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Autore: Blablia87    23/08/2016    6 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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-175
 
“Prosopoagnosia.” Ho ripetuto questa mattina, facendo eco alle sue parole, alzando un sopracciglio con aria dubbiosa.
“Credo che sia un po’ troppo rara, come patologia, per costruirci sopra un impianto accusatorio.”
 
John è sembrato confuso, per qualche secondo. Assorto in un pensiero che non sono riuscito ad afferrare.
 
“Qualcosa ti turba?” Ho chiesto quindi, osservandolo scuotere via l’ombra che gli adombrava gli occhi come una persona scuote via la neve che si posa sulle spalle durante una nevicata.
 
“No.” Ha risposto, una bugia così palese da aver volutamente evaso il mio sguardo per i successivi minuti.
 
“Non è poi così brutto, non riuscire a catalogare come familiare il volto di chi in realtà si conosce.” Era chiaro che fosse quel preciso aspetto della condizione degli affetti da prosopoagnosia a turbarlo. Diventava più evidente ad ogni occhiata attenta che regalava alla foto dell’uomo del quale stavamo discorrendo.
“Io lo faccio ogni mattina da quasi due mesi. Come vedi, me la cavo comunque abbastanza bene.”
 
Non volevo essere ironico. Volevo solo che tornasse a parlare del caso, e a guardarmi.
 
L’espressione che mi ha dedicato è stata la cosa più complessa che abbia mai visto prender forma sul viso di qualcuno. Conosco le emozioni. Sono il mio lavoro.
 
Ma quella… Quella resta un mistero, per me, anche adesso, dopo aver trascorso ore a tentare di decodificarla.
 
 
 
 
“Quale credi che sia l’ultimo pensiero che attraversa la mente di un moribondo?” Ho domandato dopo qualche minuto, serio.
 
Me lo chiedo spesso, quale sarà il mio. La Caduta è stata troppo veloce, per poterne formulare uno degno di questo nome. Forse, semplicemente, mi sentirò sollevato, alla fine.  Libero.
Volevo sapere se lui ci avesse mai riflettuto.
 
“Dio, ti prego. Lasciami vivere.” Ha risposto lui, tornando a fissare le foto.
 
Il mio giudizio immediato alle sue parole è stato: “banale”.
 
“Tutta qui, la tua immaginazione?”
 
“Non ho dovuto immaginarlo.” Ha ribattuto, asciutto.
 
Indelicato da parte mia, immagino, non aver preso in considerazione la cosa prima di parlare.
 
Siamo rimasti in silenzio per un po’, John con le mani tra i fascicoli, io con gli occhi su di lui.
 
“Io ho solo pensato che una volta oltre la balaustra, non avrei avuto modo di evitare l’impatto. È l’ultimo pensiero che ricordo di aver avuto.”
 
È strano che lo abbia detto. Non l’avevo mai fatto, prima di oggi. Non sono neanche sicuro del motivo che mi abbia spinto a confidarlo a lui. Forse, è stato una specie di riflesso. Un atto di sincerità in cambio ad un atto di sincerità.
 
Sopravvivere ad una caduta come la mia sarebbe da molti giudicata una fortuna. Una seconda occasione.
 
Anche sopravvivere ad un proiettile in missione è cosa rara.
 
Io e lui siamo due miracolati agli occhi del mondo, ma non ai nostri.
 
Però…
 
Provo una strana forma di affezione verso l’idea che una traiettoria sbagliata abbia permesso che sopravvivesse fino ad oggi, portandolo qui, con i suoi casi irrisolti e quel mezzo sorriso che gli si accende sul viso alla fine delle mie infinite spiegazioni su dove le sue teorie vacillino.
 
Mi chiedo se ci saremmo mai incontrati, a Londra.
 
Se un giorno - entrando nell’ufficio di Lestrade attorniato da i soliti incompetenti – lo avrei trovato lì, spalle alla porta, intento a spiegare con pazienza e cura chissà quale patologia.
 
Sarebbe stato diverso?
 
Mi avrebbe ascoltato con tanta attenzione, o anche questo fa parte dell’enorme dose di empatia che si trascina dietro come un giogo?
 
No. Non credo che lo avrebbe fatto.
 
E probabilmente io non avrei dedicato alla sua analisi più di qualche secondo, il tempo necessario per identificare qualche punto debole sul quale fare leva in caso di bisogno.
 
È quanto mio fratello mi ha insegnato rispetto alle relazioni umane.
 
 
 
Pochi secondi, niente di più.
 
