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Autore: Lady Of The Flowers    22/08/2016    2 recensioni
Matt raggiunge Dom nella sua casa al mare, luogo che risveglierà in loro un dolce ricordo.
"Quel posto era magico."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte.
Dopo anni – Quanti? Quattro? Beh, non pochi, purtroppo! Sì, sono ancora viva e non so neppure se c’è qualcuno che si ricorda ancora di me – torno con una piccola one shot, rivisitazione di una che (forse, non ne sono nemmeno molto sicura) avevo già pubblicato anni e anni or sono.
Spero possa piacere. Ho cercato di renderla un po’ meno dolce (era al limite del diabete), ma non sono poi così certa di avercela fatta. Qui siamo ancora ai tempi di Gaia, bei tempi, quelli.

Fatemi sapere, se vi va.
Saluti e baci e abbracci a tutte.
 

P.S. Grazie Roby per avermi esortato a ripubblicarla <3

                                          Il meglio di me
                  


Il suo pugno mi colpì in pieno viso e un dolore lancinante si distese lungo tutta mia la guancia destra. Mi parve quasi di sentire lo zigomo spaccarsi, ma a lui non sembrò importargliene più di tanto, tant’è che decise di sbattermi anche la porta in faccia. Il suo sinistro non era bastato, evidentemente.

