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Autore: Io_amo_Freezer    19/08/2016    1 recensioni
Quattro ragazzi che non si sono mai conosciuti ma con un legame forte nel petto si incontreranno al college. Tra problemi, misteri e studio riusciranno a scoprire qual è la vera ragione di quel legame?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Presentazioni
Si stropicciò un occhio, mugugnando, e sbadigliando. Si stiracchiò le braccia, e quando il rumore della sveglia divenne troppo insopportabile, la scagliò contro il muro, incrinandola, ma ancora funzionante continuò imperterrita a suonare.
Sbuffò, aggiungendo mentalmente alla lista una sveglia nuova, e meno rumorosa. Aprì gli occhi, sbattendo un paio di volte le palpebre per farle abituare alla luce che filtrava dalla tapparella della finestra, socchiusa.
Si issò sui gomiti, osservandosi attorno smarrito e passandosi una mano tra i capelli ribelli, castani con alcune ciocche rosse fiammanti. Appena il suo sguardo ricade sul calendario, un gemito ed un grugnito uscirono dalla sua bocca, mentre gettò il capo all'indietro, stanco. Fece mente locale, cercando di accettare quella realtà. Così si alzò, recandosi in bagno. Si ficcò in bocca, di malavoglia, il suo spazzolino rosso, mentre si osservava allo specchio. Inspirò profondamente dal naso, sciacquandosi la bocca, per poi lavarsi il viso. Non gli andava proprio di lasciare la sua camera, la sua tana, per recarsi in una prigione, che, alcuni ragazzi chiamavano, coraggiosamente, collage.
Tornò velocemente in camera, aprendo l'armadio grigio, e prendendo da esso i primi vestiti che gli erano capitati sott'occhio. Sbuffò, vestendosi di malavoglia con un blue jeans, strappato in più punti e con una maglia rossa, con al centro un teschio nero che faceva la linguaccia. Come, un teschio potesse avere una lingua, ancora non lo capiva. Prese la sua borsa, nera con alcuni teschi fiammeggianti per una spallina, ficcandoci dentro la sveglia mal ridotta e si diresse in cucina. Osservò di mal'occhio suo padre, che leggeva il giornale, con una tazza di caffè sul tavolo. Non lo salutò nemmeno, preferendo dirigersi verso la macchina grigia; un'alfa romeo, che lo avrebbe condotto verso l'istituto scolastico, dove avrebbe dovuto convivere per i prossimi mesi.
Aprì il cofano, buttandoci dentro la valigia per poi mettersi nel posto di guida, sbattendo forte la portiera. Il fatto che fosse ancora integra, nonostante tutte le botte che avesse preso per merito suo lo lasciava incredulo. Si vedeva che aveva scelto la macchina migliore, perfetta per lui. Si mise la cintura, osservando la sua moto dallo specchietto retrovisore, che, purtroppo non avrebbe potuto portarsi dietro. La preferiva, in confronto alla macchina. Peccato che non fosse adatta ad un viaggio di circa tre ore, e sopratutto, poi, come avrebbe portato la valigia?
Con una smorfia mise in moto. Sapeva che sarebbe dovuto partire almeno un giorno prima, ma, a lui, seguire le regole non era mai piaciuto. A chi piace? Nessuno, infondo brama l'ordinario.  
E così partì, dirigendosi verso quell'amara meta, che non poteva proprio risparmiarsi. Il tragitto fu duro e stancante, soprattutto per uno impaziente come lui, ma alla fine riuscì ad arrivare, ed erano solo le sette e trenta. Aveva fatto davvero bene a partire alle cinque e quaranta. Certo, era arrivato esausto, ma era vivo.
Le prime ore si sarebbero tenute tra un'ora, aveva ancora tempo. Parcheggiò l'auto nel garage ventinove e scese, mettendo la sicura. Con la borsa in mano, si diresse nella camera dove avrebbe dovuto alloggiare. Era davvero stanco morto, la prima cosa che voleva, era distendersi e dormire. Almeno questo sperava. Prese le chiavi che gli avevano dato la prima volta che era venuto a vedere l'istituto, e aprì la stanza numero dodici.
