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Autore: RodenJaymes    25/08/2016    11 recensioni
Kagome è una ragazza squisitamente sarcastica e tendente alla misantropia, ha tre coinquilini che ama e odia e una routine che non vuole spezzare.
Qualcosa, però, dovrà pur arrivare a smuovere la sua calma piatta...
Dal testo:
"Tokyo comincia a svegliarsi, già si sente nell'aria l'odore della Primavera; il sole splende, gli uccellini cinguettano, i ciliegi sono in fiore e tutte queste cazzate qui.
Io, io non mi sono svegliata; il torpore invernale ancora mi prende, mi inchioda e, tuttavia, non mi dispiace per niente. Attualmente, ho intrapreso una relazione d'interesse con il mio divano."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kagome, Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Tanti auguri ma non ti conosco!

Mai mi sento una persona nuova
Ho messo le scarpe da sera
E sembrerò seria e sembrerò in vena
Sha la la, che gioia mi dà
Stare in mezzo alla ressa
Si parla di festa
Tu ru ru, berrei volentieri un caffè
Mi pestano i piedi da un’ora
Ho le scarpe da sera ma no, non sono in vena
Corre l’anno 2016**, in mano alcolici e niente più.

Che vita di merda!
Ma che cosa c'entra il bon ton?
Ho riso per forza, ho rischiato di dormirti addosso
Stronzo, tanti auguri ma non ti conosco!

– Levante, Alfonso 

 

 

È un tranquillo pomeriggio di Aprile.
Tokyo comincia a svegliarsi, già si sente nell'aria l'odore della Primavera; il sole splende, gli uccellini cinguettano, i ciliegi sono in fiore e tutte queste cazzate qui. Io, io non mi sono svegliata; il torpore invernale ancora mi prende, mi inchioda e, tuttavia, non mi dispiace per niente. Attualmente, ho intrapreso una relazione d'interesse con il mio divano.
Felpa di due taglie più grande, occhiali da vista, tazza di tè fra le mani e un bel film ad accompagnare il mio poltrire.
Sono beatamente qui, a crogiolarmi nella nullafacenza più totale e sto bene così. Gli esami universitari sono appena finiti e la pausa primaverile appena cominciata.
Voglio una tregua.

«Ka-chan!»

Sospiro e chiudo di scatto il portatile che ho sulle gambe.
Ecco, io vorrei una tregua ma qualcuno sembra non volermela concedere.
Sbuffo e mi alzo dal divano. Noto che nel farlo ci metto un po' e mi chiedo se tutto questo oziare non stia accelerando il mio processo d'invecchiamento. Si sa, dopo i venti gli anni volano come se niente fosse ed io sono una cariatide di ventidue anni suonati.
Praticamente una mummia.
Con passo pesante e la tazza di tè ancora fra le mani, mi trascino verso la fonte di quel richiamo stridulo e impaziente.
Mphf, non mi sono mai sentita così anziana e assonnata. Mi piace: vuol dire che non ho nulla da fare, scadenze da seguire, orari da rispettare. Libertà.

«Ka-chan!», richiama ancora la voce, spazientita.

«Sto percorrendo il corridoio, ho bisogno di tempo.», bofonchio a mezza voce e mi scappa anche uno sbadiglio.

«Oh, non fare l'idiota!»

Arrivo finalmente davanti la stanza di Sango e mi fermo sulla soglia. Lei, Kikyo e Jakotsu sono tutti lì, seduti sul letto, e sembra stiano confabulando. Mi appoggio allo stipite della porta e prendo un sorso di tè mentre loro si voltano verso di me.

«Jako, si può sapere perché urlavi in quel modo?», chiedo entrando nella stanza e appollaiandomi sulla scrivania.

Jakotsu solleva gli occhi al cielo e sbuffa mentre le altre due ridacchiano, divertite.

«Ti rendi conto che hai impiegato un sacco di tempo per attraversare una piccola porzione di casa?», mi chiede alzandosi e recuperando il cellulare, proprio accanto a me.

«Meno di sessanta secondi.», dico con un sorrisetto.

«Ma, sicuramente, più di cinquanta.», ribatte e mi tocca la punta del naso con l'indice, un gesto affettuoso e buffo che si riserva di far spesso, solo con me. «Comunque, andiamo alle cose importanti. Leggi qui.»

Jakotsu mi porge il cellulare e io gli dedico uno sguardo interrogativo prima di fare ciò che mi ha chiesto. Vi è un messaggio di qualche giorno prima, evidentemente mandato da un numero non memorizzato, che avvisa di una fantastica, imperdibile e fighissima – testuali parole – festa. Organizzata per la sera stessa, ore 22:00. Con un sopracciglio inarcato restituisco il cellulare a Jakotsu e non posso far a meno di notare la sua espressione particolarmente carica di qualcosa; qualcosa che somiglia molto alla frenesia. Quando riconosco le stesse emozioni sui volti di Kikyo e Sango, comincio realmente ad avere paura. Oh, no. Non mi avranno. Non il mio primo giorno di vacanza.
Guardo i miei tre coinquilini e loro cominciano a sorridere con un che di inquietante e molesto. Santi Kami. No.

«No.», dico saltando giù dalla scrivania e, come a rimarcare ancor di più il concetto, sventolo l'indice sollevato.

«Oh, ma dai!», mugola Jakotsu e cerca già di circuirmi sbattendo le palpebre e mostrando i suoi famigerati occhioni da cerbiatto.

«Ka-chan, andiamo!», esclama Kikyo alzandosi in piedi e mi prende per un braccio attirandomi a sé. «È il nostro primo giorno di vacanza! Dobbiamo divertirci!»

Sbuffo e sporgo le labbra in fuori in un broncio che sa di esasperazione. 
Oh, porca papaya! Il primo giorno di vacanza è sacro, non si tocca! Si passa a poltrire, a mangiare schifezze, a guardare roba in streaming. Non ho nessuna intenzione di uscire. Per andare ad una festa, poi!
Io odio le feste. E loro lo sanno.
Abitiamo insieme da quattro anni e ci conosciamo da nove, come potrebbero non saperlo?! Eppure, continuano a propormi questa roba e a trascinarmi in posti rumorosi, claustrofobici, dove le persone puzzano di sudore, pochezza e... tequila!
Scherzando, mi descrivono come una vecchia misantropa con scarse tendenze alla socializzazione. Cazzate. Sono semplicemente una ragazza che opera un'accurata e simpatica selezione naturale e quelli che organizzano festini di dubbio gusto non fanno per me.

