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Autore: Blablia87    26/08/2016    7 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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-169
 
 
“Esci immediatamente da qui.”
 
“Sherlock.”
 
“FUORI, MYCROFT!”
 
“Per quanto ti risulti difficile crederlo, non ho chiesto al Professor Watson di andarsene.”
“Sherlock.”
 
“È la mia vita. Era una mia scelta dirglielo o meno. VATTENE.”
 
“Se ti ostinerai a non mangiare, mi costringerai a ricorrere all’alimentazione artificiale.”
 
“Bene. Fallo. E pensa anche ad un modo per rendere inutilizzabile anche il braccio destro, dopo avermi infilato il sondino giù per la gola. Perché ti giuro che lo ritirerò fuori a forza dopo ogni inserimento.”
 
“La tua reazione non ha alcun senso.”
 
“La mia fottuta vita non ha alcun senso, Mycroft. Non per me. Ti avevo concesso sei mesi. Perfetto. Il tempo si è ridotto al naturale evolversi delle mie condizioni cliniche.”
 
“Sherlock.”
 
“Passa un buon pomeriggio. Ora fuori dai piedi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-168
 
 
[11:09] Ho saputo che sei rientrato a Londra. Tutto bene? GL
 
 
 
[11:32] John? GL
 
 
 
[11:43] Ok, non mi lasci molte scelte. Sto venendo in facoltà. GL
 
[11:45] Tu lo sapevi, non è vero? JW
[11:46] ? GL
 
[11:48] Che ha deciso di ricorrere all’eutanasia, in Svizzera.  JW
[11:49] Come hai potuto non dirmelo?! JW
 
[11:51] Ma di che diavolo stai parlando? GL
 
[11:53] Sto parlando di Sherlock Holmes, e del fatto che abbia deciso di morire. E tu mi hai comunque mandato da lui. JW
 
 
 
[12:08] Ti GIURO che non ne sapevo niente. E adesso rispondi a questo dannato telefono. Dobbiamo parlarne. GL
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-167
 
Questa mattina Lestrade mi ha chiamato, chiedendo come procedesse il caso.
 
Gli ho detto che non avevo ancora aperto il plico, cosa che – stranamente – è la pura e semplice verità.
 
La sua videochiamata è comparsa sullo schermo del computer all’ora esatta nella quale di solito John entrava in stanza interrompendo il fastidioso elenco di “dovrebbe” che tanto piace pronunciare alla donna in camice che si vanta di “essere qui solo per essere d’aiuto.”
 
John deve avergli riferito della “Scelta”, come la definisce mio fratello quasi fosse un’entità concreta.
Dalla sua espressione e dal tono di voce era palese che sapesse, e che il fascicolo fosse poco più di una banale scusa rivestita, per giunta, delle più tragica incapacità di mentire.
 
Immagino (anche se non riesco a capirne il motivo) che John gli abbia anche suggerito l’orario nel quale effettuare la chiamata.
 
Forse perché sa quanto odi che non mi si dia ascolto mentre tento di spiegare cosa sia perfettamente in grado di fare anche senza l’aiuto di qualcuno, e voleva fare in modo che avessi una scusa per cacciare l’infermiera.
 
Salvarmi da questa snervante routine senza dirlo esplicitamente era uno dei tanti patti non verbali che avevamo instaurato, presumo.
 
Ma il risultato non è stato lo stesso.
Lei se n’è andata, certo.
 
Lui, però, non è qui.
 
 
 
 
Mycroft ha dato istruzioni affinché venga nutrito per via parenterale.
 
La vena prescelta è, chiaramente, la basilica del braccio destro. Impossibile per me rimuovere l’ago. Non muovo le dita della mano sinistra in modo sufficiente, e non riesco a raggiungere il punto di inserimento con i denti.
 
Ha vinto lui, immagino, almeno di non incappare in una provvidenziale flebite chimica.
 
Continuerò a vivere, se così può essere definito questo insieme di respiri che vorrei essere capace di interrompere volontariamente.
 
 
167 giorni.
 
 
 
-166
 
Piove.
 
Le note di Brahms si mescolano al suono delle gocce sui vetri.
 
Vorrei poter andare in veranda.
 
