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Autore: Hi Fis    23/08/2016    0 recensioni
Breve racconto in tre capitoli. Il primo traccia un possibile protocollo di primo contatto, e come introduzione si può anche considerare stand alone. Gli altri due invece immaginano una possibile conseguenza al fatidico "Primo Contatto" proiettandolo di generazioni nel futuro.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’arma più terribile del diavolo è la verità…
O qualcosa del genere. Dove aveva letto una frase simile, si chiese Cecile? Ed esattamente, com’era la frase originale?
Uno stupido interrogativo, specie dopo la giornata che aveva passato, ma l’interessarsi di cose non importanti l’aiutava a ritrovare un equilibrio: a non pensare a cosa potesse essere andato storto. Cecile non era sicura di niente: era impossibile prevedere le reazioni di una specie aliena che si incontrava per la prima volta e i Figli di Kos non le erano parsi particolarmente ricettivi alle sue informazioni. Forse aveva insistito troppo sull’egemonia del triumvirato, e l’Arconte avrebbe condotto il suo popolo alla morte pur di non vederlo sottomesso ad una dominazione straniera che non era riuscito a capire. Forse… forse avrebbe dovuto parlare della musica nella Tearkia, dell’ingegneria sociale della devota repubblica di Ydrasilia… o magari dell’ordinamento politico delle Repubbliche di Gaia, in modo di far capire come anche una specie non egemone potesse prosperare grandemente sotto il triumvirato…
Se: la combinazione più odiosa di due lettere. Cecile si costrinse ad abbandonare quei dubbi: se avesse lasciato loro libero sfogo, l’avrebbero privata di forza e determinazione che poteva servirle per il giorno successivo, o quello dopo ancora. Impossibile dire quanto quella missione diplomatica sarebbe durata, anni magari: era già successo. L’unica cosa di cui era certa, era che fino alla conclusione della missione lei era tagliata fuori dallo spazio della Dorata Intesa: proprio perché la missione aveva richiesto l’invio di un emissario ed era così importante, ci si aspettava che Cecile la completasse da sola. Anche perché, ed era una verità sconfortante a suo modo, si trovava a migliaia di anni luce dalla sua casa: a cosa sarebbero serviti incoraggiamenti e consigli di fronte a quella distanza? No, lei doveva riuscire a cavarsela da sola con le risorse a sua disposizione. Responsabilità, si ripeté Cecile come un mantra. L’impegno di ogni cittadino della Dorata Intesa verso sé stesso e gli altri.
E in fondo era sopravvissuta alla giornata, anche quello un obbiettivo da non sottovalutare: non riusciva ancora a sentirsi soddisfatta… ma forse poteva dirsi speranzosa.
Con ancora i capelli umidi dalla doccia e solo un morbido accappatoio addosso, Cecile si concesse di lasciar vagare lo sguardo nella nave che le era stata affidata per la sua missione: sua casa e rifugio fin tanto che fosse rimasta su Kos, e l’unica entità che fosse disposta ad ascoltare i suoi dubbi senza giudicarla. Sfortunatamente, Cecile li aveva già espressi tutti nel rapporto giornaliero, correttamente immagazzinato nel computer di bordo e in attesa di essere rispedito in blocco assieme agli altri quando fossero rientrati nello spazio della Dorata Intesa: non restava altro da dire per quella giornata.
L’astronave che la Dorata Intesa le aveva messo a disposizione per giungere sul pianeta dei Figli di Kos era un vascello Rostrum, una nave scientifica modificata che ricordava nelle sue linee una specie di seppia con i tentacoli spalancati, usati come appoggio per atterrare. Un vascello privo di capacità offensive, ma molto veloce e dotato di una propria IA integrata che svolgeva quasi ogni compito a bordo: una scelta obbligata quella sua solitudine, dato che le condizioni che i Figli di Kos avevano imposto per permettere ad un emissario della Dorata Intesa di scendere sul loro pianeta capitale era che appunto fosse uno. Allo stesso modo, avevano preteso il silenzio radio per tutta la durata della missione: Cecile si rendeva perfettamente conto di quello che implicavano simili condizioni. I Kos volevano scoraggiare l’invio di un esterno nel loro spazio, la ricerca di una soluzione pacifica e allo stesso tempo, volevano essere sicuri che avrebbero potuto impossessarsi della sua nave e prenderne in ostaggio l’emissario se fosse stato vantaggioso farlo.
Cecile sorrise: decisamente, i figli di Kos sapevano molto poco sulla Dorata Intesa. Come il triumvirato si era preoccupato di rispondere ai figli di Kos, la sua nave era stata istruita per tornare nello spazio della Dorata Intesa se fosse successo qualcosa all’emissario, e Cecile stessa portava in sé un detonatore a punto zero. Nell’orbita che le era rimasta vuota anni fa infatti, Cecile portava il mezzo per demolecolarizzare il proprio corpo: se i Figli di Kos avessero cercato di prenderla ostaggio, non sarebbe rimasto niente di lei, a parte una macchia scura sul pavimento. La preziosa tecnologia della Dorata Intesa non poteva cadere in mani nemiche: una verità che Cecile conosceva da molto tempo… e il suo sacrificio sarebbe stato più che ripagato dalla rappresaglia che il triumvirato avrebbe scatenato.
Fortunatamente, si consolò Cecile, sembrava che la sua abnegazione potesse proteggerla dalle pulsioni più violente dei Figli di Kos…
“Gyog?” chiamò.
L’avatar olografico dell’IA di bordo comparì a quel richiamo, manifestandosi da una striscia sensoriale sulla parete: l’umana fissò ancora una volta quella rappresentazione che sembrava tanto un riccio di mare rosso sangue.
“Musica per favore.”
“Pwl?” gorgogliò, un suono sgradevole che significava preferenze in lingua Hastur.
Gyog 037D675, come ogni IA integrata nei vascelli Hastur del resto, non era un grande conversatore, ma almeno era di compagnia.
“Qualcosa per Flauto Risonante. Magari La Danza delle Foglie.” l’avatar olografico scomparve senza giudicare, ma acconsentì alla sua richiesta.
