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Autore: Kary91    18/08/2016    5 recensioni
[One-Shot | Pre-saga | child!Jace&Alec | Slice of Life]
“Papà!” gridò a squarciagola Max, quando si accorse della presenza di Robert. “Papà!”
Ancora una volta, Jace si sorprese a trasalire: le urla del fratellino divennero le sue e la villa dei Penhallow mutò forma di fronte ai suoi occhi, diventando la tenuta dei Wayland.
L’immagine del padre riverso a terra incominciò a delinearsi nella sua mente, ma qualcosa lo trascinò via da quel ricordo. Alec l’afferrò per le spalle e si mise a ridere, allontanandolo dal dolore di quella scena.
“Ce l’hai!” esclamò trionfante, senza sapere di averlo appena difeso da un incubo.
Jace si divincolò dalla sua presa per fargli il solletico: voleva farlo ridere ancora, perché quel suono mascherava i ricordi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Max Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
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Questa flash fiction è stata scritta per l’event di agosto del We are Out for Prompts con il prompt child!Jace/Alec - L'unica cosa che sembrava calmare Jace da un ricordo piuttosto spiacevole era la risata di Alecdi Mafiaromano.

 

Safe in your Laughter;

 

 

“Papà!”

Il trillo infantile di Max lo colse di sorpresa.

Jace osservò il piccolo di casa divincolarsi dalla presa di Maryse per fiondarsi dentro il cortile dei Penhallow: Max aveva trascorso le ultime settimane a New York con la mamma e i fratelli, e non vedeva l’ora di riabbracciare il padre.

“Papà!” ripeté, puntando alla porta d’ingresso.

Quel grido squillante spinse Jace a guardarsi intorno. Cercò in lontananza qualcosa con lo sguardo: era la prima volta che tornava a Idris da quando si era trasferito all’Istituto. La prima volta, da mesi, in cui si sentiva così vicino al suo passato, alla sua casa. A suo padre.

“Papà?” urlò ancora Max, correndo a perdifiato per il cortile. Robert non rispose ai richiami: forse non era ancora rientrato dalla riunione. “Papà, dove sei?”

Le grida infantili del suo fratellastro gli tintinnavano in testa come un campanello d’allarme. Jace aguzzò lo sguardo, sorvolando con gli occhi la foresta di Brocelyn. L’immagine della tenuta dei Wayland si disegnò nella sua testa, gettandolo in mezzo ai ricordi.

“Papà?”

 

 “Papà!”

Il ragazzino spezzò il silenzio innaturale che lo circondava, fiondandosi sul corpo inerte di fronte a lui.

Michael Wayland giaceva a terra con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati – il sangue che gli impregnava i capelli chiari.

“Papà, apri gli occhi!”

Non l’aveva mai chiamato papà: per lui era sempre stato padre. Ma adesso, mentre l’orrore gli martellava in petto e lui si sforzava di trattenere il vomito, non riusciva a pronunciare altro.

“Papà, ti prego!”

Jace lo scrollò per le spalle, le dita tremanti aggrappate alla sua pelle. Tirò fuori lo stilo per disegnargli un’Iratze, ma fu tutto inutile.

Suo padre non si mosse.

 Jace continuò a chiamarlo, le lacrime che gli offuscavano la visuale.

“Papà!”

 

“Ehi, sto parlando con te!”

Jace sbatté le palpebre e diede le spalle alla foresta di Brocelyn: Alec lo stava fissando con aria preoccupata, una mano stretta intorno al suo polso.

“Sei sicuro di star bene?”

La sua voce venne in parte mascherata da un concerto di gridolini femminili: Aline Penhallow e Isabelle si stavano inseguendo per il cortile, blaterando qualcosa a proposito della Sifilide Demoniaca.

Max – che sembrava essersi ormai rassegnato al ritardo del padre – cercava di stare al passo, rincorrendo ora Aline, ora la sorella.

“Sto bene” annunciò Jace, recuperando il sorriso. Il dolore gli vibrava ancora dentro come un tamburo infilato sottopelle, ma si sforzò di non darlo a vedere. “Che stanno facendo quelle due?” domandò, indicando le bambine con un cenno del capo.

Alec gli lasciò il polso, ma continuò a tenerlo d’occhio con espressione poco convinta.

“Stanno giocando a ce l’hai” si arrese infine, dando una scrollata di spalle.

Un guizzo divertito si fece strada nello sguardo di Jace.

“Ce l’hai cosa?”

Alec aggrottò le sopracciglia.