«Appunto!», dico esasperata. «Ho già dei piani per stasera. E sono meravigliosi.»

«Quale sarebbe il tuo piano meraviglioso, Ka-chan?», mi chiede Jakotsu incrociando le braccia e inarca un sopracciglio. «Ramen istantaneo e maratona di “Full Metal Panic!”

«Veramente, sto guardando “Tokyo Ghoul”.», borbotto stizzita, come se fosse l'unica cosa della sua frecciatina ad avermi realmente colpita. «Le feste sono stupide. I posti sono piccoli, devi stare a contatto stretto con gli altri, mettono musica brutta e il volume è troppo alto. Voglio stare a casa.»

Mi lagno senza sosta, a ruota libera, dicendo cose che conoscono già.
Loro sanno a memoria le mie lamentele come io so perfettamente che, alla fine, riusciranno a trascinarmi dove vogliono, perché va sempre così, perché mi lascerò trascinare.
E tutti sappiamo che avrò ragione, che anche a loro farà schifo questa festa e finiremo per andare via, in un pub tranquillo, a discutere del più e del meno. E io dirò:“ve l'avevo detto”.
Fortuna che non succede spesso.

«Kagome la misantropa.», mi apostrofa Sango con aria solenne e poi scoppia a ridere. «Ka-chan, questa volta è diverso. È una festa diversa!»

«Ragazzi, suvvia.», dico socchiudendo gli occhi e portandomi una mano alla tempia. «È uno schema fisso. Festa, Kagome dice “no, festa!”, voi dite “sì, festa!”, andiamo alla festa, festa fa schifo, tutti al Hana Pub a parlare di... cose.»

Mentre snocciolo con ironia i punti salienti del mio supplizio, contandoli piacevolmente con le dita, i miei amici mi riservano un'occhiata scocciata prima di sollevare contemporaneamente gli occhi al cielo.
Contemporaneamente, vorrei sottolineare.

«Sì, è vero.», mi concede Kikyo e annuisce. «Ma questa volta non è una festa inutile, è un compleanno. È un ragazzo dell'università, uno ricco! Sarà una cosa bella e tranquilla, niente a che vedere con le solite feste casiniste, disorganizzate e fallimentari!»

«Sarà una cosa sobria, Ka-chan.», dice Jakotsu, sicuro. «La festa è organizzata dal suo amico che è mio compagno di corso. Quello con cui ho fatto amicizia a inizio trimestre.»

«Ma chi?», chiedo assottigliando lo sguardo. «Manzo Atomico?»

Sango si lascia andare ad un sospiro sognante mentre Jakotsu e Kikyo ridacchiano ed io non posso evitare di fare lo stesso.
Il compagno di corso di Jakotsu, meglio conosciuto come Manzo Atomico, è nelle mire di Sango da un po' di tempo ma i due non sono mai riusciti a parlare.

«Si chiama Miroku.», precisa Jakotsu sghignazzando ancora.

Comunque sia, c'è qualcosa che mi puzza nell'organizzazione di questa festa “sobria e ricca”. Storco il naso e mi decido a dar voce ai miei lamenti, ancora una volta.

«Come fa ad essere una roba sobria se la festa è del suo amico e sta invitando noi?», obietto perplessa. «Non lo conosciamo neppure! Ci sarà un casino di gente, lo so già.»

«Ma no! Mi ha invitato perché io e lui siamo amici e – eccezionalmente – mi ha dato il permesso di dirlo anche a voi. Ma mi ha detto che sarà una cosa esclusiva, per pochi. Fidati, dai! Vieni con noi?!», prega Jakotsu con voce leziosa ed io inclino la testa di lato, dubbiosa.

Mi mordicchio un labbro e rimango in silenzio. Loro sono lì, mi guardano, gli occhioni sgranati e il solito sorriso che aspetta solo il mio rassegnato consenso. E come potrei dirgli di no? Non sono capace.
Fondamentalmente, voglio loro un bene infinito e, alla fine, è pur sempre tempo passato insieme. E poi, mi piace tantissimo la faccia che fanno quando giungono da me, imbronciati, pronti a darmi ragione.

Questo posto è un inferno, avevi ragione. Fuggiamo.

Cara, gloriosa ed immensa vittoria.

«Ho altra scelta?», chiedo quindi, retoricamente, e li vedo esultare prima di cominciare a lanciarsi totalmente nei preparativi.

Sospiro e mi stiracchio. Si sta ripresentando quella voglia indicibile di tornare a stendermi sul divano.
Posso andare alla festa in tuta, giusto?

* * *
«Questa strada è a senso unico, Jakotsu!», si lamenta Kikyo con fervore e si appresta a far marcia indietro. «Basta, mi hai rotto! Accendo il navigatore!»

«Non ci serve il navigatore, ci sono io!», ribatte Jakotsu, stizzito. Seduto sul sedile posteriore, si sporge in avanti e tenta di spegnere il navigatore satellitare.

Kikyo gli schiaffeggia la mano e lui la ritira emettendo un lamento stridulo.

«Fai schifo a dare indicazioni, lascia stare il navigatore!»

Mi sistemo meglio contro il sedile del passeggero e sospiro. Cerco di estraniarmi completamente dalla conversazione che prevede Kikyo e Jakotsu che bisticciano sulla strada giusta da intraprendere.
Mi sto già pentendo della mia scelta, decisamente. Innanzi tutto, per il mio abbigliamento. Ho messo un vestito. Io. E sono stata costretta ad indossare delle scarpe che Jakotsu ha definito “da sera”. In realtà, sono delle semplici ballerine nere, senza troppe pretese, ma l'idea di non avere le mie pratiche scarpe da ginnastica mi indispone un po'.
Guardo fuori dal finestrino e osservo la città scorrere sotto i miei occhi mentre Kikyo, accanto a me, imbocca finalmente la via corretta.

«Sappiamo almeno come si chiama il ragazzo?», chiedo distrattamente.

