Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Segui la storia  |       
Autore: Sarah M Gloomy    24/08/2016    0 recensioni
Secondo libro della serie The Exorcist.
Amabel è stata costretta ad accettare di non essere una normale sedicenne, bensì la reincarnazione dell’esorcista della menzogna, morta sul rogo nel 1400. Ha accettato anche il suo compito, quello di esorcizzare gli spiriti con l’aiuto di Lie. Solo che neppure così la sua vita è normale. Quello che ha fatto nell'ultimo periodo continua a ripresentarsi e Ridley, il ragazzo da lei salvato, sembra convinto di conoscere la sua seconda natura. Ma qualcos'altro sta succedendo, come se Bel non fosse stata l’unica persona riportata dal passato.
Genere: Commedia, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
13
 
 
 
            Mi sveglio con un pigolio. Lie alza la testa. Deve essere stato tutta la notte a fissare fuori, perché la prima cosa che vedo sono i suoi occhi azzurri. C’è una tempesta in avvicinamento. Muovo una mano per allontanarlo, lui ride di rimando. No, nessuna tempesta. Ha solo voglia di rompermi le scatole.
Mi drizzo a sedere, socchiudendo gli occhi. L’incubo è stato peggio del solito. Arrivare al bagno e fare la pipì mi sembra un’impresa titanica. Con un altro sospiro, prendo il coraggio e mi alzo in piedi. Okay, il sangue che avevo deve essere uscito. Sollevo un poco i pantaloni del pigiama, scorgendo del bianco in mezzo a tutto quel sangue.
   «Che diavolo è successo?» La voce di Lie è tagliente e, prima che possa negare, si avvicina sollevandomi i bordi del pigiama. Chissà cosa vedrebbe mamma se entrasse in questo momento. Io in piedi con i pantaloni sollevati fino al polpaccio da una mano invisibile. Riderei, se di per sé non mi facesse schifo come mi sento.
Lascia la presa, alzandosi in piedi con sguardo minaccioso. Parlavo di tempesta? C’è aria da tornado. «Non mi avevi detto che le tue ferite erano peggiorate.»
   «Non me l’hai chiesto.»
Pessimo modo per iniziare una discussione. Mi incammino verso il bagno. Lie mi blocca. «Ti cambi davanti a me, ragazzina. E se avessi qualche dubbio, è un ordine.»
Il fatto è che Lie non è proprio un bambino. Né un maschio. Se ho sempre preferito avere la mia intimità è solo per nascondere le ferite e quel poco di dignità che mi era ancora rimasta. Mi passo la lingua sulle labbra, sapendo che se anche andassi in bagno, Lie mi seguirebbe. Con un lamento mi tiro via prima la maglia, poi la canottiera. Agguanto il reggiseno sulla sedia, infilandomelo senza battere ciglio. Il contatto con la stoffa sopra la ferita da frusta è un inferno. E Lie lo capisce. «Ti hanno torturata.»
   «Una frustatina qua e là.» Mi tolgo con un rantolo in pantaloni. Le ferite sono peggiorate. Come un ragno mi si stanno avviluppando lungo la gamba. Le ho ad altezza ginocchio. Al momento vedo solo l’arrossamento, come se fossi stata troppo vicina a una sorgente di calore, e poi? Con l’andare del tempo cosa accadrà? Arriveranno fino ai polmoni? Collasserò prima?
Ignoro gli abiti che mi sono preparata la sera prima, preferendo un paio di pantaloni più larghi e una felpa. Tanto non devo andare a una sfilata di moda. Lascio agli altri questo onore. Mi siedo sul letto, togliendo lo strato di garze con mani tremanti. Bene. Prendo delle altre bende, mettendomi a lavorare con mano esperta. È un’operazione che faccio tutte le mattine, quindi non mi lascia impreparata. Prima avvolgo il piede, lasciando fuori solo le dita. Sanguinano anche quelle, ma è un supplizio dover camminare con bende, calzini e scarpe. Mi sembra di bruciare sul rogo, e ne so qualcosa. Poi avvolgo la caviglie e con qualche giro arrivo fino a sotto il ginocchio. Allungo la mano per prendere le forbicine da unghie … che ho lasciato in bagno. Lie sospira, con un cigolio apre la porta e si infila in bagno. Sospiro. Fortunatamente mamma ha la mattina e Edward dorme ancora. Altrimenti spiega tu come mai un oggetto si sposta per casa.
Dopo la rifinitura, osservo il letto. Ho macchiato le lenzuola. Dannazione. Se non avessi sanguinato in zona gambe, e questo si nota, avrei anche potuto farlo passare per un ciclo abbondante. Dura da spiegare a mamma come mai mi reggo ancora in piedi. Con un veloce movimento prendo le lenzuola, faccio una palla e le porto dalla lavatrice. Apro lo sportello con un calcio, infilo tutto dentro alla meno peggio, giro qualche manopola. Direi cotone … faccio lampeggiare la freccia sulla maglia sporca, perché direi che le lenzuola sono decisamente sporche, e lascio quello che si è impostata la lavatrice in autonomia. Mi fido. Torno in camera per controllare il materasso, ma sono riuscita a fare solo una macchiolina. Già con spugna e smacchiatore non si vede più nulla.
Questo mi ha portato via più tempo del dovuto, quindi corro da Edward, lo sveglio, e poi sfreccio in cucina a preparargli la colazione. Lie mi si affianca, mentre accendo la televisione e gli preparo la merenda. «Dalila non puoi evitare l’argomento. Stanno peggiorando.»
   «Lo so.»
   «Hai detto che anche gli altri si sono risvegliati. Ti devono aiutare.»
Chiudo gli occhi. È difficile. Prendo il telefonino, infilando la merenda di Ed dentro allo zainetto. Lui arriva con uno sbadiglio e poi con un sorriso sonnacchioso. Lie mi fissa, curioso. «Ciao mami. Puoi parlare un attimo? Ti ricordi il lavoro di gruppo di cui ti ho parlato?» Se non te lo ricordi non ti preoccupare, mamma, perché non te ne ho mai parlato. È la menzogna della giornata. «Ecco, ti ricordi che oggi pomeriggio io e quelli del gruppo ci troviamo.»
   «Ah … non ricordavo.» La sento trafficare con qualcosa, poi la voce di una donna, probabilmente di una paziente, si insinua dentro al ricevitore. Aspetto un attimo. «Scusa, tesoro. È un brutto momento.»
Lo so, è appunto per questo che ti chiamo alla mattina mentre sei a lavoro. Troppo facile, altrimenti. Continuo imperterrita, rigirandomi tra le dita un biscotto. «Niente, te lo volevo solo ricordare. Quindi oggi pomeriggio non so a che ora torno a casa.»
Mamma borbotta qualcosa a qualcuno, sento un po’ di rumore. La saluto e mi infilo il cellulare in tasca. Ho il sospetto che oggi sarà una giornata interessante. Sono già pronta a usare il foglietto di Philippe e a confrontarmi con sette esorcisti arrabbiati.
 