Vorrei sentire la pioggia insinuarsi tra i capelli.
 
 
 
Vorrei John in piedi accanto a me, con gli occhi verso un mare che non vede ma che ha lasciato di buon grado che gli descrivessi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La zoppia si è ripresentata, in modo ancor più accentuato.
Ho dovuto comprare un bastone nuovo. Il mio è rimasto nella stanza di Sherlock.
 
Greg mi ha detto che si rifiuta di mangiare, e che Mycroft gli ha riferito di essere stato costretto ad avviare l’alimentazione per via venosa.
 
Io…
 
Forse avrei dovuto parlargi. Spiegare perché me ne stessi andando.
 
Ma lo avrebbe letto sul mio viso, il dolore ed il disappunto. E non merita né pietà, né fardelli.
 
Merita la vita che vuole, o di scegliere di non vivere, se preferisce.
 
Sarebbe tutto più facile, se smettessi di sognare la veranda, e quella stupida sedia da spingere senza che se ne accorga, per aiutarlo un po’ durante gli spostamenti.
 
Le mie notti sarebbero migliori, se la guerra tornasse a prendere il posto del suo viso. Non riuscirei comunque a dormire… Ma potrei consolarmi dicendomi che niente esiste più, ormai.
 
Sherlock Holmes, invece, esiste ancora.
Respira, vive, si muove, per quanto odi tutto questo.
Vorrei continuare a vederglielo fare. A guardarlo compiere magie mentre risolve un caso.
 
La verità è che dovrò starmene qui, ad attendere che anche lui divenga un ricordo irraggiungibile.
 
 
 
Come ha scelto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-165
 
Ho chiesto a Lestrade di mandare qualcuno a riprendere i fascicoli.
Mi ha risposto che non c’è alcuna fretta, di lavorarci con calma.
 
Non ha capito.
 
Non li voglio qui.
 
Non voglio leggerli, né risolverli.
 
Voglio solo che spariscano, insieme all’ombra del ricordo di John chino su di loro.
 
 
 
 
-164
 
Dal bagno sono scomparsi tutti i rasoi.
 
Mycroft ha anche fatto ulteriormente alzare lo specchio. Impossibile per me sperare di scagliare qualcosa sufficientemente in alto da far cadere a terra qualche frammento. E anche ci riuscissi, non sarei in grado di raccoglierli.
 
164 giorni ancora.
 
Le mie cellule celebrali muoiono ad ogni ora passata qui dentro, bloccato in una serie di gesti altrui che mi limito a subire passivamente.
 
Il mio corpo…
Quello ha smesso di esistere nel momento stesso nel quale un calcolo sbagliato lo ha portato oltre la balausta di quel palazzo.
 
 
 
È stato un errore dimenticarlo, solo perché lui era qui.
 
 
 
-163
 
Mycroft ha rimesso in moto la macchina “dell’accoglienza”.
Dedurre per l’arrivo di chi, è stato fin troppo semplice.
 
L’unica cosa che ho potuto evitare è stata la rasatura. Ho afferrato il polso dell’infermiera mentre compiva la prima passata. Le lame sono andate così in profondità che il sangue si è arrestato solo dopo qualche minuto.
 
Davanti alla faccia sconvolta della donna e la preoccupazione rivestita di disappunto di mio fratello, ho semplicemente messo in chiaro che, almeno di non decidere di immobilizzarmi il braccio destro e rendere evidente cosa davvero sia – ovvero un prigioniero – nessuno dovrà mai più avvicinarsi a me per alcun motivo.
 
Certo, continueranno ad infilarmi aghi nell’illusione che prima o poi decida di nutrirmi nuovamente.
 
Ma tutto il resto…
 
Che vedano la verità di quello che mi stanno facendo, invece di continuare a nasconderla sotto un tappeto di lustra normalità.
 
 
Spero solo che Victor capisca molto in fretta quanto poco desideri la sua presenza in questa casa.
 
Non credo che abbia mai capito, davvero, cosa quel patto stesse a significare.
 
Non farsi coinvolgere non era una delle tante opzioni.
 
Era la regola.
 
Ma la colpa, immagino, sia anche mia. Avrei dovuto troncare definitivamente ben prima che sei piani si frapponessero tra me e la vita che amavo fare.
 
