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Autore: Wellesandra    23/08/2016    11 recensioni
Miranda Enoch è la secchiona della scuola, amante della chimica e con un’intolleranza allo sport.
Durante un forte temporale avrà bisogno di aiuto, e chi può soccorrerla, se non Aaron, il quarterback della squadra di football?
Storia partecipante al contest sui cliché indetto sul gruppo di FB “EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni".
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Troppo bello per essere vero

La signorina Scarlett O’Neal portava sempre le labbra tinte di rosso. Mai che passasse un giorno senza il suo rossetto. Sorrideva sempre, anche se senza motivo. Una volta le chiese il perché e la sua risposta fu:  “Il lavoro è passione. Se non sorrido a ciò che mi piace, come posso pretendere che i miei alunni imparino qualcosa?”.
Miranda ebbe la sua prima lezione di vita.
La letteratura non era il suo grande amore, preferiva immergersi nel mondo della chimica e della fisica e districarsi tra i vasti e complicati labirinti delle formule da applicare.
Tuttavia, la signorina S. riusciva ad intrappolarla nel mondo letterario e le aveva fatto capire che era vasto tanto quanto quello scientifico. Leggendo le opere consigliate a inizio anno scolastico, si rese conto che era l’unica a sorridere, a ridere o ad imbronciarsi per le situazioni che si susseguivano tra le righe. Nella sua classe questo era sinonimo di pazzia.
Era inevitabile che avesse la fama della secchiona, però non si sentiva tale: amava lo studio, ma non metteva da parte le sue passioni personali per sgobbare sui libri.
Accanto a quella nomea si aggiungeva la sfiga. Quando doveva aprire l’armadietto, i libri che aveva in mano cadevano. Una volta aveva provato ad appoggiarli a terra, ma lo sportello di acciaio non ne voleva sapere di aprirsi e, mettendo troppa forza, le andò dritto in faccia. Per un paio di giorni aveva avuto un bernoccolo in fronte.
Inciampava spesso, cadeva dalle scale almeno cinque volte a settimana e alcune volte aveva persino sbagliato bagno. Ovviamente le sue vicissitudini non avvenivano in privato ma davanti a tutti, compresi gli studenti più popolari. Imbarazzata, doveva subirsi le prese in giro di quei privilegiati cui tutto era dovuto e patire, così, nomignoli come: “Miranda, ti puzza la mutanda!”, “Miranda, nessuno la feconda!”. Non sapeva da dove uscissero offese del genere, ma le scivolavano addosso come acqua fredda. In alcuni casi ghiacciata, ma la conclusione cui arrivava era la stessa, ossia che se si è identificati in un certo modo, non c’è possibilità di cambiamento.
Quella giornata, in particolare, non poteva che finire nei peggiori dei modi.
Il temporale improvviso era stato troppo per la sua vecchia automobile, che aveva deciso di abbandonarla prima con una ruota bucata, poi con la fusione del motore. O almeno pensava che fosse il motore.
Era quello il motivo per cui si ritrovò zuppa bagnata a fare autostop alle vetture che sfrecciavano sulla via, ma l’unica cosa che otteneva era del fango sui vestiti, qualche schiamazzo e dito medio.
Stava per perdere ogni speranza quando un fuoristrada nero e lucido si affiancò al ciglio della strada.
Miranda buttò i capelli indietro, alzò gli occhiali sul naso e aspettò che il finestrino si abbassasse per parlare a quell’anima buona.
Quando i suoi occhi incontrarono Aaron Manning si sentì morire. Il quarterback era per antonomasia il ragazzo più bello del liceo e lui non era l’eccezione che confermava la regola. I capelli dai riflessi rossi, gli occhi verde scuro, quel sorriso tanto malefico quanto magnetico che le procuravano brividi lungo la schiena…
Era la copia più giovane di Michael Fassbender.
Mira deglutì, pronta a fare dietrofront e darsela a gambe: in fondo, casa sua non distava molto, l’unico guaio era lasciare lì l’automobile.
«Serve aiuto?»
«Uh… sì, cioè no… ho deciso che posso andare a casa anche a piedi. »
Lui aggrottò le sopracciglia e Mira stava per dire addio al mondo.
«Non credo. Sali o ti beccherai qualcosa e il progetto di chimica andrà in fumo. »
«Ti bagnerei l’auto. »
«Non è un problema. »
«E ho i vestiti sporchi di fango. Sai quanto ci vuole a togliere il fango dalla tappezzeria? » Scosse la testa.
«Non ne hai la più pallida idea.»
Mira si accorse che si stava innervosendo perché le nocche della mano che stringeva il volante erano diventate bianche.
«Sali oppure no? Non voglio perdere altro tempo. »
«Sì, grazie. »
La ragazza andò prima a prendere la borsa nel proprio catorcio, tirò poi via le chiavi e tornò velocemente da Aaron. Aprì lo sportello ed entrò. L’automobile profumava di nuovo. Tutto era in ordine, non c’era traccia di polvere; perfino con la pioggia, il tergicristallo sembrava risplendere.
Aaron posò il proprio cellulare nel cruscotto e, così facendo, lei percepì il suo profumo. Non lo aveva mai visto così da vicino: la polo blu fasciava i pettorali e metteva in mostra i bicipiti.
«Io sono Aaron Manning.»
«Frequentiamo lo stesso liceo.»
Lui inarcò un sopracciglio, aspettando che continuasse.
«E il tuo nome è…?»
«Miranda. Miranda Enoch. »
«Bene Miranda Enoch, dimmi dove portarti. »
Dopo che gli aveva dato le giuste indicazioni, rimase in silenzio. Mira si torturava le mani, pensando a cosa poter dire per rompere il silenzio, ma non le veniva in mente niente di niente. Non che lui sembrasse intenzionato a qualche tipo di discussione, anzi. Sebbene lo ricordasse molto aperto e cordiale, in quel momento sembrava infastidito da qualcosa. Sospirò, voltandosi verso la finestra. Le goccioline si asciugavano velocemente, lasciando solo una scia che si accorpava ad altre, e ad altre, e ad altre ancora, fino a diventare un vero e proprio fiume in piena.
Si stavano avvicinando a casa sua e Miranda non vedeva l’ora di buttarsi sul suo comodo letto e dimenticare presto quella storia.
«Se giri di qua facciamo prima. » Gli disse, indicando una stretta stradina subito sulla sinistra.
Lui fece come gli era stato detto. Percorse qualche centinaio di metro, fino ad arrivare ad un incrocio.
«Ora sempre a sinistra. »
«Abiti nei pressi del boschetto. »
Miranda sorrise. «Sì. »
«Ci sei mai stata di notte? È uno spettacolo. »
Poteva immaginare cosa andasse a fare, di notte, nel boschetto degli innamorati, come lo chiamavano tutti. Alcuni ritenevano che certe zone più isolate fossero tenute d’occhio dai fantasmi.
«Che tipo di fantasmi? »
Aveva parlato ad alta voce?
«Non lo so. Io… non l’ho mai esplorato tutto. Però, da quello che dice la gente, alcuni luoghi erano alcove d’amore, altri di tragedia.»
«Sì, dei luoghi tristi ne ho sentito parlare anche io. Ma i fantasmi mi sono nuovi. »
Lei si voltò a guardarlo, meravigliandosi di incontrare i suoi occhi. Poi lui le sorrise e il suo piccolo cuoricino schizzò fuori dal petto, letteralmente.
Il suo viso andò a fuoco e cercò di abbassare il finestrino, ma abituata alla manovella del suo catorcio, non capiva qual era il tasto giusto da premere.
«Se batti due volte le nocche sul finestrino, si abbasserà da solo.»
