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Autore: mido_ri    22/08/2016    1 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sab, 6 ottobre, sera
Tesi entrambe le orecchie nella speranza di sentire il più possibile; Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena e mi chiese nuovamente cosa fosse successo ma, anche se avessi voluto, non avrei potuto rispondergli perché avevo le labbra serrate e il cuore in gola.
- Io penso che dovremmo smetterla, gli è appena morto il padre e non credo che gli faccia piacere essere preso per il culo...-
- Matteo, perché devi sempre rompere le palle? Se non sei d'accordo vattene da un'altra parte -
Matteo annuì e si alzò dallo scivolo; stava per scavalcare il muro e temevo che mi vedesse, per fortuna fu interrotto dallo squillo del suo cellulare. Mentre era impegnato a parlare, io e Riccardo scavalcammo il muretto facendo meno rumore possibile e tornammo nel vecchio parco giochi.
- Allora, mi vuoi dire che diavolo sta succedendo?! -
- Nulla, quelli erano i miei amici -
- Lo so, ma perché ci siamo nascosti? -
Gli diedi una leggera spinta facendolo allontanare.
- Senti, non è giornata -
Vidi la sua espressione variare da preoccupazione a nervosismo.
- E allora potevi anche evitare di accettare l'invito! -
Sbatté il cellulare a terra e corse via, fin troppo lontano da me; eppure non feci neanche un passo, non mossi neanche un muscolo, lo lasciai semplicemente andare. Stetti immobile a fissare la sua figura finché non scomparve, poi mi piegai e raccolsi il suo telefono; lo schermo ormai era irrecuperabile.
Decisi di tornarmene a casa, e per casa intendevo quella in cui mia madre mi aveva proibito di mettere piede. 
Oltrepassai i segnali che negavano l'accesso e infilai le chiavi nella serratura, quando le girai produssero uno rumore sordo e metallico. La casa odorava di chiuso e l'aria era pesante, ma mai quanto la tensione che in quel momento mi gravava sulle spalle. Il pensiero che qualcun altro fosse stato lì, con l'intenzione di porre fine alla vita di mio padre, mi fece rabbrividire e mi strinsi nella felpa. Quella stessa felpa mi era stata regalata da lui il giorno del mio ultimo compleanno: aveva dimenticato di comprare un regalo, quindi si era presentato a casa con una ciambella e una felpa nera senza alcun significato.
Accesi la luce, ci mise qualche secondo prima di smettere di tremolare. Sul pavimento non c'era alcuna traccia di sangue, quella casa era semplicemente vuota, sembrava che i suoi vecchi abitanti fossero partiti, stanchi di vivere lì e pronti ad abbandonarla per sempre. Entrai nella mia stanza, era rimasta esattamente così come l'avevo lasciata: il letto sfatto, la scrivania sottosopra, i panni sporchi sulla sedia e la tapparella abbassata solo a metà. Quando la mattina precedente ero entrato per prendere lo zaino, non avevo toccato nulla, né avevo fatto caso a tutte quelle cose.
Invidiai il me stesso che era uscito da quella stanza disordinata, caotica come la sua testa vuota, ignaro del fatto che suo padre sarebbe morto di lì a poche ore, no, non morto, sarebbe stato ucciso. Strinsi i pugni e mi gettai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e finalmente mi sfogai: piansi per secondi, minuti, ore, non lo sapevo. Urlai e strappai a morsi la fodera del cuscino; no, non era stata una semplice morte, era stata una grave perdita, una perdita che faceva male al cuore e prendeva a calci lo stomaco, una perdita che infestava la mia mente e divorava quei pochi pensieri positivi sopravvissuti all'inutile e noiosa vita che conducevo ogni giorno. La mia testa era un luogo buio e freddo, esattamente come quella stanza, esattamente come la risata che riecheggiò fra le pareti. Mi tirai su con uno scatto e afferrai la sveglia.
"Gliela tirerò in testa, sì"
Strinsi le dita attorno all'oggetto fino a farle diventare bianche, ero sicuro che se avessi provato a lanciarla non si sarebbe staccata dalla mia mano. 
- C-chi sei?! -
Vidi la maniglia abbassarsi, come mossa da una mano invisibile, mentre in realtà c'era qualcuno dall'altra parte della porta e io sapevo fin troppo bene chi fosse. 