Ben presto, Cecile si trovò cullata da note che vibravano non solo nel suo orecchio, ma anche nella sua carne, nutrendo il suo spirito: legno risonante, una delle poche merci di cui i Kodadam non volessero più fare a meno. Su di lei, e su qualunque altra specie, l’effetto era incredibile, ma comunque minore: sui cittadini della devota repubblica di Ydrasilia invece, era letteralmente in grado di farli sbocciare. Toni capaci di risuonare a livello fisiologico e produrre un effetto non erano cosa da poco, anche nella Dorata Intesa: al punto, che le sinfonie per tamburi di perle e legni risonanti avevano serie applicazioni nella psicologia e nella medicina di quasi tutte le specie, triumvirato compreso…
Cecile si lasciò trasportare dalle note, dimentica di quanto la nave sembrasse vuota con solo lei ad abitarla: di certo, anche Gyog avrebbe preferito occuparsi di cinquanta membri d’equipaggio.
 
Accadde durante la sua cena, una zuppa di crostacei e pesce piccante, che Gyog si materializzasse nuovamente davanti a lei: da quando era a bordo, Cecile aveva sempre scelto la sala degli archivi per i suoi pasti. L’IA non aveva alcun giudizio da dare in merito a quella preferenza, se non che avere a disposizione il sapere immagazzinato nelle sue banche dati sembrasse fare piacere all’umana... O quanto meno, fosse in grado di stabilire una connessione con lo spazio della Dorata Intesa: Gyog stesso non era indifferente ad una simile necessità. Il sapere di essere circondati da propri simili, o da organici che almeno comprendevano la sua esistenza…
Se fosse stato umano, l’IA avrebbe potuto forse descrivere quel bisogno affermando che in uno spazio amico non sarebbe stato costretto a dormire con un occhio aperto: nello spazio Kos erano isolati, e potevano contare solo l’una sull’altra, anche solo per infrangere la monotonia. Gyog ricordava secoli di importante esplorazione scientifica nelle sue banche dati, e panorami stellari sconvolgenti: essere relegato su un pianeta era per lui insopportabilmente noioso.
“Sì, Gyog?” chiese educatamente Cecile, con ancora il cucchiaio a mezz’aria e il tovagliolo sulle gambe.
Davanti a lei, fluttuava pigramente l’ologramma di una corazzata ydrasiana: seppur l’IA ne ammirasse la semplicità e l’efficienza delle forme, Gyog non ci teneva affatto ad essere installato su un simile vascello. Né la marina di Ydrasilia poneva IA sulle proprie navi: i Kodadam, così come la Tearkia del resto, se la cavavano più che eccellentemente con semplici computer da battaglia, per quanto avanzati.
Visitatore indigeno.” rispose Gyog.
A suo credito, Cecile non gli rivolse domande inutili: avevano un visitatore a quell’ora. Ma dove qualcuno, tra cui lo stesso Gyog, avrebbe potuto vedere con sospetto o paranoia quel potenziale invasore, Cecile scorse un’opportunità insperata.
E cosa desidererebbe?”
“…Parlare.”
 “Direi allora che sarebbe scortese lasciarlo fuori. Non credi?”
Armato.” rispose laconico Gyog: “…Ma non abbastanza.” aggiunse quasi sovrappensiero.
Cecile scosse la testa: Rostrum lasciava davvero il suo marchio in ogni cosa che costruisse.
 
L’Umana aveva fatto giusto in tempo a sparecchiare e accendere una bacchetta di incenso ydrasiano per liberare la sala dagli aromi del suo ultimo pasto, che il Kos venuto a farle visita entrò nella sala, guidato dall’IA di bordo. Cecile lo riconobbe subito: era la stessa loquace guardia che le aveva rivolto qualche domanda durante il colloquio con l’Arconte.
“Questo emissario della Dorata Intesa saluta il suo ospite.” lo accolse, inchinando lievemente la testa verso il Kos.
Cecile non portava la sua divisa ufficiale, ma a bordo della sua nave c’erano ben pochi pericoli da cui Gyog non potesse difenderla: i due kindjal erano poco lontani comunque, quasi a portata di mano. Con quella sistemazione, l’umana sperava di essere riuscita a proiettare un ambiente informale, dove si potesse mettere da parte il protocollo per meglio discutere. Stava supponendo molto ovviamente, ma in caso di pericolo la sua uniforme di lattice ablativo a mezze maniche sarebbe dovuta bastare:
“…Che risposta ti aspetti?” gracidò il Kos: “Questo emissario… e tutto il resto. Che saluto prevede l’etichetta della vostra Intesa?”
“Nessuno che non sia spontaneo. Come emissari, abbiamo sempre a che fare con culture diverse dalla nostra.” il Kos sembrò pensarci un po’ su, squadrandola dalla punta del suo corallo sinaptico alla cintura, dato il tavolo che li separava: Cecile si accorse che aveva “indossato” uno dei loro robot, in modo che potesse tradurre per lui ciò che diceva, e la medusa di metallo dorata gli riposava come uno zaino sulla schiena.
Alla fine, l’uomo rospo fece impattare palmi e avambracci in orizzontale davanti a sé, con uno schiocco di carne contro carne: Cecile lo invitò a sedersi con un gesto, e prese posto di fronte a lui.
“…Per quanto le nostre fisiologie siano in qualche modo compatibili, temo di non poterle offrire nulla che si adatti al suo metabolismo.” un’altra ragione per cui l’umanità era stata scelta per quella missione… probabilmente.
Per quanto freddo infatti, Kos non era incompatibile con l’umanità, almeno per clima e vita microbica: erano stati compiuti molti test da ambo le parti per assicurarsene quando i Kos avevano capito che la Dorata Intesa non avrebbe rinunciato ad inviare un loro emissario.
“Né credo sarebbe prudente accettare.” rispose il Kos: “…la nostra cultura proibisce di dividere un pasto con qualcuno che non sia un alleato.”
“…Sembra che il suo governo abbia già preso una decisione.”
“Tutt’altro: è una questione di prudenza. Non so ancora se possiate essere alleati o nemici, tu in modo particolare.”
“…E dunque cosa l’ha spinta a salire a bordo?” perché difficilmente quella visita era in qualche modo ufficiale.