Mira fece come le aveva detto lui e, magicamente, il vetro si abbassò. Ignorando la pioggia che non era ancora cessata, si concentrò sulla risata di Aaron.
«Sei proprio un’imbranata.» Commentò lui, continuando a ridere sommessamente.
«Senti, ma perché ti appioppano quei soprannomi? Perché proprio “Miranda, ti puzza la mutanda?”»
Con un sospiro, Mira provò a cercare le parole giuste per non farla sembrare una deficiente.
«Un giorno mia sorella aveva pensato bene di far essiccare del pesce in giardino. Il problema era che aveva appoggiato quel pesce sui miei vestiti. Il giorno dopo, poiché stavo facendo tardi, avevo messo addosso le prime cose che erano capitate.»
«E non sentivi uno strano odore?»
«Certo che sì! Soltanto che non avevo capito che si trattava proprio di me!»
Aaron scoppiò a ridere e Mira si sentì piccola piccola.
«Okay, sono arrivata. »
Appena Aaron si fermò lei scese via, salutandolo velocemente. Da lontano vide sua sorella Phoebe e maledisse mentalmente quella giornata. Ci mancava solo che la vedesse in compagnia di un ragazzo…
«Aspetta! Ho chiamo il carro attrezzi e ho dato le giuste indicazioni. Che ne dici di lasciarmi il tuo numero? Così potranno chiamarti quando la tua auto sarà pronta. »
Mira guardò prima a sinistra, cercando di stabilire quanto distava sua sorella. Le sembrava che Phoebe avesse accelerato, ma non poteva giurarci. Snocciolò via il numero e corse in casa, chiudendosi la porta alle spalle.  Lo sentì allontanarsi e sospirò di sollievo, per poi scappare in camera sua.
«Chi era quello gnocco?» Phoebe entrò sparata nella stanza, gettandosi sul letto. Mira si morse il labbro e alzò gli occhi sul volto sorridente che aveva di fronte.
«Gnocco? È un termine preistorico. »
Phoebe fece spallucce. «Adatti alla mi età. Allora? Chi era? »
Miranda e sua sorella avevano quasi dieci anni di differenza. Avevano un bellissimo rapporto, parlavano di tutto ciò che interessava ad entrambe e a volte si sfogavano a vicenda. Le passioni erano diverse: lei era la secchiona sfigata, con tanto di occhiali e foruncoli, che fortunatamente iniziavano ad essere sempre più rari. Phoebe, invece, era… strordinaria. Non bellissima, ma appariscente e carismatica. Condividevano lo stesso colore degli occhi, ma mentre su di lei gli occhi grigi sembrano grigio topo, su Phoebe erano un bellissimo grigio ardesia. Tempestosi, carichi di tante promesse quante delusioni e con qualche sfumatura azzurra.
«Mira? »
«Sì scusami. È Aaron Manning. Frequenta il mio stesso liceo. »
«Aspetta! Quell’Aaron Manning? Il quarterback? »
«Esatto. » Annuì Mira. «Mi ha riaccompagnata a casa dopo che il catorcio si è fermato per strada. Anzi, prima si è bucata una ruota, poi il motore è morto. »
Le raccontò per filo e per segno tutto ciò che era successo. Phoebe sembrava così attenta ad ascoltarla che Miranda decise di dirle davvero tutto, anche le sue esitazioni, il cuore che batteva veloce, la gaffe
«Gli hai lasciato il tuo numero di telefono? » Ripeté sua sorella.
«Sì, così quando la macchina è pronta vado a recuperarla all’officina meccanica. »
Phoebe inarcò un sopracciglio. «Sveglia Mira. Gli hai dato il tuo numero di telefono. Sei davvero così stupida da credere che lo abbia fatto per il carro attrezzi? » Scoppiò a ridere e scese dal letto. «Povera, piccola la mia sorellina ingenua. »
«Cosa stai dicendo? »
Gli ingranaggi del cervello iniziarono a mettersi in moto, scartando le varie possibilità.
Numero uno, Aaron Manning non era il tipo da chiedere il numero di telefono ad una ragazza, ma al contrario se li ritrovava dappertutto, nell’armadietto, sul banco e forse perfino nelle mutande.
Numero due, di certo non lo avrebbe chiesto a lei, la secchiona sfigata. Tutti, ma proprio tutti la prendevano in giro. I cori, le battutine e anche i biglietti lasciati di proposito, in modo che lei li trovasse e li leggesse davanti ad occhi curiosi. Non c’era anima viva in quella scuola, se non per i suoi compagni del corso di chimica, che la rispettassero per quello che era. Era sicura che Aaron Manning non fosse diverso dagli altri, che più volte si era accodato con i suoi amici alle prese per i fondelli.
Numero tre, il fatto che si fosse fermato non significava proprio nulla. Dimostrava che, forse, a dispetto delle apparenze, aveva più cuore dei suoi coetanei. Non a caso aveva avuto la conferma che gli aveva dato fastidio fermarsi: non si era innervosito? Certo che sì. Aveva percepito e visto con i propri occhi la sua frustrazione.
La battuta sul boschetto? Palle. Chi non voleva mettere in imbarazzo una secchiona sfigata vergine?
«Mira? »
«Uh? »
«Non pensarci troppo, davvero. » Le sorrise. «L’unica cosa che ti consiglio è quello di sdebitarti. Non vorrai di certo avere un debito con uno come lui?! »

Dall’altra parte della città, sdraiato sul proprio letto ad ascoltare musica, Aaron sorrideva. Con gli occhi chiusi e le cuffie che lo aiutavano ad isolarsi dal resto del mondo, ripercorreva mentalmente quella giornata.
Non era sicuro che fosse proprio lei, ma conosceva abbastanza bene Miranda Enoch, perché era una delle secchione della scuola e su di lei giravano battutine come  “Miranda l’immonda!”. Era sicuramente la ragazza più smemorata che avesse mai incontrato e anche una che non aveva mai conosciuto il mondo, visto che non sapeva neanche come abbassare un finestrino.
Non sapeva come gli era venuto in mente di chiederle il suo numero di telefono e non pensava che lei glielo avrebbe dato così, senza neanche pensarci.
Ora gli toccava solo pensare alla scusa perfetta per parlare. Ma cosa poteva dirle? Che l’aveva trovata buffa e a tratti adorabile?
Per i dieci minuti che avevano passato insieme, lei aveva quasi del tutto evitato di guardarlo in faccia ma a lui non erano sfuggiti i lineamenti delicati del suo volto.
Comunque Aaron non era mai stato uno che si preoccupasse dell’aspetto fisico. Aveva avuto le sue avventure non tanto innocenti con le ragazze più belle della scuola e non, ma erano durate quanto un battito di ciglia. Il motivo era che non l’avevano mai attratto: i sorrisini, le risatine e la compiacenza erano tutte cose che a lui non interessavano.
Nessuno lo conosceva, però. Tutti sparavano a zero su di lui solo perché era il quarterback e perché aveva un bel viso. Chissà quale sarebbe stata la reazione di tutti se avessero saputo che gli sarebbe piaciuto fare lo psicoterapeuta.
Quando Artemide, il suo barboncino- che, per la cronaca, era capace di sbranare chiunque come se fosse uno squalo- corse giù, capì che qualcuno aveva bussato alla porta. Si tolse le cuffie e seguì quell’uragano del suo cane, che abbaiava e grattava la porta di legno.
«Arrivo, arrivo! Calmati Artemide, vediamo chi sarà la tua prossima vittima. »
Quando aprì, il volto imbronciato di Miranda lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Una vera e propria ironia per quella giornata piovosa.
«Proprio nessuno» mormorò.
Se possibile, lei corrugò ancora di più la fronte. «Cosa? »
«Niente, parlavo con Artemide, cioè lei… il cane. »
Mira abbassò gli occhi sulla palla di pelo bianca e sorrise.