Una macchina sta risalendo il vialetto.
 
È ora.
 
 
 
 
-162
 
È più forte di lui.
 
Non riesce ad evitare di guardarmi in quel modo, con la stessa compassionevole espressione che spesso accompagna il silenzio teso di chi si sente palesemente a disagio in presenza delle piccole e grandi deformità della vita.
 
Le difformità e le macchie sulla superficie splendente lo bloccano, lo agitano. Nella sua infanzia fatta di regole e buone maniere non c’è stato spazio per affrontare le diversità del mondo e la sua vastità di aspetti. Ne è una dimostrazione palese il fatto che i suoi genitori considerino disdicevole che alla soglia dei quarant’anni non si sia ancora accasato, trovando pace tra le braccia di qualche paziente ragazza londinese.
 
Il fatto che abbia frequentato solo uomini, fin dagli anni dell’università, è qualcosa della quale nessuno fa menzione durante i pochi momenti di aggregazione familiare, ad esempio i pranzi di Natale.
 
 
Capisco ogni singolo meccanismo della sua risposta emotiva a quanto sia successo.
Davvero.
 
Sono un’enorme pozza di sporcizia sul suo immacolato stile di vita.
Potesse, immagino che pregherebbe per me.
Non mi sorprenderei se scoprissi che lo fa davvero. In effetti, non conosco affatto la sua routine serale: non ho mai permesso che si fermasse una sola notte a Baker Street.
 
Ma il modo in cui mi guarda è solo uno dei mille motivi per i quali non voglio che resti.
 
Adesso si trova in sala da pranzo, con Mycroft. Uno dei tanti pasti ai quali ho evitato di presenziare, da quando il Titanic ha preso il posto delle mie gambe.
 
Staranno parlando di cosa fare per farmi cambiare idea. Di quali cure sperimentali intraprendere. Di quanto una relazione affettiva possa giovare alla mia salute mentale.
 
Stronzate.
 
Un cumulo nauseabondo di stronzate che mi riguardano, senza parlare mai davvero di me.
 
Io…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[13:03] Dovresti mangiare.
 
 
 
 
 
 
 
… Credo che…
 
 
 
 
 
 
 
 
[13:04] Non sto scherzando. Dovresti mangiare.
 
 
 
 
 
 
 
John.
 
 
 
 
 
 
 
 
[13:06] Non credo sia affar tuo, la mia alimentazione. SH
[13:07] Vero. Ma sarebbe un peccato mandare in debito di zuccheri il tuo prezioso cervello. JW
 
 
[13:09] Te ne sei andato. Non hai alcun diritto di scrivermi. SH
 
[13:10] Mi hai lasciato a marcire qui dentro. SH
 
[13:12] Sei tornato a Londra nel modo più meschino, patetico, codardo possibile. SH
 
 
 
 
[13:26] Hai ragione... non avrei dovuto scrivere. Ti chiedo scusa. JW
 
[13:28] Pensi che basti chiedere scusa? Eh? SH
 
[13:30] Che razza di soldato sei stato? SH
 
 
 
 
[13:37] Saresti dovuto rimanere qui. SH
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-161
 
Ho rimandato la lezione di oggi.
 
È solo… che non riesco a stare in piedi come e quanto vorrei.
 
È solo che oggi trovo più difficile di altri giorni alzarmi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Dovresti alzarti, Sherlock…”
 
“Dovresti andartene, Victor.”
 
“Non è per vederti dissolvere su un materasso, che sono venuto fin qui, lo sai.”
 
“Oh, certo che lo so. Sei qui per lenire il tuo senso di colpa e di impotenza, giusto? Sei qui per spingere la mia sedia per il giardino, sederti accanto a me sulla veranda e fingere che prima o poi potrò alzarmi a riprendere a condurre una vita consona al futuro di bugie e menzogne che hai previsto per te ed il tuo futuro, sventurato, compagno. Vita che, per inciso, ho sempre detto di non volere.”
 
“Questo è… è… “
 
“Crudele? Io sono crudele, Victor. Un mostro anaffettivo. Quale sarebbe la novità? Lo hai sempre saputo.”
 
