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Autore: Sarah M Gloomy    25/08/2016    0 recensioni
Secondo libro della serie The Exorcist.
Amabel è stata costretta ad accettare di non essere una normale sedicenne, bensì la reincarnazione dell’esorcista della menzogna, morta sul rogo nel 1400. Ha accettato anche il suo compito, quello di esorcizzare gli spiriti con l’aiuto di Lie. Solo che neppure così la sua vita è normale. Quello che ha fatto nell'ultimo periodo continua a ripresentarsi e Ridley, il ragazzo da lei salvato, sembra convinto di conoscere la sua seconda natura. Ma qualcos'altro sta succedendo, come se Bel non fosse stata l’unica persona riportata dal passato.
Genere: Commedia, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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            Sono in una prigione. La mia guancia comprime contro il freddo pavimento e un filo di paglia è a un dito dal naso. Respiro, le costole mi fanno male dove sono stata percossa. Vicino le sbarre vedo la schiena di due sentinelle che fanno la guardia. Uno ha velocemente distolto l’attenzione da me, come se potessi entrare dentro la sua testa e controllarlo. Le mie budella si ribellano e la mia mente, la sento, si sta lasciando trasportare in quel profondo oblio. Mi sollevo a sedere, a fatica, strisciando verso la parete. Le catene mi bloccano mani e piedi. Sono pesanti o io sono troppo debole. Chiudo gli occhi. Vi prego, non venite da me.
So che la mia richiesta sarà esaudita. Ho molte ossa rotte, il solo respirare è un inferno e Lie non verrà da me. È una certezza. Per quanto lo voglia, lui sarà fedele al mio desiderio. Per quanto lo desideri, sono messa così male per donargli quell’energia che gli occorre per avvicinarsi alla prigione.
Vicino alla parete c’è una ciotola con dell’acqua, in cui un topo si sta abbeverando. Con una mano lo allontano e lui, indispettito, ubbidisce. Bevo a piccoli sorsi, ma qualcosa non va. Mi trovo a vomitare acqua mista a sangue. La sete, se possibile, mi sembra più acuta. Mi lascio crogiolare nel mio dolore, con una certezza che quel ritmo di tosse e sangue, prima o poi, cesserà.
   «Ve ne prego. Ditemi almeno di cosa mi accusate.»
   «State zitta, strega!»
L’urlo di rabbia mi blocca alla parete, sfiorando con il dito la ciotola sbeccata. Strega era come dire “sostenitrice del Diavolo”. Che strano uso di parole, visto da quando ne ho memoria lavoro per conto della Chiesa e nel nome di Dio. Bisbiglio a me stessa la mia condanna. «Strega … sarò giustiziata.»
Mi alzo in piedi, ingobbita dai pesi delle braccia, guardando fuori attraverso il piccolo spioncino. Sono nelle segrete di un qualche luogo a me sconosciuto. Il pezzo di ponte e il laghetto sono stranieri. Gli altri, ne sono certa, mi verranno ad aiutare. Anche se questo fosse la loro ultima missione. Siamo sempre stati insieme. Ci siamo sorretti nel bene e nel male, nella malattia e nell’isolamento. Gli esorcisti sono una faccia della stessa medaglia. Cerco di toccare una sbarra con la mano, ma le catene sono troppo pesanti. E io non ho la forza di ribellarmi, di invocare il primo esorcismo e di sopperire a quella prigionia.
Sento il rumore di un chiavistello che si apre, seguito dall’echeggiare di passi di una persona in salute. Sono passi pesanti e un po’ impacciati di chi non è avvezzo a quel tipo di indumenti. Le guardie si mettono in difesa, mentre io scivolo lungo la parete, stanca della mia audacia.
