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Autore: Placebogirl_Black Stones    19/08/2016    5 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 7: Sospetti
 
 
Sfogliava e risfogliava quei fascicoli e documenti ormai da un paio d’ore, cercando di imprimerli nella sua mente e di ricordare ogni singolo dettaglio che sarebbe potuto tornarle utile quando si sarebbe svolto il processo. Più leggeva e più si rendeva conto di quanto male avesse fatto quella donna, non solo a lei ma a tante altre persone. Come si poteva distruggere le vite degli altri e non provare rimorso o disgusto nel farlo? Come riusciva Chris Vineyard a guardarsi allo specchio ogni mattina senza essere disgustata da se stessa? A volte essere belli fuori non implica esserlo anche dentro, l’esteriorità è solo una facciata che nasconde ciò che davvero siamo. E vermouth era un mostro.
Alzò gli occhi dal foglio che stringeva fra le mani, guardando fuori dalla finestra nella speranza di distrarsi per qualche minuto da un lavoro che cominciava a diventare troppo pesante. Ma invece degli alberi e del cielo sereno di quella giornata, vide solo fiamme che inghiottivano senza pietà una grande casa trasformata in un cumulo di cenere e detriti. In mezzo a quella cenere, anche quella del corpo di suo padre, dispersa per sempre senza poter avere una degna sepoltura. Ancora oggi, dopo tanti anni, faceva male come quel giorno. Non aveva sentito le fiamme bruciare il suo corpo come Vermouth avrebbe voluto, ma quel bruciore le aveva avvolto il cuore come una morsa per i successivi vent’anni. Quello non aveva mai smesso di bruciare, a differenza della sua casa.
Assorta in quegli amari ricordi, non si accorse della persona che era appena entrata nella stanza e che stava osservando alle sue spalle le carte abbandonate sulla scrivania.
 
- Ho saputo del processo…Tutto a posto?-
 
Fece un balzo sulla sedia, colta alla sprovvista da quella voce profonda ma al tempo stesso familiare. Si girò di scatto, tornando al mondo reale.
 
- Shu, sei tu…Non ti avevo sentito entrare- ammise, togliendosi gli occhiali e stringendosi il setto nasale chiudendo gli occhi, nel tentativo sia di riposare la vista sia di cancellare i brutti pensieri - Te lo ha detto James? Del processo intendo-
- Sì, me lo ha detto ieri, ma in realtà ha solo confermato un sospetto che avevo da qualche giorno- si appoggiò alla scrivania di spalle, incrociando le braccia.
- Un sospetto?-
- Ho notato che eri un po’ preoccupata negli ultimi giorni e non era difficile intuire dalla tua espressione che qualcosa non andava- spiegò con naturalezza.
 
Rimase sorpresa da quella confessione, considerando che in quei giorni era stato lui fra i due quello più preoccupato e assorto nei suoi pensieri. Non si aspettava affatto che fosse riuscito a notare il suo malessere così assorto com’era nelle sue questioni personali. Si era sempre chiesta come riuscisse a non restare mai completamente distaccato dalla realtà che lo circondava, anche quando le sue preoccupazioni lo assalivano. Lei non si era nemmeno accorta che fosse entrato prima, mentre lui aveva addirittura notato il suo cambio di umore, benché avesse cercato di mascherarlo. Tuttavia decise di non specificare che la sua preoccupazione era rivolta più a lui che al processo, poiché questo significava esporsi troppo e non era né il momento né il luogo adatto per farlo. Uscirsene con una frase del tipo “ero preoccupata per te, ti ho visto pensieroso e volevo tanto stare al tuo fianco per sostenerti” equivaleva a beccarsi l’ennesimo pugno nello stomaco quando avrebbe sentito la risposta che ne sarebbe derivata.
 
- Grazie di esserti preoccupato- rispose semplicemente, con le gote arrossate.
 
In risposta, l’uomo dagli occhi verdi le rivolse un sorriso abbozzato ma sincero.
 
- Tranquilla, andrà tutto bene. Le cose si stanno sistemando e anche questa andrà come deve andare-
- E tu da quando sei così ottimista e di buon umore?- scherzò, apprezzando però le parole del compagno.
- Hai ragione, forse dovrei smetterla di lavorare con te, mi stai contagiando- mosse alcuni passi verso l’uscita - Vado a prendermi un caffè, vieni anche tu?-
- Mi piacerebbe, ne avrei proprio bisogno, ma devo finire di visionare questi file. Voglio essere sicura di non perdermi nulla-fissò sconfortata i numerosi fogli sulla scrivania davanti a lei.
- Credo che dovresti fare una pausa, ti farà bene. Ti aiuto io a finire dopo, sempre che tu non abbia obiezioni- si offrì.
- Davvero?- chiese speranzosa, sia per l’aiuto sia per il fatto che avrebbe passato del tempo con lui.
- Forza, andiamo- la esortò a uscire, uscendo dall’ufficio.
 