 
 
 
 
Se ci fossimo incontrati a Londra…
 
Sarei andato ad una sua lezione.
Mi piace, sentirlo parlare.
 
La sua voce ferma i pensieri.
 

 
-174
 
Mi serve il mio violino.
 
Siamo ad un punto morto con il caso, e avere tra le mani il mio Stradivari mi aiuterebbe a lavorare meglio.
 
Mycroft continua ad ignorare la mia richiesta, ed io ho smesso di preoccuparmi di quanto alta ed alterata risulti la mia voce mentre lo chiedo.
 
“Quando starai meglio.” Ha ripetuto per l’ennesima volta questa mattina, ottuso come non è mai stato, premuroso come finge di essere.
 
Non starò mai meglio, maledizione.
 
“Posso pizzicare le corde. E comunque non è affar tuo cosa io faccia o meno del mio strumento.”
 
Neanche urlare è servito.
Dovrei supplicare, forse? Se abbassassi la testa, invece di scoppiare in un’ira cieca, mi asseconderebbe?
 
 
Devo pensare. Ho bisogno di farlo.
 
E lo faccio meglio, se qualche nota di Brahms riempie l’aria.
 
 
 
Sono le quattro passate e John non è ancora sceso.
Forse la discussione di questa mattina tra me e Mycroft ha toccato qualche punto dolente di quella parte di lui che ancora non riesco a comprendere del tutto.
 
È come se ci fosse una zona d’ombra, una macchia, un’eclisse che ciclicamente gli oscura e fiacca l’animo.
 
Sarebbe più facile capirlo, se avessi il mio violino.
 
Sarebbe più facile smettere di pensare a questo corpo, se John si decidesse a scendere.
 
 

 


 
 
 
“Lo sai che ore sono?!”
 
“Mhm… no.”
 
“Sono quasi le sette di sera. Dove accidenti sei finito per tutto il pomeriggio? Pensavo fossi qui per lavorare.”
“Sto parlando con te, John.”
“John!”
 
“Un attimo, dammi il tempo di…”
 
“Di? Trovare un valido motivo per essere scomparso per ore?”
 
“No, per capire come funzioni questo accidenti…”
 
“Sei stato in città? Odori come l’emporio che c’è in centro, e hai la parte alta del cappotto sporca di polvere.”
 
“Sono stato in città. Mi hai scoperto.”
 
“Se mi dici cosa stai cercando di fare sul mio computer, probabilmente potrei darti una mano. Non mi sembri particol—“
 
“Oh, finalmente.”
 
 
 
 
“Spengi immediatamente.”
 
 
 
 
“Cosa…? Perché? Mi era parso di capire che ti piacesse.”
 
“Mi piace, infatti, ma…”
 
“Pensi di poterti accontentare di un misero violinista del quale ignoro il nome che suona qualcosa di cui ignoro ancor più il nome, per adesso? Prometto che troverò il modo di farti avere il tuo violino, ma per adesso questo è tutto il Brahms che sono riuscito a reperire all’emporio.”
“Sherlock?”
“Sherlock…?”
 
“Concerto per violino op. 77 in tre movimenti.”
 
“Scusa?”
 
“È quello che hai comprato: il concerto per violino.”
 
“Non ti piace…?”
“Vuoi che lo tolga?”
 
“Io… Lo adoro, per la verità.”
 
“Ok…  Bene, allora. Giusto? Vuoi che prenda i fascicoli, così possiamo lavorare un po’ prima di cena?”
 
 
 
“Vorrei che ti sedessi e lo ascoltassi con me. Se ritieni di non annoiarti troppo, è chiaro.”
 
“Sposto una sedia vicino a te?”
 
“Se vuoi.”
 
 
 
“John?”
 
“Sherlock.”
 
 
 
“Grazie.”
 
 
 
 

 
 
 
-172
 
Quasi le tre di notte.
 
John si è addormentato sul divano, la testa reclinata all’indietro ed un plico di fogli in bilico sulle ginocchia accavallate.
 
Il suono del vento proveniente dallo spiraglio aperto della portafinestra che increspa la superficie piatta della piscina è ipnotico, rilassante.
 
Ed io sto mentendo, e non so neanche perché.
 
L’ho capito questa mattina, poco dopo le 11, chi è stato ad uccidere quella donna.
 
John ricapitolava i dettagli ad alta voce, camminando aventi e indietro, e all’improvviso la soluzione, semplicemente, era lì, come se risplendesse tra le sue parole e lui fosse un conduttore.
 
Eppure, non gliel’ho detto. Non l’ho fermato.
 