Una terza guardia, più minuta e dagli abiti che le stanno larghi, chiede una conferenza con me. Vedo il sigillo del nostro Ordine, prima che questo sia spezzato dalla guardia per la lettura della missiva. Non so se arrischiarmi ad avere una qualche speranza. La sentenza di stregoneria mi sembra una certezza. L’altro soldato mi fissa, in attesa. Sono certa che nessuno dei due sappia leggere ma che siano costretti a quel teatrino. Dalla semiluna di spazio tra spalle e busto vedo due righe appena accennate.
La guardia ripone la lettera tra le mani del nuovo arrivato, lanciandomi una bieca occhiata. «Fate attenzione. Incanta con lo sguardo.»
Abbozzo un sorriso. Non sono una strega, ma un’esorcista. Immagino che per loro sia la stessa cosa. E se potessi incantare i vivi, in ogni modo, una prigione sarebbe l’ultimo posto che vorrei visitare.
La guardia accompagna le altre all’uscita, chiudendo la porta alle sue spalle. Fa scattare la serratura e io mi preparo a un’altra giornata di tortura.
La guardia apre la porta della prigione, guardandomi con strani occhi neri liquidi. Mi volta le spalle, togliendosi l’elmo e facendo scivolare lungo le spalle i lunghi capelli corvini. Abbozzo un sorriso, appoggiando la testa alla parete di pietra. «Vi ho salvato la vita. Ricambiate il favore?»
La mia copia mi fissa. Malachite, nata dai miei stessi genitori il mio stesso giorno, mi fissa con degli occhi che avevo giurato di non voler più vedere. Al suo interno c’è un luccichio di perdizione e corruzione che, ricordo, aveva trovato anche nostra madre. Avevo sempre sperato di poterla, un giorno, redimere.
Malachite mi si avvicina, sfiorandomi il volto con il guanto di metallo. «Mia sciagurata sorella.»
Scosto la testa. Mi fa male ogni membra del corpo. Un confronto con lei non è auspicabile. Ne emergerei sconfitta. «Siete venuta a gongolare?»
   «Strano uso delle parole, sorella. Voi, che avete sempre finto che io non esistessi, ora mi state supplicando.»
   «Non vi supplico.» Rantolo. Anche il respiro, ora, mi sembra essere trafittivo. «Né ho mai finto con voi. Vi avevo detto che eravate crudele per questo mondo. Vi ho solo protetta.»
Malachite ride, una risata senza gioia. «Protetta? L’unica da salvaguardare eravate voi. Come potevate essere un’esorcista se nel vostro passato c’era una macchia? Come potevate, voi, essere vessillo di Dio quando dal vostro sangue è nato qualcuno che non poteva neppure camminare tra gli uomini?»
   «Cosa avete fatto?»
   «Che intendete dire?»
Malachite è in difesa, cosa che mi dà un certo vantaggio. «L’Ordine degli Esorcisti è un ordine segreto. Nessuno sa della nostra esistenza. Voi come fate a sapere che ne faccio parte?»
E poi tutto è chiaro. La prigione, la schiavitù, le ossa rotte e pure il soldato che mi chiama strega. Tutto si lega in quel telaio che era la mia prigione. «Siete stata voi. Mi avete venduta.»
   «Come voi avete fatto con me.»
   «Malachite, non vi ho mai venduta. Ho cercato solo di proteggervi.»
   «Proteggermi?» Di nuovo quella voce sprezzante e lo sguardo carico di odio. «Proteggermi da cosa, Dalila? Da voi? Da quella famiglia che mi teneva segregata in quella sudicia abitazione, senza poter mai vedere la luce del sole? Come volevate proteggermi?»
Ansimo, stringendo vicino a me la ciotola. «Avete ucciso. Siete un’assassina e il prezzo per quelle morti era l’impiccagione. Preferivate morire? Ho dovuto barattare la vostra vita con la prigionia e ho fatto in modo che foste sempre in salute. Vi hanno tenuto al sicuro, vi hanno nascosto per il vostro bene.»
   «Preferivo essere libera. E a proposito di quella famiglia: l’ho uccisa. Siete soddisfatta di portarvi con voi altre morti?»
