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Autore: Julie_A    23/08/2016    0 recensioni
«Quando l’aveva vista a terra, esanime, con il volto pallido come la cera… A Gabe non era mai capitato di provare paura per qualcuno, in special modo per una mondana – anche se in realtà Crystal non era affatto una mondana, rifletté. Non aveva mai sentito il sangue raggelarsi nelle vene come quando si era posato il capo di lei, appiccicoso di sangue demoniaco, sulla gamba e aveva iniziato a scuoterla sperando che ciò bastasse a rianimarla. E la ventata di sollievo che lo aveva investito quando lei aveva aperto lentamente le palpebre e i suoi occhi lucenti come zaffiri lo avevano guardato, confusi e disorientati…»
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NOTA DELL'AUTRICE: questa ff è stata scritta basandomi solamente sulla conoscenza ottenuta dai primi capitoli della saga e informandomi sul web, quindi mi scuso agli appassionati se troveranno delle incongruenze tra ciò che ho scritto io con ciò che è stato scritto dalla Clare. Inoltre, la storia è ambientata a Los Angeles/Long Beach, ma non troverete alcun collegamento con 'The Dark Artificies' (poiché ho scritto questa ff prima di venire a conoscenza di quel sequel). Ci saranno però comparse dei personaggi di 'The Mortal Instruments'. Vi auguro buona lettura^^
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 9

IL LEONE E L’AGNELLO

 

«Bene, dunque», disse Gabe. «Prima le signore.»

Crystal lo sorpassò lanciandogli un’occhiataccia. All’interno, l’ambiente era buio e freddo. L’unica fonte di illuminazione era la luce dei lampioni che si riversava dall’esterno. Crystal avanzò piano nell’oscurità, tenendo d’occhio la strada dai finestroni della vetrina: aveva il terrore che qualcuno la notasse.

Gabe le picchiettò sulla spalla. «Tieni questa», mormorò posandole qualcosa nel palmo della mano.

Crystal osservò l’oggetto rotondeggiante, e quando ci chiuse le dita sopra, un bagliore celeste si sprigionò all’improvviso dalla piccola pietra. La ragazza cercò di soffocare la luce con le mani, improvvisamente agitata. «Spegniti, accidenti!», esclamò.

«Non ti preoccupare», la rassicurò Gabe. «I mondani non possono vederla.»

Crystal tirò un sospiro di sollievo. «Avresti potuto dirlo prima che mi venisse quasi un infarto.»

Gabe ridacchiò. «E perché? È stato così divertente!»

Se avesse potuto, Crystal lo avrebbe incenerito con lo sguardo. «Allora adesso che si fa?»

«Non so tu, ma io ho una gran voglia di una bella coca ghiacciata!»

«Sì, va bene anche per me.»

«Okay. Vado a prenderne qualcuna», rispose in un sorriso. «Tu fatti un giro, se ti va.» Gabe estrasse dalla tasca dei jeans quello che sembrava un sacchetto per la spesa di tessuto nero e glielo lanciò. «Prendi quello che ti serve.»

Crystal annuì, e poco dopo vide Gabe svanire dentro alla corsia delle bevande, una pietra di stregaluce nella mano destra che disegnava la sua ombra sul pavimento.

La ragazza si infilò nel corridoio di fronte a sé, scoprendo con piacere che si trattava del reparto dei dolci. Prese a rovistare tra gli scaffali e, di tanto in tanto, una confezione di biscotti o caramelle scivolava nel sacchetto che le aveva dato Gabe. Aprì una scatola di brioches, se ne ficcò una in bocca e versò il resto del contenuto nella borsa. Perlomeno avevano di che fare colazione la mattina successiva, pensò.

Passò poi al reparto successivo, trovandosi circondata da deodoranti, spazzole per capelli e boccette di profumo colorate. Prese alcuni oggetti utili, come ad esempio uno spazzolino e del dentifricio, e si spruzzò addosso un profumo scelto a caso dall’espositore.

Quando il sacchetto fu ricolmo, Crystal decise di andare a cercare Gabe. Lo trovò al frigo dei salumi, nella pozza di luce argentea emanata dalla sua stregaluce. Dalla bocca gli pendeva un panino imbottito mentre infilava delle confezioni di prosciutto e salame in un sacco di tela nera.

