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Autore: Julie_A    18/08/2016    0 recensioni
«Quando l’aveva vista a terra, esanime, con il volto pallido come la cera… A Gabe non era mai capitato di provare paura per qualcuno, in special modo per una mondana – anche se in realtà Crystal non era affatto una mondana, rifletté. Non aveva mai sentito il sangue raggelarsi nelle vene come quando si era posato il capo di lei, appiccicoso di sangue demoniaco, sulla gamba e aveva iniziato a scuoterla sperando che ciò bastasse a rianimarla. E la ventata di sollievo che lo aveva investito quando lei aveva aperto lentamente le palpebre e i suoi occhi lucenti come zaffiri lo avevano guardato, confusi e disorientati…»
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NOTA DELL'AUTRICE: questa ff è stata scritta basandomi solamente sulla conoscenza ottenuta dai primi capitoli della saga e informandomi sul web, quindi mi scuso agli appassionati se troveranno delle incongruenze tra ciò che ho scritto io con ciò che è stato scritto dalla Clare. Inoltre, la storia è ambientata a Los Angeles/Long Beach, ma non troverete alcun collegamento con 'The Dark Artificies' (poiché ho scritto questa ff prima di venire a conoscenza di quel sequel). Ci saranno però comparse dei personaggi di 'The Mortal Instruments'. Vi auguro buona lettura^^
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 8

UN APPUNTAMENTO SINGOLARE

 

Crystal fissava il soffitto di pietra, sdraiata sul suo letto al Rifugio. Sul suo ventre era appoggiato un libricino rosso dalla copertina logora, aperto sulla pagina della Runa della Chiaroveggenza. Glielo aveva dato Gabe qualche giorno prima, dicendole che era il suo vecchio quaderno degli appunti, risalente a quando aveva preso lezioni di Runologia all’Istituto di Los Angeles. Aveva studiato tutto il pomeriggio, e ora stava cercando di ricordare le linee che componevano alcune rune. Immaginò di tracciare la runa della Chiaroveggenza sul soffitto di roccia con l’indice e che questa iniziasse a brillare di luce propria.

Sollevò il libro per guardare la runa un’ultima volta. Accanto al disegno, simile ad un occhio aperto, c’era una breve annotazione. Crystal posò la punta del dito sulla carta, seguendo la calligrafia di Gabe. Non se lo immaginava per nulla seduto dietro ad un banco, chino su quel quaderno a prendere appunti.

Una fitta di nostalgia le strinse il cuore. Gabe era uscito quella mattina assieme a tutti gli Shadowhunters meno che Julie, la quale era rimasta a farle da guardia. Ricordava l’espressione dura di Gabe e il suo tono intransigente mentre diceva alla rossa di tenerla d’occhio. Per quanto ne sapeva, erano andati in missione a San Diego per conto del Conclave.

Chiuse il libro e lo posò sul comodino di legno scuro. Lei e Gabe non avevano ancora avuto modo di parlare di quello che era successo nel pianerottolo di casa sua, dopo che lei aveva ucciso il demone. Al solo pensiero di Gabe che le si avvicinava e le stringeva i fianchi sussultò. Si portò una mano sul viso, sfiorandosi le labbra con le punte delle dita. Il modo in cui l’aveva baciata era stato duro e dolce al tempo stesso, come una magnifica rosa opalescente che abbia centinaia di spine acuminate come punte di coltelli.

Si mise seduta sospirando. Il display del suo cellulare segnava le otto di sera. Julie era passata dalla sua stanza circa mezz’ora prima per chiederle se avesse voglia di mangiare qualcosa, ma Crystal aveva risposto di no. Ora, però, il suo stomaco vuoto gorgogliava.

