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Autore: Giulz87    24/08/2016    2 recensioni
Erano ormai passate ore da quando aveva consapevolmente scelto di rinchiudersi all’interno del suo appartamento – come unico sollievo all’angoscia crescente quello zapping frenetico in cui si era immolata, in cui si era lanciata per l’assurda ricerca di una risposta, di un segno, un fottuto dettaglio che le rivelasse dove avesse potuto trovarlo...
[Suicide Squad]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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N.d.A. Salve a tutti! Che dire? Momento Suicide Squad – time mentre cerco ispirazione per aggiornale la mia long! Questa breve shot vuole essere un introspezione sul personaggio di Harley e vuole cercare di evidenziare cosa possa aver pensato o fatto dopo l’ormai famoso elettroshock. Buona lettura!
 

 
“I’m crazy too”


 
 
Le persone passavano la propria vita a solleticare il fondo senza neppure accorgersene. Vivevano o sopravvivevano ignorando quell’insignificante particolare – accogliendo quella parte dell’esistenza come se in qualche modo avesse dovuto far parte della loro normalità.
Anche lei lo aveva fatto.
Harleen aveva annaspato sul ciglio del precipizio senza rendersi conto di averlo oltrepassato, di essere già caduta, come in quel preciso momento in cui il respiro le si era spezzato in gola – i polmoni contratti, a tratti immobili, quasi dolenti mentre davanti i suoi occhi i canali del televisore scorrevano alla velocità della luce.
Erano ormai passate ore da quando aveva consapevolmente scelto di rinchiudersi all’interno del suo appartamento – come unico sollievo all’angoscia crescente quello zapping frenetico in cui si era immolata, in cui si era lanciata per l’assurda ricerca di una risposta, di un segno, un fottuto dettaglio che le rivelasse dove avesse potuto trovarlo.
Tutto intorno a lei sembrava parlarle del suo ex paziente. Tutto dentro di lei vorticava in un subbuglio di emozioni che sfociavano in un grido senza voce, uno che echeggiava dentro la sua testa, muto e assordante come la più letale delle psicosi. E lei ne sapeva qualcosa a tal proposito. Lei ne sapeva persino troppo.
Se accarezzava le tempie pulsanti, i suoi polpastrelli potevano ancora avvertire le irregolarità presenti sulla sua stessa carne, piccole bruciature concentriche che si erano concretizzate proprio nei punti in cui gli elettrodi avevano rilasciato una scarica continua di corrente elettrica – una che aveva osteggiato e oltrepassato il suo cervello rendendola inerme, sollevandola per un lungo istante sopra il resto del mondo.
Harleen non ricordava cosa fosse accaduto, non completamente e di certo non esattamente. Erano stati alcuni colleghi a raccontarle dell’incursione da parte di alcuni uomini all’interno dell’Asylum – criminali, per la precisione. E sempre per la precisione al servizio di quello stesso paziente che aveva preso tanto a cuore. O che le era entrato nel cuore.
Se si sforzava di rimettere insieme i frammenti sparsi nella sua mente, poteva quasi focalizzare la figura snella e slanciata di quello che il signor J aveva chiamato semplicemente Jonny.
«Jonny-Jonny» lo aveva sentito cantilenare mentre quello stesso personaggio vestito di nero aveva provveduto ad immobilizzarla sopra la barella preposta alla shock terapia.
Era curiosamente morbida e scomoda allo stesso tempo. O forse quella era solo una reminescenza involontaria e non del tutto esatta della sua memoria. Poi tutto si confondeva e le sue parole diventavano solo un’eco distorta che ancora le sembrava di udire come fosse stato una specie di sussurro trasportato dal vento.
Forse lo aveva implorato in un primo momento. In un solo piccolo e insignificante attimo sospeso nel tempo, finché l’elettricità fluida non aveva allontanato e liberato le sue sinapsi da qualunque cosa ci fosse stato intorno – finché si era ritrovata a pregare e supplicare per avere di più, perché lui le impartisse ancora più dolore, uno che a tratti le aveva persino donato il lato puro del piacere.
C’erano stati fantasmi davanti a lei, quando le convulsioni avevano preso possesso del suo corpo non del tutto impaurito. E poi a quegli spettri erano sopraggiunte le visioni – illusioni quasi ipnotiche di un posto speciale e specifico nel mondo: uno in cui lui le aveva permesso di restare al suo fianco, uno in cui lui le aveva concesso di amarlo.
Quando quell’accondiscendente tortura era finita, il signor J si era allontanato. Uno dei suoi uomini gli aveva poggiato sulle spalle una giacca di colore viola e lei era rimasta immobile a fissarlo, ancora inerme sopra il lettino.
Harleen non saprebbe dire che cosa fosse scattato in lei in quel momento delirante. E se tutto ciò che era successo prima era riuscita con fatica a rammentarlo, c’era stata una cosa invece, una che aveva ricordato e che ricordava fin troppo bene: quell’istante in cui ancora sofferente aveva cercato di rialzarsi, quella frenesia con cui lo aveva implorato di portarla via con sé – quel momento in cui lui le aveva spezzato il cuore negandole quel privilegio.
Racchiudendo la testa tra le mani, Harleen si era domandata che cosa potesse aver sbagliato, che cosa fosse potuto andare storto.
Nei giorni precedenti a quell’avvenimento, il signor J aveva dimostrato gradire le sue amorevoli attenzioni, ricambiarle addirittura. Non se l’era immaginato. O forse lo aveva fatto e quel bacio che c’era stato era stato solo il frutto di un desiderio malato, proprio come quel senso di smarrimento che le aveva catturato mente e corpo, dal preciso istante in cui lui se n’era andato.
Continuando a camminare in modo ansioso nella stanza, Harleen aveva cercato di razionalizzare, di allontanare quel bisogno masochista e innaturale di sentire nuovamente il calore delle sue mani sulla propria pelle. Aveva provato e riprovato a psicanalizzare il suo comportamento, a catalogarlo come fosse stata in una seduta di terapia individuale. Perché nulla in quell’individuo poteva andare. Non c’era niente che lo rendesse adatto a lei, niente che lo facesse sembrare quasi umano.
Per un lungo attimo, Harleen aveva socchiuso le palpebre e aveva ispirato in maniera profonda, comprendendo in un solo fottuto secondo che qualunque sforzo avrebbe fatto, qualunque cosa avesse tentato, non sarebbe mai riuscita a liberare il suo animo da quel legame che avrebbe condotto il suo pensiero sempre verso di lui – quel bisogno che le bruciava dentro e che le sussurrava di essere sua, completamente sua. Così, abbandonandosi allo sconforto, si era lasciata cadere sopra il divano, sopraffatta da quella mancanza e rassegnata a quel pianto febbrile che già le pungeva minaccioso gli angoli degli occhi. Ed era stato allora che il suo cervello le aveva inviato un’immagine fino a quel momento rimasta sopita – la pistola di Jonny-Jonny che si era abbassata sul suo volto adorante, le sue parole come un sibilo nel buio.
«Devo ucciderla, capo?»
«No, Jonny-Jonny» aveva risposto lui dopo una breve pausa. Poi un grugnito e a seguire ancora il silenzio.
Con uno scatto improvviso Harleen si era sollevata, mentre il suo sguardo si era illuminato di una felicità quasi inaspettata – i suoi occhi che avevano fissato increduli lo schermo del televisore.
Finalmente il notiziario parlava di lui, della sua ultima impresa a discapito di uno dei ristoranti più in vista della vecchia Gotham. E senza aspettare il tempo aveva impugnato le chiavi della moto – con decisione si era catapultata verso l’uscita.
Non sapeva che cosa sarebbe successo di lì a poco. Forse tutto e forse niente. Forse lui l’avrebbe rifiutata ancora e forse, in quel caso, avrebbe anche potuto ucciderla. Ma non le importava per davvero, perché comunque fossero andate le cose lo avrebbe rivisto ancora,  per l’ultima volta. E per l’ultima volta avrebbe cercato di offrirgli un qualcosa che valeva molto più di un semplice sentimento d’amore – per l’ultima volta avrebbe cercato di offrirgli se stessa.
 