Senza farselo ripetere due volte, con un enorme sorriso stampato sulla faccia, lo seguì quasi rincorrendolo, sino a quando non lo affiancò. Percorsero così tutto il corridoio, senza proferire parola. Trovava che anche i momenti di silenzio fra loro fossero da vivere, a volte non c’era bisogno di parole. In quel momento stava bene anche così, camminando al suo fianco incurante dei commenti che i colleghi più impiccioni avrebbero fatto per l’ennesima volta. Non le importava essere etichettata come “quella che corre dietro ad uno che non la considera minimamente”, quelli erano solo commenti inutili e superficiali fatti da persone che non sapevano nulla. Era un prezzo che poteva pagare se confrontato all’idea di poter trascorrere semplici momenti come quello con lui. Le davano gioia, la facevano sentire bene. Era come se quel cavaliere nero che avrebbe dovuto incuterle timore, l’attirasse invece a sé con una forza magnetica, diventando ai suoi occhi un principe capace di donarle serenità. Ironico ma vero.
Quando giunsero alla macchinetta, Shuichi estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo qualche spicciolo da inserire. Stava per fare lo stesso anche lei quando si sentì afferrare il braccio, con delicatezza.
 
- Lascia, offro io- le sorrise.
- Oh, grazie!- accettò entusiasta, piacevolmente sorpresa da quella galanteria.
 
Era così anche quando stavano insieme: Shuichi insisteva sempre nel volerle offrire un pranzo, una cena, un gelato o qualsiasi cosa, e quando lei si rifiutava per non passare per una spilorcia o per quel genere di donna che se ne approfitta, era dura farlo desistere. Nonostante tutto, sapeva essere molto galante, e lei avrebbe pagato con tutto ciò che aveva pur di rivivere anche solo per cinque minuti uno di quei momenti passati insieme come una coppia e non come due semplici colleghi.
 
- Quale preferisci?- la riportò alla realtà, indicandole i vari tipi di caffè in lattina nella macchinetta.
- Quello aromatizzato alla nocciola- lo indicò col dito.
- Troppo dolciastro- commentò lui, inserendo le monete e premendo il pulsante corrispondente.
- E quello che bevi tu è cianuro che finge di essere caffè!- replicò lei, riferendosi al suo amato caffè nero.
- Ha le papille gustative delicate, sua altezza- la prese in giro, porgendole la lattina appena prelevata e apprestandosi a prendere la sua.
- No, è proprio il tuo caffè preferito che fa schifo!-
 
Shuichi sorrise, aprendo la sua lattina e bevendo il primo sorso. Anche lei fece lo stesso, allietata dal sapore di quella bevanda. Ne aveva davvero bisogno in quel momento.
Dopo qualche minuto di silenzio dedicato a sorseggiare il caffè, si sentì abbastanza rilassata per porgergli finalmente quella domanda che voleva fargli da un pezzo. Forse lui pensava che non se ne fosse accorta, ma era impossibile non accorgersi di quando era di buon umore, e decisamente con tutti quei sorrisi che le aveva rivolto da quando era entrato nell’ufficio poteva dire che era assolutamente di buon umore. Poteva anche intuirne il motivo, o almeno si augurava di cuore che fosse quello.
 
- Ti vedo di buon umore oggi, mi fa piacere!- interruppe il silenzio - Negli ultimi giorni mi eri sembrato un po’ giù…-
- Tu dici?- rispose semplicemente, facendo il vago.
 
Si morse le labbra, non sapendo come fare per farsi dire qualcosa in più senza però esporsi troppo. Non poteva certo dirgli della sua conversazione con Shiho, ma avrebbe tanto voluto sapere se alla fine fosse avvenuta o no e se tutto si fosse sistemato. Di certo doveva essere andata così, altrimenti non si sarebbe spiegata questo improvviso cambio di umore; però le serviva una conferma perché le sue teorie non restassero appunto semplici teorie.
Improvvisamente, si ricordò della conversazione che aveva avuto con lui il giorno prima. Poteva usare quella come scusa.
 