«Chi?», chiede Jakotsu sporgendosi nuovamente in avanti, la sua testa a pochi centimetri dalla mia spalla.

Sbuffo e gli do un buffetto sul capo.

«Il festeggiato, tonto!», esclamo e Sango scoppia a ridere.

«Ah, lui!», dice Jakotsu e torna con la schiena contro il sedile. «Uhm, Inuyasha, mi pare.»

«Inuyasha...», ripeto e mi acciglio.

Questo nome non mi è per nulla nuovo...
Beh, se è un ragazzo dell'università ed è ricco e popolare, è molto probabile che io abbia già sentito qualche mia compagna di corso parlarne. Questo dovrebbe farmi pensare che sono una privilegiata ad essere stata invitata alla sua festa? Oh, ma qual gaudio. Davvero.
Sono talmente fortunata da non sentirmene degna. Non c'è qualcuno che vuol prendere il mio posto? Nessuno?
Quando Kikyo frena bruscamente e comincia a rigirarsi in una delle sue rocambolesche manovre di parcheggio, credo quasi di aver raggiunto l'apice. Sento il sushi ballarmi nello stomaco e mi impongo seriamente di non vomitare. So già, comunque, che la nausea è scaturita più dal pensiero di quello che sto per fare che non dal pessimo stile di parcheggio di Kikyo.
Non mi va di entrare in quella villa e avere a che fare con quella gente.
Io sono sociale, ma a mio modo. Mi piace incontrare le persone in biblioteca, a lezione o in un grazioso caffè. Parlare con loro tranquillamente, solo se ne ho voglia, senza l'ansia di doverlo fare per forza, solo perché “ehi amica, sei ad una festa! Svegliati!”.
Grrr. Odiosi momenti di disinibita aggregazione senza utilità alcuna.
Preferisco mille volte una bella cena a casa, con amici, un film, un gioco da tavolo. Lo so, sono dannatamente vecchia. Ma voglio tornare a casa!
Oh, basta. Non posso farmi irretire in questo modo da una stupida festa per un tipo che neanche conosco. Sarò tranquilla e sembrerò in vena.
Durerà pochissimo, già lo so. Spero davvero che sia una cosa sobria...
Quando ci ritroviamo davanti il cancello della villa, la musica a tutto volume e le urla che escono da quell'imponente abitazione cominciano a farmi pensare il contrario. Niente di sobrio. Merda. Lo sapevo.

«Qual è il nostro regalo?», si premura di chiedere Kikyo.

Sì, giusto, chiediamolo adesso, quando siamo già davanti la porta d'ingresso; quando anche se ci accorgessimo di non aver portato nulla, non avremmo neanche il tempo di rimediare.

«Oh, un portafoglio. Me l'ha regalato mio nonno qualche compleanno fa.», dice Jakotsu mentre rovista nel sacchetto che si porta dietro. «È davvero orribile. Ma ad Inuyasha piacerà, ne sono sicuro.»

Mi volto e lo guardo, accigliata.
Fantastico. Siamo alla festa di uno che non conosciamo, con un regalo riciclato. E il nonno di Jakotsu, è risaputo, fa davvero regali inguardabili.

«Come fai a sapere che gli piacerà se neanche lo conosciamo?», replico ovviamente. «Stiamo facendo un regalo sull'ipotesi che il festeggiato abbia dei gusti di merda. Così, a sentimento.»

«Stai dicendo che mio nonno ha dei gusti di merda?», mi chiede Jakotsu leggermente risentito e io sgrano gli occhi.

Sango ridacchia e mi dà di gomito e io rimango un attimo trasecolata. I ragionamenti di Jakotsu mi lasciano spesso perplessa. Molto spesso.

«Tu lo hai appena detto!», ribatto alzando le mani in segno di resa.

«Io non l'ho detto!», dice lui, piccato, e incrocia le braccia in quel modo che denota grazia e, al contempo, stizza.

«Hai detto che il portafoglio è orribile e che l'ha scelto tuo nonno, da questo possiamo facilmente dedurre che-»

Mentre siamo nel pieno del dibattito sui gusti di merda del nonno di Jakotsu, la porta si apre rivelando... Manzo Atomico.
Pensavo che sarebbe stato il festeggiato ad aprire la porta ma, effettivamente, è troppo mainstream. Meglio utilizzare il proprio amico come improvvisato maggiordomo.

«Ehi, ciao Miroku!», dice Jakotsu all'improvviso e tiro un sospiro di sollievo quando nessuno di noi, salutandolo, lo chiama per sbaglio Manzo Atomico. «Tieni, questo è per... Inuyasha.», aggiunge poi e gli molla subito fra le mani il pacchetto con dentro il regalo riciclato.

«Ciao, Jakotsu! Ben arrivati! Lo metterò insieme agli altri.», replica lui e prende il pacchetto, tutto contento. «Prego, venite!»

Si fa da parte, permettendoci di entrare.
Una volta dentro, comincio a guardarmi intorno e quello che scorgo non mi piace per niente. È proprio come immaginavo; vi sono tante, tantissime persone intente a muoversi al ritmo di una musica che sta lentamente uccidendo i miei neuroni sani. Credo che in caso d'emergenza nessuno di noi riuscirebbe a raggiungere l'uscita; se pur la casa sia molto grande, il quantitativo di persone presenti è riuscito a renderla una perfetta trappola per topi. Oh, bene. Farò parte di una grossa polpetta umana destinata alla distruzione. Entusiasmante.

«Alla faccia della cosa sobria.», borbotto in tono acido.

Kikyo scoppia a ridere – lei riesce sempre a cogliere la mia ironia ed è quella che riesce quasi ad apprezzare il lato polemico del mio carattere.
E comunque, poi, io non sono polemica. Sono giusta.
Inaspettatamente, anche Manzo At... anche Miroku scoppia a ridere. Sango, intenta ad osservare il ragazzo con aria sognante, comincia a ridere nel momento esatto in cui lo fa anche lui.

«Eccola, Kagomina la rompina!», dice Jakotsu alzando gli occhi al cielo e scompigliandomi i capelli, come se fossi una bambina.

Si sta vendicando per la discussione sul nonno, lo so.
Tutti scoppiano a ridere, persino Miroku, e io gonfio le guance per poi sbuffare, stizzita. Lui e quel bruttissimo soprannome, accidenti!