“Ho sempre pensato che…”
 
“Che? Sarei venuto da te una sera con un anello? Che avremmo vissuto insieme?”
 
“No. Che un giorno avresti capito.
 
“Capito? Capito cosa?”
 
“Cosa voglia dire volere accanto qualcuno. Sentirne la mancanza, desiderare che il tempo non passi. Che…”
 
“Io non sono così, maledizione! Lo sai, lo hai sempre saputo! Io non cerco qualcuno con cui condividere il tempo, con il quale passare ore in silenzio solo perché la sua presenza è sufficiente. La mia mente non funziona così! Io ho bisogn—“
 
 
 
“Di quell’uomo. Non è vero? Di quel professore di cui Mycroft parla a denti stretti.”
 
 
 
“Io… No. NO. Non ho bisogno né di lui, né tanto meno di te. Ho bisogno che mi si lasci libero di decidere cosa fare della mia vita. E nessuno, nessuno, qui, lo sta facendo.”
 
 
 
 
 
 
 
-160
 
[01:06] Vorrei andare oltre la portafinestra, John. SH
 
 
 
 
 
 
 
-159
 
Victor se n’è andato.
 
Una stretta di mano impacciata, due destre incapaci di incastrarsi a dovere.
Questo corpo rende difficile anche la cosa più semplice.
 
Non credo che mio fratello gli abbia parlato della mia decisione. Se lo avesse fatto, glielo avrei letto negli occhi.
 
Le tristezze sono di tanti tipi diversi, ed ognuna segna il viso delle persone in un modo ben preciso. In fondo alle sue iridi non c’era paura, o la consapevolezza dell’ineluttabilità.
 
Meglio così.
 
Nessuna macchia viene via peggio da una coscienza dell’aver lasciato che una persona compisse un gesto come quello che sono pronto a fare. È come se tutti sentissero la presa delle dita attorno ad un cappio invisibile che sanno stringersi ogni giorno di più sotto la mia testa.
 
Lui non lo avrebbe sopportato, e sono sollevato che non debba farlo.
 
Non è nelle lacrime di qualcuno che voglio un pezzo della mia immortalità, ma nelle orecchie tese di chi ascolterà chi davvero fossi e cosa amassi e sapessi fare.
 
 
 
 
Sono stato portato a forza fuori dal letto, e messo davanti al pc.
 
Mycroft dovrà far rientro a Londra a breve, e ormai ha deciso di abbandonare la strada della diplomazia, a quanto pare.
 
Non potrà controllarmi costantemente, e la cosa lo terrorizza.
 
“Penso che dovresti aprire il link che ti ho inviato tramite mail. Entro le 15, possibilmente.” Si è limitato a dire, uscendo dalla stanza, più di un’ora fa.
 
Fallito il “tentativo Victor”, non voglio sapere cos’altro stia tentando di fare, per convincermi quanto meno a mangiare.
 
E più guardo quella sequela di numeri e lettere, più la voglia di scoprirlo si fa esile.
 
 
 
 
 
 
-158
 
 
John.
 
 
John in aula.
 
John in piedi davanti ad una lavagna ingombra di esemplificazioni di segnali neurochimici, lo sguardo stanco e l’andatura claudicante.
 
John che si apre in un sorriso mentre risponde ad una domanda, aiutandosi a fornire un quadro esaustivo con qualche piccola formula tracciata con cura al bordo della tavola luminosa che proietta il suo lavoro su il muro sopra di lui.
 
 
John che fa lezione.
 
 
Mycroft ha mandato qualcuno a riprendere il suo corso.
 
Io…
 
 
Ho rivisto la registrazione altre tre volte, dopo la diretta.
 
Conosco ogni espressione del suo viso, e buona parte del monologo iniziale con il quale ha introdotto l’argomento ai suoi studenti.
 
Ha il volto più tirato di quanto non ricordassi, e l’insonnia dev’essere peggiorata. Sicuramente la sua deambulazione lo ha fatto, e molto. Adesso poggia il peso anche quando si ferma. 
 
Però…
 
È… è lui. In ogni parte, in ogni centimetro di pelle e in ogni sguardo.
 
