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Autore: BlueFlyingWolf_13    20/08/2016    2 recensioni
La savana africana, una terra selvaggia ove dominano incontrastati due branchi, nemici da tempo: il branco dei leoni italiani, capeggiati dall'anziano leone Roma, e il branco dei leoni tedeschi, capeggiato dal saggio e serio Germania.
Un giorno però, a causa di un'alluvione estiva, i due nipoti di Roma, Veneziano e Romano, si troveranno a vagare disorientati per le terre africane appartenenti al temuto nemico teutonico, lontani dalla loro casa, dalla loro famiglia e dal loro branco.
A causa (o forse grazie) a questo avvenimento, i due incontreranno molti altri leoni con pensieri, nazionalità, storie e personalità diverse, amichevoli e non, ospitali o meno. E inoltre... scopriranno da loro che qualcosa di molto grave sta accadendo nella savana.
Un personaggio misterioso sta decimando mano a mano i branchi adiacenti, e sta arrivando a prendere il territorio italiano e tedesco, quest'ultimo messo in serie difficoltà dalle continue richieste di asilo e dai nuovi e costanti arrivi.
Ce la faranno i due leoni italiani a tornare a casa e avvertire in tempo il loro branco, ancora all'oscuro? Beh... forse, se aiutati da un bizzarro leone spagnolo, un serio leone tedesco, un eccentrico leone albino e tanti altri.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Piccola nota prima di iniziare a leggere: le – rappresentano un cambio di scenario.

Vi auguro una buona lettura!

 

CAPITOLO PRIMO: A Life Gash; Uno Squarcio di Vita.

 

Il grande, luminoso e caldo sole africano sembrava come inghiottito dagli imponenti e gonfi nuvoloni neri che ora dominavano il cielo, i quali gorgogliavano e brontolavano di tanto in tanto come per sottolineare l'imminente arrivo di un violento temporale. Il primo temporale d'inizio estate, il temporale che avrebbe finalmente portato la tanto sospirata acqua nelle pozze semi-asciutte... beh, forse ne avrebbe portata un po' troppa.

 

“Il tempo sta cambiando, a breve un forte acquazzone si riverserà sul regno. Saranno guai seri se non ci rifugiamo, dobbiamo prepararci.” commentò dopo una rapida osservazione meteorologica e senza troppi giri di parole l'anziano Roma, capobranco e grande re dei leoni cosiddetti “italiani” delle Terre Fertili, nonché valoroso guerriero e amorevole nonno. Osservò i due nipoti al suo fianco con aria seria. “Veneziano, Romano: dobbiamo radunare i leoni e le leonesse nella grotta prima che inizi a diluviare. Se qualcuno, sopratutto un cucciolo, si trovasse a girovagare per la savana con un tempaccio simile, dubito che sopravvivrebbe all'annegamento. I sentieri sprofonderanno nel fango.”.

“Ve! Va bene, nonno Roma!” sorrise con aria frivola e rilassata uno dei due, di nome Veneziano: egli era un giovane leone di taglia modesta, dalla pelliccia color marroncino tenue e dalla folta criniera di un colore leggermente più scuro e rossastro, dalla quale sparava un bizzarro ciuffo ribelle e arrotolato. I suoi occhi, contornati da cerchi di pelliccia leggermente più chiara e quasi sempre chiusi, erano di un color marrone ambrato ed esprimevano gentilezza, tranquillità e una punta di stupidità. Il suo naso aveva una forma dolce e un colorito rosa pesca; il suo muso aveva lineamenti eleganti e rotondi.

“Umpf, quei bastardi fannulloni del nostro branco hanno sempre bisogno della balia che li riaccompagna a casa.” grugnì con tono annoiato e vagamente scocciato l'altro, di nome Romano, scoccando un'occhiataccia allo stupido fratello coi suoi occhi color verde chiaro e contornati da occhiaie nere. Il giovane principe, al contrario dell'altro, aveva una pelliccia di un chiarissimo color isabella e una criniera di un penetrante marrone scuro, simile a quella del nonno. Anch'egli aveva un ciuffo ribelle e arrotolato che gli spuntava però dall'altro lato della testa, ossia da destra. Il naso, nero come la pece, aveva una forma più aguzza e sottile che stonava coi lineamenti del suo muso, rotondo come quello del fratello.