- È poi arrivata quella torta speciale che il Dottor Agasa ha ordinato per voi?- se ne uscì.
- Mmmh?- assunse un’espressione stranita.
- Dai, quella torta di cui mi parlavi ieri- gli rinfrescò la memoria - Hai detto che doveva arrivare oggi, giusto? Posso passare ad assaggiarla?-
 
Provava un certo gusto nel metterlo in difficoltà, far vacillare l’uomo-roccia era un privilegio. Chissà se sarebbe riuscito a cavarsela e venire fuori da quella bugia che lui stesso si era inventato. Era evidente che lo aveva colto alla sprovvista.
 
- Ah, quella torta- annuì lui, cercando di mascherare la dimenticanza di poco prima - Non so se l’abbiano già consegnata. Io sono qui e il ragazzino è a scuola, perciò se il corriere dovesse arrivare l’unico che potrebbe ritirarla è il Dottor Agasa. Dovrei telefonargli e chiederglielo per assicurarmi che sia già arrivata, ma non mi sembra il caso di fare telefonate del genere sul lavoro-  concluse.
 
Accidenti, era maledettamente bravo ad inventarsi scuse sul momento! Non sarebbe stato facile metterlo alle strette, ma voleva provarci. In ogni caso, se anche non ci fosse riuscita, almeno si sarebbe divertita un po’ e avrebbe potuto godere della sua compagnia.
 
- Allora quando torni a casa fammi sapere se ve l’hanno consegnata, non vedo l’ora di assaggiarla!- cercò di sembrare il più entusiasta possibile.
- Guarda che se vuoi venire non c’è bisogno di aspettare la torta, puoi passare e basta. Ora non c’è più il problema di nascondersi o di temere di essere spiati, perciò non farti problemi-
 
Restò sorpresa da quell’invito così aperto: lo sapeva perfettamente che ormai non avevano più motivo di nascondersi, ma si faceva comunque degli scrupoli nel piombare a casa Kudo così, senza motivo. Non voleva dargli l’impressione di stargli troppo addosso, tanto da seguirlo anche dopo il lavoro. L’ultima cosa che voleva era fargli delle pressioni o passare per una di quelle donne innamorate che diventano della sanguisughe e pedinano l’uomo che amano in capo al mondo. Lei desiderava solo lasciarlo libero di esprimersi come voleva, di decidere quando era il momento di lasciarsi andare e quando invece preferiva restare solo con i suoi pensieri. Le persone non si appartengono, non ci sono anelli o promesse che possano sancire un legame inscindibile, e lei lo sapeva bene. Costringere una persona a vivere al guinzaglio non è sufficiente per assicurarsi che stia sempre al nostro fianco nel modo in cui vogliamo. Anche in amore serve la propria libertà.
 
- Ma scusa, parli come se fosse casa tua!- lo rimproverò - Non posso certo piombare a casa di Cool Guy senza motivo!-
- Non credo che a lui dispiaccia, in fondo lo adori e non glielo hai mai nascosto, perciò gli farà sicuramente piacere ricevere le tue visite- si discolpò.
- Se è così allora vengo a trovarlo molto volentieri!- accettò infine, consapevole che ciò che aveva detto corrispondeva alla realtà.
 
Stava per continuare il discorso quando sentì il suo cellulare squillare nella tasca della giacca. Chi poteva essere, dato che i suoi colleghi erano tutti lì alla sede? Lo estrasse, leggendo il nome sul display: Shiho. Non riuscì a contenere un’espressione a metà fra il sorpreso e lo stranito, cosa che non sfuggì all’occhio attento del suo compagno.
 
- Qualcosa non va?- le chiese, fissando il cellulare che continuava a suonare.
- N-no, no no!- si affrettò a rispondergli, cercando di tenere lo schermo verso di sé in modo che non potesse leggere il nome - Scusami un momento, devo rispondere!-
 
Si allontanò quasi correndo da lui, cosa che probabilmente gli avrebbe destato ancora più sospetti dell’espressione che aveva fatto prima. D’altra parte non poteva certo rispondere di fronte a lui, o il segreto che aveva cercato di nascondere per due giorni sarebbe crollato come un castello di sabbia.
Quando si fu assicurata di essere abbastanza distante da lui perché non potesse sentire, rispose finalmente alla chiamata.
 
