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Autore: Lunastorta98    18/08/2016    2 recensioni
Ripercorriamo insieme la storia di una delle coppie Canon del mondo di Harry Potter, quella formata fa Remus Lupin e Ninfadora Tonks.
Partiamo dal presupposto che io amo il personaggio di Remus e amo l'ostinazione di Tonks, quindi scrivere qualcosa su di loro era scontato!
La storia si apre con un evento che io ho immaginato, avvenuto nel passato (il prologo) per poi catapultarsi nel pieno della lotta che la giovane Auror combatte, per convincere l'ex professore a lasciarsi andare.
La storia segue gli avvenimenti reali (come raccontati dalla Rowling), ma reinterpretati e un po' più concentrati su di loro. Per esempio, i così numerosi turni di guardia dell'Ordine della Fenice sono citati in Harry Potter, ma nessuno di questi viene descritto. Così ho pensato di ambientare una scena della ff, in un turno condiviso da Remus e Tonks.
Essendo che la storia segue la realtà, ahimè i due moriranno alla fine, per cui addio amici miei. Io piango...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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-1982-

Remus camminava per Diagon Alley… no non camminava, vagava, ecco si. Remus vagava per Diagon Alley con andatura lenta e preso da mille pensieri. Ormai era la terza o quarta volta che andava avanti e indietro lungo la strada passando davanti al Ghirigoro. Teneva le mani in tasca e lo sguardo dritto davanti a se, vuoto, guardava tutto e niente. L’aria stanca, distrutta, addolorata: in poche parole, chiunque lo avesse visto in quel momento avrebbe semplicemente pensato che facesse pena.
Remus Lupin, giovane ventiduenne, non si era mai sentito meno se stesso di come si sentiva in quel momento: generalmente i capelli pettinati con cura per tenerli in ordine, adesso erano tirati malamente all’indietro con alcuni ciuffi che cadevano davanti agli occhi, la camicia che solitamente era senza alcuna piega di troppo, ora sembrava anche non stirata da giorni e presa a caso da un mucchio disordinato di vestiti, il colletto ordinato, adesso invece piegato male e una vaga allegria che comunque mascherava il solito velo di mistero che lo contraddistingueva. 
Eppure era in questo stato da ormai un anno: era il 1982 e solo il precedente Halloween aveva dovuto dire addio a James Potter, Lily Evans, Peter Minus e Sirius Black. Erano i suoi migliori amici dal tempo della scuola, erano la sua famiglia e in una sola notte li aveva persi tutti. I primi due erano stati uccisi da Lord Voldemort, ma quella stessa notte anche il Signore Oscuro perì grazie a Harry… il piccolo Harry di appena un anno, il pargolo dei Potter, l’amore più grande di Lily e James.  Ricordava la prima volta che anche lui aveva avuto l’onore di tenerlo imbraccio, era stato davvero bello quel pomeriggio: il piccolo di pochi mesi con quel ciuffo nero ribelle e poi quegli occhi verdi, come quelli di Lily. Ricordava come se fosse stato il giorno prima che Peter e Sirius erano arrivati in ritardo perché il primo si era fermato a fare compere, dolci e cioccolato per tutti. Peter, morto anche lui... la cosa più dolorosa era che fu proprio Sirius a ucciderlo. Sirius che nonostante facesse il ragazzo che bisognava temere, non avrebbe mai fatto male a una mosca, aveva ucciso uno dei suoi migliori amici. Sirius, il suo amico più caro all’interno del gruppo, quello che lo aveva capito al volo, quello che lo aiutava sempre, si era macchiato di un omicidio...
Remus scosse la testa mentre prendeva posto su una panchina fuori dal negozio di libri, lasciandosi dietro quei pensieri che, quando era nel buio e la solitudine di casa sua, lo portavano alle lacrime.
Era patetico, lo sapeva bene... eppure era così. Non c'era giorno che passasse senza che lui non provasse a tornare indietro, anche se solo nei suoi ricordi. Erano stati gli anni più belli della sua vita e ne era certo, non avrebbe mai più rivissuto un periodo come quello.

«Io mi sono stufata di stare qui dentro!» la voce di una ragazzina, che usciva dal Ghirigoro, ruppe il silenzio della stradina 
«Aspetta, tua madre ha quasi fatto» una seconda voce, era un uomo, probabilmente il padre della bambina 
«Dai aspetto su quella panchina!» trillò lei indicando quella dove era seduto anche Remus

L’uomo osservò con attenzione la figura del ragazzo, incurvato con i gomiti poggiati sulle gambe e il viso tra le mani, poi si chinò sedendosi sulle caviglie e sussurrò qualcosa alla figlia che annuì e salutò col la mano il padre che rientrò. La bambina andò poi a mettersi seduta all’estremo opposto della panchina rispetto a dove era Remus.
Passavano i minuti, la ragazzina stava seduta con le gambe che ciondolavano dalla panchina in completo silenzio, lanciando sguardi verso Remus il quale, senza nemmeno rendersene conto, la guardava attraverso le dita della mano che aveva davanti agli occhi: era una normalissima bambina di... nove anni, si doveva avere all’incirca nove o dieci anni, capelli di un classico castano e gli occhi nocciola, la pelle liscia e senza imperfezioni come è giusto che sia a quell’età e un viso da una forma molto carina, quasi a cuore.