Morti. Ogni volta che la incontro si trascina dietro solo cadaveri che avrei potuto salvare. Apro le dita della mano sinistra, bisbigliando con tutta la forza che mi è rimasta. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
La catena si lega alla mano destra di mia sorella, ma sono troppo debole e le posso lasciare solo un marchio della sua depravazione, con la certezza che avevo salvato qualcuno che dovevo uccidere.
Malachite mi sferra un calcio nelle costole già incrinate, e l’osso si conficca di più tra i miei visceri. Tossisco sangue e liquido bianco. Morirò, e non potranno né uomini né Dio perdonare ciò che ho fatto.
Malachite si massaggia il polso: l’ustione sfrigola ancora. Vedo il segno lasciato dal primo esorcismo marchiarle la pelle. Possa Dio segnare la sua anima in eterno. È l’unica richiesta che la mia anima può fare. Alza la testa, in segno di sfida. «Nessuno sa della mia esistenza, Dalila. Siete stata molto furba a nascondere il vostro peccato. Tuttavia, questo vi ha portato alla morte. Avete confessato di essere un’esorcista e di esservi macchiata di molti crimini.»
   «Quanto odio può nascere da una persona? Vi sentireste meglio se io morissi? Placherei la vostra sete di sangue?»
Lei continua, incurante. «Ho confessato al posto vostro. Sono entrati nel vostro Ordine e hanno catturato quelli che vi erano al loro interno. È iniziata una caccia che porterà alla vostra estinzione.»
   «Titus … Lartia …»
   «E tutti gli altri, Dalila. Voi li avete traditi.»
Scossi la testa. «No. Posso ritrattare, posso dire di aver mentito.»
   «Potete, ma chi vi crederebbe. I loro nomi sono stati trovati, annotati con gli omicidi commessi.»
Omicidi? No, esorcismi. Tutte quelle anime salvate, tutte le vite restituite al volere di Dio ed essere accusati di averli in realtà uccisi. E le nostre vite, distrutte, senza mai poter amare o soffrire, per sempre destinati a salvare e placare degli spiriti, nella certezza di essere noi stessi incompleti. Malachite si inginocchia. La divisa militare gracchia sul pavimento. I suoi occhi sono più dolci, ora che mi può fronteggiare senza una mia reazione. «Vedete? Siete davanti a me, morente, e quello che pensate è di incolpare voi stessa di tutto. Cercate ancora di salvare la vita a quelle persone che, in realtà, avete portato a morte certa. Non pensate neppure di fare il mio nome.»
   «Per i registi voi non esistete.» Ammetto. «E come potrei, poi, uccidere mia sorella. Non lo feci neppure quando nostra madre morì di peste e voi staccaste gli occhi a quel gatto. Dovevo capirlo da allora che voi … voi siete nera come gli spiriti che combatto.»
   «Vi dico una certezza, Dalila. Quando le fiamme inizieranno a lambirvi, e il fumo vi annebbierà la mente, alzate gli occhi e guardate davanti a voi. È lì che mi troverete, a guardarvi morire come voi faceste con me. Vi priverò della vostra vita allo stesso modo in cui voi mi toglieste la libertà, con la certezza che a voi seguiranno altri innocenti. Le nostre terre pulluleranno di qualunque essere voi cacciate e la vostra congrega avrà doppiamente fallito.»
Malachite mi sorride, chiudendo la porta delle sbarre. Li ho uccisi io. Ho ucciso e tradito i miei compagni perché non ho avuto abbastanza fiducia di loro. Ansimo, bisbigliando piano. «Lie … Lie.»
Sono troppo debole. Molto probabilmente le energie di Lie si sono consumate e non gli rimane altro che la sua volontà, alla ricerca di un perché si senta morente. Una lacrima mi scende sulla guancia, chiedendo scusa a chi mi aveva protetto fino a quel momento. Io, all’opposto, non c’ero riuscita.
