A voi.
Che mi seguite; che mi parlate.
Che mi onorate.
Per le vostre parole, per il vostro affetto.
Per ricordarvi.
Di me.
Una primavera
“Ripeti”
“Ancora?!” Naraku rotea gli occhi. Il calice (nero. Elegante) ondeggia – divertito. La risata irriverente gorgoglia in gola; ma non puoi ridere. Non quando Sesshomaru è così: il naso (aristocratico) arricciato e un’ombra – vaga – di irritazione. E non ti guarda. Ovvio.
“Ancora” La testa si piega – poco. Sesshomaru è in guardia. Perchè Naraku ha quel suo mezzo sorriso preoccupante; e quando sorride così (e lo fa spesso- e per me sono rogne) sta elaborando.
“Dunque” e la frase – da copione – si interrompe nel vino (sadico). Perché Naraku adora recitare; sempre. “Dunque” ripete, e fa schioccare – leggera – la lingua. “Una giornata piacevole, un buon vino, i ciliegi…”
Gli occhiali – grandi. A goccia – scivolano perplessi; e un’ombra (bianca) si allunga sulle labbra di Sesshomaru. Divertito, quasi. Quasi.
“Ti. prego” Sesshomaru geme; un dito – sottile – risistema gli occhiali; ricomincia. Ma la voce (bastarda) sorride.
“Insomma!” Naraku sogghigna e allenta il (largo) nodo Balthus del foulard – mai cravatte. Sono un guinzaglio per addormentati. Un gesto vago e il labbro (lucido) accartocciato. “Vivi da recluso. Se non ci fossi io…”
“Eviterei i calmanti”
Sesshomaru arriccia il naso, le labbra – rilassate. Stranamente rilassate –sono un ghigno. Naraku sbuffa e scrolla le spalle. “Sei impossibile!”
“Non ti trattengo” Sesshomaru slaccia il primo bottone (madreperla) della camicia. Si sta rilassando, e non mi piace. Perché parlare (litigare) con Naraku è solo irritante rilassamento. E forse (forse) su qualcosa ha ragione – su poche cose. Perché Naraku mi conosce. E ha capito che c’è qualcosa di stonato.
“Il libro?” Naraku sfila – svogliato – il portasigarette.
“Consegnato”
“Consegnato?” Un sopracciglio (sottile. Diabolico) si solleva, curioso. Sesshomaru non consegna; Sesshomaru pubblica.
“Consegnato”. Sesshomaru scrolla le spalle; ma le parole – la parola – sono premute sulle labbra (appena socchiuse. Poco poco), masticate. Odia parlare di lavoro. Odia parlare di lavoro con Naraku. Odia parlare con Naraku di quel lavoro.
(Provochi? – Giochiamo. Ti va? – Non vincerai – Vedremo)
“E non ti -”. Naraku picchietta il filtro; aspira. Il tabacco inglese è eccelso – come sempre. Finge (dannato) di cercare l’espressione adatta. “-soddisfa?” sibila (ridacchia), e accarezza – noncurante – il mento raffinato.
“Aha”. Gli sfila l’accendino dalla mano – intraprendente. Sesshomaru adora fumare, quando è nervoso. E adesso sono nervoso. E allora, va bene anche l’aroma (disgustoso) speziato delle sigarette di Naraku. Un filo – sottile – e l’indice (l’artiglio lucido) accarezza distratto i ricami in ferro.
“Regolare, allora”
“Davvero?” Sesshomaru sbuffa – risentito. E la bocca (Naraku la vede. È un attimo, ma la vede) si ricorda un sorriso.
“Davvero”. Naraku ridacchia. E inclina (spensierato) il calice. “Brindiamo”
“E a cosa, di grazia?” Ma la mano – complice – solleva lo stelo. Perchè quando Naraku ti guarda in quel modo (gli occhi – beffardi- fra il fumo e il riflesso del vino) no, Sesshomaru non riesce (può) dirlo.
“É necessario un qualcosa?”
“Si usa, di solito”
“Allora” – la testa inclina sorniona – “al tuo (futuro) successo” L’indice – perentorio – si alza e Sesshomaru incassa (contro voglia) la testa. Mai – assolutamente mai – interrompere Naraku.
“E alla mia…”. Un dito –distratto – sfiora le labbra (irriverenti).
“…megalomania?”
“Gentile”. Naraku singhiozza una risata e arriccia il naso. Sesshomaru scivola rilassato, con un bagliore –sospetto – negli occhi.
“Obiettivo”
“Obiettivo”. La mano guizza- plateale – nell’aria. “Alla tua, imbrattacarte”
“Alla tua, manipolatore”
Ragionando
Era da un bel po’ che questo quadretto mi ruzzolava per la
testa.
Sono riuscita a scriverlo, alla fine. Doveva esser pronto
per Pasqua (doveva); purtroppo, è slittato. Come mille
altre cose che, ultimamente, mi stanno scappando – irritanti – fra le mani.
I soliti due.
Ormai, questa “coppia” (narrativa!) la amo.
E allora, mi son detta, perché non aprire un’altra
tetralogia? Il Giorno è riuscito; e io (miracolo!) ho scoperto di poter provare a scrivere
qual cosina di…ironico? Sì, diciamo
ironico.
Ecco, meglio: agrodolce.
Allora. Allora ci riprovo: Le stagioni.
E questo.
Questo quadretto è
un po’ il risultato di questi ultimi mesi. Ah, per la cronaca: i calici neri non
sono una mia invenzione, esistono realmente. E a voler esser sinceri sinceri da qualche giorno
fanno bella mostra di sé nella mia credenza. Non ho saputo resistere: li ho
visti, e il collegamento con Naraku (e Sesshomaru) è stato automatico.
Come sempre, è scritto per lasciare un sorriso.
Sperando regali un attimo di spensieratezza.