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Autore: _Frame_    28/08/2016    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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94. Scolari e Maestra

 

 

28 novembre 1940, Berlino

 

Prussia si stava annoiando.

La stilografica scappucciata rotolò lungo il tavolo per la trentaquattresima volta, attraversò i fogli degli appunti lasciati bianchi, raggiunse l’orlo superiore di una delle pagine, e tornò indietro, seguendo la leggera pendenza del tavolo che la trascinava di nuovo nel punto da cui era stata spinta. La penna si posò contro l’indice di Prussia piegato a uncino, l’unghia spinta contro il legno, e si incastrò fra la falange e il tavolo. Prussia socchiuse un occhio appannato di noia, prese la mira, abbassò ancora di più il mento infilato nell’intreccio dei gomiti premuti sul banco, e stese il dito di colpo, spingendo la stilografica lontano. Trentacinquesimo rotolamento.

La penna riattraversò la distesa di fogli bianchi. La carta ovattò il suono del rollio, la stilografica tornò a correre verso le dita di Prussia e fece il rumore di una biglia di vetro che scivola lungo la rampa.

Prussia sollevò la falange, la penna corse sotto l’arco dell’indice, e lui vi schiacciò il polpastrello sopra, bloccandola. Il costante suono del rotolamento si interruppe e lasciò spazio ai brevi e irregolari passi di Germania che andavano su e giù per il pavimento, al fruscio della mappa incrinata sotto il tocco delle sue dita che battevano indicandone i punti, e alla sua voce che riempiva la saletta delle riunioni.

“Poiché Grecia sta effettuando un’offensiva su un nuovo fronte e sta anche rafforzando un’ulteriore difesa concentrandosi solo su suolo macedone, la situazione si sta rivelando più complicata da gestire.”

Prussia sollevò il mento dall’intreccio dei gomiti e sentì le vertebre del collo scricchiolare. La testa ancora assonnata, come riempita di batuffoli di ovatta, e le iridi sbiadite come braci morenti in mezzo al fumo e alla cenere del caminetto. Ruotò gli occhi verso la parete, sbatacchiò le ciglia e si strofinò una palpebra con una nocca per mettere a fuoco l’immagine di Germania in piedi davanti alla mappa del territorio ellenico. Un fascicolo di appunti in una mano, lo sguardo basso, e le dita libere a indicare la linea di contatto fra le armate rosse e blu – greche e italiane.

“E la possibilità di una controffensiva italiana si sta trasformando in una pura azione di difesa volta a...”

Prussia aprì la mano, affondò la guancia dentro il palmo, tenendo il gomito spinto sul tavolo, e spostò lo sguardo grigio di noia verso altri orizzonti.

Giappone non aveva smesso un attimo di scrivere. Gli occhi chini sulle sue carte, la mano stretta alla penna che sfilava dall’alto verso il basso, i capelli corvini spanti sulle guance, a coprire leggermente lo sguardo assorto, e le labbra piatte, senza espressione.

Un’altra ondata di noia risalì il petto di Prussia, gli fece lacrimare gli occhi, piccole perline trasparenti in mezzo alle ciglia, e lui inspirò a fondo per trattenere uno sbadiglio. Le parole di Germania divennero l’eco di un brusio lontano.

Prussia flesse il capo di lato, reggendosi la guancia con la mano aperta, e i suoi occhi si spostarono su Ungheria, seduta fra lui e Giappone.

Anche Ungheria teneva gli occhi chini. Un gomito sul tavolo, il palmo aperto sotto il mento, le dita che le gonfiavano leggermente la guancia, e la mano libera stretta alla penna che disegnava piccoli ghirigori sui fogli raccolti davanti al suo petto. Ungheria accavallò le gambe – indossava i pantaloni, era in uniforme – e sospirò. Le spalle si alzarono e tornarono basse. Una lunga ciocca di capelli le scivolò da dietro l’orecchio, sfilandosi dai fiorellini, e cadde lungo il braccio piegato, celandole lo sguardo più assopito di quello di Prussia.

Prussia cambiò mano su cui reggersi, stando poggiato sull’altro gomito, e girò il viso verso sinistra, dall’altro lato della tavolata.

Austria sbatté le palpebre lentamente, e gli occhi restarono socchiusi, sfocati dalla luce che si rifletteva sulle lenti. Le nocche flesse sfioravano appena la guancia, il gomito piegato sopra il tavolo non toccava gli appunti, le dita rigirarono la penna fra indice e medio senza scrivere niente. Il foglio sotto di lui era riempito di tre righe e le scritte si interrompevano. Austria abbassò gli occhi, aggiustò la montatura degli occhiali, facendone brillare una lente, e sospirò anche lui, come Ungheria. Lo sguardo soffuso, come dietro un velo di nebbiolina lattea, si appannò di noia.

