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Autore: FreddyOllow    23/08/2016    0 recensioni
Dopo che l'infezione ha divorato mezza città, Erik e il suo fratellino Brad trovano rifugio in un campo profughi della BlackWatch. Ben presto si accorgeranno che la Blackwatch non è lì per salvarli, ma per usarli come cavie. Cominciano così a prendere i bambini e trascinarli nei laboratori con la forza. Quando i sopravvissuti ribellano, i soldati li fucilano tutti.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erik sentiva la violenza di Heller abbattersi come un tornando su di Alex, ma non poteva girarsi a guardare. Doveva portare Ginevra in un posto sicuro. Si trascinò a fatica vicino a un palazzo di sei piani, i muri a ridosso dell'entrata macchiati di sangue rappreso, la porta abbattuta su cui c'era un uomo con la schiena crivellata dalle pallottole. Forse a ucciderlo era stata la Blackwatch, oppure un superstite per rubargli le provviste.
Erik entrò nell'edificio. Sedie, tavoli e scaffali rovesciati sul pavimento dell'atrio. Qualcuno aveva cercato di creare una barriera dietro cui nascondersi. Superò lo scale e si fermò davanti all'unica porta semi-chiusa. L'aprì e sbirciò nella stanza. Sembrava vuota. Raggiunse il divano sui cui adagiò Ginevra e si guardò intorno. Poi le sue gambe cedettero e crollò esausto sul pavimento.
Se qualcuno fosse entrato in quell'istante, l'avrebbe potuto uccidere senza alcuna difficoltà. Non gli importava. Era troppo stanco per pensarci. Voleva solo chiudere gli occhi e riposare. Magari dormire per una settimana. Ma la sua mente lo catapultò nel passato. Gli mostrò il viso di Brad, il suo corpo su un letto d'ospedale circondato da scienziati con sorrisi malvolevi.
Mentre cercava di scacciare quei pensieri, una voce lo tormentava. Gli diceva che la Blackwatch aveva ucciso Brad, che non lo avrebbe più rivisto. E quelle voci lo fiaccavano, lo deprimevano a tal punto che ci credette per un momento. Forse avevano ragione. Cercarlo era solo una perdita di tempo. Erano passati troppi giorni e ritrovarlo vivo equivaleva a un miracolo. Scosse la testa e scacciò quell'orrenda sensazione. Non doveva pensare in quel modo. Lui era vivo e toccava a lui ritrovarlo. Brad contava su di lui.
Cercò di rialzarsi, ma gambe e corpo gli dolevano troppo. Aveva bisogno di risposare. Si stese sul pavimento e gli occhi gli si chiusero da soli, l'immagine sorridente di Brad fisso nella mente. Poi seguirono altre immagini felici, lui e il fratellino nel parco, in riva a un lago, che si rincorrevano in un prato, che giocavano a palla, che mangiavano davanti a una tavolata nel campo profughi attorniati dai vicini sorridenti. Quelle immagini lo allontanarono brevemente dall'inferno in cui era caduto.
Si addormentò con un sorriso.

Quando si svegliò, l'orologio al polso segnava le nove e ventisette di mattina e sentiva il corpo meno dolorante. L'immagine di Ginevra gli balenò nella mente. Sbarrò gli occhi e si girò verso di lei. Poteva essere morta durante la notte per via della brutta ferita alla testa. Magari per un'emorragia interna. Le guardò il viso il pallido, poi il petto che si alzava e bassava. Tirò un sospiro di sollievo. Era viva. Le posò due dita sulla fronte umida e scottante. Aveva la febbre.
Si accigliò e le strinse una mano, preoccupato. Non sapeva cosa fare. Forse era stata la ferita a farla ammalare. Cercare medicinali nella zona era un suicidio. Se non l'avessero ucciso gli infetti, l'avrebbero fatto i bruti. E poi quasi ogni farmacia era stata saccheggiata. Trovare medicinali era praticamente impossibile.
Sospirò e fissò il viso di Ginevra. Era così bella mentre riposava. Quel colorito pallido le donava molto e le faceva risaltare il colore delle sopracciglia e dei capelli.

