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Autore: endif    29/04/2009    9 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.



CAP. 18

DUBBI E PAURE

BELLA

Aprii gli occhi e strizzai bene le palpebre.

Allora non l’avevo sognato!

Lanciai uno sguardo tutt’intorno alla stanza e percepii una sensazione di benessere pervadermi i muscoli del corpo. Mi stiracchiai come una gatta e scostai le lenzuola. Mi accorsi che sull’estremità del divano c’era il mio beauty e lo presi alzandomi.

Aprii piano la porta.

Di sicuro si erano accorti che ero sveglia, ma nessuno fece capolino. Da Edward me lo sarei anche aspettato, ma mi stupii di Alice. Quasi mi immaginavo di trovarla nella stanza al mio risveglio.

Meglio così.

Feci una corsetta in punta di piedi fino al bagno, proprio a due porte da me. Esultai quando la raggiunsi e l’aprii. Stavo sgattaiolando all’interno, quando una mano gelida mi toccò la spalla e inarcai schiena e collo come colpita da una fucilata.

«Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere.»
Piegai le spalle sotto le parole di Alice, tutt’altro che comprensiva.


«Dammi il tempo di vestirmi!» Dissi spazientita e le chiusi la porta in faccia.

Mi guardai intorno. Quello era il bagno di Edward.

Era molto più contenuto di quello della sorella, con le piastrelle di un delicato color crema e, invece, dell’immensa vasca da bagno di Alice, c’era solo una spaziosa doccia a doppio vano. Nel complesso era decisamente più discreto e di mio gradimento. Mi ci sentivo a mio agio. Con delicatezza sbirciai i pochi prodotti su un ripiano di fianco ad uno specchio rettangolare. Qualche doccia schiuma, uno shampoo, un’acqua profumata.

Con un sospiro rilassato, lasciai scivolare la mise notturna sul pavimento, mi feci una doccia, mi lavai con cura i capelli e li passai con la spazzola. Mi lavai i denti due volte e mi spalmai di crema idratante alla lavanda tutto il corpo con un solerzia da fare invidia alle migliori massaggiatrici. Ero disposta a tutto pur di non incontrare Alice nel ritorno in camera di Edward, ma non avevo considerato di essere senza abiti. Non volevo rimettere quella camicia da notte, ma se volevo indossare qualcos’altro potevo solo rivolgermi a lei. Non avrei potuto evitarla comunque.

Mi feci coraggio e, stretta in un morbido accappatoio bianco, socchiusi la porta.

Nessuno.

Misi un po’ fuori una gamba e la testa per guardare meglio … e mi scontrai con un paio di ridenti occhi color miele. Sobbalzai.

«Buongiorno!» Edward era appoggiato al muro appena dietro la porta e mi osservava, divertito, in una posa rilassata con le braccia incrociate al petto.

Sgranai gli occhi. Era bello da togliere il fiato. Jeans e maglietta a mezza manica di una indefinita tonalità di grigio leggermente aderente al suo torace, sembrava un modello venuto fuori dalle pagine di una delle riviste di moda di Alice.

«B … buongiorno» mi uscì la voce roca.

Deglutii pur avendo la gola completamente asciutta.

«Ti sei data allo spionaggio industriale?» Sembrava che stesse per scoppiare a ridere, ma i suoi occhi erano dolci mentre lo fissavo ancora persa.

«La megera è di sotto, non preoccuparti. In camera ci sono degli abiti e la colazione. Fa' con comodo. Carlisle mi ha detto di riferirti che se te la senti puoi fare una passeggiata in giardino. Lei ti aspetta da basso.» La sua voce calda mi fece sciogliere le braccia che mi si abbandonarono lungo il corpo. Mi appoggiai mollemente allo stipite, delusa e un po’ pallida.

Non mi avrebbe accompagnato.

Il suo sguardo seguì ogni mio più piccolo movimento e ogni variazione della mia espressione, ma fraintese e mi chiese preoccupato: «Che hai, non ti senti bene?» Si raddrizzò immediatamente.

Che potevo dirgli? Che avrei voluto solo lui al mio fianco e nessun altro?

Stavo cercando una scusa plausibile da fornirgli, ma lui spalancò la porta del bagno e m'incalzò: «Bella ti prego parla! Così mi uccidi!».

Nel movimento mi trovai improvvisamente senza appiglio e mi sbilanciai pericolosamente in avanti. Sarei rovinata lunga sul pavimento se lui non mi avesse prontamente afferrata, sostenendomi al suo torace.

L’accappatoio mi scivolò da una spalla, rivelando la pelle liscia dell’omero e quella ancora più candida della parte superiore del petto, e si fermò pericolosamente in bilico tra la punta del mio seno destro e il suo busto. Se uno dei due si fosse scostato anche di un solo millimetro, sarebbe scivolato fino al fianco.