«Giuro, non era mia intenzione rendere la festa poco sobria.», dice Miroku e mi sembra di scorgere del sarcasmo nella sua voce. Giusto un po', eh. «Purtroppo, la notizia è trapelata e quei pochi sono diventati... troppi.»

Oh, beh, ma dai? Impensabile. È proprio incredibile, chi se lo aspettava?!
Di solito, quando organizzi una festa in una villa, sei ricco e ti metti a dispensare inviti a “pochi eletti” chiedendo riservatezza e discrezione, ritrovarsi un quantitativo spropositato di gente dietro la porta è la prassi, la normalità. Ma non li guarda nessuno, i film?

«Ma dai...», mi lascio sfuggire con finta meraviglia e posso sentire lo sguardo di Sango incenerirmi.

Miroku mi regala un sorriso sghembo e poi sospira.

«Jakotsu, perché non mi presenti le tue amiche? Oltre a Miss Simpatia, qui.», dice Miroku e i suoi occhi blu passano dal mio viso a quello di Kikyo per poi soffermarsi più del consentito su quello di Sango.

«Mi chiamo Kagome.», puntualizzo, scocciata.

Jakotsu sorride e Kikyo fa lo stesso; Sango, invece, non sorride. Si scioglie. Letteralmente.

«Lei è Kikyo e lei è Sango.», dice Jakotsu e spinge Sango in avanti, tanto che la poverina quasi va a finire addosso a Miroku.

I tre cominciano ben presto a parlare del più e del meno, dell'università, degli esami appena conclusi, dei professori, del tempo che passa.
Io partecipo alla discussione quel tanto che basta per essere cortese ed educata. La musica mi stordisce, le scarpe cominciano a farmi male e ho un'insensata voglia di caffè che mi tormenta.
Comincio a spostare il peso da un piede all'altro, impaziente. Sono già stanca. E poi... perché nessuno parla del festeggiato, nessuno lo cerca.
Non si fa vivo, come se non esistesse.
Sembra di essere ad un party di Gatsby**, tutti fanno baldoria e nessuno che si preoccupa di capire chi sia o dove si sia cacciato il festeggiato.

«Beh, io adesso devo andare. Faccio un giro della casa, vedo un po' come stanno gli invitati.», dice Miroku con un sorriso di cortesia. «Se volete seguirmi...»

Oh, per carità, no.

«Oh, io, Kikyo e Kagome andiamo a prendere qualcosa da bere.», esordisce Jakotsu mettendomi un braccio intorno alle spalle e io sorrido, radiosa. Finalmente ci spostiamo. «Sango, tu?»

Jakotsu sembra accogliere la mia supplica interiore. In realtà, so benissimo che non è per me che lo fa ma per Sango. La cosa mi va bene comunque. Basta spostarci da qui.

«Io seguo Miroku volentieri.», risponde Sango candidamente e Miroku sorride, prendendola sottobraccio.

Li vediamo allontanarsi lentamente, contenti, inghiottiti da un gruppo di persone in transito poco distanti da noi. Sospiro e mi volto verso i miei amici. Beh, quantomeno Sango passerà una bella serata – si spera. Adesso, però, non possiamo andarcene. Devo rassegnarmi, devo solo rassegnarmi...
Cominciamo a dirigerci verso un tavolo lunghissimo sul quale sono poste bibite e alcolici di ogni tipo.
Ricerco con lo sguardo un qualsiasi succo di frutta... niente. Ah, quanto è dura essere delle persone noiose.

«Guarda, Ka-chan. Ho trovato del succo di mirtillo.», mi dice Kikyo porgendomi un cartone colorato.

Lo prendo e lo squadro un po' prima di acconsentire. Mentre sono intenta a versare il succo in un bicchiere di plastica – unico reperto intonso fra i tanti utilizzati – una voce cattura la nostra attenzione.

«Ehi, bellezze!», bercia qualcuno dietro di noi.

Io e Kikyo ci volgiamo d'istinto e la stessa cosa fa Jakotsu – si sarà forse sentito preso in causa anche lui?
Ci ritroviamo davanti un ragazzo dai lunghi capelli corvini raccolti in una treccia e intensi occhi blu scuro. La particolarità non sono, però, i capelli lunghi, che sono comunque qualcosa d'insolito, bensì... beh, è in mutande. Indossa solo un paio di mutande, un papillon iridescente e degli scarponcini. Rimango un attimo sconvolta e mi ritrovo a versare il succo fuori dal bicchiere, sul pavimento. Risollevo subito il cartone e lo poggio sul tavolo dietro di me ma ormai il danno è fatto. Una pozza violacea giace ai miei piedi e il tipo in mutande comincia a ridersela di gusto.
Si può sapere perché c'è un tipo in mutande e papillon? Dove cacchio è il proprietario di casa? Comincio a pensare che questo Inuyasha sia un frutto dell'immaginazione di tutti; un capro espiatorio creato semplicemente per dare una festa.

«Siete amiche di Inuyasha?», chiede il tipo in mutande.

«Beh...», comincia Kikyo torcendosi le mani, un sorrisetto ebete sul viso e gli occhi puntati sugli addominali del tizio.

Mi volgo leggermente verso Jakotsu e vedo che è entrato in trance totale. Meraviglioso, questa serata slitta di bene in meglio. Se adesso vedessi spuntare un gruppo di uomini a cavallo di capre, potrei giudicarlo del tutto normale... tanto...

«Esiste davvero?», chiedo inarcando le sopracciglia, ironica.

Il tipo ride, ancora, e fa spallucce prima che un sorriso sornione nasca a macchiargli il viso.

«Certo che esiste!», dice portandosi le mani ai fianchi. «Se lo cerchi, lo trovi. Comunque, io sono Bankotsu.»

«Kag-»

«Kikyo!», dice la mia amica scavalcandomi e sovrapponendosi fra me e Bankotsu. «Il mio nome è Kikyo. Lei è la mia amica Kagome e lui è Jakotsu.», dice poi portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sembra ricomporsi.

Rimango a braccia incrociate e sopracciglio inarcato mentre Jakotsu non accenna a dare alcun segno di vita. Kami-sama, datemi la forza...