Se pensava a come la sua vita era stata completamente sconvolta nel lasso di un paio di settimane scarse, le girava la testa. Aveva trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza tra le quattro fredde mura dell’orfanotrofio di Seaside Park, immaginando come sarebbe stata la sua vita una volta che fosse uscita di lì. Aveva sognato mille versioni del suo possibile futuro, ma nessuna si avvicinava minimante a quello che stava vivendo adesso. Alloggiava in una specie di scantinato insieme a ragazzi tatuati e addestrati per essere macchine assassine. Aveva perso l’unico lavoro che avesse mai svolto. Aveva sentito Vanessa darle della mezzosangue e, sebbene non avesse ancora approfondito la questione, si sentiva spaesata e preoccupata come al risveglio da una sbornia. Era stata strappata da morte certa per ben due volte dal ragazzo più sexy e insopportabile del pianeta, il quale l’aveva addirittura baciata. Aveva ucciso un demone utilizzando una specie di spada luminosa che assomigliava a quelle dei cartoni animati che guardava da bambina. E ora si ritrovava nella stanza di qualcun altro a consultare un libro sulle rune angeliche.

Si passò una mano sul volto. Si sentiva come se si trovasse in un incubo senza fine da cui non riusciva a riemergere. A volte, quando si addormentava al chiaro della stregaluce, sognava Miranda che le sorrideva da dietro quei suoi buffi occhialetti, oppure Oliver che la liquidava con freddezza. Lavorare all’Every Flavour Donuts era la cosa migliore che si fosse mai aspettata che le accadesse, e ora, a distanza di un solo paio di settimane dalla sua assunzione, quel posto era soltanto un brutto ricordo. Alcune notti si svegliava nell’oscurità, sudata e in preda ai singhiozzi. I suoi incubi si manifestavano in tutto il loro orrore, ricordandole che Miranda era morta in un bagno di sangue e che Oliver-il-demone era stato ucciso brutalmente da Gabe.

Si alzò in piedi lentamente, rimpiangendo per un momento l’orfanotrofio. Nella sala ricreativa, dove lei andava ogni pomeriggio, c’era un pianoforte nero davanti a cui si sedeva ogni volta che si sentiva un po’ giù. La musica era sempre stata un ancora a cui aggrapparsi quando si era sentita affondare nelle tenebrose acque della solitudine. Avrebbe voluto potersi sedere ancora di fronte a quel pianoforte e suonare il primo pezzo che le veniva in mente.

Poi ricordò. C’era un pianoforte nella Sala in cui aveva incontrato Victoria per la prima volta. Julie le aveva detto che avrebbe potuto visitare la Sala ogni volta che ne avesse sentito il bisogno, che fosse per leggere un libro o per scrivere una lettera. Decise che ci sarebbe andata.

Quando entrò, la Sala era fievolmente illuminata da torce azzurre di stregaluce, ma nonostante la semioscurità Crystal non si sentiva a disagio. L’aria profumava di pagine di libri antichi e di inchiostro. Camminò verso il pianoforte, i passi attutiti nei pregiati tappeti persiani. Si sedette davanti alla tastiera, posando le punte delle dita sui tasti d’avorio.

Premette qualche nota a caso, godendosi il dolce suono della musica che rimbombava nella stanza silenziosa. Crystal si sentì svuotare di ogni sorta di preoccupazione e iniziò a suonare, lasciando che il suo cuore la guidasse. Per troppo tempo era stata lontana dalla musica, tanto che si chiese come avesse fatto a resistere. La musica era la sua essenza, come per gli Shadowhunters lo era l’uccidere. Bel paragone, pensò.

Si perse nelle sue stesse melodie per un tempo indecifrabile. Minuti, forse ore. Non avrebbe smesso fino a che non le si fossero indolenzite le dita.

«Allora è vero…»

Quella voce la fece trasalire. La musica s’interruppe con un accordo sgraziato. Quando guardò oltre il pianoforte, vide Gabe sulla soglia, appoggiato ad uno stipite.

«No, non smettere. Per favore», aggiunse incamminandosi nella sala.

«Da quanto sei lì?», gli chiese lei imbarazzata.

Il bagliore delle torce lo illuminava di azzurro, addolcendo la sua mascella tesa e schiarendo i suoi capelli corvini. Indossava una t-shirt nera e le sue braccia erano fresche di Marchi. Un grande Iratze gli adornava l’avambraccio destro. Non le rispose.

Crystal sistemò la seggiola e si diresse verso di lui. Notò che le sue spalle larghe e muscolose erano rigide come quelle di un manichino. «Come stai?», ritentò.

«Bene», rispose fermandosi a mezzo metro da lei. «Siamo stati attaccati da alcuni demoni Shax mentre cercavamo il passaggio per…». Sollevò una mano in aria. «Non importa. Piuttosto, come ti senti?»