Prussia sollevò un sopracciglio. Si strinse il mento fra le dita, massaggiò le guance storcendo una piccola smorfia e sentì un pizzicore di eccitazione prudere in fondo allo stomaco. Sollevò un mezzo ghigno, gli venne un’idea.

“Inoltre...” Germania si spostò verso il lato sinistro della mappa, superò il Mar Ionio e si mise davanti al Golfo di Taranto, risalendo il tacco dello stivale. Batté con un indice sulla città, ma non spostò gli occhi dagli appunti. “Dato il recente attacco che ha preso di mira il porto di Taranto...”

Prussia tornò sentire solo la voce nella sua testa.

Agguantò la penna già priva di tappo, afferrò uno dei fogli sfilandolo da sotto il gomito, spinse la punta della stilografica macchiata di nero contro la carta, e chiuse un braccio attorno alla pagina per non far vedere a nessuno. Tracciò dei segni grattando con la punta fino alla superficie del tavolo, e i suoi occhi si accesero di rosso. Flesse il polso, fece scivolare un’ultima scritta, e piantò un punto.

Prussia mollò la penna, accartocciò il foglio appallottolandolo in un pugno e lanciò un’occhiata a Germania. Era girato, il suo braccio alto a indicare il confine albanese.

“Possiamo intuire che un pieno coinvolgimento inglese anche su suolo greco sia ormai prossimo. Se dovessimo prevedere un punto nevralgico che potrà interessare Inghilterra, sicuramente questo sarà...”

Prussia flesse il braccio sopra la testa, tenne la punta della lingua stretta in un angolo della bocca, prese la mira, e lanciò la pallina di carta con un movimento a parabola.

La palla colpì la spalla di Austria, rimbalzò sul tavolo e giacque accanto al suo gomito. Austria si voltò di scatto, gli occhi caddero sul grumo di carta e si impennarono contro lo sguardo di Prussia. La curva di irritazione delle sopracciglia li rese più scuri e sciolse il velo di noia, la mano stretta alla penna strinse leggermente le dita e le nocche divennero più bianche.

Prussia riprese in mano la penna, la capovolse e batté ripetutamente l’estremità superiore sui fogli bianchi davanti a lui, facendogli segno di aprire la pagina che gli aveva lanciato. Il mezzo ghigno da furbo ancora stampato sulle labbra.

Lo sguardo di Austria si ammorbidì, le sopracciglia si distesero ma rimase una leggerissima ruga di stizza a increspargli la fronte. Guardò la palla di carta, spostò il gomito, poi squadrò di nuovo Prussia e di nuovo la pallina. La prese in mano, la rigirò due volte, accigliandosi. Scosse il capo e fece roteare gli occhi al cielo, ma infilò lo stesso le unghie fra le rientranze di carta e la aprì.

Austria stese il foglio, ne lisciò gli angoli, e lo espose alla luce della camera.

La penna di Prussia aveva tracciato una griglia di nove caselle, tre per tre, e l’inchiostro nero aveva lasciato una macchia a sbavare l’ultima riga orizzontale. Una croce riempiva la casella a destra della prima riga, solo una parola calcata con la calligrafia di Prussia spiccava sul resto della pagina.

 

‘Giochiamo?’

 

Austria sollevò un sopracciglio, gli ballò la palpebra inferiore. Tenne la bocca socchiusa e il respiro fermo.

Abbassò il foglio e scoccò una tagliente occhiata di rimprovero a Prussia, diventando scuro in viso. Prussia ignorò l’occhiataccia e unì le mani davanti al petto, il viso addolcito come quello di un bambino che si aggrappa alla gonna della mamma a chiedere i soldini per un sacchetto di caramelle.

Austria abbassò le palpebre, sospirò sconfortato, si massaggiò la fronte. Una fugace occhiata a Germania e anche lui rinforcò la penna. Stese il foglio sul tavolo, lisciandone i punti in cui si era stropicciato, e posò la punta della stilografica.

Prussia vide il polso di Austria scorrere, udì il suono della punta della penna che graffiava la carta, spargendo l’inchiostro, e un moto di entusiasmo gli pizzicò il petto. Rivolse lo sguardo al soffitto e infittì l’espressione di preghiera, mostrando un sorriso speranzoso al cielo. Aveva ancora le mani giunte davanti al petto.

Cerchio in mezzo a destra, cerchio in mezzo a destra, cerchio in mezzo a destra. Oh, ti imploro, Grande Fritz, se mi vuoi bene fagli mettere il cerchio in mezzo a destra.