«Woho, amiche? Credevo foste sorelle! Vi somigliate parecchio!»

«Ce lo dicono in molti.», dice Kikyo sorridendo.

Alzo gli occhi al cielo. Miei dei, sempre con questa storia. Fin dal liceo, io e Kikyo siamo sempre state scambiate per sorelle e non riesco ben a capire perché. Lei è alta, io no. Lei ha gli occhi castani, i miei sono di uno strano grigio slavato che è tanto particolare quanto inquietante.
Forse sarà lo stesso naso all'insù o la pelle chiara, i capelli corvini... ma io non trovo nessuna somiglianza. Insomma, lei è maledettamente strafiga! Io sono una sempliciotta. Una sempliciotta misantropa che si sta rompendo le scatole di questa festa!

«Allora, venite a ballare?!», dice il tipo, contento, battendo le mani a tempo di musica. «Questo ritmo spacca

Sì, il cervello, spacca.
Sto per rifiutare ma Kikyo si china al mio orecchio e capisco che la questione sta per prendere una piega differente rispetto a quello che avevo anche solo immaginato.

«Ka-chan, io mi butto.», mi sibila all'orecchio, il tipo di fronte a noi che balla sul posto, impaziente.

«Ti butti. Con il tipo in mutande. Seriamente?», sibilo a mia volta e lei fa una risatina che non promette nulla di buono.

«Dai, è simpatico, ha un papillon iridescente!», dice ridendo. Certo. Il papillon iridescente è da sempre una grande garanzia in fatto di uomini. «E poi, non credo ci sia di meglio.»

«Certo che non c'è di meglio! Fa tutto schifo!», sbotto io ma vengo tirata indietro e mi accorgo che Jakotsu si è letteralmente attaccato al mio braccio.

«Vai, Kikyo, divertiti. Poi, voglio i dettagli.», le sussurra Jakotsu con un sorriso malizioso e le strizza l'occhio.

Kikyo diventa di mille sfumature di rosso prima di allontanarsi con il suo Cavalier Mutanda. La poverina vuole, sicuramente, soltanto ballare, non è il tipo da andare a letto con qualcuno al primo appuntamento!
Jakotsu deve sempre destabilizzarla con quel tipo di commenti – come se non conoscesse Kikyo!

«Che fortuna. Un uomo in mutande e papillon è sempre stata una delle mie fantasie erotiche.», confessa Jakotsu, languido, portandosi le mani al viso.

Mi batto una mano sulla fronte, frustrata, e sospiro sonoramente. Cosa ho fatto di male in questa vita?

«Ricordami di nuovo perché sono qui invece di mangiare ramen davanti la tv.», borbotto mentre mi allontano.

«Perché è triste. E squallido. E perché ci ami.», mi risponde con voce stridula prima di lasciarmi un bacio sulla guancia.

Che bella, l'amicizia.
* * *

«Ka-chan! Ka-chan!»

Mi sento scuotere e riapro gli occhi improvvisamente. Mi guardo intorno, spaesata. Sono seduta su uno dei divanetti posti ai margini del salone e accanto a me c'è Jakotsu. Oh, sì, ricordo la ressa che ho dovuto oltrepassare per riuscire a sedermi qui. Ho dovuto scavalcare tutte le persone del salone e solo i Kami sanno quante volte mi hanno pestato i piedi.

«Cosa c'è?», biascico e comincio a stropicciarmi gli occhi con forse fin troppa enfasi.

Sento Jakotsu sbuffare e mi volto per guardarlo negli occhi. Quando incrocia il mio sguardo, si apre in un sorriso che definirei quasi dolce.

«Ti sei addormentata sulla mia spalla.», m'informa e sembra soffocare una risata. «E mi hai sbavato addosso.»

«Non è vero!», esplodo, vergognosa. Io non sbavo nel sonno, giuro.

Jakotsu scoppia a ridere e io incrocio le braccia, incollerita, e comincio a fissare il salone pieno di gente che balla spensierata. Riesco a vedere Sango e Miroku e anche Kikyo che balla con Cavalier Mutanda, cioè Bankotsu.

«A quanto pare, questa festa vi è piaciuta.», dico e mi volto verso Jakotsu. «Perché non vai anche tu, mmh? Magari trovi qualcuno di... interessante.», lo invito e gli sorrido.

Oh, andiamo. So che muore dalla voglia di gettarsi nella mischia. Questa festa è riuscita, non fa schifo come tutte le altre a cui siamo stati.
Certo, è strana. E il festeggiato ancora non si vede da nessuna parte.
Però, non ho ancora visto gli uomini che cavalcano le capre. Questo è già un punto a favore di questo party.
Jakotsu mi osserva e la sua espressione combattuta mi fa sorridere.

«E tu?», chiede titubante e si morde un labbro.

Scuoto la testa, come a rassicurarlo, e gli do una spallata incoraggiante.

«Nah, lo sai che non mi piace stare lì in mezzo. Ma se per una volta avete beccato una festa decente, vai e divertiti! Io ho portato un libro.», lo tranquillizzo e tiro fuori il libro dalla borsa. Meno male che sono una persona assolutamente previdente e prevedibile. Meno male.

«Sei la solita secchiona.», mi apostrofa ma non c'è sdegno nelle sue parole.

Si alza, mi lascia un bacio sulla fronte e mi lancia l'ennesima occhiata che sembra chiedermi “sei sicura?”.
Gli sorrido, annuisco e gli mostro nuovamente il libro. Questo basta a farlo allontanare, se pur non sia totalmente convinto.
Sospiro e comincio a ricercare gli occhiali da vista nella borsa. Li trovo, li inforco e comincio a leggere le prime pagine de Il giovane Holden per quella che è la millesima volta. Nonostante la musica ad alto volume, riesco a farmi coinvolgere dalla piacevole lettura e dimentico tutto.
Dimentico di trovami in un posto che non mi piace, attorniata da persone strane che annoverano tra le loro fila individui in mutande e papillon.
Di tanto in tanto, gli schiocchi e i risucchi della coppia che si sta dando da fare sullo stesso divano, a due posti di distanza da me, mi fa perdere il filo. Mi volto un attimo a guardarli e penso che l'immagine, vista da fuori, potrebbe risultare addirittura ironica. Io e loro nello stesso divano, loro che si dedicano alla laringoscopia e io a Salinger. Ironico davvero.
Sprofondo nuovamente nella lettura e noto appena un fruscio e una presenza che, con molta delicatezza, ha appena preso posto al mio fianco.
Sollevo lo sguardo e mi volto. Trovo accanto a me un ragazzo.
Ha un bel viso, i tratti regolari, mascolini, marcati. La cosa che mi colpisce immediatamente sono i suoi occhi; sono di un castano dorato strano che contrasta terribilmente con i capelli nerissimi.
Sono occhi insoliti, tanto particolari quanto inquietanti. Sì, un po' come i miei. Rimaniamo un attimo a fissarci e gli occhiali mi scivolano sul naso.
Mi dimentico sempre di cambiare montatura, questa è sempre stata un pochino larga. Lui mi sorride e io mi riscuoto.