E non l’ho fatto neanche questo pomeriggio, quando con frustrazione si è passato una mano tra i capelli, stanco di rileggere le solite frasi.
 
 
Potrei farlo adesso. Liberarmi di questo peso. Di questa assurdo senso di colpa.
 
Non dovrei sentirmi così.
È assurdo. Irrazionale.
 
Dovrei essere preoccupato.
 
Perché diavolo non provo l’istinto di dar sfoggio del fine ragionamento che mi ha condotto ad identificare come colpevole quell’uomo?
 
Perché non lo sveglio per dirgli che aveva ragione, che è stato proprio lui, il malato di prosopoagnosia,  e che lo ha fatto non avendo riconosciuto nella persona che stava aggredendo la moglie?
 
Devono cercare il corpo. Devono constatare che probabilmente la donna aveva mutato in qualche modo i  segni distintivi che permettevano al sospettato di riconoscerla (capelli, vestiario…)
 
Devono…
 
 
 
John ha un’aria tesa. Irrigidisce la postura, stringe i pugni.
Lo fa a cadenze regolari.
 
Sogna. Ed ogni fase di sonno popolato da immagini sembra essere dolorosa.
 
 
Vorrei svegliarlo con una leggera pressione sulle spalle, ma non posso. Il tavolino da caffè davanti al divano mi impedisce di arrivare a sfiorarlo.
 
Odio questa sedia.
 
Odio questo corpo inutile.
 
 
 
Odio costringerlo a rimanere qui oltre lo stretto necessario senza alcun motivo ragionevole, e odio desiderare che invece lo faccia.
 
 
“John?” Lo chiamo. Si muove appena, poi socchiude gli occhi, confuso.
 
“Credo di sapere che fine ha fatto la signora Olena.”
 
 
 
 
John mi ha ascoltato, attento, prendendo qualche appunto.
 
“Stupendo, Sherlock, davvero. Era proprio quello che ci serviva.” Ha detto, con un’espressione raggiante.
 
Mi piace quando mi guarda in quel modo. Quello che prima esternavo per puro gusto di realizzazione personale, adesso prende forma e senso nelle righe che si formano attorno ai suoi occhi quando smetto di parlare.
 
È… Non lo so.
 
 
Dovrei andare a letto, immagino.
 
 
 
Vorrei tornare a Londra.
 
 
Vorrei davvero assistere ad una sua lezione.
 

 
 
 


 
 
 
 
[15:09] Mycroft mi ha detto dove vi trovate. Vorrei venire a trovarti. V
 
 
 
[15:15] Mio fratello dovrebbe imparare a non intromettersi nella mia vita. Non sprecare un viaggio. SH
[15:16] So di non essere stato… d’aiuto. Ma ero spaventato. Adesso sono pronto, davvero. V
 
[15:18] Il patto non prevedeva l’ “essere pronti”, qualunque valore tu attribuisca al termine. SH
[15:19] Non credi che la situazione cambi “il patto”? V
 
[15:21] No, affatto. SH
[15:22] Sherlock. Potrei esserti d’aiuto. Potresti tornare a Londra, stare con me. V
 
[15:24] Sherlock! V
 
 
 
 


 
 
 
-171
 
Ancora un caso.
 
Immaginavo che John volesse iniziare subito ad analizzarlo, in modo da poter terminare questo soggiorno non previsto in questa landa desolata in compagnia di un paraplegico e far ritorno a Londra ma, inspiegabilmente, il fascicolo è ancora sulla mia scrivania, ben chiuso.
 
È come se avessimo un tacito accordo.
 
Nessuno dei due lo nomina, e nessuno dei due domanda all’altro il perché di questo silenzio.
 
Trascorriamo la maggior parte del tempo in veranda. Devo dar atto a John di aver imparato a gestire la “traversata” del Titanic piuttosto bene: al momento giusto da una spinta sola, precisa, quanto basta a farmi attraversare le guide della porta scorrevole. Poi, paziente, attende che mi posizioni in un punto per trascinare la sua sedia di fianco alla mia.
 
“Così passavi le estati qui, eh?” Mi ha domandato oggi, dopo quasi un’ora di silenzio.
 
Mi sono limitato ad annuire, gli occhi verso l’orizzonte.
 
“Immagino ti annoiassi a morte.”
 
“Parecchio.” Ho ammesso. “Ma avevo sempre la Baia, in caso di necessità.”
 
“La Baia?” Si è voltato verso di me, un mezzo sorriso in bilico sulle labbra e negli occhi una sincera curiosità.
 