- Hello!- la salutò allegramente.
- Mi sembri di buon umore oggi- replicò la voce dall’altro capo del telefono - Disturbo per caso?-
- No, stavo facendo una pausa prima di tornare al lavoro-
- Ho chiamato per sapere se questa sera hai impegni. Se ti va possiamo uscire a cena come avevamo detto- le propose.
- Oh, ma certo!- accettò di buon grado - Ma prima c’è una cosa che devo assolutamente chiederti!-
 
Finalmente, dopo essersi trattenuta con Shuichi, aveva l’occasione di sapere finalmente la verità. Non riusciva a contenere l’entusiasmo, certa che la risposta alla sua domande sarebbe stata positiva.
 
- Che cosa?-
- Hai parlato con Shu? Com’è andata?- disse tutto d’un fiato, mordendosi il labbro inferiore in attesa della risposta.
- Volevo parlarti proprio di questo stasera a cena- confessò, anche se dal tono di voce tutto lasciava presagire per il meglio.
 
Cercò di trattenersi dall’urlale un “sì” che sarebbe inevitabilmente riecheggiato per tutto il corridoio, attirando l’attenzione di tutti. Non aveva ancora avuto una conferma a parole, ma se metteva insieme il buon umore di Shuichi e il tono appena usato da Shiho non poteva che arrivare ad un’unica conclusione. Pazienza, avrebbe atteso ancora qualche ora per gioire senza essere scoperta.
 
- Allora non vedo l’ora che arrivi stasera!- ammise.
- Dove preferisci andare? Il Dottor Agasa mi ha consigliato qualche buon posto, ma non so che genere di cibo preferisci-
- Oh, non sono una schizzinosa a tavola!- confessò - Mangio quello che c’è, ma ammetto che è da un po’ che non mangio del buon sushi. A te piace?-
- Sì, conosco anche il posto che fa al caso nostro allora. Ci siamo andati con il Dottore e la Squadra dei Giovani Detective, quando ero ancora Ai intendo-
- Ottimo! A che ora passo a prenderti?-
- Facciamo per le otto? Sei tu quella che lavora fino a tardi, perciò dimmi tu-
- Le otto vanno benissimo! Allora ci vediamo più tardi!- le venne spontaneo fare un occhiolino, pur sapendo che al telefono Shiho non lo avrebbe di certo visto.
- A più tardi!-
 
Riattaccò, girandosi nuovamente verso la macchinetta dove aveva lasciato Shuichi. Pensava che se fosse tornato in ufficio, dato che la chiamata si era prolungata per circa cinque minuti: invece con sua grande sorpresa lo ritrovò esattamente nel punto in cui era prima, immobile e con le mani in tasca, che la fissava. In cuor suo sperò di non aver alzato troppo la voce mentre parlava al telefono, altrimenti non sarebbe riuscita a mentirgli quando le avrebbe fatto delle domande su ciò che aveva sentito.
 
- Mi hai aspettato…- espresse a voce i suoi pensieri.
- Non aveva senso tornassi da solo, devi spiegarmi alcuni dettagli se vuoi che ti aiuti. È tutto a posto?- le chiese a bruciapelo, riferendosi alla telefonata.
 
Ecco, come pensava: si era accorto di qualcosa. Sentì il battito del cuore accelerare, come succede ai colpevoli quando sanno che stanno per essere smascherati. Tuttavia doveva cercare di non perdere la lucidità se voleva avere qualche speranza di cavarsela. Doveva riuscire a inventarsi scuse plausibili su due piedi proprio come faceva lui. Il problema era che lei non si chiamava Akai Shuichi.
 
- A-ah, sì sì!- si affrettò a mostrare un sorriso forzato - Era Natsuko, voleva che uscissimo insieme un’ultima volta prima che io torni in America- mentì, cercando di sembrare convincente.
- Capisco- rispose semplicemente lui, senza aggiungere altro - Forza, ora torniamo al lavoro- le fece cenno di seguirlo, tornando verso l’ufficio.
 
Davvero era riuscita a convincerlo? Non ci credeva nemmeno lei, eppure sembrava che Shuichi si fosse bevuto quella scusa. Forse a furia di frequentarlo anche lei era diventata brava nell’inventarsi bugie all’evenienza, o forse quello era solo il frutto di tutte quelle che aveva raccontato da quando era in Giappone per mascherare il reale motivo per cui si trovava lì. In ogni caso non importava: era riuscita a convincerlo e questo bastava.
Sollevata per averla fatta franca, lo seguì di buona lena, con la prospettiva di finire il lavoro e perché no, di trascorrere quelle ore di lavoro in piacevole compagnia.
 