«Sì?», chiedo, diffidente. Cosa vuole? Se spera nel rimorchio facile, può andare a farsi un giro. Userò Jakotsu, come al solito. Sono già pronta.

«Ciao.», dice. Semplicemente. Beh, ha una bella voce, comunque.

Inarco un sopracciglio e lascio il libro sulle gambe.

«Ciao.», rispondo, educata, risollevando gli occhiali. «Senti, se stai tentando un qualsiasi approccio, devo purtroppo bloccarti subito. Sono qui con il mio ragazzo ed è laggiù.», dico con aria saccente, sicura, e indico il punto dove prima Jakotsu stava ballando, senza però staccare lo sguardo dal suo.

Il ragazzo dagli occhi castano dorato guarda per un attimo dove indicato e io continuo a guardare lui. Quando poggia nuovamente lo sguardo su di me, quasi sussulto e arrossisco appena. Quello sguardo così profondo...

«Laggiù, eh?», chiede con un sorrisetto.

«S-sì, laggiù.», ripeto e balbetto appena tirandomi su per l'ennesima volta gli occhiali che mi sono scivolati sul naso.

«Beh, mi sembra che il tuo ragazzo abbia altri gusti.», mi dice lo sconosciuto e riesce a malapena a soffocare una risata.

Mi volto di scatto verso l'improvvisata pista da ballo e noto Jakotsu che balla con un altro ragazzo; i due sono molto... complici, affiatati. Attaccati.
Insomma, sono vicini alla laringoscopia anche loro.
Mi giro verso lo sconosciuto, in imbarazzo, colta in flagrante. Sollevo le braccia, in segno di resa. Mamma mia, che figura di merda.

«Beccata.», mormoro e mi mordicchio un labbro. «Beh, comunque è mio amico.»

«Lo usi spesso per evitare assalti maschili?», mi chiede lo sconosciuto con tono gentile. Non sembra per nulla offeso, anzi. È divertito.

Faccio spallucce e mi porto una mano al mento in un finto atteggiamento meditabondo.

«Se serve, sì. In realtà, non vengo notata spesso.», confesso e non so neanche perché lo sto dicendo. Forse per giustificarmi, per fargli capire che non sono solita fare cose di questo tipo, perché non ne ho bisogno. «Vedi la stangona in abito azzurro che balla con il tizio in mutande? E l'altra, con il vestito rosso, che balla con il ragazzo con il codino?», chiedo indicando prima Kikyo e poi Sango. «Ecco. Loro sono le mie migliori amiche. Diciamo che quando esco con loro, posso stare tranquilla. Non mi noteranno mai. Io posso leggere in pace e Jakotsu farsi... i fatti suoi.», scherzo e dedico allo sconosciuto un mezzo sorriso.

Sì, è vero, le persone non mi piacciono e ancor meno quelle alle feste. Però, lo sconosciuto sembra gradevole. Sembra cordiale, ha un'aria assolutamente rassicurante e sta ascoltando le mie cazzate. Parte bene... o male. Dipende dai punti di vista.
Il ragazzo ride poi si passa una mano fra i capelli. Rimango per un attimo a fissarlo prima di tornare in me. Non mi piace l'effetto che mi fa.

«Io, però, ti ho notata.», obietta lui con un sorriso gentile. «E penso tu non abbia niente in meno delle tue amiche.»

«Grazie...?», dico titubante e sembra quasi una domanda. Mi ha appena fatto un complimento? «Comunque, direi che è difficile non notarmi in questo contesto.», replico e non posso fare a meno di notare il lieve tono polemico che si affaccia nella mia voce. È più forte di me. «Sono l'unica persona che legge ad una festa, in mezzo a tutta questa gente che... beve e balla.», dico e arriccio il naso in disgusto.

Lo sconosciuto sembra accorgersi del mio tono di biasimo e si lascia andare ad un'altra breve risata. Comincio a pensare che abbia una bellissima dentatura e noto che, quando sorride, compare una piccola fossetta sulla guancia sinistra.
Sublime. Incantevole.

«Non ti piacciono le feste, eh?», chiede.

Osservazione abbastanza ovvia ma direi che posso perdonargliela.

«Assolutamente no.», asserisco convinta e chiudo il libro di scatto. Sento che sto per dare il peggio di me ma non mi importa. Ha stimolato tutte le mie lamentele represse e adesso io devo parlare. «Oggi è il mio primo giorno di vacanza. Sai cosa volevo fare? Stravaccami sul divano a mangiare ramen e guardare “Tokyo Ghoul” e invece no. I miei amici mi portano qui...», dico e indico il salone con un gesto della mano. «...con la promessa di una festa contenuta. E invece, tutti questi tipi che bevono... e ballano... e basta. C'era persino un tipo in mutande! Mutande! E in tutto questo, ho un vestito scomodo, delle scarpe “da sera” che mi fanno malissimo... mi hanno pestato i piedi un sacco di volte, ho riso forzatamente... mi sono anche addormentata!»

Lo sconosciuto scoppia a ridere di gusto e io sospiro, affranta. Perché mi trova divertente?