Sab, 6 ottobre, sera

Tesi entrambe le orecchie nella speranza di sentire il più possibile; Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena e mi chiese nuovamente cosa fosse successo ma, anche se avessi voluto, non avrei potuto rispondergli perché avevo le labbra serrate e il cuore in gola.

- Io penso che dovremmo smetterla, gli è appena morto il padre e non credo che gli faccia piacere essere preso per il culo...-

- Matteo, perché devi sempre rompere le palle? Se non sei d'accordo vattene da un'altra parte -

Matteo annuì svogliatamente e si alzò dallo scivolo; stava per scavalcare il muro e temevo che mi vedesse, per fortuna fu interrotto dallo squillo del suo cellulare. Mentre era impegnato a parlare, io e Riccardo scavalcammo il muretto facendo meno rumore possibile e tornammo nel vecchio parco giochi.

- Allora, mi vuoi dire che diavolo sta succedendo?!-

- Nulla, quelli erano i miei amici -

- Lo so, ma perché ci siamo nascosti? -

Gli diedi una leggera spinta e lo feci allontanare.

- Senti, non è giornata -

Vidi la sua espressione variare da preoccupazione a nervosismo.

- E allora potevi anche evitare di accettare l'invito!-

Sbatté con forza il cellulare a terra e corse via, fin troppo lontano da me; eppure non feci neanche un passo, non mossi neanche un muscolo, lo lasciai semplicemente andare. Stetti immobile a fissare la sua figura finché non scomparve, poi mi piegai e raccolsi il suo telefono; lo schermo ormai era irrecuperabile.

Decisi di tornarmene a casa, e per casa intendevo quella in cui mia madre mi aveva proibito di mettere piede. Oltrepassai i segnali che negavano l'accesso e infilai le chiavi nella serratura, quando le girai produssero uno rumore sordo e metallico. La casa odorava di chiuso e l'aria era pesante, ma mai quanto la tensione che in quel momento mi gravava sulle spalle. Il pensiero che qualcun altro fosse stato lì, con l'intenzione di porre fine alla vita di mio padre, mi fece rabbrividire e mi strinsi nella felpa. Quella stessa felpa mi era stata regalata da lui il giorno del mio ultimo compleanno: aveva dimenticato di comprare un regalo, quindi si era presentato a casa con una ciambella e una felpa nera senza alcun significato.

Accesi la luce, ci mise qualche secondo prima di smettere di tremolare. Sul pavimento non c'era alcuna traccia di sangue, quella casa era semplicemente vuota, sembrava che i suoi vecchi abitanti fossero partiti, stanchi di vivere lì e pronti ad abbandonarla per sempre. Entrai nella mia stanza, era rimasta esattamente così come l'avevo lasciata: il letto sfatto, la scrivania sottosopra, i panni sporchi sulla sedia e la tapparella abbassata solo a metà.

Quando la mattina precedente ero entrato per prendere lo zaino, non avevo toccato nulla, né avevo fatto caso a tutte quelle cose.Invidiai il me stesso che era uscito da quella stanza disordinata, caotica come la sua testa vuota, ignaro del fatto che suo padre sarebbe morto di lì a poche ore, no, non morto, sarebbe stato ucciso. Strinsi i pugni e mi gettai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e finalmente mi sfogai: piansi per secondi, minuti, ore, non lo sapevo. Urlai e strappai a morsi la fodera del cuscino; no, non era stata una semplice morte, era stata una grave perdita, una perdita che faceva male al cuore e prendeva a calci lo stomaco, una perdita che infestava la mia mente e divorava quei pochi pensieri positivi sopravvissuti all'inutile e noiosa vita che conducevo ogni giorno.

La mia testa era un luogo buio e freddo, esattamente come quella stanza, esattamente come la risata che riecheggiò fra le pareti. Mi tirai su con uno scatto e afferrai la sveglia.

"Gliela tirerò in testa, sì"

Strinsi le dita attorno all'oggetto fino a farle diventare bianche, ero sicuro che se avessi provato a lanciarla non si sarebbe staccata dalla mia mano. 

- C-chi sei?! -

Vidi la maniglia abbassarsi, come mossa da una mano invisibile, mentre in realtà c'era qualcuno dall'altra parte della porta e io sapevo fin troppo bene chi fosse. 

Di nuovo quella voce gelida.

- Alessio, qual buon vento -

Deglutii rumorosamente, poi cercai di raccogliere quanto più coraggio possibile. 