“Creta è il nostro primo obiettivo da difendere,” continuò la voce di Germania, “e sarà anche il primo punto che Inghilterra occuperà per prendere immediatamente il monopolio delle coste e delle isole.”

Austria scollò la penna, la posò sul tavolo, e riaccartocciò la pagina, ingoiandola dentro il pugno. Aspettò che Germania si girasse a indicare l’isola di Creta, e lanciò la pallina a Prussia con un gesto più molle e lento.

Prussia stese il braccio, la acchiappò al volo.

Scartò il messaggio con gli occhi eccitati di un bambino a Natale che ha appena ricevuto un regalo alto fin sopra la sua testa.

Stese il foglio. Nella griglia c’era solo la sua croce. Sotto la scritta ‘Giochiamo?’, una frase con la calligrafia di Austria.

 

‘Non fare il bambino. Sto cercando di seguire, se non ti dispiace.’

 

L’entusiasmo morì come la fiamma di una candela investita da una valanga di neve gelida. Il regalo di Natale alto fin sopra la sua testa in realtà era una pila di maglioni di lana color grigio cenere.

Prussia corrugò la fronte, si girò verso Austria e gli inviò un’occhiataccia storta. Austria gli rispose scuotendo il capo. Sollevò il mento e tornò a concentrarsi sulla carta indicata da Germania. La mano posata delicatamente sotto il mento, lo sguardo altezzoso baciato dalla fioca luce del sole, e gli occhi che ancora scintillavano di una punta di irritazione.

Prussia stritolò il foglio dentro il pugno, piantò il broncio. Si sporse di spalle, scivolando sul gomito verso Austria, e si posò un indice sotto la palpebra. Tirò la pelle verso il basso, snudando l’occhio, e cacciò fuori la lingua.

Austria si girò di colpo e Prussia si voltò a sua volta, occhi al soffitto. Un sorrisetto da finto innocente a nascondere la boccaccia.

“A questo punto,” Germania fece due passetti lungo il profilo della cartina appesa al muro e girò una pagina dei suoi appunti, “direi di iniziare a valutare una possibile strategia d’invasione lampo considerando non solo il nuovo schieramento italiano, ma anche quello greco che si è distribuito in tre blocchi principali.”

Lo sguardo di Prussia cadde di nuovo su Ungheria. Stava terminando di disegnare la cornice di fiorellini tutt’attorno all’orlo della pagina in cui aveva segnato solo una frase in cima. Ora colorava le ombre delle foglioline sbocciate attorno ai petali di una rosa.

Sulle labbra di Prussia tornò a piegarsi il mezzo sorriso di eccitazione.

Schiuse il pugno e lasciò andare il foglio accartocciato. Prese un’altra pagina e ricopiò la griglia che aveva disegnato prima, segnando la croce nella stessa posizione, in alto a destra. Appallottolò la pagina rigirandola fra i palmi e ripeté il lancio, indirizzandolo a Ungheria.

La pallina di carta le scavalcò il braccio e atterrò al centro del foglio su cui stava disegnando, proprio sotto il suo naso. Ungheria tirò indietro il viso, sobbalzando per la sorpresa, e staccò la penna dalla foglia della rosellina. Inarcò le sopracciglia, scettica, e raccolse la palla di carta fra le punte delle dita. Si girò verso Prussia.

Prussia finse di tenere un foglio invisibile fra le mani e mimò lo scarto della pallina.

Ungheria alzò lo sguardo al soffitto, scosse la testa, ma tenne in mano il foglio. Si aggiustò i capelli dietro l’orecchio, sciolse le gambe accavallate, e aprì il messaggio. Restrinse le palpebre, lesse, e arricciò la punta del naso, perplessa. Allontanò il viso dalla pagina e rivolse un’occhiata a Prussia che diceva: Ma sei stupido?

Prussia sogghignò sotto i baffi e le mostrò le mani giunte, il viso implorante.

Dai, dai, giochiamo!

Ungheria socchiuse le labbra, perplessa. Rigirò la penna fra le dita, abbassò lo sguardo e tornò a chinare le spalle, tenendo il foglio liscio e fermo sotto un pugno. Scrisse qualcosa. I capelli ricaddero davanti alla spalla, le fluirono sul braccio. Ungheria si fermò e sollevò gli occhi di scatto, squadrò Germania che aveva spostato il braccio poco più in alto, stendendo l’ombra dell’indice fra Romania e Albania.

“Se si rivelerà necessario un nostro intervento, la base di partenza potrebbe essere...”