Erano i due principi delle Terre Fertili.

“Andate, dobbiamo sbrigarci. Io ed Elizabeta raduneremo i leoni di pattuglia e le cacciatrici, a voi sta radunare i leoni che sostano vicino alla gola del fiume.” spiegò brevemente Roma, ignorando come al solito le proteste del maggiore, per poi compiere un balzo insospettabilmente agile data la sua età e dileguarsi fra l'erba secca della savana in pochi istanti. “Buona fortuna, e fate presto!”.

 

“Sgrunt. Sentito il vecchio bastardo? Diamoci una mossa; prima avvertiremo gli altri, prima potremo tornare tutti alla grotta senza bagnarci.” sbuffò rumorosamente Romano, alzandosi rassegnatamente sulle quattro zampe, stiracchiandosi per pochi secondi e partendo in corsa verso il ciglio della profonda e ripida gola poco lontana, seguito a ruota dal fratello. “Speriamo di arrivare prima che si metta a piovere, il cielo non promette bene. Che iella, cazzo.”.

“Ve, già! Peccato che debba piovere, avrei tanto voluto fare dei pisolini al sole con le belle leonesse, mangiare qualcosina con gli amici e giocare a nascondino fra le rocce...” si lamentò con rammarico Veneziano, abbassando le orecchie e sfrecciando per gli incontaminati ed aridi prati, riuscendo a trovare divertimento anche in ciò. “Ahah, l'erba mi solletica i baffi!”.

“Argh.” si limitò ad alzare gli occhi al cielo il leone dagli occhi verdi, che avrebbe tanto voluto mollare una zampata sul cranio del fastidioso fratello seduta stante. Meh, lo avrebbe fatto dopo. “E' per questo che non vuoi che piova, bastardo? Per il cibo e per i bei sonnellini? E dimmi, chi procura da mangiare di solito? Se non te ne fossi accorto, sono io che conduco le battute di caccia delle leonesse, idiota! Questo acquazzone non ci voleva, il terreno si sfalderà, le mandrie si sposteranno considerevolmente e noi cacciatori, al contrario di te che te ne stai sempre col nonno a disegnare sul terreno, suonare coi sassi e cantare, dovremo spingerci oltre il confine per catturare qualcosa da mettere sotto le zanne. Col rischio che quei mangia-tuberi dei leoni del Sud ci attacchino o ci accusino di aver invaso il loro territorio, non dimentichiamolo. Siamo un branco di ottanta leoni e leonesse adulti e dieci cuccioli, abbiamo delle responsabilità: anche tu devi deciderti ad imparare a cacciare e a dare il tuo contributo.”.

“Ve, è ingiusto! Lo sai che non sono bravo a cacciare, l'ultima volta che c'ho provato sono stato inseguito da un elefante arrabbiato! Gli avevo solo dato un morsetto sulla caviglia, non pensavo se la sarebbe presa!” piagnucolò l'interessato, difendendosi debolmente e saltellando con aria vispa dietro al maggiore. “Non voglio far del male alle zebre o alle antilopi, sono tanto carine e simpatiche.”.

“Punto primo: ti avevamo detto più e più volte che agli elefanti non dovevi neanche avvicinarti, brutto idiota impedito, ma tu non ci hai ascoltati. Punto secondo: sei il primo che te le mangi, quando torniamo dalle battute!” ruggì adirato Romano, mostrando le zanne con rassegnazione e ira al solo ricordo di suo fratello che scappava in preda al panico per mezza Africa con l'elefante imbestialito alle calcagna. Questo aneddoto aveva causato non poco imbarazzo all'intera tribù, che era stata presa in giro per settimane dagli odiosi leoni dorati del Sud.