“La sifilide demoniaca” rispose, scrutandolo sbigottito. “Non ci hai mai giocato da piccolo?”

Sembrò pentirsi subito di quella domanda.

“Scusami…” farfugliò, il rossore ad accarezzargli appena le guance. “…Non ho pensato che… Non c’erano molti bambini dalle tue parti, vero?”

Jace fece spallucce.

“La prima volta che ho incontrato un bambino della mia età avevo dieci anni” rivelò, mettendosi le mani in tasca.

Alec sembrava confuso.

“Ma tu hai dieci anni.”

Jace gli diede una spintarella.

“Pronto? Eri tu!” lo prese in giro, arruffandogli i capelli. “Ce l’hai!” annunciò poi con un ghigno malandrino.

Alec gli scoccò un’occhiataccia.

“Io non gioco!” borbottò, sfuggendo alla sua presa. “Ho dodici anni, non ho più l’età per queste scemenze.”

“Quasi dodici!” lo corresse il fratellastro, dandogli un colpetto sulla spalla. “Che c’è, hai paura di beccarti la Sifilide Demoniaca?”

“Ma se nemmeno esiste…” ribatté l’altro, roteando gli occhi. Incominciò ad arretrare, mentre Jace avanzava per prenderlo.

“Si che esiste!” lo contraddissero all’unisono Jace e Izzy.

“Sì che esiste!” fece loro eco Max, per dare man forte ai fratelli maggiori. “Ma che cos’è la Sifi…Difi…?”

Jace scosse la testa, un sorriso divertito ad accarezzargli le labbra.

“È una cosa che ha Alec” comunicò al fratellino, accovacciandosi per essere alla sua altezza.

Alec, l’espressione contrita e le guance in fiamme, scattò in avanti per toccare la spalla di Jace.

“Ce l’hai!” annunciò con aria di sfida, mentre il fratellastro cercava, inutilmente ,di scansarlo.

“Non per molto!” rispose Jace, incominciando a rincorrerlo. Alec si allontanò ridendo, puntando ai gradini della tenuta.

“Sei lento, Wayland!” lo stuzzicò, schivando un suo placcaggio.

Anche Jace si mise a ridere: il dolore sottopelle se n’era ormai andato, lasciandolo libero di godersi quel momento di spensieratezza con i fratelli.

Continuarono a giocare anche quando Maryse tornò in giardino, questa volta in compagnia di Robert.

Alec, che di solito faceva del suo meglio per mostrarsi il più maturo e controllato possibile in presenza dei genitori, sembrò notarli a malapena: era troppo impegnato a ridere e a sfregare le nocche sulla testa del fratellastro.

“Chi ha la sifilide demoniaca, adesso?” esclamò, mentre Jace tentava di divincolarsi.

“Papà!” gridò a squarciagola Max, quando si accorse della presenza di Robert. “Papà!”

Ancora una volta, Jace si sorprese a trasalire: le urla del fratellino divennero le sue e la villa dei Penhallow mutò forma di fronte ai suoi occhi, diventando la tenuta dei Wayland.

L’immagine del padre riverso a terra incominciò a delinearsi nella sua mente, ma qualcosa lo trascinò via da quel ricordo. Alec l’afferrò per le spalle e si mise a ridere, allontanandolo dal dolore di quella scena.

“Ce l’hai!” esclamò trionfante, senza sapere di averlo appena difeso da un incubo.

Jace si divincolò dalla sua presa per fargli il solletico: voleva farlo ridere ancora, perché quel suono mascherava i ricordi.

Non aveva mai giocato a quel modo con nessuno, fino ad allora. Il solletico, per lui, era solo il punzecchiare dello stilo sulla pelle o il rapido fruscio della coda di Church sulle caviglie. Mosse le dita un po’ incerto, ma quando il fratellastro riprese a ridere, spingendolo da parte e supplicandolo di smetterla, non poté trattenere un sorriso.

Il ricordo delle sue stesse grida, ormai, era solo un sussurro confuso nella sua testa: la risata di Alec l’aveva riportato a casa.

 

« And the sound of your voice will always bring me home. »

Barry Allen. The Flash

 

Note Finali.

A quanto pare i giovani Herondale continuano a divertirsi quando viene tirata in ballo la sifilide demoniaca. Non penso che i bimbi Shadowhunters sappiano per filo e per segno come questa malattia possa trasmettersi, ma mi piaceva l’idea di un semi-parallelismo con i personaggi di TID!

   
 
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