All'interno notò due ragazzi, che si erano voltati appena avevano sentito la porta aprirsi. Uno aveva i capelli biondi, occhi celesti ed una spruzzata di lentiggini sulle guance, vestito con una maglia arancione a maniche molto lunghe, con jeans chiari. Non era molto alto o robusto, e dall'aspetto sembrava avere parecchi anni in meno di lui; mentre l'altro aveva capelli blu notte e gli occhi mare, aveva una maglia a maniche corte, azzurra con un'anagramma giapponese e dei jeans lunghi, strappati. L'altezza non poté constatarla, essendo che era seduto sulla sedia, ma sembrava avere un fisico abbastanza allenato, da come si poteva notare dai muscoli delle braccia. Gli osservò un po' scettico, pensava di dover avere solo un coinquilino, e non due. Alzò lievemente le spalle; poco importava. Studiò velocemente la stanza; osservando la porta del bagno, i due letti ai lati della camera, uno con accanto una finestra; una scrivania con due sedie risiedeva vicino al letto di sinistra, ed un frigo bar accanto al letto a destra. Poco male, pensava peggio. Così si avviò verso al letto di destra, buttando la valigia per terra, e distendendosi di schiena. Sbadigliò, stropicciandosi un occhio, deciso a tornare nel mondo dei sogni. Peccato che il biondino non fosse del suo stesso parere. Gli si chinò dinanzi, salutandolo con la mano, e con un immenso sorriso sulle labbra. Lo osservò con un occhio aperto, mentre l'altro era nascosto dal braccio che aveva appoggiato sopra la testa.
-Ciao! Io sono il tuo compagno di stanza. Sono Michelangelo, ma puoi chiamarmi Mikey!- esultò ridendo, poi indicò il ragazzo seduto sulla sedia, il quale stava per presentarsi, ma venne intercettato dal biondo che lo fece al posto suo -Lui invece è Leonardo Hamato. Mi ha fatto da guida per arrivare alla stanza, altrimenti sarei ancora disperso chissà dove.- continuò a ridersela, e lui sbuffò. Ma cosa c'era di tanto divertente? Osservò di sottecchi l'azzurro, un po' stranito dal suo cognome, il quale gli sorrise, ma lui lo ignorò, voltandosi dall'altra parte, voglioso solo di dormire.
-Tu come ti chiami?- chiese il biondo, ignorando il suo comportamento scorbutico. Ci furono attimi di silenzio, indeciso se rispondergli o no. Però, se avrebbero dovuto condividere la stanza per i prossimi mesi, non poteva lasciare che lo chiamasse tizio, o altro per tutto il tempo.
-Raphael Fast.- rispose brusco. Lo sentì illuminarsi, mentre gli faceva i complimenti per il nome. Abbassò le spalle, sospirando. Ormai era chiaro che non sarebbe riuscito a dormire. Ma proprio quanto le speranze stavano per svanire, ecco che il biondo se ne tornò dal suo amico, ricominciando a parlare di un'argomento riguardo i corsi del college. Come, Leo facesse a sopportarlo, lui proprio non lo capiva.

Una mano, sulla sua spalla continuava a scuoterlo da una parte all'altra, e, alla fine, un po' seccato, aprì gli occhi ancora impastati di sonno. Osservò il ragazzo di prima, che gli sorrideva, e per poco non gli lanciò un pugno in faccia, per quanto la sua faccia fosse da ebete. 
-Cosa vuoi?- ringhiò, cercando di tornare a dormire, mentre il biondo mise il broncio, indeciso se parlare o meno.
-Tra poco abbiamo lezione.- affermò piano, tornando a sorridere. Quella notizia lo fece destare dagli ultimi residui di sonno, ma, sempre con un occhio aperto, continuava a fissare il giovane, indeciso su cosa fare. Certo, era ovvio che doveva recarsi in quella specie di prigione a cui suo padre lo aveva sottoposto contro la sua volontà, ma desiderava riposare. Ancora ricordava come gli si era presentato dinanzi, stanco di averlo intorno gli aveva intimato di andarsene al college, e lui chissà per quale arcano motivo non lo aveva aggredito come suo solito. Ma, infondo nemmeno lui voleva restare in quella casa, sopratutto dopo aver scoperto che quello non era nemmeno il suo vero padre. Era sempre stato lui a dirglielo, in uno dei soliti momenti di rabbia aveva confessato quello che non avrebbe mai pensato vero. Se era stato adottato era solo grazie a Nora, la moglie di Lex; suo padre. Era sempre stata molto gentile, ma poi si ammalò, e da lì tutto finì in disgrazia. Suo padre iniziò a trattarlo male, ogni giorno peggio, e quando la mamma morì qualcosa si spezzò in Lex. Certo, non lo biasimava. E' sempre dura perdere una persona a te cara, anche lui aveva sofferto molto, ma non pensava che da quel giorno le cose sarebbero andate sempre peggio. Però, ora era lì. E nessuno gli avrebbe urlato contro dalla mattina alla sera, finalmente. L'unico tallo era lo studio, ma, se era riuscito a sopravvivere al liceo, poteva sopportare anche quello. 