«Gabe, perché ho la brutta sensazione che tu mi stia…», replicò lei guardandolo dritto negli occhi verdissimi. «…evitando?»

«Non capisco. Cosa vuoi dire?»

«Non lo so», mormorò. «Ogni volta che mi parli ti interrompi come se ci fosse qualcosa che non vuoi dirmi. Nell’ultima settimana non hai risposto a nessuna delle mie domande. Che cosa c’è?»

Gabe sospirò e il suo sguardo scivolò oltre la spalla di Crystal. «Suoni molto bene il pianoforte.» La sua voce era un sussurro.

Lei guardò dietro di sé. «Me la cavo. Era il mio passatempo preferito all’orfanotrofio.»

Gabe annuì. «Crys… C’è una cosa che devo dirti.»

«Sentiamo.»

«Riguarda le tue origini.» Cercò la mano di Crystal nella semioscurità e la strinse nella sua. «È da un po’ che volevo parlartene, ma volevo prima esserne assolutamente certo.»

Il cuore di Crystal iniziò a battere freneticamente. Lo sentiva pulsare attraverso le dita strette in quelle di Gabe. «Quando sei entrato poco fa hai detto: “Allora è vero”. A che cosa ti riferivi?»

«Vedi, quelli come te hanno un talento innato per la musica. Riescono persino ad incantare gli umani…»

«Quelli come me?», lo interruppe. «Vuoi dire che io e te non…»

«Non siamo la stessa cosa, no.»

Lo sguardo di Crystal vagò disperato per la stanza. «Ma lo hai detto tu. Io ho sangue angelico. La spada…»

«Lo so. Caliel ti ha risposto perché nel tuo corpo scorre anche sangue angelico.»

«Caliel? È così che si chiama la tua spada?»

«In un certo senso. Ad ogni spada angelica deve essere assegnato un nome prima di essere utilizzata in battaglia. Nomi di angeli, s’intende.»

«Capisco», rispose lei. «Ma se hai detto che in me c’è sangue angelico, cos’altro c’è che… che non va?»

Gabe strinse la mano di Crystal con più decisione, quasi da farle male. «Il fatto è», mormorò. «che l’altra parte di te non è fatta di sangue umano, come lo siamo noi Nephilim, ma di sangue… demoniaco.»

Crystal sbiancò. Non poteva credere alle sue parole. «C-cosa?», balbettò. «Deve essere uno scherzo. Io non posso essere… non posso essere come quegli esseri ripugnanti che… che abbiamo ucciso.»

Gabe la guardò intensamente. I suoi occhi emanavano puro dispiacere. «È così», confermò in un sussurro. «Ma solamente in parte. Il sangue angelico predomina sull’altro, altrimenti Caliel non avrebbe reagito quando l’hai presa. Le spade angeliche sono costruite con l’Adamas, uno speciale metallo anti-demoni.»

«Questo non mi rassicura affatto», mormorò Crystal. Aveva la sensazione che la terra le stesse franando sotto i piedi e che presto sarebbe stata risucchiata dal pavimento per scomparire negli Inferi.

Gabe le accarezzò il mento. «Sei una Seelie, Crystal», le disse. «Una delle creature più meravigliose ed interessanti di questo mondo.»

«Una che

«Una Seelie. Fai parte del mondo fatato, come Julie», rispose. «Solo che tu… sei un po’ diversa.»

Crystal si stava spazientendo. «In che senso diversa?!»

«Crys, sei una sirena.»

Lei lo guardò in cagnesco. Niente di quella conversazione aveva un senso. «Una… sirena? Vuoi dire quelle con le pinne?»

«Quali altre, se no?», ribadì. «Ricordi il modo in cui ti ha chiamato il demone? Iwak. È in un’antica lingua polinesiana. Significa ‘pesce’.»

«Quindi loro… i demoni… lo sanno. Sanno che cosa sono.»

«Sì», obiettò. «Entrambi i demoni che ti hanno attaccato avevano sembianze di esseri marini. Questo ci ha portati a pensare che provengano da Oceanus, un luogo remoto fra le isole polinesiane. È lì che si trova la Corte delle Sirene.»