«Ciao. Artemide, eh? Proprio un bel nome, adatto ad un guardiano come te. Sì? Uh? Chi è il cane più bello del mondo? »
Se non lo avesse visto con i propri occhi, Aaron ci avrebbe creduto. Quella traditrice del suo cane si accucciò ai piedi di Miranda e lasciò che lei le accarezzasse la testa pelosa.
«Sì okay d’accordo. » Sbottò, spalancando la porta.
«È il tuo lasciapassare.»
Mira alzò gli occhi su di lui, rimettendosi in piedi. Si sistemò gli occhiali sul naso e si schiarì la gola. Strano, aveva l’impressione di trovarsi di fronte un avvocato.
«Devo parlarti.»
«Entra pure. »
«No. Io… io credo che qui vada bene. »
«Hai qualcosa che non va contro le mie cose? » Le chiese Aaron. «Perché prima non vuoi entrare in auto, ora in casa. Non sono un serial killer e i miei saranno qui tra pochi minuti. »
Più o meno.
Miranda sembrava ci stesse pensando. Spostava il suo peso da un piede all’altro, dondolandosi come in preda ad una marea.
«Voglio solo ringraziarti. »
«Puoi farlo davanti ad una tazza di tè. O cioccolato, o caffè.»
«L’acqua va bene. » Mira chiuse gli occhi e scosse la testa. «D’accordo, entro. »
Artemide abbaiò per la felicità e, quando lei finalmente si decise di mettere piede in casa, chiuse la porta alle sue spalle.
La condusse in cucina, indicandole uno sgabello dove sedersi. Miranda si accomodò e si schiarì la voce.
«Volevo ringraziarti per ciò che hai fatto, oggi. »
«Non c’è di che. »
«No, davvero. Mi sono resa conto di non averlo fatto, e non so come sia stato possibile. Ad ogni modo, grazie. »
Aaron la guardò negli occhi. Fuori era buio e la luce soffusa non aiutava a scoprire le venature di grigio che creavano quel colore così scuro, ma avrebbe scommesso ogni cosa che c’era sotto qualcos’altro.
«Prego, Miranda. »
Lei si torturava le mani, poi passò al labbro. Sobbalzò, quando quel cane traditore le saltò in grembo per farsi accarezzare. Mira l’accontentò, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Voglio sdebitarmi. »
La cosa diventava interessante. Aaron sorrise sornione, mentre prendeva due bicchieri e acqua fresca.
«Va bene questa? Altrimenti posso prendere quella a temperatura ambiente dalla dispensa. »
«Va benissimo. »
Le versò l’acqua continuando a sorridere. Cosa aveva in mente?
«Come pensi di sdebitarti, Miranda? »
Quando lei si agitò sulla sedia, pensò di aver esagerato.
«Non lo so. Cosa ti serve? »
Lui picchiettò le dita sul tavolo, fingendo di pensarci. A parte che non gli serviva nulla, ma poi per chi lo aveva preso?
«Ci ho pensato e, no, non mi serve nulla. Mi spieghi cosa ti prende? »
«Mi sembra il minimo,» rispose lei, arrossendo. «Come facevi a sapere del mio progetto di chimica? »
«Cosa? »
E questo ora come glielo spiegava?
«Hai sentito. »
«Mi piace osservare, e tu avevi in mano delle ricerche specifiche.» Sputò fuori lui, sorprendendo se stesso per la sincerità.
«Quindi osservi tutti? »
«No, solo i più interessanti. »
Lei arrossì di più. Si accoccolò al petto Artemide, che si era appisolata sul suo braccio e si schiarì la gola.
«Dimmi cosa posso fare per sdebitarmi. È importante per me. »
Aaron la osservò bene.
«Forse c’è qualcosa. »
                                        
   ***

 
Miranda sperava con tutto il cuore che Aaron le chiedesse delle ripetizioni. Già si era immaginata le giornate passate sui libri, magari quelli di chimica, una materia in cui lei eccelleva e che altri trovavano ostica. Pensava di incontrarsi a scuola e usufruire del laboratorio, per mettere in pratica gli esperimenti.
Invece Aaron aveva avuto la brillante idea di fare delle escursioni.
“Ti divertirai”, le aveva detto, come se l’aria aperta le facesse bene. Non aveva il fisico adatto per camminare, figurarsi farlo al fianco di un atleta. Gesù, ma perché aveva accettato?
La sera precedente per lei era stata una rivelazione: presentarsi a casa di un ragazzo, e non uno qualsiasi, non era un suo tipico comportamento. E avere la faccia tosta di chiedergli come voleva che si sdebitasse?
Si coprì il volto con le mani, per l’imbarazzo. Gli aveva praticamente messo su un piatto d’argento un modo per stuzzicarla e metterla a disagio! Aaron però era stato gentile: se la stessa mattina aveva detto di proposito delle parole per farla arrossire, il pomeriggio non aveva colto la palla in balzo. Ovviamente non si aspettava che potesse provare per lei un trasporto tale da avere voglia di stuzzicarla. Eppure lo sguardo da chi era pronto a fare una battuta ce l’aveva.
Scosse il capo. «Insomma, datti una calmata. »
 Annodò i capelli in una coda di cavallo alta e pettinò con le mani la frangetta.
Forse dovrei iniziare a farli crescere e a metterli di lato, così gli occhi risaltano.
Guardò la sua immagine allo specchio e sgranò gli occhi. Cosa stava combinando? Aveva quella pettinatura da anni e non le era mai venuto in mente di cambiare.
Ora invece? E per quale motivo?
Mentre si malediceva da sola, prese gli occhi e il giaccone e scese in cucina. Phoebe era seduta su una sedia, a sorseggiare un tè, quando alzò gli occhi su di lei.
«Dove devi andare?»
«A fare un’escursione. »
«Ma chi, tu? »
«E chi altri? » Sospirò e si buttò sul divano. Prima che potesse raccontarle tutto, bussarono alla porta. Miranda si precipitò ad aprire, sicura che fosse Aaron.
Gli occhi verdi si abbassarono sul suo viso e sorrisero, coinvolgendo anche le labbra.
Solitamente non era il contrario? Dio, ma che pensieri erano?
«… andare? »
Si riscosse in tempo per sentire l’ultima parte.
«Possiamo andare? Certo! Aspetta solo che prendo la borsa! »
La prese dalla cucina, mandò un bacio a sua sorella e si precipitò all’ingresso.
«Sono pronta. Dove siamo diretti? »
Si chiuse la porta alle spalle e camminarono uno a fianco all’altra.
«Sei più entusiasta di quello che avevi fatto pensare ieri. »
«In realtà, » iniziò Mira, «non sono portata per lo sport. E camminare non mi piace affatto. »
«Ti farò cambiare idea. »
Ci scommetto, pensò lei abbassando il capo.
«Andiamo al boschetto, d’accordo? »
«Che? No! »
Aaron inarcò le sopracciglia. «Perché? »
«È il boschetto degli innamorati! Sai quante coppie troveremo lì? »
«E quindi? » Aggiunse lui, facendo spallucce. «A noi cosa interessa di quello che fanno gli altri? Dobbiamo solo esercitarci a camminare e il boschetto è il luogo perfetto per iniziare. Ci sono delle salite, delle discese, strade dritte. C’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. »
Arrivarono al boschetto dopo pochi minuti e lei pensò di aver messo piedi all’inferno. Gli alberi spogli davano l’idea di braccia esili e malvagie, pronte ad afferrarla e bloccarla lì. Il tappeto di foglie rosse e gialle era, invece, la cosa più bella presente in quel luogo: di tanto in tanto vedeva anche degli scoiattoli che correvano via.