Ungheria accartocciò la pagina, la fece svanire dentro il pugno. Alzò la mano sopra la spalla e lanciò la palla con la forza di chi tira un giavellotto per fracassare la cassa toracica di un soldato dall’altro lato del campo.

Prussia dovette alzarsi dalla sedia per acchiapparla al volo. Si lasciò ricadere seduto, appiattì le spalle contro il tavolo, stando nascosto dietro le braccia, e scartò la pallina.

Di nuovo sulla griglia c’era solo la sua croce. Di nuovo una frase di calligrafia diversa sotto la sua.

 

‘Giochiamo?’

‘Non fare il bambino. Sto cercando di disegn – seguire, se non ti dispiace.’

 

Prussia tirò su un sospiro di indignazione, si posò la mano alla guancia impallidita e sgranò gli occhi che si erano ristretti nell’incredulità. Il labbro inferiore cadde aperto.

Si sono addomesticati a vicenda!

“Ormai è inutile nascondere l’evidenza che gli italiani non riescono più ad andare avanti.” Germania scartò una pagina, fece un passo più a sinistra e indicò la regione del Pindo sulla mappa greca, pur senza spostare gli occhi dagli appunti. “E le mancanze e le deprivazioni si fanno carenti in diversi settori, primo fra i quali...”

Prussia strinse i denti, lanciò un’occhiata offesa a Ungheria ma lei aveva ripreso a scribacchiare. I capelli fluiti davanti alle spalle e il capo sorretto da un palmo. Prussia sollevò le sopracciglia, arricciò un angolo delle labbra e un caldo formicolio gli solleticò la base della nuca, come i dentini di un piccolo insetto che scavano nella carne. Tornò a guardare il foglio, girò l’occhiata ad Austria, da sopra la spalla, e di nuovo su Ungheria. Tamburellò le unghie sul tavolo, si massaggiò la punta del mento, e sorrise. Sollevò un ghigno tagliente a forma di mezzaluna da guancia a guancia, snudando i denti affilati come quelli di uno squalo, il viso divenne nero e fra le orbite scure bruciarono gli occhi tinti di rosso. Le fiamme del Demonio arsero nel suo sguardo.

Prussia afferrò il foglio su cui lui e Ungheria avevano già scritto, lo voltò sulla parte bianca, inforcò la penna, gettandola sotto la luce, e una scintilla d’argento brillò sulla punta biforcuta della stilografica. Calò la penna, la schiacciò, e calcò la prima lettera come se stesse intagliando la pietra con uno scalpello.

Terminò, lasciò andare la penna e appallottolò il foglio schiacciandolo fra i due palmi. Controllò Germania – era girato – e lanciò il messaggio di nuovo a Ungheria. Questa volta la palla di carta le colpì la testa, sopra i fiorellini, e cadde accanto al suo gomito.

Ungheria si girò, i capelli ricaddero davanti a un occhio, e incenerì Prussia con uno sguardo di fuoco.

Prussia si tappò la bocca per contenere una risata di eccitazione, sogghignò contro le dita e il palmo, e premette la punta dell’indice sull’aria, in direzione della pallina di carta. Ridacchiò ancora, e le guance schiacciate dalla mano divennero gonfie e rosse come i suoi occhi.

Lo sguardo ardente di Ungheria sbiadì, lei abbassò gli occhi sulla pallina di carta, inarcò un sopracciglio, e tornò su Prussia con espressione scettica.

Prussia insistette con l’indice. Apri, apri! Ed emise un piccolo sbuffo fra le labbra, ingoiando una risata di anticipazione.

Ungheria levò gli occhi al soffitto, scosse il capo. Raccolse il foglio appallottolato e lo scartò una seconda volta.

Niente griglie, niente croci o cerchi.

Due parole.

 

‘Austria puzza.’

 

Le tremarono le mani. Le dita strinsero, incrinarono le pieghe della carta già stropicciata, e iniziarono a prudere dalla voglia di andare là e di strangolarlo. Ungheria piantò le unghie nella pagina. Vide le sue mani andare a fuoco, avvampare in una fiammata rovente e incenerire il foglio davanti ai suoi occhi.

Si girò verso Prussia. Il viso contorto in un’espressione a metà fra la rabbia e lo sconcerto, lo sguardo sbigottito, un lieve tic all’occhio a farle ballare la palpebra destra, e la bocca che non voleva chiudersi, ingessata in una smorfia di disprezzo.

Prussia scivolò con i gomiti sul tavolo, nascose la bocca dentro i gomiti intrecciati e soffocò la risata nascondendo il viso fra le braccia. Le spalle traballavano a piccoli singhiozzi, i pugni strinsero e la voce di Germania coprì i suoi sghignazzi soffocati.

