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Autore: JulyAneko    28/04/2009    2 recensioni
Stare a riflettere e scervellarsi conta poco, perché poi si fa ciò che si pensa, ma ogni passo, in fondo, è senza riflessione, così come lo vuole il cuore. Herman Hesse.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SPOILERS: la storia si dirama dalla quarta serie in poi, ma solo con citazioni precisa dalla terza serie.
DISCLAIMER: I Personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: Il protagonista di questa storia è Reid e in secondo piano April, il personaggio che ho creato per "Will never be a mistake". Riprende un pezzo di "Will never be a mistake", approfondendo le sensazioni di Spencer. Non serve aver letto l'altra storia in quando si può considerare anche un racconto a se stante visto che spiego chi è April e del fatto che ora lavora col team.
NOTE: Questa storia nasce per il "Criminal Minds Writing Party" del forum su Criminal Minds

RESET

Stare a riflettere e scervellarsi conta poco, perché poi si fa ciò che si pensa, ma ogni passo, in fondo, è senza riflessione, così come lo vuole il cuore. Herman Hesse.

La vide uscire dall'ufficio di Hotch con una spensieratezza che lo fece innervosire. Come poteva essere così calma?
L'osservò mentre scendeva le scalette e metteva piede nell'open-space.
Lui lo sapeva che tutta quella tranquillità era solamente una facciata.
Lei che fino a qualche giorno prima era infuriata per l'essersi dovuta unire alla squadra senza aver espresso un suo consenso.
Lei che qualche ora prima si era rilevata la nipote di quell'uomo che era stato così importante per il team. Di quell'uomo che per lui era stato come un padre. Di quell'uomo che era diventato un appiglio, un baluardo per tutti i membri dell'Unità Analisi Comportamentale. Jason Gideon.
Scostò lo sguardo da quella figura fino ad arrivare alla vetrata del proprio capo che stava parlando tranquillamente con David. In un attimo si sentì i suoi occhi addosso e quello sguardo lo innervosì tanto da scuotere la testa e iniziare a fissare la scrivania davanti a lui e cominciare a rigirarsi fra le mani una consumata penna blu.
Quel giorno Hotch gli aveva detto che lui non conosceva molto aspetti della vita di Gideon, che lui non sapeva prima di April così come di tante altre cose.
Perché dirgli tutto ciò? Perché far perdere alla sua mente il privilegio che si era creata credendo di essere il pupillo di Jason? Perché?
Improvvisamente sentì una fitta allo stomaco, come se qualcosa gli contorcesse le viscere.
Gli faceva ancora così male parlare di Gideon?
Sì.
Sì, gli faceva male.
Sospirò tornando ad osservare quella ragazza che si era diretta verso la scrivania di Emily, proprio davanti alla sua. Poteva osservarla senza che lei si accorgesse del suo sguardo. L'unico pericolo erano gli altri colleghi ma Jennifer e Penelope non erano nell'open-space, David ed Aaron stavano chiacchierando nell'ufficio di quest'ultimo e Emily e Derek erano troppo occupati a parlare proprio con lei. Con April.
Notò come il suo profilo fosse netto e non certo dai tratti dolci. Notò come nulla di quel profilo gli ricordasse Jason.
Un'altra morsa allo stomaco.
Doveva assolutamente chiarire quella faccenda, non poteva tormentarsi ancora per qualcuno che l'aveva lasciato perché andato a cercare la sua vita, la sua speranza. Non poteva. E quella ragazza gli sembrava come capitata lì per un fatto strano del destino, come se lei fosse il segnale per riuscire, finalmente, a prendere il volo da solo, sganciandosi da quella responsabilità che si sentiva di avere nei confronti di Jason. Un debito di legame che credeva fermamente di avere con quell'uomo.
Sentì Morgan ironizzare sul fatto che quella sera Emily ed April avessero fissato per vedersi. Lo sentì scherzare sulle colleghe facendo finta di voler essere invitato.
E si scoprì a sentire una strana sensazione provenirgli dal cuore. Si scoprì ad essere geloso.
Scoprì come il vedere il sorriso solare di April, come risposta a Derek, gli desse una certa noia. Una noia infondata, lo sapeva, ma non poteva far a meno di pensare che gli desse fastidio.
Decise di scostare lo sguardo e così si soffermò sulla figura di Prentiss, anche lei sorridente e solare. E subito gli tornò alla mente come, poco dopo che era entrata nella squadra, lui l'aveva trattata male e l'aveva accusata di giudicarlo senza conoscerlo davvero.
Come si era sbagliato quella volta. Si era sbagliato sapendo di star facendo un grave errore. Nel momento stesso in cui l'aveva accusata aveva sentito il cervello dissentire dalle sue stesse parole. Emily aveva dato prova di essere una valida collega, una persona eccezionale pronta a sacrificarsi per le persone a cui voleva bene, una donna stupenda. Immediatamente il suo cervello elaborò un altro ricordo, un ricordo legato alle parole di quella donna che lo esortavano a capire. Già, a capire quella lettera che Gideon gli aveva lasciato.