Non so quanto rimasi lì, con la lacrima secca sulla pelle. Mi fa male muovermi, sto male solo a respirare. I miei compagni non mi verranno a salvare perché, se è giusto ciò che ha detto Malachite, ai loro occhi io sono la traditrice. Non sono io. Perdonatemi, ma non sono io. Una guardia entra nella cella, il mio sguardo si snebbia e il topo, unico compagno di quelle mie ultime ore, si allontana nuovamente. Mi fa alzare in piedi, con gesti irruenti. Vomito sangue ai suoi piedi, obbligandolo a tirarmi i capelli e a ingerire il mio stesso liquido.
Ciondolo, più che camminare, e mai strada mi sembrò più lunga. Quando tutto sarà finito, mi dicevo, potrò riposarmi. Vedrò il luogo in cui tutte quelle anime aspiravano. Se Dio lo vorrà, potrò andare con loro. La guardia mi getta a terra e non ho la forza di alzarmi a sedere. Altri uomini mi sollevano e mi legano. Qualcuno mi getta del liquido sui piedi scalzi. L’odore mi fa rinvenire, movendo la testa e sentendo il palo dietro la mia schiena che mi tiene in piedi. La mia testa ciondola sulle spalle. Ho paura. Sto morendo e so che mi seguiranno i miei compagni. Al mio posto dovrebbe esserci Malachite. Se quel giorno avessi visto la sua vera natura, forse sarebbe cambiato tutto.
Sorrido. «Piccola dannata. Ancora adesso non posso tradirvi.»
Il prete mi alza la testa, bagnandomi le labbra aride. L’Inquisitore mi si avvicina. Lo riconosco, perché è grazie a lui che non posso bere acqua senza vomitarla. Vorrei fronteggiarlo e chiedergli se ha intenzione di torturarmi di nuovo. «Come vi dichiarate?»
Guardo alle sue spalle. Cerco di mostrarmi più dura di come sono, con l’intento di indispettire Malachite. È così che muore un’esorcista. In piedi, gli occhi aperti e la voce ferma. Tratterrò il dolore finché il mio corpo non potrà più sopportarlo. «Colpevole. Degli altri nomi di cui ho fatto menzione, che Dio possa perdonarmi, proclamo la loro innocenza. Solo io sono un vessillo del male.»
L’Inquisitore sorride e l’oro scintilla tra i denti marci. «Tentativo inutile. Saranno giustiziati come voi.»
Gettano una fiamma tra la catasta di legno in cui io, come una regina, mi trovo avvinghiata. Chiudo gli occhi e piango. Piango per Titus, Lartia, Sura, Damide, Maximus, Daulus e Oppius. Piango per la mia debolezza e le mie menzogne. Piango perché il fuoco ha iniziato a ustionarmi i piedi e mi corrode, mi sta distruggendo. Prego perché non siano torturati, perché la loro morte sia veloce almeno quanto la mia è lenta. Sono costretta a urlare, sentendo qualcosa dentro di me collassare e la tosse, ora, è l’unico modo che mi rimane di respirare.
E urlo, urlo di nuovo mentre una mano cerca di tenermi salda. Qualcosa brucia, dentro di me, in opposizione con l’acqua gelida.
   «Dannazione, sta andando in autocombustione.»
La voce di Titus, di Chase, è preoccupata. Inizio a respirare con colpi veloci, sentendo i polmoni intatti e compressi nella gabbia toracica. I colpi si fanno più lenti, la mano di Chase è appoggiata alla mia vita. Il pavimento umido sotto di me sembra essere l’unico punto di salvezza che mi rimane.
Apro gli occhi, bagnata fradicia. Gli prendo il polso, stringendolo. Come Dalila, continuo a tossire come immersa in quella nube di fumo. «Non vi ho tradito. Io … io non vi ho tradito.»