- Q-qual buon vento?! Dovrei dirlo io a te...che ci fai in casa mia? -

Esatto, proprio quando la sua inesistenza era stata confermata dalle parole dei miei amici al parco: credevo che la storia dello stalker fosse opera loro, che volessero solamente farmi spaventare un po', invece era tutto vero.

- Casa tua? Non vedo per quale motivo dovrei rispettare te, quando tu hai fatto esattamente tutto il contrario di ciò che ti avevo detto di fare -

La testa era così pesante che temevo sarebbe potuta cadere da un momento all'altro e rotolare fino ai suoi piedi, così lui l'avrebbe schiacciata e sarebbe finita lì. 

"Decisamente meglio"

Iniziai sul serio a pregare che la testa si staccasse dal mio collo o che il soffitto ci crollasse addosso o che...

- Pensavo che questa ti bastasse come punizione -

Si mise una mano in tasca ed estrasse qualcosa, era un oggetto lungo e abbastanza sottile, intorno al quale luccicava quello che sembrava un anello; indietreggiai di scatto e caddi dal letto sbattendo la testa sul pavimento, iniziai a gridare e a tirarmi i capelli istericamente. Quella era la fede di mio padre, dopo la separazione non aveva mai osato toglierla, la considerava come una forma rispetto nei confronti di mamma.

- E invece hai continuato a disobbedire, sei un bambino cattivo-

Mi alzai da terra e tentai di tirarmi su, ma le ginocchia tremavano irrimediabilmente, quindi rimasi accasciato sul pavimento. 

- Tutti gli amici di Ro erano bambini cattivi, non mi hanno obbedito e ho dovuto punirli...non avrei voluto, ma mi hanno costretto -

"Erano...erano?! Vuol dire che sono morti? Li ha uccisi lui? E io farò la stessa fine..."

Quell'uomo era spietato, matto, sadico, terrificante, disumano. Afferrò l'altra estremità del dito di mio padre con la mano sinistra e fece pressione finché non si spezzò. Quel suono secco mi penetrò fin dentro le ossa, scuotendomi dalla testa ai piedi; ricominciai a gridare, stavolta ancora più disperatamente. Ma la sua voce mi arrivava lo stesso, era come se fosse nella mia testa, la sentivo forte e chiara.

- Ma tu non vuoi fare la stessa fine di quei bambini, vero? Ti darò un'altra possibilità -

Fra i singhiozzi e i sussulti riuscii a cacciar fuori un "sì". 

- Bene, allora stammi a sentire. Tu non ti avvicinerai mai più a lui, non gli rivolgerai mai più la parola, ma soprattutto...non gli dirai nulla di tutto ciò -

Annuii con la testa fra le mani e non ebbi bisogno di guardarlo per capire che era scomparso di nuovo. In quel momento capii due cose: la prima era che non avevo alcuna via di scampo, mi avrebbe trovato ovunque; la seconda era che avrei dovuto abbandonare Riccardo a se stesso, alle sue emozioni mai provate e a quel bacio, forse insignificante per lui, sospeso fra i nostri respiri e i suoi sorrisi da bambino, alle nostre mani che non si erano mai cercate, ma che un giorno si sarebbero trovate per certo, alla mia stanza caotica e alla sua perfettamente in ordine, ai suoi occhi pieni di sogni ancora non scoperti e ai miei vuoti che avrebbero presto smesso di contemplare la sua bellezza, ai suoi lineamenti dolci e ai suoi sguardi di rimprovero, agli esperimenti di chimica il pomeriggio e alle chiacchierate sottovoce durante le lezioni, al suo peluche adagiato sul letto di cui non ricordavo il nome e ai suoi libri di scuola condivisi con me, ai suoi messaggi alle due di notte per sapere come stessi e ai suoi pensieri a cui non avevo mai avuto accesso. Ero con le spalle al muro, costretto a troncare sul nascere l'unico legame che avrebbe potuto salvare entrambi.

 

Lun, 8 ottobre, sera

La televisione di mia madre faceva irrimediabilmente schifo, gli unici canali visibili trasmettevano solo televendite e film porno; in ogni caso non ci misi molto ad adeguarmi. 