                                                             † † †
 
Controllo il nome sul biglietto, poi l’indirizzo in cui mi trovo. Mi alzo il bavero della giacca, osservando la porta con la vernice rossa scrostata. Un bel posticino, davvero. Il corridoio puzza di nicotina e di peli di gatto. Delle tre lampade, solo una funziona, lasciando l’ambiente in bzz oscuro. Attaccato al campanello c’è il nome di una certa “Jones Eliza”. A occhio e croce è il nome di Sura. Controllo ancora il biglietto di Philippe, tanto per essere certa che questa Eliza sia chi cerco e non un essere umano innocente.
Busso alla porta. Mi sembra più discreto dello scampanellio. Un occhio mi osserva dalla fessura della porta, guardingo. Io proprio non ci riesco a stare lontana da quartieri tipo Maiden Street, eh?
La porta mi viene aperta da una ragazza. È una donna, sui trent’anni, dai lunghi capelli nocciola. Sono così scuri che gli occhi neri, al confronto, sembrano chiari. Ha delle labbra molto carnose e un mento quadrato. È truccata in maniera impeccabile, e vestita ancora meglio. Indossa una semplice camicia bianca che le evidenzia il seno prominente e che le assottiglia la vita, una gonna nero a tubino con uno spacco fino alla coscia. Per concludere il paragone con il modo in cui sono vestita, è a casa e indossa scarponcini con il tacco.
Alzo le sopracciglia, imbarazzata. Alla mattina potevo anche pensare di vestirmi meglio! «Sura.»
Sobbalza un attimo, poi si concentra meglio su di me. Si appoggia alla porta e dallo sguardo sprezzante mi ha riconosciuta. «Dalila.»
Sento dei passi e una nuova figura mi si presenta. Lo fisso un attimo, cercando di ricordare perché il suo viso mi è noto. Dire grande riferendosi a un ragazzo è brutto, ma non c’era migliore descrizione. Ha una corporatura massiccia: i muscoli sbucano fuori dal maglioncino come tanti palloncini, la vita si assottiglia in zona bacino, il petto è gonfio e, come se non bastasse, sarà stato alto almeno un metro e novanta. Arrivo al volto, vedendo che è un biondo palestrato dallo sguardo duro. Io con lui ho avuto uno scontro. Gli sono praticamente finita addosso scappando … beh, praticamente passo la mia vita scappando, quindi basta sapere che è una delle mie vittime. «Dalila.»
In tutti i sensi. «Maximus.»
Sura incrocia le braccia. «Chi diavolo ti ha dato il mio indirizzo?»
   «Philippe.» D’istinto mostro le mani vuote. Entrambi si concentrano di più sulle ferite, quindi sono costretta ad abbassarle. «Non sono armata.»
   «Sei minuscola.»
Sì, beh, non è bello dire i difetti altrui. Entrambi sono molto più grandi di me, sia di età che di altezza. E si vede il loro genere. A confronto, io sono una di quei bambini dall’aspetto molto androgino che li distingui solo perché “un maschietto non può avere i capelli così lunghi”.
Fisso la porta lungo il corridoio, dove l’occhio continua a scrutare. Deve passare proprio un bel pomeriggio alla Detective Conan. «Posso entrare? Credo che qui stiamo attirando un po’ troppo l’attenzione.»
Sura si scosta, io mi intrufolo dentro. Il suo appartamento è piccolo. Dall’entrata vedo la cucina minuscola, dove sotto al microonde la lavatrice sta centrifugando qualcosa di viola, il tavolo da quattro posti e il salotto. Da lì, la cosa più grande è il divano a penisola. Il telegiornale, muto, sta trasmettendo un servizio su un qualche incidente ferroviario. Dalla faccia preoccupata del giornalista, intuisco che ci sono vittime.
Prendo fiato, perché quel silenzio innaturale piace a loro almeno quanto a me. «Avrei bisogno del vostro aiuto.»
Eliza abbozza un sorriso. Alzo una mano, continuando a parlare. «In questa situazione siamo dannatamente mal distribuiti. Voi ricordate tutto, mentre io praticamente niente. Non vi fidate di me e lo capisco. Avrei solo bisogno che voi chiamaste gli altri e … diceste di incontrarci qui. Quando arriveranno ve lo spiegherò.»
Eliza fissa il ragazzo, la reincarnazione di Maximus ma di cui non so ancora il nome. Lui annuisce con la testa. La vedo prendere il cellulare e avvicinarsi a una delle due finestre dell’appartamento.
Il ragazzo mi fissa. «Dalila.»
   «Mi chiamo Amabel.»
   «Io sono Warren.» Appoggia il peso prima su un piede, poi sull’altro. «Ti aspettavo un po’ più grande.»
Gentile. «Ci siamo già incontrati, Warren. Circa un mese fa ti sono finita addosso. E so perfettamente che mi hai riconosciuto.» Mi ha lasciato il polso, quel maleducato, e io sono caduta di sedere senza sapere il perché.
   «E continui ancora a dire che non ricordi nulla di noi.»
   «È complicato.» Borbotto.
Eliza è appoggiata alla parete e mi fissa con la stessa espressione che ha un predatore davanti alla sua cena. Il paragone calza a pennello, visto che il suo vizio è la gola. «Hai sete?»
   «Sì.»
   «Cosa ti offro?»
Sicura di voler bere? Faccio cenno di no con la testa, tradita dalle mie stesse emozioni. Eliza ghigna. «Non ti avveleno.»
   «Per quello che vi sto chiedendo di fare, credo che qualunque bibita non vada bene.»
Warren si muove a disagio. «Che cosa vuoi fare?»
Sospiro. «Voi mi farete tornare nel passato.»
 