“Ma le poverine sono già morte e, in quelle occasioni, ho tanta fame! Mhh... anche adesso avrei tanta voglia di un bel cosciotto grasso di antilope!” puntualizzò Veneziano, leccandosi i baffi, per poi spostare lo sguardo poco lontano e sorridere con sincerità e allegria. “Ehi, vedo i nostri amici vicino alla gola! Ciao, ragazzi! Ciao, belle, ciao! Bacio, bacio, bacio!”.

Romano alzò gli occhi al cielo un'ultima volta, come per chiudere in bellezza il precedente discorso, poi si avvicinò insieme a suo fratello ai leoni e alle leonesse a loro amici, a loro cari. Non potevano di certo sapere che una disgrazia li avrebbe presto separati, ma dopotutto... come avrebbero potuto?

 

-

 

L'acqua piovana cominciò a cadere con violenza dal cielo pochi attimi prima che una giovane leonessa chiedesse aiuto ai due principi delle Terre Fertili.

“Aiutatemi, aiuto!” ruggì la giovane, ormai inzuppata fino alle ossa come l'intero branco in fuga e alla ricerca di riparo, saltando di fronte ai due leoni e formulando a fatica alcune frasi sconnesse. “Il mio cucciolo è rimasto intrappolato su un masso adiacente alla gola, non riesce a risalire con questo tempaccio: un solo azzardo di vento o una roccia scivolosa potrebbero farlo cadere nel fiume in piena! La corrente lo trascinerebbe via, morirebbe! Aiutatemi!”.

“Dov'è il piccolo spastico combinaguai?” chiese con maleducazione e malumore Romano, osservando la leonessa con aria seria. “Ci mancava solo questa... Che palle, ma non possono stare più attenti ai loro figli?”.

“Laggiù, su quella sporgenza!” indicò la leonessa con tono preoccupato, sollevando una zampa marroncina e indirizzando lo sguardo dei due verso un punto preciso. Era proprio vero: su un masso reso scivoloso dall'acqua e precariamente incastrato a circa settanta metri dall'impetuoso fiume, un cucciolo stava rannicchiato e mugolava di tanto in tanto un “Aiuto, mamma!”.

“Ve, è tanto alto...” commentò impaurito Veneziano, dando un'occhiata alle burrascose acque sottostanti e balzando all'indietro, impressionato e in preda alle vertigini. “Se cadiamo nel fiume siamo spacciati!”.

“Tu, leonessa! Chiama con urgenza Elizabeta, avremo bisogno del suo aiuto.” ordinò Romano alla giovane madre, facendole un cenno col muso e osservandola annuire e partire di corsa. Poi girò il muso e si rivolse al fratello: “Noi scendiamo a prendere il piccolo bastardo. Ti avverto, impedito: se provi a cadere o a farti male ti pigli il resto dal sottoscritto, giuro che t'ammazzo a suon di legnate e poi ti appendo a testa in giù con la gola tagliata dall'albero più alto che trovo.”.

“V-Va bene... ve...” deglutì rumorosamente l'interessato, avvicinandosi alla sporgenza con fare poco convinto e cominciando a discenderla molto lentamente, affrancando gli affilati artigli nella superficie rocciosa e viscida... “Ve, non mi piace questo lavoro...”.

 

-

 

“Preso, ve!” gioì dopo pochi minuti di scalata Veneziano, sollevando il cucciolo per la collottola e tenendolo stretto fra i denti appuntiti. “Fratellone, ce l'ho fatta! Sei contento?” bofonchiò poi, cominciando la lenta risalita col sorriso stampato sulle labbra. “Adesso ti porto su, piccolino.”.

“Ragazzi, tutto bene?”: una voce femminile decisa e dolce allo stesso tempo risonò nell'aria tempestosa e sferzante; una figura familiare si sporse dalla cresta terrosa del precipizio per cercare con lo sguardo i due leoni. “Romano, Veneziano, datemi la zampa.”: la giovane aiutante si chiamava Elizabeta, ed era una magnifica leonessa dal carattere apparentemente pacifico ma segretamente guerriero. Aveva una pelliccia color beige sabbia e due grandi occhi verdi, vispi e allegri, contornati da morbidi cerchi di pelliccia bianca. Il suo naso, dalla forma dolce, aveva un colorito rosa antico, chiarissimo. Il suo muso era tonto, paffuto e peloso, le sue zampe affusolate ed eleganti, abbellite da neri artigli sempre sfoderati e pronti a lacerare le carni di coloro che avessero osato far del male alla sua famiglia. Era molto diversa dai leoni italiani delle Terre Fertili sia di conformazione fisica che di colori, questo perché era stata generata e abbandonata da genitori sconosciuti, provenienti da un branco probabilmente nomade e ridotto alla fame.