Io e il frigorifero diventammo amici in un batter d'occhio, per non parlare della mia emozionantissima relazione con il WC. Ma chi volevo prendere in giro? Quella mattina non mi presentai a scuola, non avevo idea di come far allontanare Riccardo senza rivolgergli la parola, e più che altro non volevo allontanarmi da lui. Avevo ancora il suo cellulare, avrei dovuto restituirglielo nonostante fosse completamente rotto; l'unica possibilità era quella di usare la sua rabbia verso di me come un'arma, d'altronde l'ultima volta che ci eravamo visti se n'era andato con i nervi che gli scoppiavano. Non gli avrei mai più rivolto la parola e avrei fatto finta che non esistesse, almeno così mi avrebbe odiato. 

"Facile a dirsi"

Mi decisi a uscire di casa, tanto non c'era alcun pericolo, giusto? Il meccanismo era semplice: tocco Riccardo = Morte certa; mi faccio i fatti miei e faccio finta che non esista = Vita tranquilla, più o meno. 

Faceva abbastanza freddo, quindi feci per infilare le mani in tasca, ma trovai lo spazio occupato da un pacco di sigarette mezzo vuoto e un accendino.

"Ah, ma allora anche io sono fortunato a volte!"

Ne fumai una, poi due e via con tutto il pacchetto. Mi sentii molto meglio. Dopo una buona mezz'ora arrivai finalmente al centro della città, le luci allegre dei negozi mi tirarono un po' su di morale, era la prima volta che uscivo a piedi da quando avevo il motorino. Mi fermai dinanzi a un locale sulla cui insegna ballava un elfo con un bicchierone di birra in mano e le calze a strisce gialle e verdi. 

- Te lo consiglio, qui i panini sono ottimi -

Mi voltai per trovarmi Matteo di fronte.

- Hey -

- Buonasera, che ci fai in giro da solo? -

- Potrei farti la stessa domanda -

Annuì ed entrammo nel locale affollato; un cameriere ci condusse fino a un tavolo per due e ci diede i menu. 

- Che mi consigli? -

- Il primo panino con un bel bicchiere di birra -

Richiamai l'attenzione dello stesso cameriere e ordinai.

- Tu non mangi? -

- Ho già mangiato a casa -

- Mmh, come vuoi -

In men che non si dica calò il silenzio, in effetti quando uscivo anche con gli altri io e Matteo ci rivolgevamo la parola a mala pena. Ero andato a casa sua un sacco di volte e avevamo fatto insieme sia le elementari che le medie, nonostante Marco fosse stato sempre il mio compagno di banco "prediletto", e pensare che avevo finito per odiarlo. 

Una domanda s'infilò timidamente fra quei pensieri, ma quella timidezza era solo una maschera: era abbastanza robusta da uscire dalle mie labbra prima che potessi fermarla.

- Perché mi difendi sempre? -

Lo vidi perplesso, quella era l'ultima domanda che si aspettava.

- In che senso? -

- Quando gli altri mi offendono cerchi sempre di cambiare argomento -

- A-ah...-

Si grattò la nuca e iniziò a fissare le mie mani.

- Se non c'è nessun motivo in particolare non fa nulla, lascia stare-

- No, è che...ecco...mi dà fastidio il fatto che ti prendano sempre in giro, tu vai bene così -

Lo guardai incuriosito.

- "Così" come? -

- Esattamente come sei...so che non ti piaci, soprattutto fisicamente -

Era proprio così, non mi ero mai sentito "bello" né lontanamente "carino", mentre tutte le ragazze mi guardavano sempre. Puntualizzo: mi guardavano solamente, per il resto non si azzardavano ad avvicinarsi, ecco perché mi sentivo strano.

- Be', è normale. Ho una faccia poco simpatica -

- Non è vero, per me sei bellissimo -

Allungò un braccio e passò una mano fra i miei capelli, poi scese lungo la guancia fino a lasciarmi una carezza sul collo.

- Sei strano stasera...-

- Lo so, finiscila di farmi quest'effetto -

Mi lasciai sfuggire una risata nervosa.

- Io? Ma se sono meno influente di una pianta -

- I fiori possono significare molte cose -

- Mi stai paragonando a una cosa così allegra come un fiore? Con questa faccia che mi ritrovo? -

- Ti ho detto che sei bellissimo -

- Smettila -

Gli lanciai un pezzetto di carta addosso e distolsi lo sguardo, in realtà ero imbarazzato da quelle parole, e non poco.