 
                                                             † † †
 
            Sto tremando. Eliza mi ha avvolto in un asciugamano, in attesa. È seduta sul divano e mi fissa sospettosa. Tra le mani reggo una tazza di the caldo. Il liquido al suo interno vortica a ogni scossa, tanto che sembra ancora dentro al pentolino sul fornello. Sono indecisa se sorseggiare o meno. In effetti, quell’ultimo viaggio nel mio passato non so cosa mi ha lasciato. Dalila potrebbe avermi regalato i suoi polmoni.
Chase ha appena scostato la tenda, guardando il paesaggio fuori. Il cielo rossastro mi ricorda le fiamme da cui mi hanno appena salvato, riportandomi al presente. Ormai non posso più nascondere i segni dei miei sogni. Le bruciature stanno salendo lungo la gamba, lasciando dei solchi rossastri che mi è difficile non notare. Attraverso la veste di Eliza, sembrano proprio dei graffi di fuoco. E le torture … beh, le merito tutto solo per non essermi fidata di loro.
Chase sospira. «Ero presente. Il giorno in cui ci hai traditi, ero presente. Ti ho visto.»
Scuoto la testa, battendo forte i denti. «Non puoi avermi visto.»
   «Ti avrei riconosciuta in mezzo a mille, Amabel.»
La cosa bella, dell’essersi reincarnata, è che quello che era importante nel passato ora ha perso senso. Sono morta portandomi con me il più grande segreto della mia vita. Ora non mi importa. Posso dichiararmi libera da ogni catena. «Avevo una sorella gemella, di nome Malachite. È … era sadica come poche persone di quel tempo e … e non riuscivo a capire che era insalvabile. Dopo la morte dei miei genitori, mi presi cura di lei. Ti ricordi il giorno in cui sei venuto nel villaggio, Chase? Perché io adesso lo ricordo. So che mi sono detta che sarei riuscita a scappare, che avrei visto qualcosa che non fosse la pazzia di mia sorella. Malachite strappava gli occhi agli animali, torturava le bestie e uccise delle persone. Dei bambini al villaggio furono trovati morti e ne riconobbi il marchio di Malachite. Quando mi dicesti di partire, andai da una famiglia, amica di mia madre, e chiesi di occuparsi di mia sorella. Lasciata a se stessa, si sarebbe fatta impiccare. Non potevo permetterlo. Decisi di nascondervi la verità perché avreste visto come era veramente. Avevo la speranza che lei, lei fosse salvabile. Mi sbagliavo. Ogni volta che tornavo al villaggio, fingevo di non sentire le lamentele di quelle persone, di come Malachite si facesse più violenta, di come il suo odio fosse indomabile.»
Ora che stavo parlando, mi sembrava di aver aspettato troppo tempo per cancellare i miei peccati. Doveva essere per quel motivo, quel tacito silenzio della mia anima, il motivo per cui non potevo ricordare il mio passato. Perché gli esorcismi superiori mi si rivolgevano contro? Sempre per quel tacito tradimento? «Ricordo che mi catturarono e fui torturata, senza apparente motivo. Non dissi nulla, ve lo giuro. Non feci i vostri nomi. Malachite, però, mi venne a trovare in carcere. Si era liberata, aveva ucciso i suoi carcerieri e, nonostante non avessi mai fatto menzione dell’Ordine, sapeva di noi.»
   «Quindi stai dicendo che questa … Malachite, ci ha venduto alla Chiesa? Non ha senso. Noi lavoravamo per loro.» Julia mi guarda scettica.
   «Non è esatto.» Replica Chase, osservando il paesaggio. «Eravamo un Ordine segreto. Ero presente quando fu dichiarata la nostra esistenza. C’era Johannes … ed era presente il vescovo. Lui di certo non poteva sapere di noi.»
Warren sprofonda meglio sul divano. «Che stai pensando?»
Chase appoggia il gomito alla finestra. «Non ci avevo fatto caso. Pensavo fosse perché era agitata …»
   «Cosa?»