«Ma non è possibile», continuò Crystal confusa. «Se sono una sirena, dove sono le mie pinne? Perché accidenti non vivo in una vasca per pesci?»

Gabe sorrise. «Riesci a fare dell’umorismo. Mi piace.»

«No, seriamente, Gabe.»

Lui si strinse nelle spalle. «Non lo so. Dobbiamo ancora scoprirlo. In realtà c’è una leggenda che racconta di sirene in grado di uscire dall’acqua e trasformare la loro coda in gambe umane...»

«Come ne ‘La Sirenetta’?»

«Che?»

Crystal strabuzzò gli occhi. «Walt Disney. Davvero non sai...? Be’, lasciamo perdere. Continua.»

Gabe increspò le folte sopracciglia nere. «È solo una leggenda, appunto. E in ogni caso la storia dice che le sirene non potevano allontanarsi per troppo tempo o troppo lontano dall’acqua, perché il richiamo degli abissi glielo impediva. Non si spiega perché tu sia vissuta per tutto questo tempo sulla terraferma.»

«Forse vi siete sbagliati. Forse io non sono…»

«Lo sei», replicò. «Su questo non c’è dubbio. Hai la bellezza di un essere angelico… e sei tagliente come un demone. Hai un talento smisurato per la musica. E la tua voce ha il potere persuasivo dei Seelie.»

Crystal esitò. Sentiva le guance scottare per l’imbarazzo, ma non sapeva se fosse perché si sentiva offesa o lusingata. «Doveva essere un complimento, il tuo?»

Lui sorrise, e i suoi denti brillarono d’azzurro al chiarore delle stregaluce. Passò un polpastrello sulla guancia di lei, disegnando linee contorte come stesse tracciando una runa.

La sua pelle era liscia e perfetta come quella di Julie, pensò Gabe con un tonfo al cuore, e quindi identica a quella dei Seelie. Come aveva potuto non farci caso prima? Le ragazze dell’età di Crystal solitamente avevano il viso cosparso di brufoletti purulenti, pelle secca e acne, invece il suo era liscio come una tavola da surf.

«Dove sei stato tutto il giorno?», chiese lei senza quasi accorgersene. Era persa negli occhi di lui, a contemplare quanto verdi fossero le sue iridi anche sotto la luce azzurrina emanata dalle torce.

«Perché, ti sono mancato?»

Crystal non era certa che ci fosse del sarcasmo nella sua domanda. Terribilmente, avrebbe voluto rispondere, ma si limitò ad una smorfia seccata.

Lui si dondolò sul posto. «Julie mi ha detto che non hai voluto cenare.»

«Non avevo fame», si giustificò malamente.

«E ora ne hai?»

Crystal accennò un sorriso. «Un po’», ammise.

«Perfetto, allora sarà meglio che io vada a darmi una ripulita, uh?», disse abbassando lo sguardo sulla sua maglietta imbrattata di sangue secco. «Non è il caso che esca conciato così.»

«Uscire?», domandò sorpresa. «E dove andiamo?»

Lui le pizzicò leggermente il mento. «A mangiare qualcosa di buono. Ad essere sinceri anch’io ho una certa fame.»

Crystal annuì piano. Era… era un appuntamento, quello che Gabe le stava offrendo? Si trovò confusa al riguardo. Negli ultimi giorni Gabe non era sembrato molto propenso a dare un seguito, o almeno una spiegazione, a ciò che era successo in quel pianerottolo. Ora aveva cambiato idea?

«Ci vediamo nell’atrio fra una ventina di minuti, ti va?», le chiese.

«Va bene», concluse lei.

Fece per avviarsi verso la sua stanza, quando sentì le mani di Gabe sui fianchi. La pressione di lui la costrinse a voltarsi, e ora improvvisamente i loro nasi si sfioravano. Gabe la guardò per un lungo momento, mentre lei sentiva una strana sensazione sulle labbra, come se le prudessero. Un impulso sconosciuto le suggeriva di protendere il viso verso quello di Gabe e colmare il vuoto che c’era fra le loro labbra, ma un’altra sensazione, più intensa e viscerale, glielo impedì. Era come se fosse attratta e spaventata da lui allo stesso tempo.