Camminarono per un po’ in assoluto silenzio, Aaron senza nessuna difficoltà, Miranda invece con qualche problema: era inciampata già otto volte, stava per cadere in una buca e non aveva visto il tronco di un albero a cinque centimetri dal suo naso. Se lo massaggiò, imprecando contro la natura che era spietata fino al midollo.
«Spiegami perché stai facendo questo. » Disse all’improvviso, fermandosi in mezzo a due pini, dallo splendido color verde smeraldo, con le mani ancora sul naso.
Aaron si voltò verso di lei. «Cosa intendi? Sei tu che volevi sdebitarti. »
«Sì, ma non in questo modo.»
Incrociò le braccia al petto e aspettò che lui si avvicinasse. Infatti, dopo pochi secondi, fece dei passi nella sua direzione.
«Cosa vuoi chiedermi esattamente, Miranda? »
Lei deglutì, perché in fondo non sapeva come mettere in chiaro le cose.
«Segui il mio ragionamento.» Iniziò lei, guardandolo dritto negli occhi. Assomigliavano così tanto a quello dei pini circostanti…
«Il quarterback della squadra, nonché il ragazzo più popolare della scuola, bello e anche intelligente, accompagna a casa una povera sfigata secchiona come me. »
Si fermò, aspettando che annuisse.
«Mi trovi bello e intelligente? » Domandò, invece, lui.
«Non tergiversare! Allora, tu mi riaccompagni a casa, ed è stato un gesto gentile, assolutamente. Te ne sono grata, visto che nessuno si è fermato per darmi una mano, come se avessi la lebbra. E anche in quel caso…»
Scosse la testa.
«Ad ogni modo, perché vuoi passare del tempo con me? Perché è quello che vuoi fare e non negarlo. »
Aaron la studiò. Il suo sguardo divenne più freddo e Mira rabbrividì. Non voleva farlo arrabbiare né infastidire, ma aveva la necessità di capire come si mettevano le cose.
«Sei così insicura di te e non capisco il motivo. » Mormorò lui con occhi spenti. Poi si schiarì la voce, ritornando apparentemente quello di prima.
«Cosa vuoi che ti dica? Mi serve una scusa per staccare dalla mia noiosa routine. »
«D’accordo, ma se uno come te va in giro con una come me, cosa pensi possa accadere? »
«Niente? » Rispose di getto lui. «Cosa accade? L’Apocalisse? »
Miranda si rilassò, mentre lui le rispondeva a tono.
«Quindi, cos’è che ti preoccupa davvero Miranda? Che qualcuno ti dia importanza? Be’, allora rassegnati. »
Lei sorrise. «D’accordo. »

Passarono tre settimane, durante le quali Mira ed Aaron si incontrarono quasi ogni pomeriggio, per esplorare gli angoli più remoti della loro cittadina. Trovandosi nello stato del Minnesota, precisamente situati nel nord-est, era difficile stabilire quali boschi e foreste erano migliori per le loro escursioni. La loro assomigliava tanto ad una avventura infinita, grazie alla vastità di scelta che avevano a disposizione. Miranda iniziò a pensare che, sotto sotto, camminare non faceva poi così schifo e che i calli ai piedi erano sopportabili, se ad ogni passo c’era qualcuno che evitava di farla cadere.
“Ti massaggio i piedi o ti tengo in piedi, a te la scelta”, le disse Aaron, quando lei cercò di opporsi a camminate estenuanti. Mira rise, per la scelta accurata di parole.
Non gli avrebbe mai permesso che la toccasse, quindi fu facile scegliere.
«Non pensi di star mettendo da parte i tuoi allenamenti?»
Domandò all’improvviso, piegandosi in due per prendere aria.
«Cosa? No! Mai. »
«Ma se ogni pomeriggio lo passi con me, a perdere tempo in boschi sconosciuti e foreste pieni di pini e abeti! »
«Lo facciamo durante un orario adeguato per entrambi, come avrai ben notato. »
Non poteva contraddirlo. Lo seguì lentamente, appoggiando le mani a terra, tra le foglie marroni che si disgregavano ad ogni passo. Nonostante quei piccoli inconvenienti, l’aria aperta aveva reso la pelle di Miranda molto più viva. Non abbronzata, e del resto sarebbe stato impossibile sia perché era inverno, sia perché odiava che la sua pelle prendesse colore, ma era molto luminosa e rosa. Constatò anche che le sue tanto odiate occhiaie violacee erano man mano sparite, lasciando posto solo ad un leggero alone, che non le dava fastidio.
“Mi serve una scusa per staccare dalla mia noiosa routine”, le aveva detto all’inizio, e lei trovava questa spiegazione molto incoerente.
«Aaron, ti ricordi quando avevi detto che queste escursioni ti permettevano di abbandonare la tua monotona routine? »
«Sì, perché? »
Le allungò la mano, aiutandola a salire su una roccia. Ogni volta che succedeva sentiva una scossa tra di loro. “Deve essere qualcosa che indossiamo”, le rispose quando glielo fece notare. Sapeva essere così sarcastico, quando voleva.
«Ho delle osservazioni da fare. »
«Spara. »
«Questa che stiamo facendo noi, non è diventata una routine? »
Mentre lo diceva, aveva un po’ di fiatone. Ogni giorno si spingevano sempre più in alto, sempre più oltre, facendo sempre più kilometri. A volte, quando non aveva voglia di indossare la tuta, Aaron saliva fin nella sua camera, con il permesso della sorella di Mira, e la guardava fin quando lei, esasperata, non lasciava i libri.
«Non credo, ma in ogni caso non è diventata ancora noiosa. »
«Molto gentile. » Proseguirono per un po’, fino a raggiungere una lunga distesa verde.
«Ci sediamo un attimo? Sono esausta. »
Non aspettò la sua risposta e si buttò sull’erba, spaparanzandosi con gambe e braccia aperte.
«Solo cinque minuti, poi torniamo indietro. Sta diventando buio. »
Quando lui si sdraiò accanto a lei, Mira riprese.
«Per noiosa routine, ti riferivi al football? Non ti sarai… per caso… annoiato? È quello che vuoi fare davvero? »
Aaron cambiò posizione, incrociando le mani dietro alla nuca. Poi aggrottò la fronte.
«Il football è la cosa migliore che mi sia capitata nella vita. Morirei se non potessi praticare questo sport. Quindi sì, è quello che voglio fare realmente, non solo per imitare le orme di mio padre. »
Questo la spiazzò. Non avevano mai parlato dei propri genitori.
«E no, » continuò lui, «non è questa la routine noiosa. »
Mira si girò, posizionandosi a pancia in giù. Aveva la necessità di guardarlo negli occhi.
«Non guardarmi così.» Le disse lui.
«Non essere irritante, mi metti solo curiosità. »
«Solo? » Inarcò un sopracciglio.
«Cancellalo. Mi metti curiosità. »
«Il che è una bella cosa, visto che non sei la persona più curiosa al mondo. Su questo punto mi sono ricreduto. »
«Come? »
«Se tu fossi stata curiosa, avresti conosciuto le aree verdi più vicine a casa tua. E invece a stento hai fatto un giro nel boschetto. »
«Ma non significa nulla! » Sbottò Mira, alterandosi. «Sono curiosa di altre cose, non delle… escursioni. »
Un leggero vento si era alzato, portando le foglie cadute fino a loro. Miranda ne prese una tra le dita, girandola su se stessa. Più la osservava, più la associava ad Aaron.
«E allora da cosa scappi? Per preferire me ai tuoi amici, significa che la cosa è grave. »
Aaron sbuffò, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, erano diventati di ghiaccio.