“Mancano viveri, medicine, molti degli ospedali da campo sono stati fatti saltare in aria, e i servizi logistici sono carenti.”

Ungheria sospirò. Socchiuse gli occhi, rilassò le spalle, lasciò fluire le fiamme via dalle mani, e stese le dita, inclinando il foglio di carta verso il tavolo. Appoggiò la pagina sopra a quelle su cui aveva scarabocchiato, chiuse un pugno e ne lisciò le pieghe, stirandola fino agli angoli. La piegò in due, in verticale, pensando di metterla via e di bruciarla una volta finita la riunione.

L’eco della voce di Germania continuò a parlare in sottofondo, e la mano di Ungheria si fermò.

“... dato che erano concentrati sulla base di Premeti, e Premeti è stata recentemente riconquistata dalle forze greche...”

Ungheria sollevò lo sguardo, ancora con la ciocca spettinata che fluiva sulla guancia.

Germania indicò un punto di incontro fra le armate greche e quelle italiane. Le frecce rosse si intrecciavano con quelle blu in un’area racchiusa in una piana colorata a bande gialle e bianche, dove si raggrumavano rettangolini tagliati da croci. Giappone che continuava a prendere appunti come una macchina da scrivere e Germania che continuava a parlare come un nastro registrato.

Ungheria sospirò, e un’ondata di assopimento risalì il viso, ovattandole la testa e appesantendole la vista.

Noia.

Sollevò il pugno dalla pagina ripiegata, la guardò, e un breve ma intenso formicolio di eccitazione pizzicò anche lei.

Ungheria raccolse la penna, la fece oscillare fra le dita, mordicchiandosi il labbro inferiore, e i sensi di indecisione le fecero di nuovo prudere la mano. Riaprì il foglio, completamente vuoto sotto la frase scritta da Prussia.

Ungheria guardò l’idiota. Prussia sollevò il viso dall’incavo dei gomiti e si asciugò le lacrimucce che erano stillate dalle palpebre. Aveva ancora le guance rosse, la bocca torta in una smorfia divertita, e le spalle che tremavano sotto i sogghigni.

Ungheria sorrise. Un sorriso piccolo piccolo. Un sorriso perfido.

Si sistemò i capelli pettinandosi la ciocca dietro l’orecchio, rivolse la punta della penna alla pagina, e scrisse sotto la calligrafia di Prussia. Marchiò con un punto, posò la penna, e appallottolò il foglio. Sollevò la mano sopra la spalla, fece scattare il braccio e lanciò il messaggio.

La palla colpì il braccio di Prussia e rimase a giacere sul tavolo.

Prussia storse un sopracciglio, sorpreso, e incrinò l’espressione esilarata. Stese il braccio, schiuse le dita per afferrare la pallina, ed esitò, scettico. La agguantò in un colpo e si girò di profilo, chiudendosi nelle spalle, per leggerlo nell’ombra.

Aprì il foglio. Il cuore batteva forte, gonfio di curiosità.

 

‘Austria ce l’ha più grosso del tuo.’

 

Prussia si strozzò con il suo stesso respiro, sentì il cuore spaccarsi in due, il sangue gelare. Spalancò la bocca, sgranò gli occhi, e il viso divenne una maschera di gesso, bianco e rigido, senza vita.

Si voltò. La mandibola ancora caduta ai suoi piedi, gli occhi strabuzzati, e la pelle grigia.

Ungheria sollevò la punta del nasino ed esibì il piccolo sorriso di soddisfazione. Piegò i gomiti sul tavolo, intrecciò le dita sotto il mento, poggiandosi sopra, e mostrò la lingua a Prussia.

“Quella degli italiani potrebbe già essere considerata una vera e propria ripiegata, anche se lenta e quindi camuffata da...”

Un brivido di eccitazione ed entusiasmo sciolse la maschera sconvolta stampata sul viso di Prussia. Divenne un fitto sguardo di sfida, tagliato da un sorriso gonfio e ardente come i suoi occhi.

Prussia impugnò la penna e affondò un altro colpo, tracciando un’altra scia di inchiostro sul foglio.

Lanciò il messaggio, e questa volta Ungheria lo prese al volo. Lo aprì subito, senza nemmeno preoccuparsi che Germania fosse girato di spalle.

 

‘E tu che ne sai?’

 

Ungheria sussultò, si morse il labbro e trattenne un gemito. Le guance divennero viola, gli occhi lucidi di imbarazzo.

“Una brusca ripiegata sarebbe stata la strategia più comoda ed efficace, tuttavia...”