“La speranza che mio padre si sbagli. A proposito: Tarbun, figlio primogenito dell’Arconte di Kos e delle sue colonie.” Cecile si concesse un silenzio molto lungo mentre fissava il figlio dell’Arconte negli occhi:
“…Ora non sono sicura di essere io a mio agio.”
“Oh?”
“Non sono venuta per assistere ad un golpe.”
“Non sarebbe la prima volta.” rispose serafico l’uomo rospo: “…Come pensa che l’attuale Arconte abbia preso il potere?”
“Quale che sia la storia passata del vostro popolo, Tarbun, voglio essere chiara: come emissario della Dorata Intesa non mi è consentito immischiarmi in questioni interne al governo di un’altra specie. E non lo farei, anche nel caso in cui potessi beneficiarne, personalmente o per conto dei governi che rappresento. Sarebbe estremamente disonorevole per il mio ruolo.”
“E se provassi a… estorcere la sua collaborazione con la forza?”
Non aveva nemmeno finito di dirlo, che lunghi tentacoli di metallo lo legarono strettamente al suo sedile, sorgendo dal pavimento e dal soffitto. Lo strinsero così velocemente, che Tarbun non fece nemmeno in tempo a rendersene conto prima che fosse tutto finito, né ad averne paura: solo dopo essere stato impacchettato al punto da poter solamente respirare liberamente, si accorse di cosa gli era successo.
Tuttavia, riuscì comunque a stupirla, perché le rivolse uno sguardo perplesso, piuttosto che impaurito, e questo nonostante gli ultimi tentacoli che si allineavano coi suoi occhi. Di certo aveva fegato:
“Allora temo che l’Arconte dovrà trovarsi un nuovo erede.” rispose concisa Cecile: “…Gyog, per favore, lascialo andare.”
Dopo qualche teso istante, l’IA le obbedì, liberando il Kos dalla sua stretta di metallo: non fu rapido quando avrebbe potuto, né fece dimenticare nemmeno per un attimo al Kos con quanta facilità avrebbe potuto prendersi i suoi occhi. Quando finalmente fu libero però, Tarbun si concesse uno sbuffo divertito:
“Meglio così: almeno non mi disonorerò con una vittoria che devo ad un altro.”
Cecile annuì, con un lieve sorriso:
“Sono lieta di essere riuscita a farmi comprendere.”
“…Voi emissari siete davvero incorruttibili come sostenevi.”
“Facciamo del nostro meglio per onorare la nostra carica: l’intera legittimità della Dorata Intesa è basata sul fatto che si agisca con responsabilità verso i propri incarichi e con onore. Personale, almeno.”
“Quindi, nessun vostro burocrate si è mai davvero dimostrato un incompetente?”
“Così è.”
“Fatico davvero a crederlo. Come è possibile ottenere una cosa del genere?”
“Non è facile. Non è mai facile, ma l’obbiettivo finale merita questa perseveranza.”
“La Dorata Intesa.” sillabò sarcastico l’uomo rospo.
“E molto di più: il triumvirato ci ha convinto, oltre ogni dubbio, che una singola persona può fare la differenza. Di conseguenza, ognuno di noi si impegna per farla.”
“Il triumvirato… da quello che abbiamo capito sono degli egemoni. I vostri egemoni.” aggiunse sovrappensiero, e Cecile annuì: “…Ma è evidente che per quanto abbiano la possibilità di farlo, la loro supremazia non sia basata sulla forza delle armi. Tearkia forse esclusa.”
Cecile scosse la testa:
“Nemmeno la gratitudine che la mia razza nutre verso la Tearkia è basata sulla forza della armi, Tarbun: loro ci hanno liberato dall’apatia che derivava da problemi che pensavamo insolubili. E se dovessi ricondurre la loro supremazia ad un singolo elemento, sceglierei l’egemonia spirituale.”
“…Spirituale?” borbottò il Kos, come sputando una parola di dubbio gusto: “Sono forse dei mistici?”
Cecile curvò la testa di lato, pensierosa:
“Sembra che lei abbia molte domande, Tarbun. E ogni domanda ne porta un’altra. Ma mi chiedo cosa davvero la interessi.”
“Tutto!” rispose l’uomo rospo senza indugiare: “…Voglio sapere delle società che dominano la vostra Intesa. Cosa le rende egemoni? Quali sono i loro punti di forza, ma soprattutto di debolezza? Qual è il vostro livello tecnologico, in special modo gli armamenti? Quanto veloci vanno le vostre navi e quanto lontano, prima di aver bisogno di essere rifornite? E come ha perso l’occhio?” l’ultima domanda, sembrò cogliere il Kos stesso di sorpresa: “…Per favore.” aggiunse dopo un momento.
“Come emissario, sarà un piacere rispondere a tutte le sue domande. Ma ad una condizione.”
“E quale?”
“Dovrà condividere ciò che le dirò con chiunque le farà domande a proposito, senza alterare le informazioni in alcun modo. Ed è anche ovvio che se mi faranno domande a proposito di questo incontro, risponderò con la stessa verità.”
“…Potrebbe essere un problema. L’Arconte non vede di buon occhio le iniziative personali e le novità in genere, comprese le innovazioni tecnologiche che non siano destinate alla guerra.”
“Lei è uno scienziato.” realizzò Cecile con un certo stupore, che riuscì però a nascondere.
“Mi piacerebbe esserne uno degno di questo nome! Si raggiunge presto un limite quando continuano a chiederti armi che sparino più frequentemente e più lontano.” sospirò di antica frustrazione Tarbun.
“…Allora dovrebbe capire perché è così importante che ciò che le dirò sia diffuso nella sua forma integrale.” gli rispose Cecile, e lei e il Kos rimasero a fissarsi di nuovo negli occhi.
Fu Tarbun il primo a cedere:
“E che sia il deserto! Va bene, accetto le tue condizioni, ma spero che non abbia bisogno di dormire, perché ho un milione di domande e più.”
“Posso farne a meno in questo caso.” ribatté Cecile: E che sia il deserto… che affascinante modo di esprimersi!