Mezz’ora più tardi stavo ancora seduto sui gradini dell’entrata di casa sua con la testa fra le mani, tentando di non pensare al dolore pulsante e fastidioso provocato dal pugno, quando sentii aprirsi la porta dietro le mie spalle, il solito cigolio ad accompagnarla. Mi voltai lentamente e vidi Emma venire verso di me. Teneva tra le mani un fazzoletto di stoffa con dentro del ghiaccio e mi sorrideva, i capelli raccolti in una coda, solo un ciuffo ad incorniciarle il viso: la mia nuova infermiera.
Appena mi fu accanto si sedette anche lei e mi porse il fagottino, facendomi segno di appoggiarlo sullo zigomo. Lo feci: un male lancinante. Ma, grazie al cielo, lentamente il ghiaccio cominciò a fare effetto, permettendomi così di stendere il viso in un piccolo sorriso di ringraziamento.
«Stai bene?» Chiese poi, dolcemente.
«Mai stato meglio.» Risposi ironicamente, con una smorfia di dolore sul viso.
«Vedo, vedo.» Fece lei, sarcastica quanto me.
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio – chissà cosa stava pensando; gli sguardi persi nella campagna di fronte a noi, poco più in là si vedeva il mare. Il sole stava tramontando lentamente, soffiava una leggerissima brezza e ci raggiungeva il profumo della cena sul fuoco che, molto probabilmente, stava cucinando Dom.
Quel posto era magico.
Mi ricordo ancora quando Dominic mi ci aveva portato la prima volta. Grazie all’aiuto di Bill e Diane, eravamo riusciti a convincere mia madre a lasciarmi trascorrere qualche giorno con la famiglia Howard nella loro casa al mare. Quando arrivammo, rimasi senza fiato: non avevo mai visto niente di più bello (all’epoca luoghi del genere, per me, erano una grande novità). Avevamo sedici anni allora, ed in testa solo la musica e la voglia di divertirci, e quello, senz’altro, era il posto ideale per lasciarci andare.
E adesso ci ero tornato.
Emma sospirò, interrompendo i miei pensieri.
«Non che io sappia cosa diavolo sia successo fra voi, ma ti posso assicurare che mio fratello è piuttosto arrabbiato.»
«Lo so.» Dissi, indicandogli la sacca di ghiaccio, lei accennò un sorriso.
«Non so nemmeno cosa sei venuto a fare qui. Insomma, così… Senza preavviso.»
«Mi dispiace.» Sussurrai. «Ma ho bisogno di vedere Dominic.»
«Questo l’avevo capito.» Ridacchiò. «E non vuoi dirmi perché, giusto?»
«Giusto.» Mormorai abbassando lo sguardo.
Mi passò una mano fra i capelli, accarezzandomi la testa, e poi riprese a parlare rivolgendo lo sguardo all’orizzonte.
«Non preoccuparti.» Disse. «Allora? Ti unisci a noi per cena?» Aggiunse contenta.
«Mi farebbe piacere, sempre che tuo fratello non abbia intenzione di uccidermi.»
All’improvviso la porta si aprii, di nuovo. Entrambi ci voltammo. Dominic guardò Emma e con un cenno del capo la invitò ad entrare. Lei mi diede una pacca sulla spalla e si alzò, bisbigliò qualcosa all’orecchio del fratello – forse di non uccidermi – e sparì all’interno della casa.
Io continuavo a fissare Dom. Avrei dovuto dire qualcosa, ma rimasi in silenzio finché lui non si appostò al mio fianco, dove si accese una sigaretta; allora mi decisi a parlare, ma non riuscii nemmeno ad iniziare la frase perché lui mi aveva già interrotto.
«Vaffanculo.» Chiosò, soffiando via il fumo e mettendosi in tasca l’accendino. «E scusami, ma te lo meritavi.»
«Lo so.» Risposi, mentre lui prese un respiro profondo e preparatorio, probabilmente, della ramanzina che stava per propinarmi.
«Ma io dico, come pensi di poter piombare qui dal nulla, dopo avermi fatto sentire una merda e baciarmi praticamente davanti a mia sorella?! Ti sembra un comportamento normale? No, Matt. Non è giusto!» Urlò, come previsto.
«Oh, capisco eccome. Guarda qui.» Dissi mostrandogli lo zigomo, ormai anestetizzato dal ghiaccio.
«Meritato.» Rispose, senza un minimo di compassione.
Poi si mise a fissare il mare, mentre continuava a fumare quella dannata sigaretta. Io lo guardavo con un mezzo sorriso, guardavo i suoi occhi immergersi in quel blu cobalto che si estendeva di fronte a noi. Quel posto era un piccolo gioiello.
«Hai mai ripensato ai giorni che abbiamo passato qui insieme?» Domandai, d’un tratto.
«Non penserai mica di poter cenare qui, ve- cosa?» Mi guardò di sbieco.
«Ho detto, ripensi mai a certi momenti che abbiamo trascorso qui?»
Sospirò e scosse leggermente la testa, come a voler mandar via qualche immagine che gli era apparsa in mente.
«Quando eri ancora simpatico…» Disse, rivolgendo gli occhi al cielo.
Scoppiai a ridere. «Io sono ancora simpatico.» Gli sussurrai in un orecchio, come se gli stessi rivelando un segreto.
Questa volta rise lui. «Sì, certo, Bellamy. Vallo a raccontare a qualcun altro.»
«Sei veramente senza cuore, oggi.» Sussurrai, beccandomi un’occhiata glaciale.
«Tu invece sulla buona strada per beccarti un altro pugno, sai?» Annunciò, voltandosi verso di me.
Tossicchiai. Mi spaventava alquanto, quel giorno.
Tornò quasi subito a guardare di fronte a sé. Il mare sembrava calmarlo, fortunatamente.
Non parlammo per circa cinque minuti buoni, durante i quali non riuscii nemmeno a pensare a cosa potergli dire per scusarmi di quello che era successo; continuavo solamente a ricordarmi il suo viso prima che se ne andasse sbattendo la porta due giorni prima, a ripetermi quello che gli avevo urlato contro. Imperdonabile, semplicemente. Ero davvero stato imperdonabile. Un cazzotto in faccia era solo una piccola parte di quello che mi meritavo.
