto l’altro lo apprezzasse... lo aveva fatto sentire desiderabile ogni volta, cancellando le sue insicurezze e rendendolo più forte.

"Cerchi di farti notare dalla reginetta del ballo?" Gli chiese, divertito.

“Oh no...” Crane si lasciò cadere disteso sul letto, ora più sereno.

“Temo, tuttavia, di avere un debole per la nerd dai capelli rossi che passa sempre il suo tempo in biblioteca.”

Prese una pausa.

“Credi che potrei piacerle?”

Edward scosse la testa, stirando un sorriso.

“Non se continuerai a chiamarla nerd.”

Risero entrambi a quella risposta, lasciando poi spazio ad un lungo momento di silenzio.

Il gioco era finito; tempo di ritornare alla realtà.

"Mi manchi."
Gli disse Edward, alzandosi in piedi con fatica, ora pronto a lasciare il parcheggio per rientrare in ospedale.

Jonathan si portò una mano al volto, costretto ancora una volta a dover affrontare sentimenti ed emozioni con cui si sentiva totalmente a disagio.
Il ragazzo gli mancava abbastanza da togliergli il respiro al suo solo ricordo... al punto da costringerlo a guardare una fotografia di lui addormentato, prima di prendere sonno.
Ammetterlo ad alta voce era un altro tipo di problema, il suo Edward, però, lo aveva sempre capito.

“Otto mesi.” Gli disse. “Otto mesi ed il tempo di racimolare un po’ di soldi e cambiare sistemazione.”

Presto si sarebbe laureato e avrebbe potuto ricambiare il favore, cercando un lavoro dalla paga adeguata e facendosi carico del ragazzo per poter stare finalmente con lui.

"Un anno e otto mesi." Lo corresse Edward, con un sorriso triste.

“Cosa...?”

“La foto che ti ho mandato prima, è di due sere fa...” disse in un bisbiglio, certo che Jonathan avrebbe perso di nuovo la calma e se la sarebbe presa con lui.

“Stanotte mi ha spinto giù dalle scale... credo volesse solo spingermi da parte, in verità, ma ho perso l’equilibrio e sono volato per quindici gradini.”

Crane strinse i denti, incerto se provare più astio per quella menzogna, o se per l’apatia con cui gli raccontava quegli avvenimenti.

Non osò chiedergli come stesse.

"Tre costole rotte e due incrinate, niente che non possa sistemarsi"
Provò a rassicurarlo, ora padrone del proprio autocontrollo, al contrario del momento in cui aveva deciso di telefonargli.
“...ma ho sforato già di troppo le assenze possibili e questi giorni mi costeranno l’anno scolastico.”

Si strinse un braccio intorno al costato, cercando sollievo in quella posizione al meglio delle proprie possibilità.
“Ironico, eh? Potrei sostenere gli esami e superarli in questo momento stesso, invece mi tocca aspettare ancora.”
Il silenzio di Jonathan iniziava a innervosirlo.

“Ti prego, parlami.”

“Perché mi hai mentito?”

“Non volevo ti preoccupassi ulteriormente... hai già altro a cui pensare senza di me.”
Sorrise triste, fermandosi davanti l’ingresso dell’ospedale ed esitando ancora, prima di rientrare.

“Non è come se dirtelo avrebbe fatto qualche differenza...”

“Mi stai mentendo di nuovo.” Gli disse annoiato.

“Non posso proprio nasconderti niente, eh...?” Si appoggiò alla ringhiera alle proprie spalle, traendo sollievo per il costato ferito.

“...è che...” Si morse le labbra, in cerca delle parole giuste per dirglielo.
“Un anno in più cambia le cose, no...?”
Inspirò al meglio delle proprie possibilità, facendo del proprio meglio per non ricominciare a piangere.

“E’ stata una settimana pesante... non ce l’avrei fatta a sopportare anche il tuo addio.”

Crane scosse la testa, nervoso, combattendo con la voglia che aveva di urlargli nuovamente contro.

“Non sto andando da nessuna parte.” Nemmeno potendo scegliere, lo avrebbe fatto.

“Un anno cambia le cose.”

“Ne abbiamo già passati quattro.”

“E se ne è aggiunto uno per colpa mia.”

“Edward...”

“Senti, ho sbagliato, ok?” Gli disse ad un tratto.
“Non avrei dovuto mentirti, non succederà più.” In qualche modo, le sue parole suonarono come delle scuse.

Se Riddle era riuscito quasi a scusarsi, allora lui avrebbe potuto provare a dirgli la verità a propria volta.

“Ascoltami bene.” Gli disse, prima di prendere una pausa e cercare il coraggio per continuare.
“Ti ho promesso che sarei tornato a prenderti, ed è quello che intendo fare. Non mi interessano i tuoi soldi, non mi interessa se dovrò perderci tempo e salute, non mi interessa se ci vorranno ancora due anni o dieci.”

Si morse le labbra, prima di continuare.

“Ne sarà valsa la pena se alla fine potrò averti al mio fianco.”

Edward rimase senza parole. Nessuno gli aveva mai detto qualcosa di simile.

“Fa attenzione...” gli rispose il rosso.

“Di questo passo inizierò a pensare che mi ami anche tu.”

“Dove sei, ora?”

“Ancora fuori dal pronto soccorso. E’ un po’ affollato, nonostante l’ora. Sono riuscito a farmi fare le lastre, ma devo tornare dentro per farmi fasciare. L’infermiera è venuta a chiamarmi già due volte...”

“Scrivimi quando esci o se succede qualcosa.”

Edward annuì, discostandosi dalla ringhiera e rientrando nell’edificio.

“Vai a casa, dopo.” Gli disse ancora, come raccomandazione, ma la risposta che ricevette fu una risata.

“Non posso... Per quella ci vorranno ancora un anno e otto mesi...”

Ti amo.

Ma Edward aveva già messo giù.




End
Cadaveria†Ragnarsson

  
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