“Una sciocchezza. Un pezzo di spiaggia privata che…”
 
“Avete una spiaggia privata?” Sembrava così sconvolto che non ho potuto trattenere lo sbuffo di una risata.
 
Mio fratello ha una spiaggia privata. Io ho rinunciato alla mia parte di questa proprietà molti anni fa.”
 
È sembrato sul punto di domandare il motivo della mia scelta ma, sorprendentemente, non l’ha fatto.
 
“Andavo lì a leggere, o semplicemente a pensare. Il più delle volte di notte, quando il buio era completo e potevo orientarmi solo con rumore della risacca.”
 
“Dal tono con il quale ne parli, sembra un posto magico.”
 
“Lo è.” Ho confermato.
 
E lo è realmente. Amo alla follia quel pezzo di mondo dimenticato. Dopo Londra e Baker Street è il luogo che più mi rattrista sapere che non rivedrò mai più.
 
“Vorresti andarci?”  Mi ha chiesto. Probabilmente la mia espressione rispecchiava i pensieri.
E lui sembra così abile, a capirli.
 
“L’ultimo tratto di strada è costituito da una ripida scalinata ricavata nella roccia del promontorio.” Mi sono limitato a rispondere.
 
Lui ha annuito, lanciando uno sguardo al Titanic, in silenzio.
 
Non abbiamo bisogno di molte parole, né di riempire i vuoti ad ogni costo.
 
Mi piace il silenzio, se lui è abbastanza vicino.
 
Lo riempie.
 
 
 

 
 
 
-170
 
“Sherlock…?”
 
“John? Che accidenti…”
 
“Shhhh, non urlare.”
 
“Non avevamo detto che avremmo iniziato a lavorare al caso domani? Non sono neanche vestit—“
“CHE ACCIDENTI PENSI DI FARE?”
 
“Vuoi stare zitto! Finirai con svegliare Mycroft.”
 
“Tu levami le mani di dosso, ed io smetterò di urlare!”
 
“Ti fidi di me?”
 
“No, non mi fido di te se farlo significa permetterti di stare a tre millimetri dal mio viso, in ginocchio sul mio letto e con l’aria di quello che sembra pronto a infilarmi una maglia come fossi un manichino.”
 
“Ho le chiavi del fuoristrada.”
 
“Scusa?”
 
“Hai presente il giardiniere che è arrivato ieri e ch—“
 
“So di quale fuoristrada stai parlando, quello che non capisco è perché tu abbia le sue maledette chiavi!”
 
“Se preferisci vestirti da solo ok, ma fallo in fretta, o rischiamo di farci beccare.”
 
“Farci “beccare”? Cos’hai, quindici anni?”
 
“Vuoi chiudere la bocca e metterti qualcosa di pesante addosso?”
 
“Vuoi spiegarmi una buona volta cos… Oh.”
 
“Adesso guardami negli occhi e dimmi che non vuoi farlo.”
 
“È assurdo, John, come pensi di fare per…”
 
Ti fidi di me?
 
 
 
 
“Infilami questi maledetti vestiti. E sbrigati.”
 
 
 
 
 



 
 
-170
 
La febbre sta arrivando.
La sento muoversi nelle ossa, tra i respiri infuocati.
 
Ma non mi importa.
 
Anche morissi adesso, completamente bagnato come sono, non mi importerebbe.
 
John è salito in camera sua a farsi una doccia calda.
Io dovrei seguire il suo esempio e, quanto meno, lasciarmi cadere in piscina ma…
 
Ma…
 
Ma…
 
Ho bisogno di scriverlo, prima che la stanchezza abbia la meglio.
 
Di cosa John Watson abbia fatto stanotte. Per me.
 
Mi ha portato oltre questa stanza, ancora un volta.
 
Ha guidato a fari spenti, fin quando non siamo stati sicuri che le luci non fossero visibili dalla casa.
 
Ha  portato il mio inutile corpo fino alla spiaggia, continuando a scherzare su quanto porti magnificamente i suoi quarantadue anni, per non farmi sentire a disagio.
 
Ha riportato da me la sedia, sicuramente un peso maggiore del mio da trasportare lungo i gradini, al buio. Ma lo ha fatto. Con calma, attenzione, cura.
 
Si è fatto guidare. Nell’ombra, sulla sabbia bagnata, una mano posata al Titanic ma non per spingere, bensì per seguire.
 
Si è lasciato convincere a rimanere, anche quando ha iniziato a piovere. È rimasto in silenzio, affianco a me.
 
 
John Watson mi ha portato alla Baia.
 