Ungheria ignorò la risata soffocata di Prussia dall’altro lato del tavolo e rimpugnò la penna. Scrisse rapida, con il viso che le bruciava, la mano che tremolava, il battito che era accelerato e gli incisivi che tenevano fermo il tremolio del labbro.

Anche Prussia agguantò il messaggio al volo, ma dovette sollevare di più il braccio.

Aprì.

 

‘E tu che ne sai che non è vero?’

 

Prussia sbuffò, arricciando mezzo sorriso saccente, e scribacchiò ancora.

“Una brutta immagine del governo e dell’esercito davanti a Roma stessa,” continuò Germania. “Si è preferito così una ritirata scaglionata che...”

Lanciò a Ungheria. Poi accavallò le gambe e incrociò le braccia dietro la nuca, stravaccandosi sullo schienale della sedia. Attese senza sciogliere il mezzo sorriso di soddisfazione dalle labbra.

Ungheria scartò e lesse. Gli occhi fremevano di impazienza.

 

‘Be’, io una volta gli ho toccato il sedere.’

 

Un moto di rabbia e incredulità le risalì lo stomaco, inacidendole la bocca come un conato di vomito.

Ungheria scrisse ancora, e la penna graffiò così tanto che quasi strappò la carta.

Arrivò a Prussia.

 

‘Non è vero! Non ne avresti mai il coraggio e lui non te lo permetterebbe.’

 

Prussia soffocò una risata. Alzò gli occhi al cielo con aria altezzosa, e il suo sorriso divenne gonfio e arrogante.

Altra frase. Di nuovo il foglio passò a Ungheria.

 

‘Scommettiamo che sei tu quella che non ha il coraggio di toccarglielo?’

 

Ungheria inspirò, trattenne il fiato e stinse le labbra, ridiventando rossa e gonfia in viso.

Il discorso di Germania mascherò una sua imprecazione.

“Ritornando alla situazione attuale e riesaminando i movimenti più recenti delle armate...”

Ungheria scrisse la risposta e rilanciò il messaggio a Prussia, emettendo un piccolo sbuffo di sforzo, come un giocatore di baseball alla cinquantesima battuta.

Prussia acchiappò al volo, tornò a cadere sulla sedia e lesse.

 

‘È ovvio che non lo farei mai, stupido! Il sedere di Austria è sacro.’

 

Il sorriso di Prussia si macchiò di una sbavatura di malizia.

Roteò lo sguardo dietro la spalla, inquadrò Austria chino sui suoi appunti, i suoi occhi violacei ancora appannati di noia, la mano che scorreva lenta e pigra guidando la penna sulla pagina.

Prussia si strinse nelle spalle e ridacchiò, malefico.

Scrisse il messaggio e lo inviò a Ungheria.

 

‘Dai, toccaglielo e ti prometto che ti lascerò toccare il mio.’

 

Ungheria spalancò gli occhi, restò a bocca aperta e si toccò una guancia arroventata che bruciò sotto il palmo.

“Il ponte di Perati è stato fatto saltare, e questo ha rallentato, seppur di poco, la...”

Riprese a scrivere con la foga di prima e scagliò il foglio. La palla di carta rimbalzò sul tavolo e cadde a terra, costringendo Prussia a chinarsi per riprenderla.

La calligrafia di Ungheria era diventata grande il doppio, le lettere sbilenche e graffiate con rabbia.

 

‘Giuro che vengo lì e ti rovino la faccia!’

 

“La stessa sorte è toccata anche a Coriza, in questa posizione, ora nelle mani dei greci dopo che gli italiani si sono ritrovati costretti a...”

Prussia sollevò il mento, lo sguardo fiero. Scrisse la sua risposta con il petto gonfio di orgoglio.

Ungheria lo lesse con ancora i vapori di imbarazzo che le uscivano dalle orecchie.

 

‘E comunque il mio è più magnifico di quello di Austria.’

 

Ungheria fece roteare lo sguardo e contorse le labbra per nascondere un vago sorrisetto che tremolava di compassione.

“La linea di difesa è stata accorciata. Questo per permettere la concentrazione di...”

Scrisse e lanciò. Anche lei sentiva il cuore un po’ più gonfio di orgoglio.

Il messaggio arrivò a Prussia.

 

‘Non si dice più magnifico. E poi non è vero, quello di Austria è più – Non è vero e basta.’

 

“... addensare le poche forze disponibili e rimaste, anche dopo l’invio delle nuove divisioni. Con una linea di difesa più corta, l’arresto delle forze nemiche risulterà più facile, proprio perché...”

Prussia si posò la mano davanti alla bocca e soppresse una risata da scemo, di nuovo tutto rosso in viso.

Affilò lo sguardo da furbo e scrisse ancora.

La palla di carta volò verso Ungheria.

