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Autore: Zoe Nightshade    21/08/2016    1 recensioni
"L’altro giorno, mentre camminava per andare al lavoro, le è scattato qualcosa nel cervello; non ha capito cosa, non ha capito come, ha capito solo che doveva cambiare e per farlo sarebbe dovuta andare via. Magari non per sempre, magari solo per un po’. O magari no, questo ancora non lo sa."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Almeno per un po’. O forse per sempre. Questo ancora non lo sa.”


 
Isabella ingrana la marcia ed affonda ancora di più il piede sull’acceleratore della sua Panda rossa, quella che si è comprata dopo cinque anni di mance al ristorante vicino casa, quello che dà su Piazza Bologna, quello dell’amico di sua mamma.
La lancetta del tachimetro sfiora il centotrenta, illuminato d’arancione, ed Isabella – per tutti Isa – allenta la spinta che sta esercitando con il piede destro. Deve smettere di sfogare le proprie frustrazioni nella guida, deve smettere di pensare, deve smettere di lasciarsi opprimere. Deve smettere perché è pericoloso, per lei e per gli altri.
Toglie la mano sinistra dal volante ed abbassa il finestrino perché – Dio! – che caldo che fa, nonostante siano le due e mezza di notte e fuori facciano ventisei gradi. Fa proprio caldo, secondo Isa, un caldo così lei non l’ha sentito proprio mai, mai in venticinque anni di vita, soprattutto mai a Settembre, mai così tanto, mai così afoso.
Si mette una ciocca di capelli dietro l’orecchio perché – Dio! –  quanto vento c’è, è insopportabile, e poi preme il pulsante d’accensione della radio. E’ strana la radio a quell’ora: nessuno la sente se non chi lavora di notte, chi torna dalla discoteca e chi, come lei, non ha né sonno né qualcuno da ascoltare. Chi, come lei, prepara una borsa in fretta e furia, ci mette qualche vestito e tutti i propri risparmi, si infila un paio di scarpe prese a caso ed esce dalla camera cercando di non fare rumore. Chi, come lei, stacca un post-it da quelli appesi al frigo e ci mette un quarto d’ora a scrivere una nota di una decina di parole per Sara, la propria coinquilina, che probabilmente non vedrà più. Chi, come lei, sale in macchina in pigiama e parte perché – Dio! – quello non è caldo, è proprio afa, opprimente ed appiccicosa, non ti lascia andare e lei non ce la fa più, i pensieri le fanno da coperta e lei sente davvero troppo caldo. Perché non c’è più tempo, non ce n’è davvero più, e lei deve andare via.
E quindi sente la radio. Sente la radio e non sa dove stia andando, segue la strada, va lontano. Isa è appena uscita dal Lazio, a bordo della sua Panda rossa, e fa un sospiro di sollievo, tira un po’ più su il finestrino. Sente meno caldo, adesso.
L’altro giorno, mentre camminava per andare al lavoro, le è scattato qualcosa nel cervello; non ha capito cosa, non ha capito come, ha capito solo che doveva cambiare e per farlo sarebbe dovuta andare via. Magari non per sempre, magari solo per un po’. O magari no, questo ancora non lo sa.
Isa non programma mai niente e Sara e sua mamma la rimbeccano sempre per questo. Per esempio ora non sa dove sia diretta e nemmeno per quanto tempo starà via da Roma. Se lo sapessero loro due si strapperebbero i capelli, inizierebbero a dare di matto.
“Vedi che prendi e parti? Ma non ci pensi agli altri? Alle conseguenze? E poi neghi quando ti si dice che sei incosciente!” Già se le immagina entrambe accigliate ed arrabbiate, una a destra e l’altra a sinistra, sua madre con le mani sui fianchi e Sara con le braccia conserte, mentre lei gli spiega cosa sta succedendo e il perché delle sue scelte, anche se nemmeno lei lo sa perché – Dio! – non tutto ha bisogno di una spiegazione. A volte le cose succedono e basta e non sono né giuste né sbagliate, sono solo sentite e le cose sentite vanno fatte e basta.
Ha venticinque anni, è in grado di prendere da sola determinate decisioni ed ha bisogno di scomparire per un po’, dimenticarsi di tutto e tutti, scrollarsi di dosso la routine, le abitudini, le dipendenze perché – Dio! – non c’è tempo, non ce n’è più. Non vuole più vedere sempre le stesse facce, né il signor Luigi – che le dà ogni mattina il buongiorno sul portone di casa –, né Sabrina e Filippo, i due ragazzi che mangiavano ogni sabato al ristorante dove lei fa da cameriera, e nemmeno Sara. Proprio Sara, con i suoi capelli arancioni e le lentiggini sul naso, con la sua gentilezza e con la sua grazia, con i suoi consigli e con il bene che le lega. Isabella vuole qualcosa di nuovo, perché l’essere umano è schifosamente debole ed in costante ricerca di abitudini, di dipendenze che lo facciano sentire forte, e lei non ce la fa più, a sentirsi forte. Ha bisogno di sentirsi debole di nuovo, conoscere nuova gente, provare nuove cose, avere nuove abitudini. Ha bisogno di ricostruire tutto ciò che si trova intorno a lei, ha bisogno di ricostruire sé stessa.