«Non scappo, ma evito. È diverso. Se scappassi, non tornerei mai a casa, a guardare mia madre rientrare tardi di notte, per sparire presto la mattina. Non so neanche se sia fisicamente possibile dormire così poco. » Distolse lo sguardo dal suo.
Miranda pensava che non avrebbe più continuato e invece le parole gli uscirono come una cascata.
«Da quando i miei genitori hanno divorziato, non ho capito più nulla. Trasferimenti, cambio di più case. Ho imparato a cucinare da solo, a vestirmi da solo, a rendere presentabile la casa. Non per gli ospiti, sia ben chiaro, e neanche per me. Non me ne fotte un cazzo di rifare il letto o tenere pulita la cucina. Ma ho sempre creduto che lei, tornando da lavoro, sarebbe stata troppo stanca per occuparsi di chiunque altro. »
Le prese la foglia dalle dita, e la roteava su se stessa, come aveva fatto lei. Erano entrambi così fragili.
«Aaron, non sei costr…»
«Troppo stanca per prendersi cura di me. »
Chiuse la mano in un pugno e la foglia si disintegrò.
Come lo era il cuore di Aaron, pensò Miranda, abbracciandolo.
Dopo pochi istanti lui si staccò malamente da lei. Mira si immobilizzò, quando notò l’espressione sul suo volto.
Amarezza. Contrarietà. Odio.
Deglutì e allungò una mano, per riavere un contatto con lui. Probabilmente aveva sbagliato ad avvicinarsi così tanto. Del resto, non doveva dimenticarsi chi fosse lei, qual era la sua categoria e quale, invece, quella di Aaron.
«Cosa pensi di fare? » Sibilò a denti stretti, con il volto leggermente arrossato.
«N…nulla. Volevo solo…»
«Consolarmi? Dirmi che ti dispiace? Darmi conforto? »
Schivò la sua mano, alzandosi in piedi.
Mira avrebbe voluto fermare quella scena. Si sentì così inferiore a lui, in quel momento, e lo sguardo di fuoco che le stava lanciando confermava ogni cosa. Gli occhi verdi vagavano sul suo corpo, come a cercare la parte migliore da attaccare.
«Non voglio la tua pietà, né quella di nessuno. Ora sarai contenta. »
Si allontanò a grandi passi da lei, come se fosse radioattiva.
«Ti sbagli! Aaron! Aaron, aspetta! »
Provò a seguirlo, ma i piedi si intrecciarono tra di loro e cadde a faccia in giù. Ebbe paura di aver perso un dente e il forte mal di testa che la intontì non aiutò a dissipare quel terrore. Alla sua sinistra, gli occhiali erano rotti: le asticelle erano buttate di lato, ma notò che fortunatamente le lenti erano salve.
Impiegò quasi dieci minuti ad alzarsi. L’oscurità stava calando velocemente,  il vento si era alzato e non c’era nessuna traccia di Aaron.
Cercò di riparare alla bell’e meglio i suoi occhiali, riuscendoci a malapena.
Si guardò intorno, sforzando la vista alla ricerca della strada che avevano preso. Per sua grande sfortuna aveva pensato bene di non prendere il sentiero, ma di tagliare nel mezzo, rendendo la passeggiata più ripida per lei e più divertente per Aaron.
Una lacrima calda le attraversò la guancia. Non voleva fargli venire in mente la parte negativa della sua vita e fu in quel preciso momento che Mira capì di aver rovinato tutto. Per Aaron, quegli incontri, non erano altro che un balsamo da spalmare sulle ferite ancora aperte. Lui si prendeva cura di lei, non nel migliore dei modi, ma cercava di farle conoscere nuovi posti, la tirava su di morale, le portava qualcosa di sano da mangiare e facevano sport. Erano tutte cose a cui non aveva mai pensato fino a quel momento: non le interessava guardarsi intorno, perdendo così la possibilità di conoscere le meraviglie che la circondavano. Se qualcuno la offendeva, si limitava ad ignorarlo e non a pensare che, probabilmente, se prendevano di mira lei forse avevano bisogno di mostrarsi superiori perché avevano problemi ben maggiori. Non pensava che bere di più e mangiare più frutta potesse rendere la sua pelle molto più morbida. E, certamente, non pensava che l’aria aperta la rendesse così felice.
Si asciugò gli occhi e si incamminò piano verso la direzione che aveva preso Aaron. Attraversò il primo gruppo di alberi, abbassandosi e scavalcando quando doveva. Ad un certo punto il suo piede si impigliò in una radice e inciampò, ruzzolando sul terreno. Tentò di fermarsi aggrappandosi con tutte le proprie forze a qualsiasi cosa si trovasse sottomano, ma si rovinò solo le unghie. Le venne di nuovo da piangere.
All’improvviso si sentì esausta: le facevano male le gambe, respirava troppo velocemente e non riusciva a vedere più neanche le ombre per le lacrime.
Voltò la testa, quando sentì un ramo spezzarsi alla sua sinistra. Nel suo campo visivo alterato individuò un paio di stivali da uomo, che non appartenevano ad Aaron. Alzò gli occhi più in alto e notò che un uomo si stava avvicinando a lei.
«Serve una mano?»
La voce era troppo vicina per i suoi gusti. Si alzò velocemente, causando un giramento di testa. Si mantenne al tronco e provò a fingere noncuranza. Senza riuscirci, immaginò, visto che l’uomo continuò a camminare verso la sua direzione.
«No, sto bene. »
«Che ci fa una ragazza sola in un bosco come questo? »
«Un giro. » Fece un passo indietro. Nonostante la distanza, la puzza di alcol le arrivò dritta al naso. Pensò velocemente se le conveniva scappare a gambe levate in una direzione qualsiasi o vedere se lui se ne andava per fatti suoi.
«Sai chi ci viene qui di notte? »
L’uomo sogghignò. Mira deglutì e si preparò alla fuga, quando quello le si buttò addosso, atterrandola. Batté la testa sul fusto dell’albero e lottò con tutte le proprie forze per evitare di svenire. Intanto, quello che le sembrava essere un maniaco psicopatico, cercò di tenerla ferma in tutti i modi possibili. A Miranda arrivavano solo parole senza senso, frasi sconclusionate e la puzza insopportabile. Riuscì ad assestargli un colpo dove non batteva il sole e, quando lui si abbandonò a terra dolorante, lei si fece forza e tentò di rialzarsi.
Tutto le girava in tondo e si inginocchiò di nuovo, senza forze.
«Maledetta puttana! » Biascicò il barbone, sollevandosi più velocemente di lei. «Ti faccio vedere io…»
Miranda urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, tappandosi le orecchie e chiudendo gli occhi. Portò le gambe al petto e le strinse forte, per evitare che lui gliele potesse aprire con la forza.
Quando, dopo qualche secondo che le sembrava eterno, non sentiva nessuno che la toccava, smise di strillare e aprì gli occhi. Di fronte a lei, c’era un’altra figura, alta e robusta e si rilassò subito. Gli occhi l’abbandonarono del tutto, quando scoppiò a piangere a dirotto e le braccia forti di Aaron la strinsero.
«Mira! Dio, mi dispiace tantissimo…»
Non aveva la forza di aprire gli occhi, né di dirgli che lo odiava con tutto il cuore.
«Non vol… scusami. »
Quello che pensò Miranda in seguito fu che, con molta probabilità, si era addormentata. Quando riprese i sensi si trovò fuori la porta di casa sua. Aaron cercò nel suo zaino le chiavi di casa, mantenendo lei in braccio. Come ci riuscisse non lo sapeva. Si accoccolò al suo petto, non pensando a quello che poteva succedere se Phoebe…
Aaron la adagiò sul letto e quando appoggiò la testa sul cuscino, tirò un sospiro di sollievo. Lo sentì allontanarsi e aprire l’acqua per riempire la vasca.