Nonno Roma l'aveva trovata da cucciola, smarrita, sola nella savana, malnutrita e impaurita un anno prima della nascita dei suoi due nipoti. Impietosito, l'aveva raccolta e portata con sé nelle sue terre, dove le leonesse italiche l'avevano adottata e trattata come una figlia, crescendola con amore e rendendola una cacciatrice formidabile e una leonessa bella e forte come poche. Per il tenero Veneziano lei era come una sorella maggiore con cui giocare e a cui confidare tutto, per lo scorbutico Romano ella era un'alleata molto preziosa e una collega di caccia impareggiabile.

“Muoviamoci, la mia pelliccia è schifosamente sporca ed inzuppata.” brontolò come sempre Romano, cercando un appiglio con la zampa posteriore, dandosi una spinta e arrampicandosi con attenzione sempre più in alto. “Passa il marmocchio: Elizabeta lo tirerà su a sua volta e lo darà alla madre.” richiese dopo pochi secondi al fratello, per poi chinare il muso, aprire le fauci e afferrare il cucciolo spaventato. “Eccolo.” disse infine, lanciando il piccolo con uno slancio e riportandolo finalmente fra le premurose braccia della suddita, che li ringraziò amabilmente.

“Ve, tutto è bene ciò che finisce bene!” gioì lieto Veneziano, tendendo la zampa ad Elizabeta per farsi tirare su. “E ora si torna a cas-”.

 

SCRAK!: questo rumore cozzante, sinistro ed improvviso fece impietrire e gelare il sangue dei presenti. Da dove proveniva?

Una profonda crepa comparsa sul ciglio del crestone, proprio dietro ad Elizabeta, bastò come risposta: una frana imminente. “Ragazzi, il terreno sta per crollare!”.

E fu proprio quella l'ultima frase coerente che riuscirono a sentire: infatti, con una velocità immane, la porzione di terreno sulla quale Elizabeta era appoggiata crollò sul suo stesso peso a causa dell'umidità e della fanghiglia, facendo sgretolare a sua volta anche la parete sulla quale Veneziano e Romano erano precariamente affrancati.

Romano riuscì a reggersi con difficoltà per pochi istanti, ma quando suo fratello lo afferrò per la coda per cercare appoggio i suoi artigli lasciarono inevitabilmente la parete rocciosa.

Caddero tutti e tre nel vuoto senza quasi rendersene conto.

Gridando e rimbalzando rovinosamente sulle rocce, i leoni finirono a capofitto nel burrascoso fiume in piena sotto gli occhi attoniti e spaventati del cucciolo e della leonessa, che rimasero a guardare l'acqua impetuosa fino al crepuscolo, noncuranti del maltempo, aspettandosi di rivedere i loro amati protettori risalire le rive prima o poi. Ma non fu così.

Non riemersero nemmeno al calar delle tenebre.

 

-Il mattino dopo-

 

Un nuovo giorno era sorto anche nelle torride Terre Aride, situate alcune miglia più a sud delle Terre Fertili, abitate dai famosi leoni italiani dal manto marroncino, e delle stesse, ironia della sorte, Terre del Sud, abitate dai potenti leoni “tedeschi” dalla pelliccia d'oro.

La zona semi-desertica e desolata pareva aver inghiottito e consumato avidamente l'enorme quantità d'acqua caduta il giorno prima, della quale non c'era quasi più traccia se non qualche pozza umidiccia qua e là, ma era chiaro che le poche e rare oasi presenti ne avevano giovato molto, coprendosi di nuove piante succulente, riempiendosi di uccelli affamati e ravvivandosi.