Forse non è fatta per avere legami, lei ha bisogno d’indipendenza, non è fatta per rimanere per sempre in un posto perché – Dio! –, la vita è così breve, non la si può sprecare a seguire sempre la stessa routine e stando sempre con le stesse persone. Lei non aveva bisogno di dipendenze, o meglio, lei non voleva dipendenze, lei non voleva sentirsi forte. Isa non è una di quelle persone che vogliono vivere aspettando l’ultimo respiro. Una di quelle che continuano a fumare aspettando l’ultima sigaretta.
Ripensa a quella lezione del liceo, quella su “La coscienza di Zeno”, e un sorriso amaro le sfiora le labbra, mentre con gli occhi non si lascia sfuggire nemmeno un dettaglio della strada: fumare una sigaretta pensando sia l’ultima non fa altro che migliorare il sapore della sigaretta stessa. Ecco, ma a quale prezzo? Al prezzo della dipendenza. Al prezzo di non prendere decisioni da sola per i vincoli che ci legano come catene. E lei quelle catene le voleva spezzare perché – Dio! –, non la facevano ragionare, le toglievano il respiro e la lucidità.
Isa adesso si trova vicino al paese di sua nonna, ma voglia di fermarsi non ne ha ancora. Non le interessa nemmeno della benzina che sta sprecando, vuole solo andare via, prima o poi si fermerà da qualche parte, appena lo sentirà dentro di sé, appena vorrà, appena ne varrà la pena.
La radio passa la canzone che sentiva sempre quando andava a Ladispoli, nella casa della sorella di sua nonna. Sa tutte le parole a memoria, le canta a squarciagola, i ricordi riaffiorano vividi nella sua mente e lei pensa che alcune dipendenze siano belle però. Alcune dipendenze te le porti dietro sempre, perché non ti fanno mai sentire caldo. Alza un po’ il volume, inizia a muoversi a ritmo mentre il sole sorge e lei lo osserva dal finestrino, attenta a non distrarsi dalla strada. Vorrebbe fermare il tempo, rimanere per sempre così: in viaggio senza una precisa destinazione, con una vecchia canzone alla radio ed il sole che sorge ed illumina tutto ciò che c’è intorno.
Ad Isa piace stare da sola, le è sempre piaciuto. Forse è perché è figlia unica di genitori separati, forse è perché non ha mai avuto tanti amici, forse è perché non si è mai innamorata, nemmeno una volta, perché – Dio! –, è così bella la libertà, perché doverla limitare per qualcun altro? Isa non lo capisce, infatti non lo ha mai fatto e non lo farebbe per nessuna ragione al mondo. O forse sì, questo non lo sa. Forse non ha mai limitato la sua libertà perché non ha mai incontrato “quello giusto”, anche se lei a queste favolette non ci crede per niente. Isa non è pronta a rinunciare a sé stessa per qualcun altro, punto. Sarà sempre al primo posto delle sue stesse preoccupazioni e priorità. E’ per questo che non ha funzionato con Roberto, con Luca, con Michele o con Riccardo. Lei non sa vivere con i vincoli, con le dipendenze, ogni tanto deve cambiare.
Le dispiace per Riccardo, però, perché con lui ci si trovava bene davvero, era quasi riuscita a mettere da parte la sua ossessione per l’indipendenza. Ma lui aveva ventinove anni e voleva metter su famiglia e quello era davvero troppo per Isa. Era quasi scappata, quel pomeriggio di Luglio.
“No, io no. Io non voglio figli. Non posso farcela.” Aveva scosso la testa più e più volte, aveva mosso l’indice destro da una parte all’altra, si era voltata.
Riccardo l’aveva bloccata.
“Isa,” Le aveva detto dolcemente. “Isa, mica dobbiamo farli oggi. Un giorno, abbiamo tempo.”
L’aveva abbracciata, ma lei si era liberata.
“No, nemmeno un giorno. Non li voglio e basta.”
Poi se n’era andata. Tre giorni dopo lo aveva lasciato. Non è disposta a mettere sé stessa in secondo piano, assolutamente no.
Isabella fa un sospiro, adesso sono le sette e un quarto di mattina, sta guidando da cinque ore, ma non ha né sonno né idea di dov’andare. Vuole solo andare. Andare via, da tutto e da tutti. Forse è solo una codarda, ha lasciato tutto per paura ed egoismo, però vuole andare via, vuole cambiare, vuole essere indipendente. Isabella non vuole più i legami che ha avuto fino ad ora. Almeno per un po’. O forse per sempre. Questo ancora non lo sa.




A/N:
Hola!
Questa volta la one shot non è di nessun fandom, avevo solo bisogno di scrivere e, per essere sincera, non avevo molte idee con le mie ship, quindi mi sono ritrovata a scrivere di Isabella.
Ecco, ti ringrazio perché sei arrivata/o fin qui e, visto che ormai ho preso un po' del tuo tempo, spero che tu mi lasci anche una recensione per farmi sapere quello che pensi di questo racconto e per dirmi cosa farà secondo te Isabella. Non ho voluto integrare un finale perché mi piace il fatto che ognuno lo immagini per sé. E poi perché così se faccio schifo a scrivere magari smetto e non ammorbo più nessuno.
Detto questo, ringrazio come sempre mia sorella - aka la mia beta -, Francesca e Debby per il supporto e, boh, perché sono anche loro che mi spingono a scrivere ed a migliorarmi sempre.
Un bacio, 
Zoe (Ludovica).

 
  
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