 


 
Note:
 
Alcuni passaggi della shot traggono ispirazione da quella che effettivamente sarebbe dovuta essere la scena estesa dell’elettroshock. Ecco a voi cosa recita il romanzo tratto dal film:


Dottoressa Quinzel, che bello vederla con noi stasera” dice a Joker ad Harleen. “Ha un aspetto così… succulento. Non in senso letterale, si intende. Sono rigorosamente vegano. Almeno per oggi”.

[Descrizione scena estesa] A quel punto Joker le si avvicina e le dice che le farà molto male. A differenza di quanto mostrato nel montaggio finale la dottoressa è decisamente terrorizzata e lo supplica di lasciarla andare, ma Mr. J ribatte che l’elettroshock a cui sta per sottoporla è una vendetta per quello che gli è stato fatto all’Arkham Asylum proprio da lei. A quel punto Joker inizia a torturarla e, se prima lei inizia a urlare dal dolore lancinante, poi inizia gradualmente a trarne godimento, chiedendo “più dolore e piacere”.

Bene, detto ciò, vi saluto con la speranza di vedere queste scene nel DVD di prossima uscita. (Ah, per chi non lo sapesse, nei fumetti Joker si rivolge a Jonny Frost sempre con l'espressione "Jonny-Jonny")
                                                           

                                                          Cut scene



   
 
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