Al contatto con il gelo del suo corpo, chiaramente percepibile fin da sopra i suoi abiti, il mio rispose immediatamente. I capezzoli si indurirono e rabbrividii di eccitazione. Chiusi gli occhi inspirando il suo odore e poi, li riaprii.

Il suo sguardo si era fatto d’un tratto serio, comprendendo la delicatezza della situazione. Gli occhi gli si erano scuriti fino ad assumere il colore della notte senza stelle e sentii il suo respiro farsi più veloce. I nostri visi erano vicinissimi, ma non osavo muovere nemmeno un muscolo. Tutto era sparito intorno a me. Esistevamo solo noi, solo questo momento … ma dopo?

Dopo sarei stata disposta a lasciarlo andare come mi ero ripromessa?

«Bella».
Fissai le sue labbra sussurrare il mio nome roco, non avevo la forza di alzare lo sguardo nei suoi occhi.


«Bella, se non lo vuoi, fermami ti prego.» Il suo respiro era un rapido battito d’ali d'usignolo contro le mie labbra.

Chiusi gli occhi, deglutii e schiusi un po’ la bocca.

«No» presi fiato e decisi «non ti fermare» conclusi, la voce ridotta ad un sussurro.

Non volevo pensare, volevo annullare tutto il mondo, tutti i dubbi, perdermi in lui, far scomparire tutto il dolore che era stata la mia vita in questi mesi.

Sentii le sue labbra gelide posarsi esitanti sulle mie.

Mi parve che il tempo si fermasse e tutto l’universo si concentrasse su di noi. Rimasi ferma, immobile, con il cuore che mi batteva all’impazzata, il suo rimbombo fin nelle orecchie.

La mente si svuotò, ma il vuoto che l’occupò mi oppresse l’anima.

C’era desiderio in questo bacio, dolcezza e brama, ma amore? Io l’amavo, non avevo mai smesso di farlo, ma lui? Ora mi voleva, lo sapevo, ma domani?

Per tutto il tempo che mi vorrà, fosse anche solo adesso. Pensai frastornata.

Tremai. Una lacrima bagnò il mio viso e la sua guancia.

Provai compassione per la ragazza che ero stata, per la sofferenza che avevo provato e che mi aveva segnato così profondamente. Strinsi forte gli occhi. Non dovevo pensare a queste cose, non ora.

Lo sentii staccarsi da me con sforzo e riaprii gli occhi. Lessi nei suoi un dolore e una contrizione profondi. Non spostava lo sguardo dal mio viso e con un dito mi raccolse un’altra lacrima che era strabordata.

«Bella, perdonami. Per tutto.» Inspirò e si passò una mano fra i capelli.

Mi stava chiedendo scusa, ma scusa di che, di desiderarmi, ma di non riuscire più ad amarmi? Di essersi pentito di avermi baciata?

Lo guardai confusa, le lacrime ormai sgorgavano copiose.

Lo vidi scuotere il capo. «Ti prego, ti prego Bella non piangere più per colpa mia.» Anche i suoi occhi mi parvero lucidi.

Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e tenendomi stretto l’accappatoio addosso fuggii nella sua stanza. Non mi trattenne, e mi lanciai sul divano in preda ai singhiozzi.

Un attimo dopo, lo sentii parlare dietro la porta con voce sofferente e rassegnata: «Bella, quando vorrai io ci sarò sempre. Non ti farò mai più del male, non ti forzerò mai più a cose che non ti senti di darmi. Quando ti sentirai pronta, parleremo.»

Non riuscii a fermare i singhiozzi, ma registrai le sue parole senza coglierne il vero significato.


EDWARD


«Bella, quando vorrai io ci sarò sempre. Non ti farò mai più del male, non ti forzerò mai più a cose che non ti senti di darmi. Quando ti sentirai pronta, parleremo.»
Questo le avevo detto, con la morte nel cuore, dopo averla vista fuggire in lacrime via da me. Ero rimasto impotente fuori la porta della mia camera a sentirla singhiozzare e ad ogni singulto una lama mi trapassava il petto. Le braccia lungo il corpo, aprivo e chiudevo i pugni nel tentativo di calmarmi.


Sei contento adesso?

Cosa credevi di dimostrare con quella scena di seduzione? Che lei ti desiderava, che era attratta da te?

E con ciò?

Il desiderio da solo non significava nulla, nulla se non c’era la fiducia, la complicità, il rispetto, in una parola l’amore.

Amare Bella per me era stato facile, avevo tutto da prendere e nulla da dare.

Per questo mi ero imposto di lasciarle vivere la sua vita, per dare pieno significato al mio amore per lei. Ma da quando avevo rischiato di perderla, il senso di egoismo aveva preso il sopravvento. Non potevo fare a meno di lei, starle lontano era una tortura a cui non riuscivo a sottopormi.
E la volevo.
Volevo tutto di lei: la sua mente, il suo cuore, il suo corpo.