 
…………………
 
 
Da quando la conosceva sapeva bene che Jodie, nella sua esuberanza, poteva risultare un po’ strana alle volte, ma con gli anni ci aveva fatto l’abitudine e doveva ammettere che gli piaceva anche questo lato del suo carattere. Per uno come lui, abituato alla solitudine e al silenzio, avere intorno una persona vivace e allegra era una ventata di aria fresca che lo rigenerava dalle tenebre. Forse era per questo che trovava piacevole stare con lei: gli purificava lo spirito, detto in termini filosofici. A volte diventava un po’ noiosa, ma era quel genere di persona a cui è impossibile tenere il broncio o dire “vattene, mi stai dando fastidio”. Con la stessa facilità, però, riusciva a capire quando stava mentendo, e decisamente in quel momento gli stava nascondendo qualcosa. Jodie era un libro aperto per lui. La scusa dell’amica poteva essere plausibile, ma in quel momento i suoi occhi l’avevano tradita. Si era accorto subito della strana luce che avevano, quella luce che assumevano ogni volta che mentiva sorridendo e cercando di far credere che tutto andasse bene. Inoltre, c’era un certo nervosismo nel modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore e gesticolava frettolosamente, senza contare che non c’era alcun bisogno di allontanarsi in tutta fretta se a chiamarti era una semplice amica. Non gli erano sfuggite nemmeno le occhiate che gli lanciava per controllarlo di tanto in tanto mentre parlava al telefono, così come i tentativi di abbassare la voce il più possibile per non farsi sentire. Era chiaro che stava nascondendo qualcosa, anche se non aveva capito esattamente cosa. Poteva pensare che il suo nervosismo fosse dovuto ai ricordi che le tornavano alla mente ora che stava lavorando al caso di Vermouth, ma questo non c’entrava nulla con la telefonata che aveva ricevuto.
Smise per un attimo di pensare, chiedendosi se fosse giusto analizzare così il suo comportamento. In fondo Jodie non era più la sua ragazza e questo lo aveva deciso lui. Il legame fra loro non era più così forte da potersi permettere di mettere il naso nei suoi affari. Jodie aveva la sua vita ed era libera di fare ciò che voleva. Si convinse che la sua fosse una semplice “deformazione professionale” tipica di ogni persona che di mestiere faceva il detective, l’agente di polizia, dell’FBI o di qualsiasi altro annesso, o meglio ancora una premura che dimostrava nei confronti di tutte le persone a cui teneva particolarmente. Era più facile metterla su quel piano che affrontare il fatto che dentro di sé provava un senso di gelosia al pensiero che all’altro capo del telefono potesse esserci un altro uomo. Lui l’aveva piantata in asso e ora non aveva il diritto di essere geloso se qualcun altro se l’era presa. Eppure non gli andava giù l’idea di aver perso, per l’ennesima volta nella sua vita, qualcosa a cui teneva. Accettare una sconfitta non era facile per un tipo orgoglioso come lui.
Scacciò quei pensieri dalla sua mente: non era né il momento né il luogo per distrarsi con quelle sciocchezze, senza contare che non aveva prove concrete per dimostrare quella teoria. L’unica cosa che sapeva per certo era che il comportamento di Jodie era sospetto, perciò non potevano esserci dubbi sul fatto che stesse nascondendo qualcosa. Tuttavia non le avrebbe fatto domande esplicite, poiché lui stesso era il primo a non amare l’idea che gli altri si impicciassero dei suoi affari; avrebbe semplicemente aspettato e osservato. Magari qualcosa sarebbe venuto fuori, magari la stessa Jodie gli avrebbe parlato di sua spontanea volontà. In ogni caso, non doveva tormentarsi troppo, come aveva già detto a se stesso Jodie non era più legata a lui.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Altro capitolo dedicato alla coppia principale di questa storia! Mi serviva fare questo piccolo capitolo di passaggio per poi arrivare al prossimo dove ci sarà materiale più consistente! Vediamo come Shuichi abbia capito che Jodie sta nascondendo qualcosa e vediamo anche che qualcosa si sta smuovendo dentro di lui…Forse sta negando a se stesso che prova ancora qualcosa per lei?
Spero che non vi abbia annoiato, come sempre se avete teorie, dubbi o domande sono a vostra disposizione! ;) Nel prossimo capitolo vedremo…no, non ve lo dico! Lo scoprirete da soli! ;)
Grazie come sempre a tutti quelli che stanno supportando questa storia!
Bacioni
Place
   
 
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