 

‘Ma allora è vero che gliel’hai toccato!’

 

Lo sguardo di Ungheria tornò a infiammarsi. La mano a stringere fino a far scricchiolare la carta sotto le sue unghie.

“La componente più avversa in tutta questa situazione è il logoramento a cui...”

Ungheria si morse il labbro inferiore, fece volare i movimenti della mano sopra il foglio, spremette fuori l’inchiostro dalla penna e calcò un’altra frase.

Il messaggio a forma di palla di carta compì una parabola e atterrò direttamente nelle mani di Prussia, già messe a coppa. Lui lo aprì.

 

‘NO! E poi nemmeno tu gliel’hai toccato!’

 

Prussia trattenne una risata, si strinse le spalle e fece roteare lo sguardo al soffitto con l’aria di chi la sa lunga. Il sorriso da idiota che gli piegava la bocca verso l’alto.

Scrisse un’ultima frase e la mandò a Ungheria. Erano arrivati alla fine della pagina.

Ungheria afferrò e scartò subito.

 

‘Se vuoi lo faccio adesso.’

 

“C’è quasi un ritorno alla guerra di trincea, con la differenza che i greci continuano a spingere gli italiani verso l’Albania e quindi...”

Un moto di panico scosse il cuore di Ungheria.

Ungheria tirò su lo sguardo, occhi sbarrati, pelle sbiancata, e lo rivolse a Prussia.

Prussia sollevò una mano di fianco alla guancia. Fece risplendere il ghigno aguzzo, aprì e strizzò le dita per tre volte, facendo schioccare le falangi, e abbassò lentamente la mano, stendendo il braccio sempre più vicino ad Austria.

Ungheria spalancò la bocca in un urlo muto e si sporse verso di lui, spremendo il petto sul tavolo. Le mani si aggrapparono all’aria, arrancarono come se stessero scalando un pavimento di roccia.

No, no, no, stupido pezzo di idiota, che diamine fai?

Prussia sogghignò di nuovo, il viso sempre più scuro, gli occhi sempre più accesi di rosso, e la mano contratta scese pericolosamente, agitò le dita affianco alla coscia di Austria.

Ungheria si strinse l’espressione di panico fra i pugni. Guardò a destra, a sinistra, di nuovo a destra, in cerca di un’arma. L’occhio le cadde sul foglio stropicciato, macchiato dai loro messaggi, e ancora aperto sopra il resto degli appunti. Lo afferrò, tornò a farne una palla di carta, e gettò il braccio dietro la spalla, fino a toccarsi la schiena. Scaricò il colpo che schizzò attraverso l’aria creando un piccolo vortice di vento attorno al suo passaggio. Una piccola meteora di carta.

La pallina colpì la testa di Prussia, rimbalzò in alto, tornò a precipitare, e cadde su quella di Austria. Austria emise un soffice fremito di sorpresa, si chiuse nelle spalle e strizzò gli occhi. La palla rotolò giù dai suoi capelli e finì sopra le pagine davanti a lui, in mezzo ai gomiti.

Austria si strofinò i capelli, abbassò gli occhi sulla pallina, e si girò di scatto, trapassando Prussia con uno sguardo di sdegno.

Prussia volò in avanti come una molla che scatta, stese il braccio davanti ad Austria, e sfiorò la pallina di carta con le punte delle dita. Austria la prese prima di lui, la chiuse dentro il palmo, e l’occhiata indignata divenne una severa espressione di rimprovero.

“Smettila,” mormorò.

Prussia sentì lo stomaco cadere sotto i tacchi. Si tappò la bocca per nascondere il pallore del viso, e gli occhi affogarono nel panico di chi sta marciando verso la gogna e vede già riflessa la lama scintillante della ghigliottina nelle proprie pupille. Il foglio di carta protetto dalla presa di Austria era la sua condanna a morte.

Prussia scivolò all’indietro con la sedia, arrivò di fianco a Ungheria e si nascose dietro una sua spalla, accucciandosi. Lei lo guardò storto ma non disse nulla.

Germania era ancora girato sulla mappa. “Ciò che non deve accadere è che il morale scenda a terra, cosa che sta...”

Austria sospirò. Gli occhi ancora scuri di irritazione, le sopracciglia corrugate, e le fini labbra increspate in quel piccolo e altezzoso broncio. Sciolse la tensione delle dita e la carta scricchiolò. Austria guardò in basso, ricordandosi solo in quel momento di avere la piccola palla stretta nel palmo. Dischiuse completamente la presa e lasciò cadere il cartoccio sul tavolo. Lo riprese in mano, fra indice e pollice, e lo rigirò davanti allo sguardo.