Eh già, le Terre Aride, un luogo in cui pochissimi animali riuscivano ad adattarsi, sopravvivere o ad essere felici. Beh, nessun animale a parte l'allegro leone solitario Antonio Fernandez Carriedo.

“Ah, es fantastico! Una nuova, energica giornata ha inizio!” ruggì felicemente l'interessato, un bel leone di taglia media ma spaventosamente magro, scrollandosi i granelli di sabbia dalla bella pelliccia color marrone scuro e stiracchiandosi i muscoli indolenziti dal freddo della sera precedente. I suoi profondi occhi verdi smeraldo vagarono per l'ambiente circostante con curiosità, la sua criniera marroncina (più scura della pelliccia) splendette al sole. “Vamos, vecchio mio! Es ora de alzarsi e darsi una mossa!” ordinò poi a sé stesso con simpatia, balzando sulle quattro zampe e dirigendosi verso l'unico (e preziosissimo) fiume vicino per abbeverarsi. Avrebbe mangiato qualcosa dopo.

Percorse con passo ciondolante il percorso ormai conosciuto, fischiettando e salutando ogni singola cosa vivente e non. “Ciao, serpente! Ciao, avvoltoio! Ciao, insetto! Ciao, sasso! E ciao a te, mio fedele e tranquillo fiume-... CARAMBA, MA CHE...!”: con un fulmineo balzo all'indietro, il leone ispanico si pose a distanza di sicurezza da una sagoma anomala distesa sulla riva. “Oh mio Dio.”.

 

Gli bastarono pochi secondi per capire di cosa si trattasse: un giovane leone dalla pelliccia color isabella, dal naso nero come la pece e dalla scurissima criniera marrone giaceva sul terriccio bagnato con gli occhi chiusi e le fauci semiaperte. Era bagnato fradicio, per metà era ancora immerso nell'acqua gelida e piena di ramoscelli spezzati.

E-es... muerto?” si chiese con paura Antonio, rabbrividendo e decidendo di fare qualche incerto passo verso il corpo immobile (o “potenziale cadavere”, a questo punto). “S-sarà caduto e annegato nel fiume durante la tempesta?”. Difficile a dirsi, bisognava dare un'occhiata più da vicino.

Con coraggio e dopo una lenta preparazione psicologica, l'allegro animale dalla pelliccia marrone scosse leggermente il corpo con una zampa, che ritrasse quasi immediatamente. L'idea di toccare una carcassa, magari mezza marcia e macilenta, non lo allettava granché. “Amigo? Stai bene, caramba? Riesci a sentirmi?”.

No, non lo sentiva di certo. Ma, da così vicino, Antonio notò una cosa che gli riaccese la speranza: un debole respiro. E poi un altro, un altro, e un altro ancora. Respirava molto flebilmente, ma era ancora vivo!

“Es vivo! Es vivo!” ruggì di sollievo il felino, azzardando un felice saltello e un sospiro. “Ma ora che cosa faccio con lui? Non posso di certo lasciarlo qui, potrebbe essere attaccato dai rognosi mangia-cadaveri o potrebbe morire di caldo o disidratazione. Mhh... ci sono, lo porterò alla mia caverna! Quando si sveglierà, mi spiegherà cos'è successo!” decise dopo poco Antonio, chinandosi verso il bisognoso e caricandoselo di peso sulle spalle. “Chissà, magari diventeremo anche amici. Arriba!Sto arrivando, casetta mia!” concluse poi, ciondolando rapidamente verso la grotta stando bene attento a non sballottare troppo il suo nuovo ospite misterioso.

 

-

 

“Vee! Nonno Roma! Romano! Elizabeta! Aiuto, sono tutto solo e non so dove mi trovo!”: un bel po' più lontano e molte ore dopo (sera, circa alle sette), ma lungo le rive dello stesso lunghissimo fiume, il povero Veneziano stava cercando disperatamente i suoi cari nel territorio conosciuto come le “Terre del Sud” (non che si fosse reso conto di essere in territorio nemico, sia chiaro).