«Miranda? »
«Scusami, » mormorò lei. «Sono esausta e non riesco ad aprire gli occhi. Penso di essermi addormentata prima. »
«Non devi essere tu a giustificarti. »
La sua voce si incrinò. Le accarezzò i capelli lentamente, proprio come piaceva a lei, dall’attaccatura fino alle punte.
«Voglio chiederti perdono. Non c’è scusa per il mio comportamento. Dio, se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. »
Miranda incontrò il suo sguardo velato dal dolore e il cuore le si strinse. Tentò di mettersi seduta e con grande sollievo ci riuscì senza troppi problemi.
«Appena mi sono reso conto di quello che avevo fatto, sono tornato indietro. Non ti ho trovato dove ti avevo lasciata e mi è preso il panico. » Continuò lui. «È stata solo fortuna. » Mormorò infine.
Miranda sapeva cosa voleva dire. Se avesse preso una direzione diversa, a quest’ora lei poteva essere morta. Rabbrividì al pensiero.
«Senti freddo? Ti sto preparando un bagno caldo e ho mandato un messaggio a tua sorella. Sarà qui tra pochi minuti. »
Andò di nuovo in bagno, chiuse il rubinetto e ritornò da lei. Più lo osservava, più Mira non riusciva a provare astio nei suoi confronti.
«Io…  non so… non so come farmi perdonare. »
«Aaron, non c’è bisogno di tutto questo. È stato un fraintendimento. »
«Come puoi dire una cosa del genere?»
«La dico perché se io mi fossi fatto gli affari miei a quest’ora non ci troveremo in questa situazione. Non credo che tu abbia reagito nel migliore dei modi, e sicuramente è un’esperienza che non dimenticherò mai. Ma ti prego, ti prego, smettila di torturarti. »
Aaron le prese la testa tra le mani e la baciò. Un bacio che da casto, si tramutò presto in un turbinio di passione. Le socchiuse la bocca con la lingua e, quando Mira rispose al bacio, lui approfondì.  Miranda sentiva tutta la sua presenza: un ammasso di muscoli sopra di lei, che le toglieva il respiro. Gli circondò le spalle con le sue braccia, e tutto le apparve molto più grande, molto più…
Mira emise un gemito e Aaron rispose abbassandosi ancora di più su di lei, esplorandole la bocca e facendo scivolare le mani lungo la schiena. All’improvviso le forze le tornarono: gli afferrò i capelli, inarcandosi verso di lui. Percepì uno strano calore nel basso ventre e di scatto chiuse di più  le gambe. Non pensava che baciare potesse essere così bello. Non lo aveva mai fatto prima, eppure poteva giurare di conoscere perfettamente le labbra di Aaron.
Quando si staccarono avevano entrambi il fiatone. Lui le teneva ancora la testa tra le mani e gli occhi erano velati dall’eccitazione.
«Ho fatto… ho fatto qualcosa di male? » Gli chiese, sbattendo gli occhi. Fu ripagata da uno dei più bei sorrisi al mondo.
«No, è solo arrivata tua sorella. »
Mira si sforzò di ascoltare i rumori di sottofondo, ma tutto ciò che percepiva era il sangue nelle sue vene e il battito del suo cuore.
«Avrei voluto dirtelo prima, in un momento diverso, ma tant’è. Ci sarà una festa venerdì, nella palestra della scuola. Non so bene i dettagli, ma hanno chiesto un permesso speciale al preside per festeggiare le vittorie fatte di seguito dalla squadra. Vuoi accompagnarmi? »
«Io penso…»  Fu interrotta da sua sorella, che entrò nella stanza come un uragano.
«Mira! Che diavolo è successo? »


Raccontare tutto a sua sorella non fu difficile, ma nemmeno tanto facile. La parte facile fu la prima, tutto l’abaradan che era accaduto. Quella difficile era il dopo. Il sorriso a trentadue denti che le rivolse non la tranquillizzò affatto. Era tutta un “ovvio che devi andarci!”, “ma perché non gli hai detto subito di sì?”, e Mira cercava di rispondere dicendo che era entrata in scena come una pazza scatenata e quindi non c’era stata possibilità.
Possibilità che, invece, si era presentata a scuola, quando Miranda raggiunse Aaron sul campo. Tutto stava procedendo bene: il progetto di chimica era andato alla grande, non era inciampata ed era più sorridente del solito.
Mira aspettò Aaron sugli spalti, con i libri ancora tra le mani perché era troppo emozionata per andarli prima a posare. Lo vide immediatamente: sebbene tutti, ma proprio tutti, avevano un fisico statuario, Aaron emanava un’energia diversa, che lo contraddistingueva da tutti gli altri.
Non si aspettava che lui cambiasse atteggiamento nei suoi confronti. In fondo, pensava continuamente, si era trattato solo di un bacio che, sebbene fosse stato il primo per lei, non era stato nulla di che per lui. Eppure sperava di non dover rinunciare ai loro incontri quotidiani, alle escursioni che l’avevano fatta crescere nelle ultime tre settimane, malgrado l’ultima era da dimenticare.
Con la coda dell’occhio notò Crystal Evans, accompagnata da Ashley Foster e Kate Green. Era il trio della perfezione, le classiche presenze che non possono mancare in un liceo che si rispetti. Sapeva che qualche tempo fa Aaron era stato fidanzato proprio con Crystal e che poi lei lo aveva lasciato perché non si sentiva importante per lui. Le veniva difficile credere una cosa del genere, conoscendo almeno un po’ Aaron.
Le ignorò, godendosi invece lo spettacolo che aveva di fronte. Pensò che poteva iniziare ad esercitarsi per bene e iniziare a praticare uno sport adatto a lei. Poteva chiedere consiglio proprio ad Aaron, che ne capiva sempre di più.
«Ciao, Enoch. »
Crystal era in piedi al suo fianco, da sola e con un sorriso che non riusciva a decifrare.
«Ciao. »
«Posso? » Non aspettò risposta e si accomodò vicino a lei, tirando i lunghi capelli biondi dietro le spalle.
«So che tu e Aaron passate del tempo insieme. » Entrambe si voltarono verso di lui.
«Devo ringraziarti. » Aggiunse subito, attirando l’attenzione di Miranda.
«Abbiamo passato un periodo brutto. Lui è così legato al football e io…» Sbuffò, agitando la mano. «Io mi sono sentita messa da parte e l’ho lasciato. Fortunatamente le cose stanno migliorando. »
Sorrise a trentadue denti. «Grazie a te, che gli fai capire la differenza tra noi due. »
«La differenza tra noi due? » Ripeté Mira, provando a focalizzarsi sulle parole.
«Non avrai mica pensato che lui prova qualcosa per te? » Crystal rise sonoramente. «Tutto ciò che serviva ad Aaron era un attimo di tregua, che di certo non avrebbe trovato con una come me. »
Poi si alzò, e la guardò dalla testa ai piedi. «Con te, Enoch, sicuramente le cose sono più semplici. »
Le lanciò uno sguardo che mostrava tutta la pietà che provava nei confronti di Miranda.
«E, » aggiunse, fermandosi a qualche passo da lei. «Ti farò vedere che venerdì, durante la festa, le cose si sistemeranno. Così sarai libera di dedicarti alle passioni che si adattano ad una secchiona sfigata come te. »
Crystal tornò dalle sue compagne, parlottando e ridendo sguaiatamente. Il cuore di Miranda si era gelato. Non durante la scenata che stava subendo, ma nel momento in cui aveva messo insieme i tasselli. L’avvicinamento tra lei e Aaron era effettivamente avvenuto poco dopo la rottura del fidanzamento tra lui e Crystal.