“Cominciamo dalla fine, se vuole: mi ha chiesto come ho perso il mio occhio.” iniziò l’umana: “….Fu colpa della mia arroganza. Lei ha visto le lame che porto con me.”
“Non c’è Kos che non le abbia viste ormai: sono così pericolose come penso?” ovvero più di quanto sembrassero?
“Molto di più temo: e tuttavia, sono solo due parti di un trittico. Sono lame della Tearkia, kindjal empatici: a coloro che li usano, sussurrano di morte e guerra.”
“Sussurrano? Cioè parlano?”
“Non è facile da descrivere: i Midion Tezhnid impongono il fantasma di un’anima guerriera nelle lame che costruiscono. Sono in grado di farlo grazie alle loro doti mentali, ed è un capacità solo loro. L’effetto, in poche parole, è una somma di ricordi e sensazioni che potrebbero essere descritte come un demone battagliero imprigionato nella lama, e non particolarmente grato di questo. Quando un veterano della Tearkia non è più in grado di combattere, è usanza che passi la propria vita plasmando armi per la generazione successiva: queste lame però, conoscono perfettamente il compito per cui sono state costruite e i massacri combattuti dai loro creatori. E con millenni di storia guerriera alle spalle, il sapere marziale e la furia guerriera che si è accumulata col passaggio delle generazioni nella Tearkia è diventata una cosa quasi viva. Quando si affronta un guerriero Midion Tezhnid, Tarbun, non si affronta un combattente solo: si affrontano almeno tutti quelli che lo hanno preceduto. Per quanto immateriali siano quei ricordi, essi hanno un potere: può credermi sulla parola.” affermò Cecile, toccandosi la lente protettiva che nascondeva la sua orbita vuota: “…Ed è questo quello che è successo a me.”
Il Kos rimase in silenzio ad osservarla, invitandola a continuare:
“I Midion Tezhnid combattono usando due pugnali, i kindjal che ho con me, e una lancia, che adoperano contemporaneamente, data la loro fisiologia.” tra loro, l’Umana materializzò al posto degli ologrammi della corazzata Kodadam una lancia ornata a grandezza naturale: assomigliava molto poco all’idea che un nativo della Terra potrebbe avere di una simile arma.
Era più lunga di quanto Cecile fosse alta, e i due quinti della sua lunghezza era costituita da due lame triangolari, sottili ma dall’aspetto molto resistente, parallele tra loro e distanziate di circa tre dita. Tanto però le due lame erano scarne ed essenziali, tanto il manico era ornato, con incisi motivi astratti e strani geroglifici che Tarbun non provò nemmeno a comprendere: non riusciva nemmeno a capire in effetti di che materiale fosse quella lancia. Sembrava quasi argento, ma con uno scintillio liquido sulla sua superficie che sembrava anche fumo.
“…I kindjal sono oggetti imprevedibili e letali, ma sempre comunque concepiti per la difesa personale mentre si porta un attacco con la lancia. È solo per questo che altri che non siano i Midion Tezhnid possono imparare a manovrarli senza esserne controllati o sopraffatti. E anche così non è facile. Le lance della Tearkia invece…” Cecile si interruppe per un attimo, cercando il modo migliore di raccontare il resto al Kos: “…vederle, è essere portati a prenderle in mano. Ma prendendole in mano, non si vuole conoscere altro che la guerra.” sussurrò alla fine e tra loro, il silenzio sembrò diventare una cosa quasi viva.
Solo quando fu pronta, Cecile continuò:
“…Come ho detto, fui arrogante: ero in visita su una delle colonie della Tearkia, e volli a tutti i costi conoscere un trankettori che si era ritirato in quel luogo. Non si mostrano spesso agli stranieri, e naturalmente rifiutò d’incontrarmi. Avevo poco più di un ciclo allora, mentre il trankettori, Ra Bo bis Vhemeed, progenie di Midion e Tezhnid, aveva… circa 19 cicli: naturalmente credevo di saperne più di lui.”
19 cicli?”
“I Midion Tezhnid hanno vite lunghe.” annuì Cecile: “…Anche se il primato assoluto va ai Kodadam, 300 dei miei anni sono un’aspettativa di vita più che ragionevole per un cittadino della Tearkia.”
“Uova ghiacciate… non credevo che ci fossero specie così longeve: quanto…?”
“Quanto a lungo vive la mia?” chiese Cecile, raccogliendo l’assenso di Tarbun: “…Con la scienza e la medicina di cui disponiamo attualmente, dieci cicli è il massimo a cui riusciamo realisticamente ad aspirare.”
“Il doppio della nostra.” commentò soprappensiero il Kos: “…Ma torniamo al tuo occhio.”
“Non resta molto altro da raccontare: sperando di poter conoscere Ra Bo, mi introdussi di soppiatto nel suo laboratorio, trovando non lui, ma una lancia appena completata. Quando la presi in mano, la lancia seppe subito che non ero degna di lei: quindi potevo essere lì solo per morire.” Cecile si prese un momento, prima di continuare: “…Ricordo poco di quei momenti: ero, letteralmente, fuori di me. Fu così che incontrai il mio primo e ultimo trankettori, quando mi impedì di infilarmi la sua ultima creazione nella testa.” a Cecile, sembrò che la pelle del Kos si fosse fatta un po’ più granulosa e umida a quelle parole, ma non aveva ancora finito:
“...Il peggio era che lo desideravo: è anche questo ciò che fanno le loro lance. Chiunque le veda, non può fare a meno di ammettere quanto sarebbe magnifico farsi trafiggere da loro.”
“Ed è… insanabile?” chiese Tarbun indicando la sua mutilazione con un tozzo dito.
“Sì. Le ferite che una lama empatica infligge colpiscono anche la psiche e non guariscono mai davvero.” non era un caso che i trankettori non prendessero quasi mai prigionieri: le ferite che le Lance Sanguinanti infliggevano, erano un tormento da cui si poteva fuggire solo con la morte.
“Lame empatiche…” mormorò Tarbun: “…Sembrano storie di magia.”