La Blackwatch arrivò in quel momento. Fermarono il blindato davanti all'abitazione e otto soldati scesero con i fucili spianati. Una dozzina di infetti, sbucati da un angolo in fondo alla strada, si lanciarono contro loro con strilli acuti. Quelli li abbatterono con diverse mitragliate e si sparpagliarono un poco per formare un perimetro di sicurezza.
Un uomo dalla carnagioen scura scese dal sedile passeggero anteriore e si guardò attorno con fare severo. Era sulla cinquantina, alto, robusto, spalle larghe, occhiali scuri e un basco rosso scuro in testa. Indossava una tuta nera, con il grado da sergente ai lati delle braccia. Si accese un sigaro cubano, diede qualche boccata e buttò il fumo fuori dai polmoni, lo sguardo di ghiaccio fisso sull'entrata.
Erik, che era andato a sbirciare dalla finestra rotta, si chiedeva perché si fossero fermati proprio davanti all'edificio. Erano lì per caso? Oppure lo stavano cercando?
- Perlustrate gli edifici adiacenti! - disse il sergente della Blackwatch con un cenno della mano, il sigaro su un lato della bocca. Quando gli otto soldati sparirono nei palazzi adiacenti, lui entrò in quello in cui si trovava Erik. Serpeggiò tra sedie, tavoli e scaffali ribaltati sul pavimento e si fermò a guardare la scale. Un fascio di luce entrava dalla finestra infranta del pianerottolo.
Inspirò il fumo e lo espirò con calma, drizzando le orecchie in cerca di suoni. Restò in quella posizione per un momento, poi superò le scale e si fermò davanti alla porta dietro cui c'erano Erik e Ginevra. Quando posò la mano sulla maniglia, una raffica di spari riverberò nella strada.
Erik sussultò e si precipitò verso la seconda finestra.
Il sergente aprì la porta con fare austero, il sigaro fumante tra i denti. Fissò Ginevra distesa sul divano, poi Erik davanti alla finestra che gli dava le spalle.
Là fuori un brutto era appena atterrato sulla strada dissestata, dove due soldati erano ridotti a brandelli. I soldati sopravvissuti concentrarono il fuoco sulla creatura, ma un secondo bruto atterrò alle loro spalle e sferrò loro un'artigliata. Quattro soldati furono squarciati come burro in un solo colpo.
I due che si erano salvati, si precipitarono verso il blindato sparando alla cieca. Il primo bruto balzò sul veicolo veicolo e ruggì verso loro. Il secondo si avvicinò lentamente alle loro spalle. I due soldati erano paralizzati dalla paura, poi uno di loro sparò al bruto sul blindato. Quello alle loro spalle balzò addosso a chi aveva sparato e gli staccò la testa con un morso. L'altro balzò verso il secondo soldato e gli tranciò il busto in diagonale con un'artigliata. La strada era diventata un lago di sangue.
I due bruti ruggirono verso il cielo, afferrarono tra le fauci due soldati morti e si arrampicarono su un edificio per divorarli con calma.
Erik indietreggiò, inorridito. Nella sua mente vorticava l'immagine del padre di Ginevra che veniva fatto a pezzi. Il senso di colpa riaffiorò forte e intenso come la prima volta. Si voltò in lacrime e sbarrò gli occhi.
Il sergente della Blackwatch, che era rimasto immobile sulla soglia, lo guardava divertito con il sigaro in bocca. Sapeva che i suoi uomini erano appena morti. Ogni settimana la sua intera compagnia veniva fatta a pezzi, quindi non se ne preoccupava nemmeno. E da quando Alex Mercer e Heller erano comparsi, le sue perdite erano diventate giornaliere, specialmente nella Zona Rossa. E ogni giorno nuovi soldati riempivano la sua compagnia pronti per essere mandati a morire.
Erik lo fissava tra rabbia e stupore. Poi spostò lo sguardo su Ginevra. Se lui le avesse fatto male, se l'avesse solo toccata con un dito, lo avrebbe fatto a pezzi.
Il sergente buttò il sigaro sul pavimento. - Sai, non sei facile da trovare. I miei superiori me lo avevano detto, ma... Sai perché sono qui?
Erik non rispose. Guardò Ginevra.
- Lei non mi interessa - continuò il sergente. - Sono qui per te, per il tuo DNA. A quanto pare Jeremia Scott vuole, come dire, sperimentare su di te. Quindi hai due modi di uscire di qua, seguirmi o venire trascinato con la forza.
Erik corrugò le sopracciglia. L'essere si contorceva nella sua pancia, lo sentiva fremere, salire verso la sua testa e a lui gli andava bene. Lo avrebbe aiutato a venire fuori da questa brutta situazione.
- Hai quello sguardo, vedo - aggiunse il sergente. - Il mio capo mi ha parlato di questo. Sembra che dovrò usare le maniere forti.
Erik non capiva a cosa si riferisse.
Il sergente estrasse una piccola pistola dalla cintura e gliela puntò. - Questo aggeggio è stato fatto per quelli come te. Lo vuoi provare?
L'essere si impossessò del corpo di Erik. Si scagliò contro il sergente, ma lui gli sparò e il proiettile si conficcò nel torace. Scattò in piedi, ma subito crollò sul pavimento senza forze. L'essere sgusciò via dalla sua mente come un serpente ferito. Era paralizzato.
Il sergente si chinò sui talloni e lo fissò negli occhi. - Bell'arma, vero? L'ha ideata Scott. Ha preso il DNA da un evoluto, quello di un brutto e quello di un umano. Poi li ha mischiati... - Sorrise. - Ha trovato un modo per rendere inoffensivi gli stronzi come te. - Gli afferrò il mento con un mano per guardargli dritto negli occhi. - Immagina se beccassi Alex Mercer o Heller con questo affare. Diamine, diventerei ricco. Farei il bagno nei miliardi.
- Ti prego... - disse Erik con un filo di voce. - Lei non c'entra niente... Non farle del male.
Il sergente si alzò e guardò la donna per un momento. Poi spostò lo sguardo su di lui con un ghigno. - Sembra più morta, che viva. Se non muore ora, ci penserà la Zona Rossa a ucciderla. Infetti, Bruti, o forse Alex Mercer o quello psicopatico di Heller.
Erik gli allungò una mano tremante. - Devi... devi salvarla, ti prego... Lei... lei lo merita... È una brava persona... Devi salvarla...
Il sergente scoppiò a ridere. - Pensi che sia l'unica che lo merita? Sai quante persone sono intrappolate nella Zona rossa? Centinaia, forse migliaia. Tu non li vedi, ma sono tutt'attorno a noi. Si nascondono chissà dove e ogni tanto mettono la testa fuori. Alcuni disperati arrivano davanti ai nostri avamposti e ci chiedono di salvarli. E sai qual è la nostra risposta? Una raffica di mitra. - Abbazzò un ghigno soddisfatto. - Nessuno entra o esce dalla Zona Rossa! Nessuno!
- Ti prego...
Il sergente gli sferrò un calcio in faccia.

   
 
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