Era stato solo il destino a farlo passare su quella strada durante il temporale, e per Aaron era stato facile assimilare lei alla secchiona del liceo, ad un progetto di chimica in corso e a tutto ciò che si addiceva ad una della sua categoria. Non pensava che lui avesse finto con lei per tutto il tempo: in fondo, chi poteva passare ore del proprio pomeriggio con una persona che considerava inutile?
Il bacio era stata la ciliegina sulla torta. Non era un gesto creato per rendere gelosa la sua ex fiamma, piuttosto era nato per chiederle scusa e a questo ci era arrivato.
Lo guardò afferrare la palla e lanciarlo con una precisione millimetrica, la stessa precisione con cui le era entrato nel cuore. Si alzò nello stesso momento in cui lui si tolse il casco. La salutò e iniziò ad attraversare il campo per raggiungerla, ma Miranda preferì girargli le spalle e andarsene via.
                                             
***

 
La palestra del liceo era così diversa, che Mira ebbe qualche difficoltà a capire dove si trovava in quel preciso momento.
Si era consultata con sua sorella per circa tre giorni, tempo in cui aveva completamente evitato Aaron e aveva cercato una scusa che potesse rintanarla in casa.
Era stata Phoebe a convincerla a partecipare a quella serata, perché non aveva niente da perdere, ma solo da guadagnare. Cosa, esattamente, era ancora un mistero, ma Miranda non si tirava indietro di fronte a niente.
Phoebe l’aveva strapazzata quel giorno. Era stata costretta a depilarsi dappertutto, a truccarsi e a pettinarsi in modo diverso. Non pensava che la frangetta potesse sparire con poche mosse. Dopo che aveva indossato le scarpe, stava per mettere gli occhiali ma sua sorella la fermò.
«Sei pazza? Questa sera te ne starai senza! »
«Ma non vedo nulla! »
Phoebe aveva sospirato. «Pazienza. Così impari a non comprare le lenti a contatto!»
E fu così che si ritrovò soffocata da una massa di persone a lei sconosciute.
«Sei venuta! »
Sobbalzò e si guardò alle spalle. 
Aaron era bellissimo come sempre. Non riusciva a distinguere i colori di ciò che indossava a causa delle luci psichedeliche, ma il suo viso le bastava a farle perdere l’uso della parola.
«Sì…sì. Sono qui! » Si sentì stupida.
Aaron la guardò dalla testa ai piedi e sorrise.
«Sei bellissima. Vieni.» Le prese la mano e iniziò  a camminare.
«Spostiamoci in un posto più isolato, così non siamo costretti ad urlare. »
La trascinò via, fino ad arrivare in quello che Miranda riconobbe come il corridoio principale.
Ad un tratto, Aaron l’afferrò per le spalle e la spinse contro il muro.
«Che fine hai fatto? Mi sono preoccupato da morire!»
«So… sono stata male.»
Lui aveva percepito la sua incertezza, perché corrugò la fronte e strinse di più le mani su di lei.
«Non mentirmi Mira. Dimmi cosa cazzo è successo in questi tre giorni! »
Miranda si divincolò, cercando di liberarsi senza successo.
«Toglimi le mani di dosso, Aaron. Non respiro! »
Quando lui si allontanò, Miranda prese aria.
«Senza occhiali non ci vedo, vuoi anche farmi morire asfissiata?»
«Non sapevo che ti desse fastidio stare così vicino alle persone.»
Commentò maligno lui.
«Infatti mi danno fastidio le situazioni, non la vicinanza degli altri.»
Si osservarono per qualche secondo, fin quando lui non incrociò le braccia al petto.
«Allora? Avremmo dovuto vederci per parlare di quello che è avvenuto tra di noi e invece sei sparita per tre giorni e mezzo.»
«Ero venuta a dirti di sì. » Mormorò in risposta lei.
Aaron sgranò gli occhi. «Quando ti ho vista sugli spalti? »
Lei annuì.
«Quando sei scappata da me?»
«Sì. Sì, quella volta. Non ero sola, come avrai sicuramente ben visto. Crystal mi ha parlato. Ha detto che mi ringraziava, perché passando del tempo con me tu potevi capire la differenza tra noi due. »
Sentì gli occhi inumidirsi, ma si rifiutò di dargli quella soddisfazione. Non poteva nascondere che le parole le facevano più male dei gesti, ma cosa poteva farci? Da buona sfigata quale era ignorava tutto, ma ci soffriva. Tuttavia sapeva che se mostrava la sua paura, il suo sconforto o le sue insicurezze agli altri, sarebbe stata oggetto delle pressioni altrui fino alla fine della sua vita.
«Crystal direbbe di tutto per offenderti. » L’espressione di Aaron diventò molto seria.
«Ora ti dico una cosa che nessuno sa. Sono stato io a chiuderla e non il contrario. Lei vuole far credere a tutti che io la ignoravo ed è vero, per questo non correggo la sua versione. Preferivo il football e la compagnia della squadra, piuttosto che perdere tempo dietro alle sue crisi. Preferivo portare a spasso Artemide per ore e ore, piuttosto che vederla, e sai perché? »
Mira scosse la testa.
«Perché è superficiale. È la solita snob che pensa di ottenere tutto solo perché ha un bel faccino e perché fa parte delle cheerleader. Non so nemmeno io come ho fatto a finire con lei! »
«Ma voi siete stati insieme in questi giorni. Ti ho visto.»
Aaron inarcò un sopracciglio. «Poi mi dirai come hai fatto a diventare invisibile. Comunque, non ho passato del tempo con lei. Mi ha intercettato dopo che ti ho aspettato davanti al tuo armadietto per un po’ e non potevo mandarla via. Quindi me la sono subita, grazie mille. »
«Adesso è colpa mia? » Domandò la ragazza, con un sorriso.
«Se tu non avessi fatto il fantasma, a quest’ora starei ballando con te, piuttosto che giustificarmi per cose che non ho fatto. Andiamo,» le disse, stringendole la mano. «Ti prendo qualcosa da bere. »
Si voltò verso di lei e le fece l’occhiolino. «Assolutamente analcolico.»
Quando rientrarono in palestra, la musica era così alta che sentiva i bassi nello stomaco ed era una sensazione stupenda.
Miranda sorrideva a tutti, perché non riusciva a tenere a bada i muscoli facciali, e non le interessava se qualcuno potesse pensare che fosse pazza, perché in fondo lo era.
«Aaron, ti aspetto in cortile. » Gli disse, mettendogli una mano sul braccio. «Credo di aver bisogno di un po’ di aria fresca. »
«D’accordo, arrivo tra un paio di secondi. »
Miranda annuì, soffermandosi a guardare le sue labbra. Il sorriso che si aprì sul volto di Aaron la infiammò.
«Ti piace ciò che vedi? »
Mira lo guardò negli occhi e si sentì avvampare.
«Stupido. »
Si diresse fuori, con la risata di Aaron che risuonava alle sue spalle, sovrastando la musica.

L’aria era più fresca di quello che pensava. Era una fortuna, in quel venerdì tredici, che avesse portato con sé un copri spalle.
Si accomodò sotto ad un albero, con la schiena appoggiata al tronco. Chiuse gli occhi e pensò a lui.
Chi lo diceva che essere delle secchione sfigate potesse essere tanto bello? Non tutti i mali vengono per nuocere.
Ricordò il primo giorno in cui avevano parlato, quando si era fermato per darle una mano.
Ripensò al pic-nic fatto nel boschetto degli innamorati, quando lui le aveva preparato dei sandwich stomachevoli, ma li aveva mangiati lo stesso per farlo felice. Non aveva il coraggio di dirgli che tonno, maionese e sottaceti le facevano schifo, perché lui aveva stampato sul volto quell’aria così felice da rasserenare anche lei. E comunque Aaron li aveva mangiati con soddisfazione, quindi molto probabilmente era Miranda ad avere gusti particolari.