Per fortuna arrivò il panino a tirarmi fuori da quella brutta situazione.

Finito di cenare, uscimmo insieme dal locale e decidemmo di fare una passeggiata.

- Lo sai che sta per piovere, vero? -

Guardai i nuvoloni neri che oscuravano perfino la luna. 

- Se si mette a piovere andiamo a casa mia -

Gli sorrisi forzatamente nel tentativo di sollevarlo.

- Hai il motorino? -

Lo guardai sconsolato.

- Ehm...no -

Pertanto ci avviammo poco prima che iniziasse il diluvio universale. Ovviamente mia madre non c'era, probabilmente stava cercando di colmare il vuoto formatosi dopo la morte di papà andando a letto con colleghi a caso. Più che altro ne ero certo, dal momento che l'avevo colta sul fatto un sacco di volte. 

- Vuoi qualcosa da bere? -

Scosse la testa con distrazione e si abbandonò sulla poltrona.

- Che fai, mi fissi? -

- Eh?! -

Indietreggiai fino a sbattere contro il piano da cucina; Matteo si alzò e mi trascinò fino alla poltrona per un braccio. Mi fece sedere e si accomodò sulle mie gambe, dopodiché prese ad accarezzarmi il viso.

- Ultimamente sei sfinito, dovresti riposarti un po' -

- E come pensi che possa riposarmi se mi stai così addosso? -

- Giusto...-

Si piegò su di me e premette le sue labbra sulle mie, fece scivolare la mano lungo il mio fianco e schiuse le labbra, ma lo allontanai con una spinta sul petto.

- Ma che fai? -

Mi passai il dorso della mano sulla bocca e lo guardai confuso, poi optai per un cambio l'argomento.

- Cos'ha intenzione di fare Marco? Cosa c'entro io? -

Matteo parve nuovamente colto alla sprovvista dalla mia domanda.

- Non mi sembra il momento di parlarne...-

- A me sì -

Indurii lo sguardo inducendolo a parlare.

- Volevano farti uno scherzo -

Deglutì con insicurezza, sembrava allarmato da qualcosa.

- Che tipo di scherzo? -

- Farti credere che qualcuno ti stesse seguendo...-

- Quando hanno cercato di spaventarmi? -

La storia era alquanto complessa: non sapevo quali azioni fossero state compiute dal "vero" stalker e quali dal "falso", o almeno non tutte.

- A scuola...quando sei rimasto da solo in classe con Riccardo -

Anuii.

- Solo? -

- Sì...-

Non mi convinceva.

- Allora perché sembri così preoccupato? -

- Perché mi hanno detto di non aprir bocca con nessuno su questo fatto... soprattutto con te -

- E quindi? Non ti ammazzano se non gli dai retta, no? -

"Non è mica nella merda fino al collo come me".

- Sì ma...Marco sa che sono gay -

- Cosa?! E da quando lo saresti? -

- Da quando mi piaci tu -

"Gran risposta, sul serio"

- E giustamente se i tuoi genitori lo venissero a sapere...-

- Già -

Calò un silenzio imbarazzante su di noi, poi fummo distratti dal suono del campanello; lo feci spostare e andai ad aprire.

- Ciao -

Riccardo era davanti a me, si sporgeva sulle punte per cercare di guardare oltre le mie spalle; evidentemente aveva dovuto sospettare qualcosa dopo aver notato l'espressione da imbecille stampata sul mio volto.

- Sono venuto a riprendermi il cellula- ah...vedo che non sei solo -

Mi voltai e constatai che Matteo era proprio dietro di me, lo fulminai con lo sguardo.

- S-sì, te lo prendo subito -

- No, non ti preoccupare...torno un altro giorno -

Mi rivolse le spalle e cominciò a camminare, in quel momento una sensazione di vuoto sconvolse il mio stomaco tanto da mandarmi a terra in un istante. Lo guardai allontanarsi nel buio una seconda volta, non feci caso al ragazzo che dietro di me chiamava il mio nome e mi dava insistenti pacche sulla schiena, mi interessava solo lui; lo raggiunsi con le gambe che tremavano.

- Non tornare mai p...-

Uno sparo squarciò l'aria fresca, seguito di un breve temporale, e un proiettile andò a conficcarsi a gran velocità nel mio ginocchio destro. Urlai con tutta la voce che avevo in corpo, ma il dolore non parve esserne intimorito.

 

 

  
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