La violenza dei miei stessi sentimenti mi terrorizzò. Fin dove mi sarei spinto pur di averla?

Ero disposto ad assumermene le conseguenze?

Ma, soprattutto, ero disposto ad accettare le sue scelte, quali che fossero?

E se non avesse scelto me? Se avesse deciso di affidarsi all’amore di Jacob, più rassicurante, più umano?

Sentii attraverso la porta che il respiro di Bella si era fatto più tranquillo. Si era appisolata.

Scesi le scale, diretto alla portafinestra. Dovevo cacciare se volevo essere padrone di me in sua presenza, non volevo rischiare di spaventarla anche in questo modo.

Attraversai la portafinestra e guardai il cielo. Era nuvoloso, ma non molto. Non mi sarei potuto allontanare troppo.

L’hai fatta piangere. Di nuovo.

Non ebbi bisogno di girarmi per sentire la rabbia di Alice. Mi sarebbe giunta anche senza poterle leggere nel pensiero.

«Non ti immischiare, Alice.» Mormorai senza voltarmi, continuando a camminare.

«Oh, sì, invece, mio caro fratellino. Io le voglio bene e non ho intenzione di vederla soffrire ancora a causa tua.» Era passata alle parole per dare più vigore ai suoi sentimenti e mi seguiva imperterrita. Non mi avrebbe mollato se prima non mi avesse estorto una qualche confessione. Mi bloccai, eravamo ad un centinaio di metri da casa, e la guardai con occhi fiammeggianti.

«D’accordo, cosa vuoi da me, Alice?» le domandai battagliero.

Soppesò con calma le mie parole, poi, puntandomi il dito indice al petto, disse :«Voglio sapere se hai intenzione di dare a Bella una possibilità.»

Una possibilità IO A LEI? Ma era impazzita?

Parve riflettere un attimo e, senza darmi il tempo di frugare nella sua testolina malata, continuò: «Avete entrambi la mente confusa, mi state facendo impazzire con la velocità con cui mi arrivano le visioni più contrastanti. Prendete un DECISIONE, maledizione. Siete in attesa delle mosse dell’altro, e, intanto, continuate a farvi del male.»
Ascoltavo le sue parole a bocca chiusa, constatando che quando perdeva le staffe la sua voce diventava tagliante come una lama.


Sapevo che aveva ragione, ma ammetterlo mi costava.

«Io … io non voglio farla soffrire, non l’ho mai voluto. Ma è che … è che non so cosa pensa e ho paura di spaventarla se le dico cosa provo per lei, dopo tutto quello che le ho fatto passare» sospirai affranto. «Alice io non so più dove sbattere la testa, so solo che la voglio e basta. Ma so che non posso obbligarla ad amarmi, e adesso non sono più sicuro che mi voglia ancora …» Mi ero appoggiato al tronco di un albero come a cercare un appiglio e non annegare nelle mie stesse parole.

La vidi scuotere il capo dapprima esterrefatta, poi, passò alla circospezione ed, infine, allo scetticismo. «Ma cos’hai nella testa? Segatura? Paura di spaventarla? Non sai SE TI AMA ANCORA?» Il suo tono era stato un crescendo di acuti e, detto questo, prendendo un profondo respiro come quando si sta per ripetere ad un bambino testardo l’ennesima spiegazione, continuò più pacata: «No, Edward. La devi smettere. Così tu la stai uccidendo. Devi piantarla di avere paura e di non voler rischiare niente. Amare significa anche mettersi in gioco, esporsi. E tu devi dare a Bella queste possibilità. Anche se questo implicherà la sua trasformazione.» Un lampo di timore passò nei suoi occhi, ma terminò decisa: «Tu sai che è così, devi solo accettarlo».

La guardai per un po’. Sentivo il mio autocontrollo vacillare sotto i colpi della determinazione di mia sorella. «Rischio? Tu mi stai dicendo che devo mettere a rischio l’incolumità di Bella, tutta la sua vita per soddisfare i miei capricci?» Ero sbalordito da quello che udivo, ma anche arrabbiato con me stesso perché tentato dalle sue parole.

Lei mi fissò comprensiva. «Se tu hai deciso di non poter vivere senza di lei, se è lei tutta la tua vita, devi dare anche a Bella la possibilità di fare altrettanto, consapevole dei pro e dei contro. Lei deve avere libertà di scelta e tu devi accettarlo. Non l’amerai mai davvero se le camminerai sempre davanti per impedirle di inciampare, ma solo se sarai al suo fianco per sostenerla se deciderà di saltarlo il fosso, piuttosto che aggirarlo».

Quando terminò, il silenzio intorno a noi divenne assordante, ma le sue parole mi rimbombarono per molto tempo ancora nelle orecchie.

Non mi ero accorto che se n’era andata, a passo di danza, verso casa, lasciandomi solo e pieno di più dubbi di prima.



   
 
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