Ricordò quando a scuola si fermava a parlare con lei e tutti li guardavano incuriositi. Era normale, normalissimo, e per la prima volta Mira non si sentiva a disagio a ricevere delle attenzioni. Gli sfottò continuavano, ma lei non ci badava come prima e alle sue orecchie erano diventate ripetitive. Un giorno chiese a Ted Buttler se fosse capace di trovare altre parole che facessero rima con Miranda o se invece il suo cervello bacato conosceva solo immonda, mutanda e infeconda. Non poteva dimenticare la faccia spaesata che le restituì come risposta.
Quando lo raccontò, Aaron scoppiò a ridere e le disse che era la secchiona sfigata più coraggiosa che conoscesse.
“È perché non mi considero tale”, replicò lei.
Si destò dai suoi ricordi quando sentì la voce di Crystal alle sue spalle. Era abbastanza nascosta dal tronco dell’albero, ma non riuscì a non girarsi per guardarla in faccia. Come al solito, era bellissima. I capelli biondi erano lasciati liberi sulle spalle, in morbidi ricci che sembravano rimbalzare ad ogni suo movimento.
«Non ci posso credere! Io e Aaron siamo ritornati insieme! »
Ridacchiò insieme alle sue amiche. «Un po’ me lo aspettavo, ma non credevo che accadesse proprio oggi! »
Miranda cercò di alzarsi in piedi senza far rumore, ma fu tutto vano. Crystal si voltò velocemente e le sorrise malefica.
«Ma guardate un po’ chi abbiamo qui.» Disse in modo mellifluo, avvicinandosi a lei lentamente. Quando le fu di fronte, incrociò le braccia al petto.
«Ci stavi spiando? »
Miranda si spostò verso la luce, evitando di rispondere.
«Il gatto le ha mangiato la lingua. » Disse Kate. O forse era Ashley, non ne era sicura.
«Non pensavo che saresti venuta. Aspetti qualcuno? »
Mira non riusciva a spiaccicare parola. Ciò a cui pensava continuamente era quello che stava raccontando Crystal. Possibile che Aaron l’avesse fatto? Era per quel motivo che tardava ad arrivare? Era così immersa nei suoi ricordi che non aveva fatto caso al tempo che scorreva. Eppure avevano parlato poco meno di mezz’ora fa.
La risposta alle sue domande era così semplice che la spaventava.
«Io… io non ti credo. » Mormorò, con gli occhi bassi.
«Come? »
Crystal fece dei passi verso di lei.
«Io non ti credo! » Alzò il capo e guardò dritto negli occhi di quella vipera.
«Come ti perm…»
«E ti dirò anche il perché. » La interruppe Miranda, imitando la sua posizione.
«È stato Aaron a chiedermi di venire a questa festa, altrimenti non ci sarei venuta neanche morta. Inoltre io e lui abbiamo parlato qualche minuto fa e abbiamo chiarito alcune cose. »
Il volto di Crystal diventò verde.
«Mi ha detto del perché vi siete lasciati. Mi ha detto che non riusciva più a…»
«Stai zitta! »
Crystal le si buttò addosso con tutta la forza che aveva e la caduta le tolse il respiro. Miranda ringraziò mentalmente Phoebe per non averle fatto mettere gli occhiali. Sentì un peso sulla pancia e si accorse che era Crystal che le era salita sopra.
«Tu non sai niente! Noi siamo tornati insieme! »
Alzò una mano, pronta a schiaffeggiarla, ma qualcuno la fermò.
Crystal si voltò e incontrò lo sguardo freddo di Aaron.
«Cosa cazzo pensi di fare. »
Con un solo strattone, la alzò e la gettò verso le sue amiche. Poi allungò una mano verso Miranda e, quando lei l’afferrò, la sollevò delicatamente.
«Ti sei fatta male? Ha fatto qualcosa? »
Miranda lo abbracciò. «Nulla. »
Quando lui annuì, entrambi si volsero verso le tre ragazze. Intanto, una piccola folla si radunò sulle scale della scuola, attirati dalle urla di Crystal, che piangeva a dirotto tra le braccia di Kate e Ashley.
«Cosa cazzo pensavi di fare? » Ripeté Aaron, questa volta formulando la frase in una domanda.
«Sei stata tu a mandare Buttler ad infastidirmi? »
I singhiozzi di Ashley si tramutarono in una risata isterica. Si divincolò tra le braccia delle amiche e fece un paio di passi in avanti.
«Come puoi preferire lei a me? Non la vedi? Non vedi quanto è sciatta, secchiona e sfigata? Io non ti capisco! »
Ashely sentì dei mormorii arrivarle alle orecchie. La tensione prese il sopravvento e stare al centro dell’attenzione non faceva al caso suo. Provò a scivolare via, ma Aaron la strinse forte a sé.
«No. » Rispose con tono freddo e distaccato.
«Non puoi capire, perché tu come tutti gli altri siete vuoti. Sapete soltanto deridere le persone per paura di essere presi di mira voi stessi. E vuoi sapere cosa penso? Che la vera sfigata sei proprio tu!»
«Ti sbagli! Se la frequenti tutti ti prenderanno in giro! Nessuno vorrà frequentare uno che se la fa con gli sfigati! »
«Staremo a vedere. E adesso sparisci dalla mia vista! »
Con un urlo, Crystal andò via, facendosi spazio tra le persone.
«Entrate dentro! Rimettete la musica! È tempo di tornare a festeggiare! »
I ragazzi esultarono, rientrando nella palestra.
Aaron e Miranda rimasero da soli, storditi e felici.
«Perdonami. »
«Me lo dici spesso. »
Aaron sorrise. «Non so cosa le sia venuto in mente. Non ha mai manifestato nessuna attenzione. Penso che sia solo… gelosa. »
«Gelosa? » Miranda sgranò gli occhi. «Ma di cosa? Ha tutto! È bella, ricca e atletica… per quanto ne so, i suoi voti non solo male. »
Aaron le sorrise. Le regalò quel sorriso malandrino che la faceva sciogliere.
«Ma non ha me. »
Si chinò a baciarla lentamente, assaporando il gusto delle sue labbra.
«Posso tornare dentro con il vestito macchiato o mi prenderanno a sassate? » Mormorò Miranda sulla sua bocca.
«In questo preciso momento ho voglia di stare qui fuori, sotto questo albero, a baciarti per tutta la notte. »
E Miranda lo accontentò.




NOTE: 

"Troppo bello per essere vero" partecipa al contest sui cliché indetto sul gruppo FB "EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni". A me è stato assegnato "La ragazza "sfigata" che si innamora del più popolare della scuola e viceversa".
Devo ammettere che, in alcuni momenti della stesura, non sapevo come andare avanti. Questo tipo di cliché richiede del tempo per essere descritto come si deve e, personalmente, mi sarebbe piaciuta scrivere una long, per rendere al meglio la mia idea, i personaggi e il loro rapporto. Tuttavia penso di aver descritto Miranda e Aaron proprio come volevo: lei, una ragazza "sfigata" che apparentemente se ne frega degli altri, e lui, popolare ma con un cervello nella testa. Per me è stata un'accoppiata vincente: avevo anche pensato di non farli finire "bene", seppur innamorati, ma poi ho desistito, lasciando che il cliché si evolvesse in un cliché, appunto. Ho cercato di dare quanta più originialità possibile ai personaggi, anche se con i cliché è difficile, perché si sa sempre come finisce.
Sarei felice di sapere cosa ne pensate voi!
Intanto, vi ringrazio per essere arrivati fin qua.
A presto,
Wellsie.

 
  
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