«Eccomi», disse Crystal.

In tutta risposta, Gabe sollevò leggermente la testa e le lanciò una latina di Coca Cola, che lei afferrò al volo. Era ghiacciata. Subito dopo le porse anche quello che aveva tutta l’aria di essere un panino al formaggio.

Crystal ci affondò i denti, affamata come mai lo era stata prima. Il formaggio le si sciolse in bocca, fresco e dolce.

«Meglio di qualsiasi mensa self-service, che dici?», fece Gabe a bocca piena.

Crystal si scoprì a ridacchiare. «Già, non male», disse. «Ma nessuno si accorge di tutte queste sparizioni? Immagino che veniate qui spesso.»

«In realtà non molto spesso», rispose lui. «Proprio per non dare troppo nell’occhio. Di solito alterniamo con altri due o tre supermercati… Ma a dire la verità dubito che i mondani che lavorano qui si siano mai insospettiti. E al massimo darebbero la colpa a qualche teppistello del quartiere.»

Mentre parlava con Gabe, Crystal scorse una luce gialla provenire dalla vetrina che dava sulla strada, come i due fari di un’auto. Disegnavano due coni di luce, uno poco distante dai suoi piedi. «Gabe…», lo chiamò, indicandogli la fonte di luce.

Gabe si alzò in piedi, circospetto. «Poliziotti», le spiegò. «Cammina verso di me lentamente. Niente movimenti avventati.»

«Gabe», ripeté lei, nel panico. La sua voce tremava mente il cono di luce avanzava verso i suoi piedi.

Gabe l’afferrò per un polso e la nascose dietro ad uno scaffale giusto in tempo prima che la luce della torcia la illuminasse in pieno. Poteva sentirle il cuore battere impazzito dietro alle costole. «Andiamo», le disse.

«Gabe, ho paura», rispose lei. Le pareva di avere le ginocchia di gelatina.

Lui la trascinò verso l’uscita del retro, da dove erano entrati, cercando di schivare le chiazze di luce che si muovevano per il negozio attraverso le vetrate. Quando furono fuori, bloccò la porta con una Runa di Chiusura e si tirò appresso Crystal, rigida come una statua di gesso, lungo il vicolo buio.

Pioveva. Crystal sentiva sulla nuca le gocce di pioggia che filtravano tra i tetti e il rumore dell’acqua che rimbalzava sull’asfalto.

Allo sbocco del vicolo, Gabe si sporse per controllare e vide che i poliziotti stavano salendo sulla loro volante. «Se ne vanno», disse a Crystal.

Lei trasse un rumoroso sospiro di sollievo, poi si lasciò scivolare lungo il muro di una casa, finendo seduta.

Gabe si accovacciò di fronte a lei, l’aria vagamente preoccupata. «Crys, è tutto okay?»

La ragazza, il pallido volto illuminato dalla luce fioca della luna, annuì piano. «Sì, è solo che… per un momento ho creduto che…»

Lui le accarezzò una guancia, sorridendo. «Lo so. Sarebbe tutto più semplice se tu potessi fare uso delle Rune. Ma non è andata male, dopotutto, no? Qui abbiamo cibo sufficiente per una settimana», disse indicando la refurtiva.

«Ottimo.» Crystal si fece aiutare a rimettersi in piedi, ma Gabe la tirò con troppa forza e lei rovinò su di lui, il quale colpì la parete opposta del vicolo con la schiena.

 «Oh… mi spiace», mormorò Crystal imbarazzata. Erano così vicini che i capelli di lui le solleticavano la fronte.

«A me no», rispose lui in un sorriso mozzafiato.

Si sentì avvampare. «Gabe…», si lamentò cercando di sottrarsi, ma le mani di lui tenevano uniti i loro bacini.

«Sì?» Gli occhi smeraldini di lui la fissavano irrequieti.

Crystal si chiese, con una punta di fastidio, perché mai quando si trovava così vicina a Gabe non riusciva a pensare ad altro che a baciarlo. Eppure avrebbe dovuto essere arrabbiata per come lo aveva visto comportarsi con Julie, o per le sue insopportabili frecciatine, o per averla fatta quasi sorprendere a rubare in un supermercato… Ma non lo era. E questo la irritava parecchio.