«Non ho bisogno di te, non è vero che non posso fare a meno di questo, di noi! Sai cosa ti dico, Dominic? Fai a farti fottere! Non voglio vivere questa storia con te e continuare a mentire a Gaia. Chi cazzo se ne frega se sto buttando nel cesso anche la nostra amicizia! Devi smetterla di credere che non potrei riuscire a stare con nessun altro che non sia tu. Io non voglio una vita come questa. E smettila di dire che mi ami, quando sai che io non ricambio affatto! Non sono ossessionato da te e non voglio esserlo! Vai al diavolo!» Disse d’un tratto Dom, sempre continuando a non guardarmi, lasciandomi senza fiato. L’aveva detta perfettamente, quella battuta, quasi fosse il dialogo di un copione da ricordare.
«Ricordo ogni singola parola, Matt, ogni-singola-parola.» Mormorò, con un filo di voce.
«I-io…» Non riuscii a dire altro.
«Mi hai fatto male, idiota che non sei altro.» Prese un respiro, buttò la sigaretta a terra e la pestò col piede. «E poi te ne torni qui, e mi baci. Io non so cosa pensare, Matt, se non che sei un idiota patentato. Idiota, idiota… Dio, vorrei ammazzarti.» Continuò, scuotendo la testa lentamente.
Io ero lì impalato, proprio come un vero idiota.
Poi, all’improvviso, disse: «Ti ricordi quando mi hai portato a guardare le stelle sul cofano della macchina di mio padre? I miei dormivano e per noi, come al solito, non se ne parlava proprio di andare a letto prima delle tre, così mi hai portato fuori, proprio lì…» E mi indicò il punto esatto dove anni prima stava parcheggiata l’auto di Bill. «E mi hai fatto sdraiare sul cofano. Mi sentivo trasgressivo all’epoca, sai… Se solo mio padre avesse saputo che eravamo saltati sulla sua amata Ford, ci avrebbe come minimo… Oddio, nemmeno lo so. Comunque, credo sia stato uno dei momenti più belli della mia vita. Insomma, noi due, le stelle… Mi avevi stretto la mano ad un certo punto, mi ero sentito strano. E sapevo di volerti un bene dell’anima, Matt. E poi un giorno, dopo qualche anno, mi hai baciato e ho capito quanto avevo desiderato che tu lo facessi. Ma sei un idiota e mi hai urlato in faccia tutte quelle cose l’altro giorno, dopo tanto tempo, …perché poi? Lo sai? Hai avuto paura? Ti ho fatto qualcosa? Qualcuno ha detto qualcosa? O sei soltanto un idiota?»
Ormai avevo perso il conto di tutte le volte che mi aveva dato dell’idiota, ma era proprio quello che mi sentivo e le sue parole mi stavano facendo rivivere tutte le sensazioni che avevo provato: quella notte, sotto le stelle, il primo bacio dopo anni… Mi ricordavo tutto: il suo calore, la voglia di riprovarci, di continuare a lasciare che le mie labbra incontrassero le sue. Era diventato una droga, ormai. Come avevo potuto negare di essere ossessionato da lui? Di non aver bisogno di lui, di noi? Con che coraggio gli avevo detto che avrei buttato la nostra amicizia nel cesso, senza che me ne fosse fregato qualcosa? Che… non lo amavo? Tutto perché avevo sentito qualche cretino dargli del gay e non avevo fatto nulla, avevo solo pensato di non voler essere chiamato così, da nessuno, mai. Sempre il solito vigliacco.
Afferrai la mano a Dominic, così, senza nemmeno pensarci, fu un impulso.
Mi guardò, aveva gli occhi lucidi.
«Sono un idiota.» Gli dissi sorridendo.
Annuì. «Eccome se lo sei.»
«Comunque sì, me la ricordo come fosse ieri quella notte, mi ricordo anche quando ti ho baciato, ricordo ogni cosa che ti riguardi, Dom. E ti prego di perdonarmi, ho detto delle cose orribili e sinceramente l’ho fatto per un motivo stupido, perché sono uno stupido.»
«Idiota.» Mi corresse lui, guardando in basso. 
«Scusami.» Strinsi la sua mano un’ultima volta e poi la lasciai.
«Emma si è spaventata, sai?» Disse.
«Per cosa?»
«Per quel pugno. Pensava ti avessi rotto il naso, poi sono riuscito a convincerla che non era così, ma dopo mezz’ora di litigata è voluta venire fuori lo stesso.» Rispose, passandosi una mano fra i capelli biondi.
«Si è sempre preoccupata un po’ per me, sin da quando eravamo due ragazzini.»
«Aveva una cotta per te, scemo.» Mi svelò.
«Cosa?» Sbottai.
«Sì, e pensa se venisse a sapere che io sono innamorato pazzo di te.» Appena finì di pronunciare le ultime parole si morse la lingua, ma ormai era fatta, l’aveva detto. Avrebbe voluto mangiarsela,  secondo me, tant’è che era diventato paonazzo dal nervoso.
Gli sorrisi, divertito. «Non fare il broncio.» Dissi. «Ti amo anch’io.»
Roteò gli occhi, ma si lasciò andare.
«E io ti perdono, idiota.» Sussurrò, rivolgendomi il primo sorriso della giornata.
Allungai la mano per accarezzargli il viso, quando Emma aprì la porta; ci voltammo, ma non ritrassi il braccio, mi fermai a mezz’aria, come bloccato. Lei ci guardò un attimo perplessa, poi sorrise ed io abbassai la mano.
«La cena è pronta.» Annunciò. «Che dici, Dom, Matt può mangiare con noi?» Aggiunse e Dominic mi lanciò un’occhiata.
«Diciamo di sì.» Rispose, tirandomi una gomitata.
«Grazie, amici.» Ridacchiai, poi ci alzammo ed entrammo in casa.
«Hai cucinato tu?» Chiesi a Dom appena misi piede in cucina e il profumo della cena raggiunse le mie narici.
«Ovviamente.» Disse, orgoglioso. «Sono il migliore, lo sai.»
Scoppiai a ridere. «Guarda che anche Tom ha il suo perché ai fornelli.» Lo avvisai, beccandomi per la seicentesima volta un’occhiataccia. Meglio stare zitto, a quel punto.