«Gabe…», sussurrò, e quando lo fece il suo labbro inferiore sfiorò quello di lui.

Lo shadowhunter era serio, la mascella serrata. I suoi occhi erano incatenati in quelli di lei, in una sorta di legame silenzioso che lui non riusciva a spezzare. Fu lei a scioglierlo, poco dopo, scostando lo sguardo sulla sua t-shirt macchiata.

Gabe sospirò. Picchiettò l’indice sulla clavicola di lei, rigido come un burattino, poi la allontanò. «Si sta facendo tardi», obiettò.

Crystal assentì, il cuore che ancora scalpitava per la vicinanza con Gabe, e a passo indeciso uscì dalla Sala.

 

 

Quando Crystal giunse nell’atrio, vestita con una lunga gonna nera che le sfiorava le caviglie e un top bianco incrociato sulla schiena, la prima cosa che vide fu Gabe, informale in jeans e giacca di pelle, che parlava a bassa voce insieme a Julie. Più che parlare, constatò Crystal con una seconda occhiata, si stavano sussurrando all’orecchio. La mano di lui era posata sulla spalla di lei in un modo che, per qualche ragione, attivò un moto di gelosia nello stomaco di Crystal. Julie, in tenuta da cacciatrice, aveva invece un’espressione tra il preoccupato e l’incerto. Accarezzò una guancia di Gabe con il dorso della mano, prima di fare un sorriso amareggiato e sgusciare nel corridoio che portava alla Sala.

Crystal, il cuore che batteva impazzito, attese qualche attimo prima di raggiungere Gabe. Quando lui la vide, i suoi occhi si illuminarono. «Hey», lo salutò, cercando di mitigare la gelosia.

Lui le sorrise. «Accidenti», mormorò lanciandole un’occhiata da testa a piedi. «Sei davvero…»

«Andiamo?», lo interruppe lei. «Comincio ad avere i crampi per la fame.»

Gabe la guardò di sbieco. «Certo», disse con incertezza.

Quando uscirono nel buio di Liberty Court, Crystal rabbrividì per il calo repentino di temperatura. Lasciò che Gabe la precedesse lungo il vicolo e procedette in silenzio, facendo attenzione a dove metteva i piedi.

Dopo qualche metro sfociarono sull’illuminata Pacific Palisades, che a quell’ora della sera era ancora piuttosto trafficata. Il cielo era torbido, e l’aria odorava di smog e pioggia.

«Stammi vicino», le disse Gabe offrendole la mano. «Questa strada pullula di demoni Du’sien.»

Crystal fissò la mano protesa verso di lei… e la rifiutò scostando lo sguardo verso l’altro lato della strada. Tre ragazzi malconci si stavano riscaldando al tepore di un fuoco acceso in un bidone, all’imbocco di un vicolo. «Quindi fammi indovinare: siete voi che avete creato tutto quel casino nelle ultime settimane?», domandò.

«Già», rispose Gabe ripensando a quando, due settimane prima, era finito contro la vetrina di un negozio di biciclette durante uno scontro con un Eidolon. «I demoni hanno iniziato a materializzarsi quando hanno scoperto che ce ne siamo andati da Los Angeles. Questo posto, a differenza dell’Istituto, non è consacrato, quindi possono girare indisturbati. Di solito se ne stanno qui nei paraggi in cerca di un Nephilim con cui fare merenda.»

«Bello», ironizzò lei. «Ora che ci penso non mi hai ancora detto perché ve ne siete andati.»

Gabe si voltò a guardarla e schiuse la bocca, come se per un momento avesse deciso di parlare. Ma poi la richiuse con una smorfia, lasciando Crystal in preda alla curiosità. «Non manca molto», disse tornando a guardare davanti a sé.

Nel punto in cui la Pacific Palisades s’intersecava con Elm Avenue, Crystal si ritrovò a chiedere a Gabe di rallentare il passo. Aveva il fiato corto: stare dietro alle sue falcate decise era un’impresa non da poco.

Gabe alzò gli occhi al cielo. «Ti ci vorrà un bel po’ d’addestramento», obiettò con più asprezza nella voce di quanto avrebbe voluto. «Nelle tue condizioni non riusciresti a sfuggire ad un Behemoth.»