Ed io ho potuto dirle addio.
 
Neanche lo sa, che questo v oo gh l i p a  o ed
 
 
 
 
 
Il puntatore ottico non funziona molto bene.
Sono stanco, e il braccio destro risponde poco.
Ma voglio scriverlo, cosa ha fatto John Watson stanotte, per me.
 
Lui…
 
 
 
 
 


 
 
-170
 
Sono quasi le due del pomeriggio, e John non è ancora tornato.
 
 
Ho detto all’infermiera che non c’era alcun bisogno di allarmarsi, che sarebbe bastata un’aspirina. Non ha voluto ascoltarmi.
 
Mycroft è piombato qui pochi minuti dopo.
 
Le ruote della sedia erano piene di sabbia, il sedile umido, i miei capelli ancora bagnati… Gliel’ho letto negli occhi, che aveva capito tutto.
 
John avrebbe sistemato il Titanic appena uscito dalla doccia, ma abbiamo fatto troppo tardi… l’infermiera del mattino è arrivata prima di lui.
 
 
 
Mycroft ha allontanato le guide dal letto, e la sedia.
 
Mi ha praticamente relegato qui, un prigioniero che non necessita di catene.
 
Io…
 
 
MYCROFT!
 
 
MYCROFT!!!
 
 
 
 
 
 
Sì ,   S   he   rl   oc    k
 
Dov’è John?
RISPONDIMI!
 
È do v  e   è   g  iu  s   to   ch   e   si    a.   S   u   un    t r   e      n   o   d i   r  e   t  to  a  L  on   dr  a.
 
Tu… TU.  Cosa gli hai dett—
 
 
Oh  ,   n  i e n   te   ch   e n  on   fo  s s   e    l a    ve  r  i t  à.   E,  ch  e  tu   l  o   c r   ed   a  o   me  n  o,   h  a   sce   l to   l  u i    di   an  dar  se  ne.
 
 
 
 


 
 
 
Ha intenzione di ucciderlo prima del tempo?
Sono state queste le sue parole.
 
Devo essergli parso davvero confuso, mentre scendevo l’ultimo gradino delle scale, diretto nella stanza di Sherlock.
 
“Non credo di capire.” Ho ammesso.
 
“Mio fratello. Ha la febbre, e chissà che altro potrà svilupparsi in un corpo fragile come il suo, dopo la vostra idea geniale. Non ritiene che almeno gli ultimi mesi dovrebbe passarli in modo tranquillo?!”
 
“Gli ultimi mesi?” Propri non riuscivo a capire.
Non ho mai pensato, neanche per un secondo…
 
Dio, come ho fatto ad essere così stupido?
 
 
Avrei dovuto immaginarlo. Capirlo.
 
Forse non ho voluto volontariamente soffermarmi su i dettagli, gli indizi…
 
Non…
 
La verità è che sono un egoista.
 
Ho visto morire troppe persone, e…
Se tornassi indietro passerei ogni minuto a cercare di convincerlo che non sia la scelta giusta.
 
Ma lo penso davvero?
 
Forse per lui lo è. Sono io che non riesco a immaginare di… di…
 
Se fossi stato al suo posto, probabilmente, avrei fatto lo stesso.
 
È solo…
 
 
È solo che la sua vita lo rende infelice.
Ma il fatto che viva… di saperlo vivo, rende felice me. E Dio solo sa da quanto non mi sentissi così.
 
Neanche riesco a capire perché la prospettiva che ci sia una scadenza mi sconvolga tanto.
Tutti moriamo. Tutti i cuori si fermano.
 
Ma il suo…
 
Assurdo. Non sembro neanche un fottuto medico.
 
L’unica cosa che so è che non ha bisogno di qualcuno che lo spinga a cambiare idea. È la sua vita. E ha il diritto di scegliere.
 
 
Ed io…
 
 
Io ho bisogno di dimenticare la sua voce. I suoi occhi.
 
 
Lui.


 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Non credo di aver mai scritto, credetemi, niente di più complicato delle ultime riflessioni di John.
Mi rendo conto che appaiano sconnesse, ma… ad un certo punto il magone che sentivo mi ha fisicamente impedito di comporre frasi dotate di una struttura degna di questo nome.
 
Con questo capitolo, lo avrete capito, comincia la discesa nell’angst vero e proprio. Vi chiedo scusa già da ora. ^_^’
 
 
Grazie, come sempre, per aver letto fin qui, e per tutte le bellissime recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo.
Prometto di rispondere il prima possibile.  :)
 
A presto,
B.
   
 
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