 

Cinque ore più tardi, dopo che mi ero girato di nuovo dall’altra parte senza riuscire a prendere sonno, mi alzai: un’idea.
Uscii dalla stanza degli ospiti, attraversai il corridoio e aprii la porta di quella di Dominic. Con mia grande sorpresa lo trovai ancora sveglio a leggere chissà quale libro. Quando mi vide, sobbalzò.
«Che ci fai qui?» Chiese, appoggiando il libro sul comodino.
Mi avvicinai e lo presi per mano. «Vieni.» Dissi in un sussurro, e lo condussi fuori di casa.
Lo portai vicino alla mia auto e lo invitai a salire sul cofano e, proprio come una volta, mi sentivo come se stessi trasgredendo qualche regola, un pizzico di adrenalina in corpo e una sensazione di ansia alla bocca dello stomaco mi facevano compagnia.
Dom mi guardò male per un attimo, ma poi salì sull’auto ed io lo imitai.
Una volta sopra, mi sdraiai accanto a lui e, dopo aver fissato il cielo per qualche minuto, gli indicai una stella, la più luminosa.
«Sei tu.» Gli dissi.
Non so se lui capì esattamente quale, tra le miriadi di stelle, gli stessi indicando, ma mi prese la mano e la strinse. Si voltò verso di me appoggiandosi al gomito e, con la mano libera, si indicò il cuore.
«Sei tu.» Sussurrò e mi sorrise.
In quel momento sentii di amarlo come non mai.
«Ti darò il meglio di me.» Giurai, appoggiando la fronte contro la sua.
«Non ho bisogno del meglio di te. Ce l’ho già, in questo momento.» Disse, sfiorando le mie labbra con le sue.
Gli sorrisi e tornai a guardare il cielo stellato con ancora la sua mano stretta nella mia.
«Avrò sempre bisogno di questo. Di noi, intendo.» Mormorai con gli occhi fissi in alto.
«Lo so.» Rispose dolcemente. «Anche io.»



   
 
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