Le labbra di Gabe sfiorarono la sua guancia: una carezza accennata. «Vuoi tornare al rifugio?», domandò contro la sua pelle.

Il che, nelle orecchie di Crystal, suonò come Vuoi che ti baci oppure no?

Crystal faticava a sostenere il suo sguardo. «E tu?», gli chiese.

Lui la fissò. «Non si risponde ad una domanda con una domanda», disse con aria offesa. «Hai paura di fare qualcosa di sbagliato?»

La ragazza sentì nella gola la morsa dell’imbarazzo. Le gambe le parvero sciogliersi come burro al sole. «Veramente, io…»

Una goccia di pioggia scivolò fra i tetti e cadde sul viso incupito di Gabe, brillando alla luce della luna come una lacrima argentea. «Sarà meglio andare», disse dopo un po’, rompendo il silenzio. «Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti.»

Gabe fece per uscire dal vicolo, quando Crystal strinse le mani attorno al suo braccio. «Aspetta…»

Lui si volse, le sopracciglia e la fronte accartocciate dall’indignazione. Forse, pensò Crystal, mai prima d’allora una ragazza aveva esitato quand’era stata l’ora di farsi baciare da lui. «Aspetta cosa?», replicò sollevando un sopracciglio scuro.

Senza indugiare, Crystal si sporse sulle punte e premette le labbra contro quelle dure di lui. Gabe sembrava di marmo, sotto il suo tocco insicuro. La ragazza cercò le sue mani nel buio, e quando le loro dita s’incontrarono Gabe trasalì appena. Era come se anche lui, pensò Crystal, fosse combattuto per i suoi sentimenti. Come se stesse continuamente ponderando che cosa fosse più giusto.

Anche lei si sentiva così, in bilico tra la voglia costante di gettarsi fra le sue braccia ed il fuggire il più lontano possibile da lui. L’idea che Gabe fosse uno shadowhunter, un Nephilim, la faceva sentire inadeguata, quasi indegna. Come in uno di quei film dove la ragazza qualunque di turno s’innamora del bellissimo, ricchissimo e amatissimo unico figlio della famiglia più abbiente della città. Sebbene nei film, alla fine, si scopra sempre che il ragazzo ricambia i sentimenti di lei ed è pronto a contraddire tutta la sua famiglia pur di sposare la fanciulla.

All’improvviso Gabe, come se avesse potuto leggerle nel pensiero, la prese per i fianchi e uscì dal vicolo, spingendola contro la parete ruvida della casa. Lì non c’erano tetti o altre protezioni a contrapporsi tra loro e la pioggia, che adesso scrosciava incessante. Crystal sentiva le gocce fredde colpirle la fronte e scivolarle lungo le braccia, ma non le importava. Il modo in cui Gabe aveva preso a baciarla, adesso, le avrebbe fatto dimenticare anche cose ben più gravi del rischio di beccarsi una polmonite.

Crystal si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa quando le mani di lui sollevarono il bordo del suo top e sfiorarono la sua schiena nuda. Le dita di Gabe erano lisce e fredde contro la sua pelle.

In quel momento un’automobile sfrecciò lungo Elm Avenue e, quando passò di fianco a Gabe e Crystal, sollevò una pozza d’acqua che schizzò verso il marciapiede. L’onda li investì in pieno, ed entrambi si ritrovarono improvvisamente fradici ed infreddoliti.

Gabe scoppiò a ridere contro le labbra di Crystal, mentre al contempo lei lanciava un’imprecazione. «Be’, se non altro ora riesco a capire l’espressione “È stato come una doccia fredda”!»

Crystal non riuscì a trattenere un risolino, sebbene l’idea di essere completamente zuppa d’acqua non la divertisse particolarmente. Subito dopo fu percossa da un brivido gelido.

«Hai freddo?», le domandò Gabe.

Crystal annuì, trattenendo l’impulso di battere i denti. «Un po’.»

Lui, con fare un po’ teatrale da cavaliere, si sfilò la giacca di pelle dalle braccia e la posò sulle spalle irrigidite di lei. «Va un po’ meglio?»