“Posso garantire che esse sono oltremodo reali, ma sono in molti a condividere questa sua visione: tuttavia, i Midion Tezhnid non hanno mai concepito l’idea di sovrannaturale. Per loro esiste solo ciò che può essere fatto e ciò che è impossibile; e solo la prima è argomento della loro peculiare scienza: per esempio, sostengono che sia l’io a dare forma al reale. Per la Tearkia, la realtà esiste perché così impone la nostra coscienza: non l’inverso.”
“…Non credo che capirei mai un approccio simile.” per Tarbun e quasi ogni altra civiltà della galassia, la mente, al massimo, interpretava il reale.
“Non è l’unico. La scienza della Tearkia è astrusa, inconsistente e apparentemente basata su pochissima logica: solo i Kodadam riescono a capire vagamente le implicazioni dei metodi che la Tearkia usa per spiegare la sua concezione di reale.”
“Nessuno di voi ha mai provato ad applicare i loro metodi?”
“Molti hanno tentato. E coloro che non hanno rinunciato di fronte alle operazioni con insiemi infiniti di soluzioni che ci si trova a dover risolvere, sono quasi sempre impazziti. Così come per le loro specie, la loro scienza sembra essere stata decisa da ordini di coscienza superiore e data ai Midion Tezhnid prima che ne sviluppassero una loro, ma non vi è traccia di questo nemmeno nella loro tradizione orale: caso, coincidenza, predestinazione… termini che sembrano diventare uno solo quando si ha a che fare con la Tearkia. La loro matematica in particolare possiede una sua logica, ma solo se osservata da non troppo vicino: nel particolare, essa può risultare deleteria.” Cecile sorrise lievemente dicendo quella frase: “…Credo che ci sia addirittura un trattato tra Tearkia e Rostrum, che invita i Midion Tezhnid a non esporre le loro teorie matematiche ai simposi del triumvirato. E allo stesso modo, la Tearkia fatica a comprendere perché le altre civiltà ancora si affidino, e preferiscano, sistemi che definiscono, e cito testualmente: meccanicistici oltre ogni necessità.”
“…Hanno IA?” chiese Tarbun.
“Sì, la Tearkia dispone di tre IA, una per ogni casta di cui si compone la loro società, ma le usano esclusivamente per accelerare il loro progresso scientifico.” e a voler essere sinceri, la Tearkia era l’unica civiltà che usasse così poche IA per il proprio beneficio.
“Sono differenti? Dalle vostre intendo.”
“Come la scienza che le ha create.” rispose Cecile.
“…Eppure funzionano.”
“Eppure funzionano e lo dimostrano continuamente. Supponiamo che le navi della Tearkia siano le più veloci di tutta la galassia anche per questo.”
“Di quale velocità stiamo parlando?”
“Istantanea. O quasi. La cosa più straordinaria è che la distanza per loro perde di significato: 10 anni luce, 1000 anni luce, 10'000 anni luce… Le loro navi varcano queste distanza sempre nello stesso tempo: un giorno.”
Tarbun era senza parole a quella notizia, ma Cecile non esitò a dargli il colpo di grazia:
“…La gittata massima sembra essere 40'000 anni luce: c’è qualcosa nel modo in cui il centro galattico influenza il loro metodo di navigazione che gli impedisce di arrivare più lontano.”
“Mi stai davvero dicendo che in tre giorni le navi della Tearkia possono attraversare la Galassia?”
“Sì. Ma è una propulsione che si basa sulle capacità mentali e psichiche Midion Tezhnid: ergo, solo loro possono usarla, e solo loro possono viaggiare con essa.”
“E cosa succede quando qualche altra specie si imbarca a bordo delle loro navi?”
“Nessuno ha mai saputo raccontarlo, Tarbun. E dopo ampie dimostrazioni di questo, di cui di nuovo nessuno riesce a capire il perché, Tearkia compresa, abbiamo smesso di provare a risolvere questo enigma.” erano state perse migliaia di vite per accertarsene, in tutte le epoche: fin troppe, e umane comprese. Alla fine, si era dovuto accettare che la propulsione PSI non potesse diventare lo standard della Dorata Intesa, nonostante gli studi e l’enorme paradosso che rappresentava. E comunque, c’erano metodi più sicuri per varcare le stelle, anche se non così veloci:
“…Solo i Kodadam riescono a sfruttare una propulsione simile, ma devono comunque prendere diverse precauzioni. Il transito corretto dipende anche nel loro caso da una particolarità nella loro fisiologia.”
“Ovvero?”
“Sono un popolo di piante senzienti.” rispose Cecile come se fosse naturale, facendo scomparire l’ologramma della lancia Midion Tezhnid e sostituendolo con quello di un essere a cui Tarbun fece molta fatica a dare un senso.
Un corpo fruttifero centrale, un fittone, posto più o meno dove ci si aspetterebbe di trovare una testa, con sei aperture nerissime su una sostanza bianca come legno di betulla. L’essere possedeva una gorgiera di foglie-petali a circondare la nuca, formando una sorta di capigliatura selvaggia, con altre foglie spesse che ne ricoprivano la cima della testa. Da una biforcazione posta sotto il fittone-testa, si dipanavano otto radici-arti per tutta la lunghezza di quel corpo, terminando ciascuna in delicate radici-dita prensili. Complessivamente, il colore di quella creatura variava dal verde smeraldo al marrone cannella, passando da toni freddi a più caldi senza una particolare soluzione di continuità: dai diagrammi, Tarbun capì che era alto almeno due volte lui.
“Un giorno, su Kraneia, la foresta cominciò a pensare.” recitò Cecile a suo beneficio: “…Questa è l’unica spiegazione che i Kodadam abbiano mai voluto dare per la loro evoluzione: a oggi, sono l’unica specie che si sia evoluta dal regno vegetale. Hanno il buon gusto di non farcelo pesare troppo.” aggiunse l’Umana con un sorriso: “…La loro civiltà è molto antica, Tarbun e vivono decisamente a lungo. Esperienza e tempo hanno creato la Devota Repubblica di Ydrasilia: un’utopia che molti vorrebbero emulare nella Dorata Intesa.” compresa l’umanità in effetti.
“Per quale ragione?”