Ed è bravo. Dannatamente bravo.
Lento, pacato, ma estremamente preciso.
 
Uno di quei professori che ti fa venir voglia di prendere appunti, di alzare la mano.
Di interagire, di continuare a capire. Di ascoltarlo parlare ancora, e ancora…
 
 
“Lo farai di nuovo?” Ho chiesto a Mycroft, quando nel pomeriggio di ieri si è affacciato alla porta con sguardo attento.
 
“Dipende.” Ha risposto. Non è stato necessario specificare di cosa stessimo parlando.
 
“Fallo ancora, e fa’ in modo che possa fargli una domanda attraverso il tuo uomo.” Ho ribattuto.
 
“Ed in cambio, io, cosa dovrei ottenere?”
 
 
 
“Fammi partecipare ad una sua lezione, ed io ti concederò un pasto. Un pasto solido.”
 
Non ha aggiunto altro. Non ce n’è stato bisogno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-157
 
A quanto pare Sherlock ha un ragazzo. O dovrei dire un ex ragazzo, come ha puntualizzato poco dopo.
 
È venuto oggi durante l’orario di ricevimento.
 
Victor… credo.
 
Quando mi ha teso la mano, presentandosi, la frase “il fidanzato di Sherlock” ha per un attimo oscurato ogni altro senso, impedendomi di registrare correttamente le informazioni ricevute prima di quel momento.
 
Lui è… beh, davvero attraente. La cosa non mi stupisce affatto.
 
 
 
Dio, non posso credere che la prima definizione che mi sia venuta in mente sia “attraente”…
 
 
 
In realtà vorrei riuscire a capire perché l’idea che Sherlock avesse una relazione abbia generato in me un grado di confusione tale da avermi attanagliando la testa da quando è uscito dalla porta del mio ufficio fino a questo preciso momento.
 
Forse è solo perché non ho mai pensato a lui in quel modo… voglio dire, in qualsiasi modo.
 
Mi è sempre sembrato così distante, algido…
Che idiota. Perché mai non dovrebbe aver avuto anche lui storie, come chiunque altro?
 
O forse è stato quell’errore voluto di Victor nel presentarsi, come a voler marcare un territorio che, io, non sapevo neanche fosse stato delineato ed oltrepassato. Che esistesse.
 
 
 
“Ex”… perché Sherlock non vuole più saperne di lui.
Ex perché ha scelto di lasciarsi morire dentro un letto, piuttosto che reagire.
Ex perché, a quanto pare, la mia partenza deve aver messo in moto un qualche meccanismo che non riesco a comprendere del tutto.
 
“Fidanzato” affinché sappia che c’è, qualunque sia il rapporto che mi lega…va a Sherlock.
Fidanzato per spiegare con una stretta di mano che non ha intenzione di lasciarlo andare, ma che ha bisogno che io “faccia quello che ero solito fare con lui”.
Fidanzato perché lo aiuti a riavere lo Sherlock che sente di aver perso.
 
 
 
Razionalmente, ho individuato ogni singolo accento nascosto nelle sue parole, ogni sfumatura dei gesti. Ho capito l’uso delle frasi, il loro costrutto.
Ho compreso quali messaggi volesse che arrivassero.
 
Però…
 
Istintivamente, emotivamente…
Mi sento improvvisamente solo, ignorato.
 
 
È la cosa più infantile ed insensata che abbia sperimentato negli ultimi vent’anni.
 
In assoluto la più gratuita.
 
Eppure il pensiero che resta in cima al cumulo di tutti gli altri è uno solo:
Sherlock Holmes, in una qualche realtà parallela, avrebbe forse avuto modo di interessarsi a me.
 
E benché non ci avessi mai pensato prima di oggi, e conosca la situazione…
 
 
Continuo solo a vedere i suoi occhi a pochi centimetri dai miei, mentre cerco di convincerlo a vestirsi per andare alla Baia.
 
 
 
E a pensare che non li rivedrò mai più.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Oggi quest'angolo sarà silenzioso.
Lascerò che sia una grande poetessa del XIX secolo, a trovare le parole.


 
“ La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell’anima e canta la melodia senza parole, e non si ferma mai. 
(Emily Dickinson)
 
 
B.
   
 
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