   «Dalila non mi riconobbe … o pensai fingesse di non avermi visto. Sono certo che mi guardò, ma si girò parte come se non sapesse chi ero. Spiattellò tutta la verità a Johannes e al vescovo, fece il mio nome nonostante fosse più facile per lei indicarmi. Lei doveva sapere che Johannes non glielo avrebbe mai perdonato. E Dalila lo aveva sempre trattato come un padre. Era stato lui a iniziarla all’Ordine. E c’ero io.»
Appoggio la tazza intatta sulla tavola, stringendomi l’asciugamano intorno alle spalle. «Malachite non è mai stata registrata. Già allora sarebbe stato difficile identificarla come mia sorella. Sono passati secoli e posso capire che fidarmi di me sia difficile.»
Philippe sbuffa. Non mi era mai piaciuto, né in passato né per quel poco che ci eravamo visti. Mi brucia ancora la lettera, dannazione! Ho sempre pensato che l’invidia e la menzogna non potessero essere alleati. Siamo sempre stati agli opposti. O forse eravamo troppo simili per poterci apprezzare. Ha incrociato le braccia ed è l’unico che mi fissa apertamente. «Mi sto chiedendo per quale motivo potresti mentire su una storia tanto assurda. E, che io sia dannato, credo a ogni parola che mi hai detto.»
La sua affermazione mi lascia di stucco. Ho la bocca arida e necessito di conferme. «Ti fidi di me?»
   «Sfortunatamente sì.»
   «Credi … credi veramente che sia stata Malachite, e non io, a tradirvi?»
Alza le spalle. «Per quale motivo saresti dovuta ritornare nel passato e rivivere il momento della tua morte, se non perché eri certa di essere innocente?»
   «Però è strana anche la storia che ci ha propinato.» Ammette Jamar. Si passa una mano sui capelli, stendendo le gambe sul pavimento. «Senza offesa, ma di te mi fidavo nel passato. E non è andata a finire granché bene.»
Robert è piegato su una sedia, concentrato sul pavimento. «Eravamo una famiglia. Anch’io ti credo, Bel.»
   «Mi dispiace.» Replica Eliza, con calma. «Concordo con Jamar. Ci sono ancora punti che non mi convincono. Puoi avere avuto una sorella psicopatica, nel passato, e potrebbe averti voluta morta. Noi, però, non gli avevamo fatto nulla. Perché avrebbe voluto vedermi impiccata?»
   «Non è quello il problema.» Replica Chase, continuando a voltarci le spalle. Mi mette a disagio la sua indifferenza. Più di chiunque altro, il giudizio di Titus ha sempre avuto più valore: perché era il capo, perché era stato lui a trovarmi, perché era Titus. Il solo fatto che non mi fronteggiasse era come dichiarare che sapeva che mentivo.
Eliza ridacchia. «Scusami tanto, ma ti assicuro che morire impiccata è stato poco piacevole.»
   «Il problema non è che siamo morti, o come lo siamo. In effetti non è importante neppure se siamo stati traditi da Dalila o da questa Malachite. Però in parte hai centrato il problema. Malachite deve aver odiato Dalila. E forse per distruggerla ha deciso di metterci contro di lei. Lei, però, non poteva sapere di noi. Se Dalila non ne ha mai parlato, chi potrebbe averlo fatto?»
   «Oltre a noi?» Chiede Julia. «Oltre a noi nessuno avrebbe mai parlato dell’Ordine. Noi o Johannes, ma è assurdo solo a pensarlo. Eravamo i suoi pupilli, i suoi esorcisti personali. Aveva potere illimitato.»
Chase finalmente si gira a fronteggiarci, appoggiandosi al vetro. «E c’è anche qualcos’altro non chiaro. Noi. Perché ci siamo reincarnati, dopo seicento anni, tutti insieme, in questa città, dall’altra parte del nostro mondo conosciuto?»
Maximus, o per meglio dire Warren, alza le spalle. «Forse il mondo ha ancora bisogno di noi.»
   «No.» Lo contraddice Chase. «Qualcuno ha ancora bisogno di noi.»
   
 
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