Crystal gli sorrise. «Molto meglio», rispose. «Ma ora sarai tu a morire assiderato», aggiunse notando che indossava soltanto un’attillata t-shirt scura, da cui si intravedevano i gonfi muscoli dell’addome.

Gabe scrollò le spalle. «Meglio io che te.»

La ragazza non poté che arrossire. Mai, nella sua vita, aveva ricevuto tante attenzioni da qualcuno. Il massimo che si sarebbe potuta aspettare all’orfanotrofio, se mai si fosse fatta trovare bagnata fradicia per i corridoi, sarebbe stato una bella sgridata, seguita da una settimana di punizione per aver imbrattato i pavimenti.

A quel pensiero, Crystal rabbrividì tra le mani di Gabe. Si chiese come avesse potuto rimanere là dentro per ventun anni senza dare di matto. Pensò al sapore salato del brodo vegetale, in contrapposizione a quello dolce della Coca Cola che là dentro non aveva mai nemmeno potuto assaggiare. O all’odore acre del caffè al mattino, così diverso dal profumo inebriante dei croissant che si gonfiavano nel forno dell’Every Flavour Donuts.

Gabe notò il suo sguardo distante. «Crys. È tutto okay?»

Crystal rinsavì, lieta che i suoi occhi mettessero a fuoco una cosa tanto bella come Gabe, abbandonando la visione degli spogli corridoi dell’orfanotrofio. «Stavo solo… pensando ad una cosa.»

Gabe s’incamminò lungo il viale, prendendola per mano. «Ed era una cosa brutta?»

«No, non proprio», rispose mostrando un timido sorriso. «Pensavo all’orfanotrofio. Là dentro non è stato molto facile per me, ma credo che proprio per questo ora riuscirò a godere davvero delle cose belle. Qui fuori è tutto così… amplificato

Gabe le sfiorò il mento con le dita. Mentre camminavano, i loro capelli bagnati rilucevano come argento liquido in contrasto con l’asfalto scuro. «Ti capisco. Anch’io ho trascorso gran parte della mia infanzia rinchiuso nell’Istituto di Los Angeles. Quando sono uscito per la prima volta ho visto, sentito e provato così tante cose insieme che mi sono sentito scoppiare la testa», mormorò. «Non è proprio la stessa cosa, ma riesco a farmi un’idea.»

«Gabe, so che non ne vuoi parlare», iniziò Crystal. «Ma mi stavo chiedendo se tu abbia deciso di abbandonare l’Istituto per via dei tuoi genitori.»

Il ragazzo sembrò sorpreso, ma poi si ricompose in una smorfia seria. «Io e mio padre non… non andiamo molto d’accordo», riuscì a dire. Crystal aveva la sensazione che Gabe stesse misurando le parole. «Perché questa domanda?»

«Perché quando Caleb ti ha chiesto se fosse tuo padre l’uomo che dirige l’Istituto, tu sei improvvisamente diventato di ghiaccio», gli spiegò con delicatezza. «E poi Vanessa ti ha dato la stregaluce, dicendo che l’aveva presa di nascosto dalla tua stanza. Ho pensato che se tu non eri tornato di persona a riprendertela poteva voler dire che non avevi intenzione di rivedere i tuoi genitori.»

«E hai pensato bene», rispose con tono severo, sorprendendo Crystal. «Abbiamo avuto delle… divergenze d’opinioni, in passato. Quando ho compiuto ventun anni ho capito che non avrei seguito la strada che loro avevano scelto per me. E quando ho ottenuto l’appoggio di Julie e di Cole me ne sono andato.»

«Capisco.»

«Ora la mia famiglia sono Julie, Cole e Victoria», disse. «Le uniche persone di cui mi fido ciecamente e per le quali sarei disposto a dare la vita, se fosse necessario. Loro farebbero lo stesso per me.»

«E che mi dici di Caleb e Vanessa?»