«Sei un barbone, tu?» chiese improvvisamente lei, senza ricevere alcuna risposta «Ehi! Ma sei sordo? Oppure sei muto?» continuò lei «Allora sei un barbone? Mio padre dice che probabilmente lo sei…»
«No, non sono un barbone» rispose finalmente Remus abbassando le mani dal viso che girò verso di lei. La voce leggermente rauca.
«Ah ma allora parli! Ma ti sei visto? Sei tutto combinato... cioè...» improvvisamente smise di parlare e si alzò mettendosi esattamente davanti a lui con espressione concentrata e puntando un dito su una cicatrice che Remus aveva sul viso «Come te la sei fatta? Sei caduto? Inciampato? Hai sbattuto?» 

Era bizzarro come quella bambina parlasse tutto d’un fiato, doveva essere una gran chiacchierona, al contrario di Remus così taciturno per natura e per colpa di qualche divinità che lo aveva preso di mira tanti anni prima. 

«Si sono caduto» mentì
«Ah Ah! Bugia!» trillò lei «Va beh, se preferisci non dirmelo, ma non si dicono le bugie!»
«D’accordo scusa» disse accennando un sorriso triste
«Allora, se non sei un barbone perché sei tutto spettinato e... a dire il vero non stai male sai? Ah a proposito, anche io ho una cicatrice sulla gamba. No non è proprio una cicatrice, ma mi sono tagliata. Sai sono caduta, mia mamma dice che sono... come si dice... ah si! Dice che sono sbadata» detto questo tornò a sedersi «Ma non lo faccio apposta» borbottò.

Remus non seppe rispondere anche perché, se fosse stato per lui, non avrebbe proprio iniziato a parlare, anzi pensò quasi di andarsene ma qualcosa lo spingeva a stare seduto lì e ridacchiò leggermente. Lei dal canto suo non seppe sopportare molto il silenzio

«Ma quanti anni hai? Secondo me sei grande... anzi no, cioè non grande quanto papà e mamma, loro sono tanto grandi» si fermò un momento aspettando una risposta che non arrivò, per cui riprese a parlare «Beh non so quanti anni hai, ma secondo me la cicatrice sulla guancia ti invecchia! Oh per Merlino non avrei dovuto dirlo, mia mamma dice anche che a volte so essere molto maleducata, ma sono curiosa! Mi piace sapere le cose, anche se a volte parlo tanto senza nemmeno rendermene conto e magari mi perdo in discorsi che non hanno né capo né coda. Succede tante volte che mi metto a parlare e parlando parlando arrivo a raccontare anche cose della mia vita, distogliendomi dall’argomento principale... ah a proposito lo sai che ho un gatto? Cioè no non è proprio mio, sta nel giardino dietro casa mia... Ma perché ridi?»

E infatti Remus stava proprio ridendo: all’inizio ascoltava incuriosito ma man mano che lei chiacchierava, un sorriso si faceva largo sul suo viso e alla fine non riuscì a evitare di ridere

«Ti sei persa in uno dei tuoi discorsi» disse tra le risate 
«Oh... ok sto zitta, ora» rispose lei prendendosi le mani e poggiandole sulle gambe «Ma prima me lo dici quanti anni hai?»
-Ne ho ventidue- si limitò a rispondere 

La bambina annuì e come promesso cadde il silenzio tra i due. Remus alzò lo sguardo al cielo ancora sorridente. Ma anche quella volta lei riprese a parlare

«Come ti chiami? Io mi chiamo... no anzi non te lo dico. Mio papà mi ha detto di non parlare con gli sconosciuti e di non dire mai chi sono» recitò con una espressione tra il serio e il divertito 
«Beh, eppure mi stai parlando»
«Hai ragione! Per Merlino, non dirlo a mio papà ok!? Sennò mi sgrida e non voglio» esclamò tra le risate dopo averci pensato attentamente 
«Promesso non glielo dico»
«Ah grazie!» Sorrise lei sporgendosi a baciargli una guancia 

In quel momento la porta del Ghirigoro si aprì e il campanello che vi era attaccato suonò, ma prima che l’uomo che Remus aveva visto prima con accanto una donna, la moglie sicuramente, uscisse, la bambina aveva già ripreso posto e aveva assunto un’aria seccata.

«Abbiamo finito» sorrise la madre che poi osservò il ragazzo accanto alla figlia
«Era ora! Non vengo più a fare compere con voi» borbottò alzandosi e avvicinandosi ai due

I tre poi si avviarono, la bambina camminava mano nella mano con il padre. Lei girò la testa verso Remus e lui la salutò muovendo la mano, mentre ancora sorrideva.
  
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