Credo che tu debba leggerla di nuovo e domandarti perché tra tutte le persone da cui ha voluto allontanarsi, abbia voluto dare delle spiegazione ad una sola persona.. a te.
Forse lui poteva non conoscere bene la vita di Jason ma nulla poteva togliere ciò che erano stati, ciò che quell'uomo aveva rappresentato per lui. E Spencer ne era certo, anche lui era stato importante per Gideon, anche lui poteva avergli dato qualcosa, quel calore umano che non poteva avere dal proprio figlio, come lui non poteva averlo dal proprio padre. Erano stati colleghi, erano stati amici, erano stati legati anche se nelle loro vene non scorreva lo stesso sangue. Di questo era certo e niente avrebbe potuto portargli via questo sentimento.
Sarai spaventato, me ne scuso. Non ho mai voluto farti soffrire e non avrei mai pensato di scrivere questa lettera.
Queste erano parole di un uomo che sapeva di lasciare dietro di sé almeno una persona a cui era affezionato, almeno una persona per la quale sentiva il bisogno di giustificare le sue future azioni, almeno una persona a cui sentiva di essere legato. Almeno una persona di cui si sentiva responsabile, responsabile come un padre.
Era per tutto questo che si era convinto che April era un segnale per risolvere tutto ciò che sentiva aggrovigliato nel proprio stomaco. Era per questo che non faceva altro che riflette e scervellarsi per trovare qualcosa da dirle, qualcosa per riuscire a capire davvero Gideon, qualcosa per far smettere quelle fitte di impotenza nel suo stomaco.
Credeva davvero che April fosse la chiave di tutto.
Si morse il labbro inferiore mentre le sue mani continuavano a contorcere quella povera penna, lo sfogo effettivo dei suoi pensieri.
Lui doveva assolutamente parlare a quella ragazza, lui doveva capire, lui doveva sapere. Lui doveva conoscere.
Conoscere.
Già, lui doveva risistemare i propri pensieri riguardo quell'uomo così burbero e scostante, così tenero e comprensivo. Lui doveva riuscire a capire dove aveva sbagliato, quando aveva smesso di accorgersi delle emozioni di Jason, quando aveva smesso di capirlo, quando non era riuscito a comprendere quanto Frank lo avesse portato al limite della sopportazione. Quando aveva perso la fiducia nel lieto fine, quando nell'umanità.. quando nel lieto fine.
Tornò con lo sguardo su quel profilo sorridente, su quei lineamenti che lo incantavano, su quella chioma castana che lo affascinava. Tutto di lei era così magnetico per lui, così terribilmente sensuale. E il suo cervello, al guardarla, si incantava come fosse un vecchio disco inceppato in un giradischi troppo usato.
Forse era questo il suo sbaglio. Lui pensava troppo.
La sua mente non smetteva un secondo di elaborare teorie e pensieri. Era come se fosse in perenne dialogo con quel cervello troppo ingombrante perché la sua anima riuscisse a trovare una tregua, una pace, una vittoria.
E in quel preciso momento la sua mente aveva preso a girovagare fra mille possibilità, fra mille situazioni che poteva creare con una sola e semplice domanda. Ora doveva solamente trovare quella giusta, quella semplice domanda che facesse scattare una conversazione che gli mostrasse tutto ciò che voleva sapere. Anche se non era certo di ciò che davvero, realmente, volesse sapere. Ma in quel momento gli sembrava una cosa secondaria, una nebbia che poteva anche far finta di non vedere, anche se poi, inevitabilmente, vi ci si sarebbe avventurato.
Doveva trovare le parole.
Doveva trovare il coraggio.
Il suo cervello deviò improvvisamente verso quell'ultimo appunto. Il coraggio. Non poteva far finta che andare a parlare con April non lo spaventasse un poco. Lei rappresentava tutto ciò che lo stava tormentando in quel periodo.
Era stato davvero traumatico per lui accettare il fatto che Gideon se ne fosse andato. E che se ne fosse andato senza avvertirlo ma lasciandogli una semplice lettera, proprio come aveva fatto suo padre. Era stato duro affrontare quella situazione ma in qualche modo era andato avanti. Il lavoro, il circolo per la disintossicazione, Rossi che era entrato nella squadra, JJ che aveva avuto il bambino. Tanti diversivi per far sì che la sua mente riuscisse a trovare un appiglio per dimenticare quella faccenda che sentiva ancora come una ferita aperta sul suo cuore. Anche dopo che aveva ritrovato suo padre, il suo vero padre. Sì, anche dopo aver risolto quella situazione, quei sogni ricorrenti. Anche dopo tutto ciò non poteva negare a se stesso quanto quell’uomo, quanto Jason Gideon, fosse stato importante per lui.
Poi era arrivata lei, April Johnson. E tutto era cambiato.
Quella ferita mai chiusa aveva deciso di versare un altro po' di sangue, aveva deciso di riprendere possesso della sua mente e di tormentarlo come una volta.