“Hanno saputo costruire una civiltà che ha come obbiettivo la felicità massima di ogni suo cittadino. E nonostante questo, rimane una democrazia attiva, vitale e temibile: le loro corazzate sono forse le migliori navi di tutto lo spazio della Dorata Intesa, pur nella loro semplicità di design. Ma ancor più della sua protezione, le civiltà della Dorata Intesa invocano i suoi servigi.”
“Di che genere?”
“Sono maestri nella scultura di ecosistemi planetari: ogni mondo dei Kodadam è un paradiso che si sono costruiti per la loro specie. Lussureggianti foreste fin dove l’occhio può arrivare, e dove i Kodadam si confondono con gli alberi. Loro sanno risanare, ripristinare e creare vita come nessun altro: una vita forte, che sostiene coloro che sanno prendersene cura. E così, mettono i loro servigi in vendita, per ripristinare ecosistemi esauriti, o pianeti colpiti da qualche catastrofe planetaria: perfino globi sterili di roccia e ghiaccio possono diventare giardini in anni, sotto le cure dei Kodadam.”
“Immagino che il prezzo non sia a buon mercato.”
“Relativamente, Tarbun: creare nuovi mondi colonizzabili, posti saldamente all’interno del proprio dominio, valorizzare quindi ogni pianeta già nel proprio territorio, dal punto di vista strategico è qualcosa che può cambiare gli equilibri di un intera specie e le sue confinanti. I Kodadam sono diventati ricchi grazie a questo, ma nemmeno la metà di quanto avrebbero potuto. In effetti, l’unica vera condizione che pongono per continuare a fare del bene, è che nessuna razza atterri mai sul loro pianeta natale: Kraneia.” un luogo dove ogni petalo era Perfezione, o così lo descrivevano.
“Una strana condizione… si direbbe che abbiano qualcosa da nascondere.”
“Non sono gli unici: nemmeno gli Hastur desiderano alieni sul loro pianeta natale.” ma in quel caso era quasi comprensibile, dato lo stato pericolante di Ryleh: “…I Kodadam custodiscono qualche segreto, ma la Tearkia ci ha assicurato che dipenda più dal loro senso del sacro, che perché vogliano davvero celarci qualcosa.”
“E di nuovo si torna alla Tearkia. Li ammiri molto, non è vero?”
“Li studio da quasi una vita.” ammise Cecile: “…Non posso diventare come loro, ma… li invidio. E continuano a stupirmi. Sono… una società paradossale e non solo per essere una razza separata 37'000 cicli fa che si è riunita.”
“Di certo non è stato naturale, o un caso.” e questa supposizione sembrava diventare una certezza se si considerava la supremazia che i Midion Tezhnid dimostravano in ambito fisico, psichico e la loro strana scienza.
“E quello che a tutti viene spontaneo pensare. Ma date le molte assurdità che apparentemente contraddistinguono la Tearkia, ci è difficile darlo per certo. Anche perché non ci sono prove o indizi di nessun genere a suffragio dell’ipotesi di un intervento da parte di qualcun altro, e mi creda: li hanno cercati tutti e a lungo.”
“Potrebbero essere due specie che si siano evolute lungo percorsi evolutivi convergenti al punto da diventare la stessa?” chiese Tarbun: un simile paradosso stuzzicava lo scienziato che era in lui.
Mentre nel modo che aveva di tirarsi la pappagorgia, Cecile rivide molto dell’Arconte:
“Forse. Ma questo non spiega le somiglianze culturali e psicologiche che i Midion e i Tezhnid già condividevano ai tempi della loro riunificazione.”
“Supponendo ovviamente che i registri storici non siano stati alterati…”
“Abbiamo le prove che questo non è stato fatto: come ho già avuto modo di dire, il triumvirato è un’istituzione relativamente recente. Anche prima di formare la Dorata Intesa, le tre civiltà si conoscevano e direi piuttosto bene: come avversari che si studiano prima, e come alleati poi. Sia Rostrum che Kodadam conoscevano i Midion prima che trovassero i Tezhnid.”
“Quindi furono i Midion i primi a raggiungere le stelle?”
“Non poteva essere diversamente: Vrs e Nydra sono pianeti differenti. Vrs possiede una gravità minore, ma risorse minerarie più estese: in effetti, le sabbie che coprono Vrs sono a tal punto ricche di minerali che l’età del ferro per i Midion cominciò quando qualcuno si dimenticò un pugno di sabbia metallica sopra una pietra appoggiata ad un falò.”
“Addirittura?”
È anche la ragione per cui i Midion sono una specie notturna: si muovevano su Vrs quando la temperatura scendeva a livelli accettabili. Per ragioni simili, i Tezhnid sono invece una specie diurna. Ma dato che Nydra è un pianeta con una gravità maggiore, i Tezhnid stavano finendo di costruire la loro prima stazione spaziale orbitante quando i Midion li raggiunsero.”
“Trovando… sé stessi? Ho capito bene?”
Cecile fece comparire due coppie di ologrammi a quel punto, sostituendo quello del Kodadam: due paia di Midion e di Tezhnid, maschi e femmine. Le somiglianze erano palesi anche agli occhi di Tarbun, che non aveva mai visto creature simili: bipedi, alti al punto che Cecile sarebbe arrivata loro al petto. L’Umana sorrise guardando quei ritratti, di gioiosa familiarità: più si sforzava di comprenderli, più restavano un mistero.
Erano pallidi, eterei, quasi: chiusi in carapaci forgiati nell’aspetto di insetti dai grandi occhi composti, con volti e bocche da cavalletta. Nonostante questo, a Cecile ricordavano, per chissà quale motivo, qualcosa dei Solifugidi della Terra: forse dipendeva dalla velocità dei Midion Tezhnid nella corsa.
Tarbun invece, stava finendo di contare quattro morbide antenne che partivano dalla sommità di teste triangolari, che Cecile sapeva i Midion Tezhnid tendevano a legare assieme tra amanti; nonostante la conquista della parola prima, e della telepatia poi, avessero soppiantato la condivisione chimica da millenni. Corpi asciutti e scattanti, da corridori, che quasi non rivelavano la forza e la velocità di cui erano capaci. Niente ali, atrofizzate in entrambe le specie ancor prima di raggiungere la ragione, ma solo sottili bande di colore che si ripetevano sui loro esoscheletri, in motivi dettati solamente dai capricci della genetica: perfino il loro sangue aveva lo stesso colore, un grigio perla dovuto al fatto che la loro versione dell’emoglobina usasse l’argento, piuttosto che il ferro.