«Mi rincresce, signor Moorefield», lo schernì lei imitando la voce tagliente di Victoria. «del fatto che io non sia una podista. O che non sia in grado di arrampicarmi lungo i muri come un ragno. O che non faccia roteare la spada come un samurai. Mi dispiace così tanto di non soddisfare le Vostre aspettative!»

Gabe arricciò il naso. «Già», disse, parlando quasi fra sé. «Avevo ragione. Sei proprio un mezzo demone.»

Crystal sentì montare la rabbia. Per un attimo ebbe l’impulso irrefrenabile di rompergli il naso, ma qualcosa la trattenne. Forse, rifletté, è perché è la verità.

Quel pensiero le invase la mente. Lei era in parte demone, fatta della stessa sostanza di quei mostri che la gente attorno a lei era abituata ad uccidere. I Cacciatori erano nati per combattere quelli come lei, e Crystal si ritrovava a convivere con alcuni di loro.

Ripensò all’espressione di Gabe quando le aveva detto che lei e Julie erano entrambe delle Seelie. La prima volta che Crystal aveva incontrato Gabe, Cole e Julie, li aveva sentiti farneticare sul fatto che quest’ultima era una mezza fata. Mezza. Cioè meno sangue demoniaco di quanto non ne avesse Crystal. E in ogni caso, Julie era troppo bella, affascinante e gentile per poterle rinfacciare di essere in parte un demone. Lei, invece, non era niente di tutto questo… o almeno ne era convinta.

Ad un tratto Gabe si fermò. Crystal, ancora immersa nelle sue congetture, non se ne accorse e andò a sbattere contro la sua schiena. «Accidenti!», brontolò scostandosi.

Gabe si voltò corrucciato. «Sei anche impacciata come una mondana», replicò. «Questo è il posto», aggiunse indicando alla sua destra. «Siamo arrivati.»

Crystal seguì lo sguardo di Gabe e si ritrovò a fissare l’insegna spenta di un supermercato. «È uno scherzo?», chiese esterrefatta. «Perché non è molto divertente.»

Gabe si avvicinò alle vetrate del negozio, posando le mani sul vetro freddo. «Niente affatto.»

«Io… io che credevo che…»

Il ragazzo si volse a guardarla con un sorriso sbilenco. «Credevi che ti saresti rimpinzata di champagne e caviale?», domandò ridacchiando.

«No, per l’amor di Dio», rispose esasperata. «Ma nemmeno questo. Non ho intenzione di compiere un’effrazione.»

«Okay, allora vorrà dire che te ne starai ad aspettarmi qui fuori a pancia vuota, mentre io sarò lì dentro a imbottirmi di patatine e coca cola. Ci stai?»

Crystal sbuffò. Mai nessuno aveva sfidato il suo autocontrollo quanto Gabe. Era certa che prima o poi l’avrebbe fatta scoppiare, e allora nessuna runa sarebbe riuscita a salvarlo dalla sua furia. «D’accordo, aspetta. Vengo con te.»

Gabe sogghignò. «Ti conviene fare piano. Io ho questa», mormorò indicandole una runa che si era tracciato alla base del collo. «Ma tu potresti far scattare l’allarme. E non credo sia il caso che la polizia ti scopra a rubare in un supermercato, uh?»

«Dammi il tuo stilo», replicò lei. «Me la traccerò anch’io. L’ho studiata, so come è fatta.»

«In realtà», fece Gabe. «Non è decisamente il caso. Non ho la minima idea di che effetto potrebbe fare su di te.»

«In che senso, scusa?»

«Nel senso che soltanto coloro a cui scorre sangue angelico nelle vene possono tracciarsi le rune.»

«Ma io ho sangue angelico!»

«Già» Il suo tono di voce era imbarazzato. «Ma devi sapere una cosa. Le rune bruciano, a contatto con il sangue demoniaco. In quel caso moriresti lentamente, sciogliendoti come se ti avessero gettato in una vasca piena d’acido fluoridrico. Se vuoi il mio modesto parere, te lo sconsiglio vivamente.»

Crystal lo fissava sconvolta, immobile come una statua di cera. «Quindi… stai dicendo che mi hai dato da studiare un libro a proposito di cose che su di me risulterebbero letali?!»