                                                             † † †
 
Eliza mi guarda. Ha la mano appoggiata alla mia spalla, pronta a sospingermi in acqua. Dannazione. Non so come faccio a fidarmi di lei, quando tutto mi fa capire che godrebbe proprio nel farmi annegare. Le ferite pizzicano a contatto con l’acqua. «Sei sicura?»
Sicura di voler rivivere il passato, con una buona possibilità di ritrovarmi esattamente nel momento in cui mi bruciarono sul rogo? Eliza mi sta chiedendo quello? Perché, ovviamente, la mia risposta è semplice. Stringo le labbra, iniziando a tremare. L’acqua a contatto con la mia pelle è calda. Il vestito di Eliza mi sta decisamente largo in punti che lo avrei gradito stretto, e il fatto che ci siano tutte quelle persone a fissarmi non mi aiuta. D’istinto alzo gli occhi, incrociando lo sguardo di Chase. Qualcosa, dentro al suo sguardo, si spezza, indicandomi che anche lui sta provando qualcosa. Alzo il mento, cercando di convincermi. «Sì.»
Non voglio morire bruciata. Non voglio morire bruciata. Eppure con la stessa intensità voglio scoprire qualcosa di più. Voglio capire perché sono l’unica ad avere vuoti di memoria, perché con gli spiriti il mio corpo si sta ribellando agli esorcismi, perché mi accusano di averli traditi quando so che loro erano la mia famiglia. Sospiro, sentendo la presa di Eliza allentarsi.
L’unico modo per farlo è quello di creare un collegamento con il passato. Ci sono due cose che rimangono immutate nel tempo: la terra e l’acqua. Visto che non si conoscono rituali con la terra, e razionalmente sarebbe anche assurdo pensarli, quello che mi rimane è di agganciare un ricordo con l’acqua. Te lo insegnano a scuola che l’acqua che bevi ha un centinaio di anni? Che mai saranno seicento?
Mi muovo nervosamente nella vasca, traendo un ultimo profondo respiro. Chase, appoggiato al mobile, si alza nervosamente facendo un cenno di avvicinarsi. Annuisco, a me, a lui, agli altri esorcisti. Sono sicura, non li ho traditi. E, che l’inferno mi inghiotta di nuovo, lo dimostrerò.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: Sarah M Gloomy