Si era risvegliato un almeno sei ore prima su una scomodissima roccia, con un gran mal di testa e con un penetrante dolore alle ossa, ma più o meno integro. Quantomeno aveva ancora la forza di piagnucolare. Non ricordava bene cos'era successo... la caduta era l'unica cosa che riusciva a venirgli in mente, per il resto la sua mente era buia.

“Ho paura! Ho tanta paura della solitudine!” scoppiò improvvisamente a piangere il leone, resosi ormai conto di essersi smarrito nel buio, accasciandosi a terra a dando sfogo alla sua disperazione. “Voglio il nonno! Voglio il fratellone! Voglio tornare a casa! Voglio... qualcuno!”. Chiunque gli sarebbe andato benissimo; quanto avrebbe voluto avere un amico al suo fianco con cui fare pisolini o rotolarsi nella terra, in quel momento! “Stellina dei desideri, stellina dei desideri: anche se ora non riesco a vederti, ti prego di esaudire il mio desiderio! Finché nonno e fratellone non mi troveranno, voglio stare in un posto con gente simpatica e con tante leonesse carine! Oh, e se mi facessi trovare anche un nuovo amico del cuore sarebbe fantastico, ve!”.

 

All'improvviso, come se la stella l'avesse effettivamente ascoltato, un inquietante e vicinissimo fruscio proveniente dai secchi cespugli adiacenti alla riva fece smuovere Veneziano, che si girò di scatto e si guardò intorno. “V-ve? Chi c'è...? N-nonno? R-Romano...?”.

“PRESO!”: una voce impetuosa e autoritaria squarciò l'inquietante silenzio creatosi, tuonando senza alcun preavviso; pochi secondi dopo, il giovane leone marroncino si trovò schiacciato sotto al peso di un altro, gigantesco leone. “Che cosa ci fai nel territorio dei leoni del sud, straniero!?” ruggì l'aggressore, mostrando aggressivamente le fauci appuntite e ringhiando. Non che Veneziano potesse vedere tutto questo, dato che aveva chiuso gli occhi (chiusi completamente, non come li ha normalmente.) quasi istantaneamente.

“No! Non farmi male, ve! Non sapevo questa fosse casa tua, lo giuro! Scusami!” alzò le zampe in segno di resa il felino italiano, mettendosi a pancia all'aria per dimostrare sottomissione e buone intenzioni. “Non uccidermi! Ho solo perso il mio branco, non volevo fare nulla di male!”.

chiese con scetticismo nel tono l'avversario, non accennando nemmeno per un secondo un allentamento della presa. “Non ti credo. Chi sei? Identificati!”.

“Sono Veneziano, vee! E te lo giuro, non volevo fare niente di male! Io... i-io... Waaaaah!” scoppiò a piangere sommessamente il povero leone marroncino, tremando e raggomitolandosi su se stesso. “Mi s-sono perso!”.

“U-uh... che fai, piangi!? Smettila. Smettila, ho detto. SMETTILA SUBITO!” ruggì ancora più forte l'altro, preso a dir poco alla sprovvista, peggiorando però drasticamente la situazione...

“WAAAAAAAAAAAAH! V-voglio andare a c-casa!” strillò a sua volta più forte l'italiano, nel panico più totale. “Perché fai il cattivo con me? Perché vuoi farmi del male, io non ho fatto niente!”.

“Argh, smettila! Nessuno ti farà del male.”.

Eh? Non voleva ucciderlo?

 

Solo all'udire questo Veneziano trovò il coraggio di aprire i suoi grandi occhioni marroni, ancora grondanti di lacrime, e di guardare le sembianze del suo magnanimo aggressore: egli era un leone molto grande, uno dei più grandi e muscolosi che il giovane avesse mai visto, e aveva una lucente pelliccia dorata. La sua criniera, leggermente più scura del manto, era ordinata e lisciata sulla fronte e il suo naso era dalla forma acuminata e di color rosa antico. I due severi occhi azzurri che lo scrutavano freddamente erano l'unico contrasto presente in quell'animale dai colori caldi e tipici dei leoni tedeschi. “D-davvero, sniff? Non mi stai dicendo una bugia?”.