Quindi sì, aveva paura.
Per questo doveva dannatamente trovare una frase giusta!
Reset.
April gli aveva sorriso. April aveva salutato. April se ne stava andando.
Doveva pensare e doveva farlo velocemente! Doveva trovare qualcosa!
Appena la vide varcare la soglia dell'ufficio si alzò in piedi come una scheggia e altrettanto velocemente si infilò giacca e tracolla. Trafelato uscì da quella stanza senza nemmeno salutare e senza nemmeno provare a pensare ciò che probabilmente passava adesso per la mente dei suoi colleghi che lo avevano visto uscire così di corsa, paonazzo in volto.
Non si era nemmeno reso conto che le sue gambe avevano iniziato a muoversi da sole e avevano raggiunto quella ragazza sulle scale appena fuori l'edificio.
-Spencer- la sentì salutare con un tono di voce poco convincente mentre vedeva i suoi occhi tirargli una furtiva occhiata.
Panico.
Qualcosa non andava? Forse non era la persona che voleva vedere in quel momento? Forse non voleva parlargli?
Le sfiorò il braccio sentendo la pelle candida di lei a contatto con i suoi polpastrelli e una scossa lo attraversò da capo a piedi. Strinse quel braccio costringendola a girarsi verso di lui.
-Ti.. ti puoi fermare un attimo?-
Coraggio. Da dove l'aveva tirato fuori quel coraggio?
Abbassò gli occhi.
Lo aveva già abbandonato quel barlume di luce, di speranza che aveva aleggiato nel suo cuore? Possibile?
Forse non sapeva davvero perché si stesse comportando a quel modo.
Panico.
Dove erano le parole da dirle? Dove erano tutte quelle domande che prima gli navigavano per la testa? Dov'erano?
Aprì la bocca cercando di dire qualcosa ma nessuna sillaba uscì dalle sue labbra. Il suo cervello aveva improvvisamente smesso di funzionare. Nessun pensiero passava per la sua testa, era come se improvvisamente si fosse svuotato di tutte quelle riflessioni che aveva fatto prima, di tutte quelle teorie che aveva sperimentato.
Sospirò alzando nuovamente lo sguardo ad incrociare quegli occhi che lo guardavano con fermezza ma.. ma cos'era quell'alone laggiù, in lontananza, che però lui riusciva così chiaramente a leggere? Cos'era? Era.. era insicurezza, quella?
Fu come un fulmine. La sua bocca decise di dar sfogo a qualcosa che non proveniva certamente dal suo cervello in quel momento così vacuo. Era forse il suo cuore a parlare?
-Come.. com'è essere stati cresciuti da.. da-
Non riuscì a finire. Sentì il braccio di lei divincolarsi dalla sua delicata stretta e le sue parole scivolarle dalla bocca come se, anche quelle di lei, non fossero prima passata al controllo del cervello. -Essere cresciuti da qualcuno che, quando ha deciso di abbandonare tutto e tutto, ha scritto una bella lettera d'addio a un'altra persona?!-
L'osservò mentre immergeva gli occhi nei suoi. Occhi tremanti. E sentì freddo, sentì una strana sensazione di gelo pervadergli il corpo. Non riuscì a dire una parola, una sillaba, niente. Il suo cervello continuava la sua taciturna protesta. Nessuna riflessione passava per la sua mente, nessun pensiero. Solo quella sensazione di freddo.
E fu un attimo.
Un momento prima che lei si girasse e raggiungesse la sua macchina per andarsene. In quell'attimo vide negli occhi di lei quella sofferenza che riconosceva ogni giorno nei suoi, quel muto dolore celato nelle profondità più oscure del proprio io.
Aveva allungato una mano come un ultimo saluto e mentre lei si allontanava, aveva potuto sfiorarle delicatamente la mano. Era fredda. Era gelida.
Quella sensazione di gelo. Di gelo esteriore.
Quella sensazione che nascondeva il calore e il dolore che provavano dentro.
Rimase immobile mentre osservava quella macchina allontanarsi.
Lentamente i pensieri cominciarono a tornare all'assalto della propria mente. Piano piano le domande, le considerazione, i progetti, le teorie, cominciarono ad invadergli il cervello.
Si maledì. Dov'erano un attimo fa? Dove erano quando aveva bisogno di loro?
Non poteva credere di aver agito così d'impulso! Di essere andato da lei, di averla fermata e di averle detto quelle sconclusionate parole! Davvero non poteva crederci.
Scosse la testa come a far tacere tutto quel trambusto, ma ormai la magia era sparita. Le riflessioni erano tornate. La sua mente era tornata a scervellarsi.
E adesso? Aveva fatto la cosa giusta? Cosa sarebbe successo quando si fossero rivisti? E lui? Lui come si sentiva adesso? Come avrebbe reagito?
Non lo sapeva. Adesso proprio non sapeva nulla.
Adesso non sentiva nulla. Ma una volta, qualcuno, gli aveva detto che non sapere quello che si provava non era lo stesso che non sentire nulla.
Si mise le mani in tasca.
E un ultimo pensiero arrivò alla sua mente.
Da dove erano partite quelle parole che le aveva detto?

 

 

  
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