Gabe non sembrava molto preoccupato. Si strinse nelle spalle. «Perché ancora non ne ero certo. Neanche ora lo sono, in realtà. Caliel non ti ha bruciato quando…»

Lei si gettò in avanti e lo afferrò per il colletto della giacca. «Sarei potuta morire, razza di idiota!», gridò. «Ti è mai passato per l’anticamera del cervello che avrei potuto tentare di tracciarmene una?»

«No», rispose con nonchalance, scrollandosi di dosso la ragazza. «E parla piano. Quei mondani ti stanno fissando come se fossi una pazza.»

Crystal si volse lentamente. Aldilà della strada, una coppia di uomini sulla cinquantina la stavano osservando con un’espressione mista tra curiosità e compassione. «Dannazione», mormorò a denti stretti. «Non riesco ad abituarmi al fatto che voi siate invisibili agli occhi dei mondani.»

«Allora, andiamo?», la esortò Gabe. Aveva lo stomaco che brontolava e non aveva intenzione di rimanere su quella strada ancora a lungo. Meno restavano negli spazi aperti e meglio era. «Seguimi. Entreremo dal retro.»

«Hai detto che io e Julie siamo entrambe Seelie», obiettò Crystal mentre seguiva Gabe all’interno di uno stretto vicolo, buio e maleodorante. «Allora perché lei può tracciarsi le Rune e io no?»

«Prima di tutto», rispose lui con voce seccata. Schivò un sacchetto di immondizia con un salto aggraziato. «Julie è dovuta passare sotto l’esame del Clave di Idris per diventare una Shadowhunter. Ha ricevuto il suo primo Marchio durante l’assemblea del Conclave, dove ha pronunciato il Giuramento.» La voce di Gabe si addolcì mentre parlava di Julie. «Compirò la mia missione con il coraggio degli angeli. Servirò la giustizia degli angeli. E la servirò con la pietà degli angeli…»

«Sul serio dite queste cose?», domandò Crystal stupefatta.

Gabe sembrò non sentirla. «Inoltre», seguitò. «Julie è soltanto per metà Nascosta. Sua madre era una fata, mentre suo padre uno Shadowhunter. Questo significa che, a conti fatti, è demone soltanto per un quarto.», le spiegò. «Sai, le Rune bruciano sulla sua pelle in modo leggermente diverso dal mio, o di qualsiasi altro comune Shadowhunter… E guarisce più in fretta rispetto a noi, anche senza usare l’Iratze. E, come avrai sicuramente notato, la sua bellezza non è terrena. Su questo ha preso da sua madre.»

Crystal sentì una fitta al cuore. Pensò alla prima volta che aveva visto Julie, il passo deciso mentre attraversava la sala, il corpo longilineo di una modella, i capelli ramati che le contornavano il viso lattiginoso. Riportò alla mente il ricordo di quel volto ovale e perfetto, senza l’ombra di un brufolo o una ruga d’espressione. Ricordò anche quando l’aveva rivista al Rifugio, claudicante e ferita, e con una cicatrice che le tagliava le labbra. Nonostante quel difetto così evidente, aveva pensato Crystal, Julie rimaneva perfetta come una bambola di porcellana.

«Crys», si sentì chiamare. «Ci sei?»

La ragazza si rianimò con un brivido e la figura di Gabe nell’ombra si rimise a fuoco. Lo vide leggermente proteso in avanti, una mano a tenere aperta la porta dell’ingresso sul retro del supermercato.

«Ma come…» Prima di terminare la domanda, Crystal notò la runa di Apertura disegnata sulla maniglia. Brillava di un tenue bagliore azzurro.

«Sei pronta?», le chiese Gabe. «Se non te la senti puoi rimanere qui. Ci metterò soltanto qualche minuto.»

La luna proiettava dei riflessi argentati sui capelli di Gabe, facendolo quasi sembrare biondo, e accentuava le linee dure del suo naso e della sua mascella. Crystal rimase a contemplarlo per qualche secondo, prima di annuire con un velo di incertezza. «No, vengo con te.»

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Ciao! Che ne dici di recensire? Ti ci vogliono soltanto due minuti e per me significherebbe molto! Grazie :)

  
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