“Ho il muso del bugiardo, leone del nord?” gli scoccò un'occhiataccia il leone del sud, squadrandolo dall'alto in basso e girandogli lentamente intorno. “Perché sei qui? Sei una spia? Vuoi rubare il nostro cibo?”.

“No! I-io mi sono perso. Ieri sono caduto nel fiume e ho sbattuto forte la testa, ha fatto tanto male! Non mi ricordo nient'altro, lo giuro...” ripeté Veneziano, abbassando le orecchie e supplicando con lo sguardo l'altro leone. “Tu sai come posso tornare da nonno Roma? Di certo mi starà cercando e sarà preoccupato, ve!”.

“Aspetta... nonno chi!?” si drizzò in tutta la sua altezza il leone dorato, interessandosi improvvisamente alla conversazione. “Parli per caso del leone Roma, capobranco dei leoni delle Terre Fertili?”.

“Ve, wow! Tu sei tanto intelligente!” annuì felicemente Veneziano, cominciando a prendere in simpatia l'estraneo. Magari avrebbe potuto aiutarlo! “Hai indovinato subito il mestiere del nonno!”.

“Tu quindi... saresti suo nipote?” domandò l'altro, guadagnandosi un “Vee!” affermativo. “Mhh... Se è così verrai con me.” decretò allora, affiancando l'italiano e spintonandolo verso uno spoglio sentiero della savana. Aveva finalmente fra le zampe qualcosa di grosso, qualcosa che avrebbe potuto portare alla vittoria il suo branco da troppo tempo assetato di vendetta.

“Ve, dove mi porti? Mi aiuterai a ritrovare casa, vero?” trotterellò pigramente al suo fianco lo stupido felino, non staccandogli per un solo secondo gli occhi di dosso e non provando minimamente a scappare via. “Non avevo mai visto questo posto... è divertente esplorare!”.

“Ti porterò a casa mia e al cospetto di Germania, capobranco dei leoni delle Terre del Sud.” si limitò a rispondere seccamente e con un'alzata di occhi il tedesco, mal sopportando la curiosità del nuovo e molesto prigioniero, che continuava a fargli un sacco di domande stupide come “Quando si mangia?”, “Ci sarà qualche posto per sonnecchiare?” oppure “Ci sono tante belle ragazze?”. “Quasi preferirei averlo trovato morto annegato... mi scoppia la testa.”.

“Quindi presto vedrò casa tua... sono felice!” mormorò Veneziano, per poi sorridere spensieratamente e domandare: “Io ti ho detto il mio nome, adesso voglio sapere il tuo! Come ti chiami, ve?”.

Emettendo un ulteriore sbuffo, il leone dorato decise di soddisfare almeno quella curiosità, sperando che dopo l'italiano si sarebbe zittito definitivamente: “Mi chiamo Ludwig.”.

 

E durante tutta quella conversazione, nessuno dei due si accorse dei due luminosi e stanchi occhi verdi che stavano seguendo ogni loro passo dai cespugli.

 

Fine primo capitolo.

 

 

 

Angolo autrice:

Ciao a tutti fans di Hetalia.

Questo è il primo capitolo della mia storia, che spero vi abbia soddisfatto sia di contenuto che di lunghezza. Ma questo è solo l'inizio dell'avventura di questi leoni.

Perciò, come vedete o vedrete... abbiamo personaggi completamente diversi, con passati diversi, con scopi diversi e morali diverse.

Ma con un unico obbiettivo. Riusciranno a tornare a casa o a realizzare i loro desideri?

Dirò la verità, non sono molto sicura di cosa farne di questa storia: è abbastanza lunga e impegnativa da scrivere, perciò deciderò se continuarla in base al vostro indice di gradimento. Comunque sia, ho sei capitoli pronti, gli altri li butterò giù se la trama piacerà. Altrimenti pazienza, ci avrò provato e darò un taglio alla storia. xD

Scoprirete presto il continuo della loro avventura, spero.

 

BlueFlyingWolf_13.

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