«Tu ridi?! È una vita di merda! Dovrei essere in vena di far festa... non lo sono per nulla.», continuo a blaterare e non mi preoccupo neanche di aver detto una parolaccia, non mi importa neanche cosa può pensare di me. Lui continua a sorridere e mi ascolta. Ed è così rassicurante. «E tutto questo perché un tipo che neanche conosco compie gli anni! Dov'è questo, poi?! Ancora non si è visto! Beh, grazie stronzo! Tanti auguri ma non ti conosco!», dico, stizzita, e inveisco contro quel festeggiato che ancora non è comparso e credo non comparirà mai.

Lo sconosciuto ride e ride ancora, come se avessi detto la barzelletta più divertente al mondo. In realtà, la barzelletta sono proprio io, che mi lamento con un ragazzo che non conosco neanche e mi beo del suo sorriso, senza capire perché. Ma non fa nulla, va bene così. Non lo vedrò mai più e, almeno, ha dato una piccola svolta a questa noiosa serata.

«Se ti può consolare, mi sento esattamente come te. Io odio le feste. Preferisco i posti tranquilli come i caffè, le biblioteche... la mia stanza. Invece, anche io sono stato trascinato qui. Incravattato e scocciato!», mi confessa mentre guarda dritto di fronte a sé, poi sospira. «Le feste sono stupide. C'è troppo rumore e troppa gente. La musica è brutta e si è tutti compressi.»

E io mi sento meno sola, quasi compresa. Non ho mai sentito nessuno dire queste cose e sembrare al contempo così figo! Io mi sento una tale sfigata! Lo sconosciuto si volge verso di me e mi dedica un sorriso da mozzare il fiato. Io rimango ad osservarlo come un'ebete, rapita. Potrei guardare quella fossetta e quegli occhi per sempre, senza stancarmi mai... Oh, accidenti, ma cosa vado a pensare?!

«Tuttavia, dopo tutto, non è stato un male venire a questa festa.», confessa e socchiude gli occhi. Si morde un labbro e mi sembra di vederlo arrossire appena. «Ho incontrato te.»

Sento le guance imporporarsi velocemente e il cuore mi batte così forte!
Non ho mai provato nulla di simile, mai. Mi mordicchio il labbro inferiore e, davvero, per la prima volta nella mia vita non so cosa replicare.

«Oh, comunque, piacere!», dice, come riscuotendosi, e mi tende una mano, sorridendo. È un gesto inusuale, tuttavia, l'afferro e la stringo. «Sono Inuyasha, lo stronzo che compie gli anni. Adesso mi conosci. E tu chi sei, adorabile biasimatrice di feste?»

Sgrano gli occhi e resto impietrita, la mano ancora stretta nella sua. Oh, miei dei. Ditemi che è un incubo, che non è successo sul serio.
Che grandissima figura di merda! Sempre la solita, sempre io! Vorrei sotterrarmi, lo vorrei davvero.

«Oh, cazzo.», biascico sempre a occhi sbarrati, incapace di dire qualcosa di senso compiuto. Incapace anche solo di alzarmi e fuggire lontano.

Lui ride ancora ma non ritira la mano che continua a stringere la mia. La stretta è salda, calda. Mi tranquillizza. Mi piace, vorrei stringerla sempre.

«Un nome originale, non c'è che dire.», riesce a dire fra le risa e io mi porto la mano libera al viso, totalmente disarmata dalla mia improvvisa stupidità e inettitudine.

Faccio un respiro profondo e tolgo la mano dal viso. E lui è ancora lì e sorride. Ed è bellissimo. E io sono stupida.

«Kagome.», dico finalmente e presentarmi a qualcuno non è mai stato così faticoso. «Il mio nome è Kagome.»

Lui annuisce e si umetta le labbra. E i miei occhi seguono la sua lingua, incantati, prima di tornare a soffermarsi sull'interezza del suo viso.

«Kagome.», sussurra e sembra quasi stia assaporando, gustando questa piccola parola di tre sillabe che è il mio nome. «Molto carino.»

Sorrido e mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Improvvisamente, ricordo che ho ancora gli occhiali da vista e, con un gesto fulmineo, li tolgo immediatamente. Perché non ci ho pensato prima?

«Senti... adesso, però, devi togliermi una curiosità.», dico di punto in bianco e stringo gli occhi a due fessure. Questa domanda è d'obbligo, e non posso fare a meno di formularla. «Se non ti piacciono le feste, perché tutto questo? E soprattutto... dove caspita eri mentre gente in mutande girava per il tuo salone?!», chiedo ironicamente e scoppiamo entrambi a ridere.

Poi, Inuyasha si acciglia velocemente. Si passa una mano sul viso e sospira, come se stesse cercando le parole adatte, come se dovesse spiegare qualcosa di complicato. In realtà, qualcosa mi dice che la risposta è più semplice di quanto sembri. È arrivato il suo tempo di lamentarsi e blaterare senza sosta ed io non vedo l'ora di ascoltarlo.

«Beh... è tutta opera di Miroku, il mio amico. È lui che ha organizzato la festa. Mi ha obbligato a presenziare, io non volevo. Mi dice sempre che sono un vecchio orso senza capacità di socializzazione.», dice Inuyasha e sbuffa sonoramente, stizzito. «Mi ha detto che avrebbe organizzato una cosa contenuta, come dicevi tu. Poi, tutto è degenerato, ma c'era d'aspettarselo!», alza gli occhi al cielo e io annuisco. Oh, com'è intelligente. Almeno lui c'era arrivato. «Non conosco quasi nessuno, a parte qualche collega, e nessuno si è chiesto dove fossi. Beh, a parte te. Così, mi sono scocciato ben presto e, appena Miroku si è distratto, sono fuggito al piano di sopra.»

Mi sento quasi rincuorata dalle sue parole. Ed è qualcosa di insolito.
Non ho mai incontrato qualcuno che mi fosse così affine. Mi sento così vicina a lui e lo conosco praticamente da pochi minuti. Rimango in attesa, aspettando che parli ancora. Lui che si gratta la testa, leggermente in imbarazzo, forse ancora alla ricerca di parole che non trova. Le nostre mani sono ancora strette, sembra che nessuno dei due abbia intenzione di mollare l'altro. La cosa mi fa piacere, anche se mi crea un certo imbarazzo.