Con un sospiro si alzò, recandosi nel bagno che avevano in stanza, e, quando ne uscì, sorvolando il viso sorridente del ragazzo prese un quaderno ed una penna, dirigendosi alla sua prima lezione, seguito da Mikey, solo che lui si diresse in un'altra classe, al contrario suo che aveva lezione di matematica. La materia più odiosa al mondo.
Si sedette di malavoglia sull'ultimo banco in alto, accanto ad un ragazzo con una felpa viola e dei jeans chiari, un po' strappati che leggeva accuratamente un libro sulla fisica quantistica. Gettò uno sguardo ad un gruppo di ragazzi che parlavano e sembravano far parte di una gang, quei soliti bulli che adorano far male agli altri, ma poi tornò al ragazzo accanto, studiandolo con calma; aveva i capelli lisci e gli occhi bordeaux, ma non sembrava per niente interessato al mondo circostante. Di sottocchio si accorse che quei ragazzi si stavano avvicinando a lui, o meglio, al ragazzo accanto a lui. Uno di loro; robusto, con una maglia nera ricoperta di adesivi e dei jeans corti fino ai ginocchi, appena gli fu abbastanza vicino sbatté le mani sul banco, attirando l'attenzione di tutti i presenti. Per fortuna che il prof non fosse già arrivato, anche se il suo compagno sperava il contrario.
-Ehi secchione!- lo chiamò, ma il viola preferì restare ad osservare le pagine del suo libro, finché non gli fu sottratto dal bullo -Guardami quanto ti parlo!- minacciò, assottigliando lo sguardo, mentre il rosso si mise a braccia incrociate, scrutando i due, curioso di vedere come sarebbe andata a finire. Anche se voleva aiutare il, cosiddetto "secchione", non aveva alcun motivo di farlo, così restò seduto, portandosi una gamba sopra l'altra.
-Ridamelo Josh!- ordinò il diretto interessato, alzandosi in piedi per poterlo osservare negli occhi, e Raph poté constatare che fosse davvero alto quel ragazzo, o, almeno un po' più di lui.
-Costringimi.- gli rispose a tono, lanciando il libro ad un suo amico, e mentre il genio cercava di riprenderselo, tra le risate di tutti, mentre veniva lanciato da una parte all'altra, rischiando anche di strapparsi o rompersi; alla fine, non seppe nemmeno lui come, ma se lo ritrovò in mano. Ci fu qualche minuto di silenzio, nel quale tutti attendevano la sua mossa; curiosi di sapere se lo avrebbe ceduto al povero nerd; che lo osservava a sguardo basso, già supponendo la sua scelta, o avrebbe iniziato a giocare come un idiota rimbambito, in attesa dell'arrivo del prof. Perché effettivamente, lui lo riteneva un gioco per rimbambiti.
-Allora idiota? Vuoi muoverti, o no?- domandò, sbuffando il ragazzo che aveva iniziato tutto quello. Ma non sapeva di aver commesso un grave errore. Il rosso sì alzò piano, avvicinandosi a lui, apparentemente tranquillo, e tendendogli il libro come per volerglielo dare, ma, mentre Josh ghignava, tendendo le mani per prenderlo; divertito all'idea di poter continuare il gioco, un pugno gli arrivò dritto sul naso, facendolo indietreggiare fino a cadere per terra, con la mano destra che teneva la parte dolente e sanguinante. Tutti osservarono l'artefice di quel gesto, basiti e increduli, perfino il viola non se lo aspettava. 
-E la prossima volta che osi chiamarmi "idiota", avrai anche di peggio.- gli ringhiò contro, per poi osservare il genio -Tieni.- disse seccato, porgendogli il libro prima di tornarsene al suo posto, nel momento esatto in cui entrò il professore. Josh stava giusto correndo a lamentarsi con il docente, che gli aveva domandato il motivo di quel sangue, ma vedendo l'occhiata minacciosa del rosso preferì mentire, tornando, sconfitto al suo posto.
-Grazie.- sussurrò piano, il ragazzo accanto, sedendosi al suo posto, in silenzio, mentre anche gli altri ragazzi facevano lo stesso
-Di nulla.- rispose indifferente, iniziando a scarabocchiare sul quaderno. Osservò di sottecchi il ragazzo che continuava a fissarlo sorridente e che si presentò:
-Il mio nome è Donatello Gift.- disse piano, per non farsi udire dal professore, mentre il rosso gli rivolse un mezzo sorriso
-Raphael Fast.- rispose lui. 
  
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