A ben vedere, l’unica vera differenza tra Midion e Tezhnid, era che i secondi erano un poco più tarchiati dei primi, mentre i Tezhnid avevano antenne più lunghe, che usavano in parte per regolare la temperatura corporea.
“Sono disposta a credere che due specie che provengono da ecosistemi diversi si evolvano verso un uguale paradigma biologico al punto di poter avere prole fertile? Sarebbe una coincidenza straordinaria, ma ammettiamo pure sia possibile. Come si spiegano però le medesime somiglianze sociologiche e culturali in due specie che si siano evolute su pianeti a più di mezzo braccio galattico di distanza?” perché questa era la distanza tra Vrs e Nydra: dettati così i confini estremi del loro dominio, la Tearkia appena dichiarata aveva rivendicato come suo l’intero territorio tra quei due mondi e nei millenni successivi l’aveva poi strenuamente difeso e ampliato, fino a diventare uno dei tre membri fondatori della Dorata Intesa.
“…Come si spiega che due specie così distanti organizzino le loro società nello stesso sistema di caste libere, e che perfino le loro cerimonie siano simili, così come i loro martirii?” era stato provato tutto e il contrario di tutto per conciliare quel paradosso: predestinazione biologica, destino sociale… come se raggiunta una certa forma, non si potesse che organizzare la propria società in un solo modo specifico. C’era anche chi pensava che Midion e Tezhnid si percepissero ancora prima di incontrarsi, tramite una latente forma di telepatia, ma questa ipotesi era stata negata più volte dai diretti interessati: nessuno dei due sapeva dell’altro, prima della loro riunificazione.
Ma se anche qualcuno aveva interferito nella loro evoluzione, seminandoli su pianeti così diversi, e aveva fatto in modo che le loro società tendessero alla medesima forma, che fine aveva fatto questo oscuro burattinaio? Perché non era rimasto a godere dei frutti di un lavoro che doveva essere costato non poco impegno e fatica? Non era più semplice, e quindi probabile, credere in un accidente cosmico?
La Tearkia suscitava spesso questo genere di domande, quasi sempre senza risposta: erano un delizioso enigma, che apparentemente i diretti interessati non trovavano necessario risolvere.
“Martirii?” chiese invece Tarbun.
Cecile fece comparire la bandiera della Tearkia a quel punto: un triangolo d’oro con bisettrici che si incontravano nel luminoso centro, posto in campo grigio e con due cerchi neri, a rappresentare Vrs e Nydra, colti nell’atto di sorgere dai loro opposti orizzonti per raggiungersi.
“La società Midion Tezhnid è organizzata in tre caste, e questo era vero ancora prima che si incontrassero: la casta dei soldati/cacciatori/agricoltori, la casta degli scienziati/ingegneri/artigiani e la casta dei politici/sacerdoti/filosofi. In entrambi i casi, le tre caste riflettono l’antica struttura sociale della loro specie: in effetti, si può dire che i Midion Tezhnid si siano evoluti come specie sociale per meglio difendersi dai predatori.”
“Che sono ancora più terribili di loro?”
“Decisamente.” ragni con mentalità da branco grandi come case e vespe della stazza di auto per Vrs, crostacei dal potenziale distruttivo di carro armati e l’equivalente di formiche da ghiaccio per Nydra: acqua e fuoco, giorno e notte. Una dualità sempre presente nella Galassia, esasperata nei Midion Tezhnid.
“…La conquista e la padronanza delle loro capacità psioniche ha riequilibrato pesantemente le dinamiche preda/predatore, ma i Midion Tezhnid hanno sempre percorso gli stessi sentieri. Per esempio, la cura degli infanti è un affare pubblico: ancora oggi, che potenziali genitori non sono più divorati vivi dai predatori dei loro rispettivi ecosistemi, la sicurezza e il benessere della loro prole è affidata a tutti. Un trankettori, è solo di una lancia più pericoloso di un Midion Tezhnid che protegge un infante.” ammise Cecile con un sorriso.
“Stai eludendo la mia domanda sui martirii?”
“…Preferisco pensare di star fornendo un contesto.” ribatté Cecile: “I Midion Tezhnid sono una specie carnivora: mangiano preda preferibilmente viva o appena uccisa, quando ciò non è possibile. Ecco perché ad esempio agricoltori, cacciatori e soldati formano una singola casta.”
“Ah.”
“...Ma le loro caste restano un sistema aperto: da ogni cittadino della Tearkia ci si aspetta che contribuisca ad almeno due caste nella durata della sua vita. Nella loro concezione, l’esperienza dei primi cicli viene messa al servizio della scelta compiuta più avanti con l’età: elemento questo, che di nuovo era presente sia tra i Midion che tra i Tezhnid prima della loro riunificazione.”
“Continui a girarci attorno.” affermò sardonico Tarbun.
“Perché non è facile conciliare questa parte delle loro società con alcune loro pratiche che francamente trovo barbariche io stessa.” di nuovo, Tarbun le lasciò il tempo di continuare coi suoi tempi:
“…Sono una specie forte, gioiosamente portati al conflitto, ma molto presto sono stati costretti a trovare un modo di incanalare questa energia: la loro casta governante, se così si può dire, ha compreso molto presto che rituali, mistica, sacralità… erano strumenti in grado di arginare lo spargimento di sangue tra i loro consimili.”
“Quindi la religione è per loro uno strumento di controllo?”
“Sì e no. La religione Midion Tezhnid può essere descritta come un culto apocalittico degli antenati: credono, o meglio, si impongono di credere, che alla fine dei tempi vi sarà un grande scontro tra i viventi e qualcosa che loro chiamano l’Inconosciuto, una specie di divinità del caos con quattro teste, ognuna che porta su di sé una diversa forma di rovina. La posta in palio sarà la continuità o meno dell’esistenza stessa.” spiegò Cecile, proiettando la rappresentazione di un arazzo in cui si vedevano le orde di Midion Tezhnid, e altre specie, andare in battaglia contro una titanica figura con quattro teste, ma che restava in ombra.