«Quando sono sceso, poco fa, per prendere una birra al tavolo delle bibite, ti ho vista.», racconta e mi guarda. «Eri qui, seduta e stavi leggendo.», pronuncia l'ultima parola ad occhi sgranati, come se ancora non credesse d'avermi vista sul serio. E nel suo stupore, riconosco il mio. «Mi sei sembrata una... una visione. Mi hai... attratto immediatamente. Così, ho deciso che dovevo... dovevo parlarti.», termina il suo discorso con fatica e noto che è completamente paonazzo.

«Potevo anche essere una persona sgradevole.», replico a stento, in imbarazzo.

Mi sento così confusa, il cuore che batte impazzito e la testa in subbuglio.
Oh, mamma, stento a credere a quello che sto vivendo! Queste cose non capitano solo nei film? Insomma, sono schifosamente fortunata o cosa?
Per un attimo, sembra che la mia vita non sia poi così di merda.

«No, non potevi. Non so perché, ma lo sapevo.», ribatte lui, con fervore, il tono sicuro, fermo. «E già, anche se abbiamo parlato poco, credo di aver ragione.»

Ridacchio nervosamente e sento improvvisamente caldo. Questa cosa che riesce a spiazzarmi e a togliermi la capacità di parola si sta volgendo a mio sfavore, sempre di più.

«Anzi... che ne dici di darmi ragione, ancora? Voglio dire... vuoi andare via? In un posto tranquillo. Ti va del tè?», mi chiede Inuyasha, titubante, e si gratta la nuca. Sembra parecchio in difficoltà, come se questa domanda gli fosse costata molto. «Sono stanco di questa festa... anche se, in teoria, è per me. Vorrei andare via.»

Lo guardo per un attimo e rimango in silenzio. Inclino leggermente la testa di lato e ancora non riesco a credere alle mie orecchie.
Ho conosciuto un ragazzo ad una festa, il festeggiato che odia le feste e... sta chiedendo di uscire a me. Ed è bello, bellissimo, e io sono... sono... consenziente. Sì, accetto. Ci vado, cavolo!
C'è qualcosa che mi lega a lui e se credessi in tutta quella roba dell'anima gemella, potrei già dire che Inuyasha è la mia.
Se credessi a tutta quella faccenda del filo rosso, potrei dire che lo vedo, è lì! E lega la sua mano alla mia.
Ma... non ci credo. Però, lui mi piace! E mi è affine. E mi sembra di conoscerlo da sempre.

«Un caffè.», dico e sorrido, le guance rosse. Sono contenta. «Vorrei un caffè.»

Inuyasha rimane per un attimo a bocca aperta, come se non ci credesse. Poi, si riscuote. Scuote leggermente la testa poi annuisce lievemente e mi sorride. E il mio cuore si ferma.

«Allora, caffè sia.», acconsente.

Ci alziamo e mi tiene ancora per mano. Questo contatto mi è talmente familiare che sarebbe quasi strano separarmene. E ancora, non me lo spiego. Sarebbe tutto più facile se credessi a quelle antiche leggende... saprei già che risposta darmi.

«Non devi avvisare i tuoi amici?», mi chiede improvvisamente, mentre cerchiamo di raggiungere la porta d'ingresso.

Lancio un'occhiata furtiva al salone e riesco a scorgere a mala pena Kikyo e Bankotsu. Sospiro poi sorrido. Questa sera è andata diversamente, la festa ha portato per tutti delle novità belle e inaspettate. Non c'è stato nessun“ve l'avevo detto”, non ci sarà nessun Hana Pub. E va bene così.
Mi volgo verso Inuyasha e scuoto la testa.

«Se la caveranno. Manderò un messaggio.», dico semplicemente, facendo spallucce. Quando riusciamo a raggiungere la porta d'ingresso, lo sento tirare un sospiro di sollievo. Corrugo le sopracciglia, una nuova domanda che preme contro le mie labbra. «Certo che potevi dirmelo, comunque. Potevi dirmi che Inuyasha eri tu, invece di farmi blaterare in quel modo!», sbotto all'improvviso.

Inuyasha mi guarda un attimo, perplesso, e poi prorompe in un ghigno divertito. Realizzo che è dannatamente attraente, il suo viso a pochi centimetri dal mio, e mi sento in balia del suo sguardo magnetico.

«Come potevo interromperti? Eri troppo divertente, sarebbe stato un peccato.», risponde e mi strizza l'occhio.

Riusciamo ad uscire dalla villa e questa volta sono io a sospirare. L'aria pulita mi riempie i polmoni e mi sferza il viso e io sorrido.
Sollevo lo sguardo al cielo carico di stelle e sento qualcosa, una sensazione diversa, come se ci fosse qualcosa di nuovo, un cambiamento in atto.
Non so cosa sia, ma è piacevole.

«Inuyasha.»

«Sì?»

«Buon compleanno.»

Premo le mie labbra contro le sue e innesco il cambiamento.

 

Note:
**Levante – Alfonso: https://www.youtube.com/watch?v=jIQdHRs0EeI
Il testo della canzone porta originariamente “corre l'anno 2013”, ma mi sono permessa di cambiarlo per far sì che fosse ancor più in linea con lo scritto.
**Gatsby, protagonista del libro di Fitzgerald “Il Grande Gatsby” organizzava fantastiche feste ma non si faceva vedere spesso, confondendosi fra gli invitati. Molte delle persone presenti alle sue feste, infatti, giungevano senza invito e non avevano idea di chi lui fosse.

Angolo autrice.
Sì, so di avere due storie da proseguire... ma non ho potuto farne a meno!
Mentre ascoltavo “Alfonso” di Levante, questa one-shot ha preso forma nel mio cervello e dovevo scriverla. È stata ispirata dalla canzone e noterete alcuni riferimenti palesi. È uno scritto un po' assurdo e non sono sicura di come sia venuto... è scritto diversamente da ciò che faccio di solito e mi sono concentrata su un solo personaggio... prendetelo come un esercizio di scrittura!
Qui abbiamo il classico colpo di fulmine... Kagome non lo riconosce, perché non ci crede... ma lo percepisce e poi...! :) Il resto è dato in pasto alla vostra immaginazione, com'è giusto che sia!
Beh, mi dileguo. Se vi va, potete lasciarmi un commentino per farmi sapere cosa ne pensate! Sempre graditissimo.
Un abbraccio.
RJ.

 

  
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