«Non so per quanto ancora resteranno con noi», rispose pensoso. «Vanessa è amica di Julie dai tempi in cui entrambe vivevano a Idris. Poi Vanessa fu inviata a Washington D.C., mentre Julie scappò a Los Angeles. Quando ci è giunta notizia che l’Istituto di D.C. era stato attaccato dai lupi mannari, Julie ha proposto a Vanessa di raggiungerci a Long Beach. E lei si è presentata qui insieme a Caleb.»

«E quel Donovan?», continuò Crystal. «Avete detto che non c’è quasi mai. Dove va?»

Gabe sorrise. «Donovan è un tipo particolare

«In che senso?»

«Nel senso», fece Gabe senza nascondere una punta di divertimento. «che è un vampiro.»

«Un vampiro? Dici sul serio?»

«Già», replicò. «Ma è un bravo ragazzo, dopotutto.»

Il viso di Crystal si deformò in una smorfia disgustata. «Ma di cosa si nutre?»

«Secondo te?»

Crystal stava per avere un conato di vomito. «Vuoi dire che uccide i mondani?»

Gabe ridacchiò. «Certo che no! Si nutre soltanto di sangue animale. Credi che faremmo entrare di proposito un assassino nel nostro rifugio?»

Lei si sentì subito risollevata. «E dove sta tutto il tempo, se non è con voi?»

«Donovan vive con il suo clan in Myrtle Avenue, in una vecchia casa abbandonata… Come potrei spiegarti? Lui fa da filtro tra noi e loro. Non so se te l’ho già detto, ma Nephilim e Nascosti non vanno molto d’accordo», spiegò. «Donovan è un idealista. Sta cercando di mitigare le avversioni che abbiamo gli uni contro gli altri.»

Crystal era confusa. «Non ti piace l’idea di andare tutti d’amore e d’accordo?»

«Non è che non mi piaccia», specificò. «È che lo vedo alquanto impossibile. I vampiri e i licantropi si odiano da sempre, così come i Nephilim si sono sempre tenuti alla larga da ogni tipo di Nascosto. Non ci si può svegliare una mattina e decidere che tutto questo deve cambiare. Sarebbe come chiedere ai mondani di dimenticare le differenze che loro vedono tra un bianco ed un nero, tra un cristiano ed un ebreo, o tra un etero ed un gay. Credi che basti qualche decina di menti aperte per cambiare la convinzione di un intero mondo?»

«D’accordo, ma pensaci: già il fatto che voi vi rapportiate con Donovan, significa che non siete di vecchio stampo, come ad esempio potrebbero esserlo i tuoi genitori. Julie è una mezza fata, mezza Nascosta, giusto? E io sono una sottospecie di sirena senza pinne. Tutto questo è la prova che le convinzioni stanno già cambiando.»

«Soltanto perché per me non risulti un problema avere degli amici Nascosti, non significa che valga lo stesso per tutti. Victoria ha impiegato parecchio ad accettare Donovan, così come i miei genitori hanno accolto Julie all’Istituto soltanto perché aveva ottenuto il primo Marchio direttamente dal Clave. Come vedi, l’idea che i Nephilim siano superiori ai Nascosti è un pensiero ben radicato.»

A Crystal prudevano le labbra dal desiderio di sapere una cosa in particolare. «Credi che i tuoi genitori non approverebbero che… insomma, se io e te…»

A Gabe sfuggì una risatina. «Che io e te usciamo insieme, dici?», concluse al suo posto. «Be’, questo è uno dei tanti motivi per cui mi sono allontanato da loro.»

«Forse hai ragione», rifletté Crystal. «Chiedere agli adulti di cambiare i loro ideali potrebbe essere impossibile, ma voi siete una nuova generazione di Nephilim. Se provaste a cambiare questa assurda mentalità, le generazioni future di Nephilim e Nascosti potrebbero collaborare, non pensi?»

Gabe si fermò e le pizzicò dolcemente la guancia. Crystal non si era accorta che erano arrivati in Liberty Court, davanti alla botola d’entrata per il Rifugio. «Penso», disse. «che tu sia un po’ sognatrice, Crystal Evans» Sciolse la presa dalla sua mano per picchiettare l’indice contro la sua fronte, e aggiunse: «Ma c’è del potenziale qui dentro.»

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PERSONAGGIO DEL GIORNO:
Donovan Mortenson

Donovan
  
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