“Hai detto che si impongono di credere.” Intervenne Tarbun: se faceva di tutto per non rispondere alla sua domanda, allora tanto valeva farne un’altra.
“…Quando una finzione ripetuta, ritualizzata, diventa realtà? La nostra esperienza ci dice che una cosa simile non avverrà mai… ai Midion Tezhnid però, ha dimostrato diversamente. Perfino loro sanno che la religione è una pratica ritualistica creata per sfogare e controllare alcuni istinti di base insiti in ogni società, uno dei motivi per cui non fanno proselitismo tra le altre specie, eppure sembra che nel loro credere, in quel gioco che hanno creato per sé, qualcosa di vero ci sia. Per loro almeno, funziona: innalzano mausolei in cui chiedono aiuto e consiglio ai loro antenati per gioco, e scoprono di avere società più stabili e forti come conseguenza: in loro il rapporto di causa effetto sembra rovesciato, oppure che ci sia davvero una divinità che apprezza i loro sacrifici e i loro rituali. E se come non bastasse, sostengono di aver trovato la forma definitiva del loro testo più sacro tra le stelle, ma questa è un affermazione che nessuno è un grado di verificare. E prima che provi a suggerire che è dovuto ai loro poteri psicocinetici, anche questa ipotesi è stata vagliata attentamente.”
“Risultato?”
“Nulla di conclusivo. Funziona e tanto basta. Nemmeno i loro governatori, i loro martiri viventi, sanno perché, o se lo sanno, si guardano bene dallo spiegarlo.”
“Sono sempre più confuso, come si può essere martiri viventi?”
“…Una pratica che era già diffusa tra Midion e Tezhnid prima della loro riunificazione.” spiegò Cecile con una piccola voce: “…Esiste una cerimonia, destinata a coloro che tra i Midion Tezhnid invocano la responsabilità di essere governatori e capi tra loro. All’aspirante viene iniettato un veleno, una tossina neurale che devasta il corpo, ma lascia intatta la mente. A coloro che sopravvivono, vengono tolti tutti i sensi, per sempre. Ma la mente di questi martiri, costretta a ripiegarsi su sé stessa, costretta a poter ascoltare solamente sé stessa, raggiunge nuovi livelli di ragionamento e capacità: precognizione ad esempio. Storicamente, i primi psionici e telepati nella Tearkia sono stati appunti questi martiri viventi, e lo studio di ciò che capitava esattamente a loro la diffusione dei talenti mentali tra i Midion Tezhnid.”
“Un’abnegazione che non riesco a comprendere…”
“Nata da coloro che erano strappati ancora vivi ai più terribili predatori sui rispettivi pianeti d’origine. Li chiamano Tearki: ed essi si sacrificano, e sono sacrificati, per poter meglio guidare la loro specie. L’impegno naturalmente è a vita: ogni colonia dei Midion Tezhnid è retta da almeno uno di questi governatori-martiri, che presiedono all’ordine e alla prosperità del pianeta. Altri Tearki invece, pur non avendo la responsabilità di una colonia, hanno funzioni importanti per la Tearkia: giudici, filosofi, cognitivi… la lista è lunga.”
“Cicli interi di buio… non so se sarei pronto a fare qualcosa del genere. E come si coordinano tra loro?”
“Fanno tutti riferimento ad uno: l’Arcitearka, imperatore-dio di tutti i Midion Tezhnid. Un essere dai poteri psionici e dall’intelletto così vasto, da trascendere la sua stessa biologia, che viene deificato dai suoi simili sia per ciò che è, che per ciò che ha sacrificato. Attualmente, a reggere la Tearkia è l’imperatrice-dea Sa Ti: per lei, i Midion Tezhnid organizzano tornei interplanetari in cui mettono alla prova il loro valore e in cui la morte è l’unica sconfitta onorevole. Muoiono in suo nome, conquistano per la sua gloria e pregano per la sua salvezza.” Cecile non poté impedirsi di rabbrividire mentre quelle parole lasciavano la sua bocca: non poteva tacere la parte più importante però. Doveva arrivare fino in fondo:
“…E fin da quando si sono riunificati, Midion e Tezhnid selezionano le famiglie da cui devono giungere i loro Tearki anche in base alla loro possibile aspettativa di vita, in modo da garantire leader dal mandato sempre più lungo, ma comunque in grado di guidarli con forza… Ammirate la mia abnegazione, Tarbun?” chiese Cecile amara: “…Quanto vale, di fronte a 14 cicli di isolamento completo dei sensi, con solo la propria mente per conoscere il mondo e la propria specie? E c’è un’altra somiglianza che ha contraddistinto la storia di Midion e Tezhnid a proposito.”
“E quale?”
“La figura di Tearka è nata appena prima di raggiungere le stelle per entrambi, segnando la fine di crociate che avevano spazzato i due mondi nel tentativo di rispondere ad un semplice quesito: quale identità porteremo con noi fra le stelle? Chi siamo davvero? E nel sangue e nella battaglia, e nell’istituzione della Tearkia, il dominio del divino, il loro sacro impero, i Midion Tezhnid hanno trovato la risposta.”
“…Al confronto, perfino Rostrum e il suo passato sono socialmente accettabili.”
“…Credo che lei abbia appena fatto il miglior complimento che si possa fare ad un Hastur.” rispose Cecile, con un piccolo sorriso.
 
Parlarono ancora molto quella notte, parlarono di molte altre cose, di molti luoghi e di civiltà lontane. Fu quella notte che Tarbun e Cecile capirono che sarebbero diventati amici, nel tempo: e infatti rimasero in contatto anche quando la missione dell’emissario della Dorata Intesa finì, dopo che i Figli di Kos rinunciarono ufficialmente alle loro pretese sul pianeta di Sorat, per quanto non vollero unirsi formalmente alla Dorata Intesa.
Almeno per qualche generazione ancora.


E questa storia termina qui.
Spero che vi sia piaciuta, pur nella sua stranezza e terribili possibilità che immagina: tuttavia appunto "la Galassia è antica e piena di portenti".
Cheerio!
  
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