Prussia sbirciò da sopra la spalla di Ungheria. Tornò a nascondersi e stese i capelli di lei per proteggersi, come una tenda. Ungheria gli rifilò un calcio sulla caviglia.

Austria spinse entrambi i pollici in una rientranza della palla di carta e la aprì come si spezza un guscio di noce. Dischiuse il foglio, lo sollevò leggermente davanti al viso reggendolo con una mano sola, e usò quella libera per aggiustarsi le lenti sul naso.

Si accigliò, gli occhi scorsero sulle righe e si bloccarono. Divennero di pietra.

Austria divenne prima bianco, le palpebre si spalancarono, poi rosso, le labbra caddero socchiuse, e di nuovo bianco come cera. La mano che reggeva il foglio tremò, e i brividi risalirono il braccio, arrivarono alla spalla scuotendogli tutta la schiena. Le dita strinsero, arpionarono l’orlo della pagina, e il viso si incendiò in un’espressione di rabbia, indignazione e imbarazzo.

Si alzò di colpo, gettò il braccio con il foglio in mano contro Prussia, e corrugò la fronte fino a diventare nero.

“Hai davvero tanta voglia di prenderti gioco di me?” strillò.

Germania si zittì e voltò lo sguardo da sopra la spalla, Giappone smise di scrivere, senza staccare la penna dalla pagina, e alzò anche lui gli occhi. I capelli fluirono via dalle guance.

Germania sollevò un sopracciglio, squadrò Austria, poi Prussia nascosto dietro a Ungheria, e di nuovo Austria. “Che cosa sta succedendo?”

Austria strinse il pugno libero contro il tavolo, sentendo di nuovo le guance andare a fuoco di vergogna. Si rivolse a Germania e gli mostrò il foglio stropicciato. “Mi prende in giro!” si lamentò.

Prussia sbucò da dietro la spalla di Ungheria e fece finta di strofinarsi i pugni contro le palpebre. “Uee, uee, maestra, mettilo in punizione.” Non trattenne una risata di scherno.

Austria inspirò gonfiandosi il petto, trattenne l’aria, tutto il corpo tremò. Gli occhi ardenti dietro le lenti che trapassavano Prussia. “Tu.” Non riuscì a dire altro.

Prussia scivolò di lato, si alzò dalla sedia e indicò Ungheria aprendo le braccia. “Anche Ungheria ti ha preso in giro.”

Ungheria si alzò di scatto e serrò un pugno davanti al petto. “Non è vero,” esclamò, “sei stato tu a cominciare e –”

“C’è almeno qualcuno che mi sta seguendo?” domandò Germania.

Il rossore sulle guance di Austria sbiadì, la fronte si distese, le labbra tornarono piatte, gli occhi più freddi. Abbassò il braccio, gettò lo sguardo in disparte, nascosto dietro un’ombra di colpevolezza. Prussia e Ungheria si squadrarono a vicenda e spostarono subito gli occhi, Prussia al soffitto e Ungheria al pavimento.

Giappone li guardò uno a uno. L’espressione mite e pacifica che riempiva i placidi occhi neri. Sbatté piano le palpebre, sguardo innocente, sollevò di poco la manina davanti alla spalla, e un briciolo di timore a fargli tremolare il braccio. L’unico scolaretto che confessa di aver fatto i compiti e che verrà pestato dal resto della classe durante l’intervallo.

Germania abbassò le palpebre, sospirò a lungo, sciogliendo tutta la tensione accumulata nei nervi annodati fra i muscoli e le ossa, e si prese la fronte dentro la mano. Le dita premettero sulle tempie, massaggiarono la pelle contratta. La voce esausta, esasperata.

“Voi tre.”

Prussia, Austria e Ungheria si voltarono. I condannati chiamati in causa.

Germania fermò le dita che irrigidirono contro la fronte. L’ombra della mano nascose la sua espressione che era tornata a indurirsi. “Uscite immediatamente da qui.”

Tutti e tre sobbalzarono, gli occhi strabuzzati e le bocche cadute a terra. “Cosa?” Austria si sporse mettendo le mani sul tavolo, basito.

Germania prese un breve respiro che gli arroventò il petto. Sotto le dita contratte contro le tempie, gli occhi chiusi si stropicciarono in un’espressione di impazienza. “Uscite immediatamente da qui, o giuro che vi butto fuori io.”

Prussia fece un passo avanti e levò i palmi al cielo. “Non puoi sbattere fuori una signora. È immorale!”

Ungheria lo guardò di traverso, serrò un pugno sul fianco. “So badare a me stessa.”

“Parlavo di Austria.”

Austria scattò, inorridito. “Che cos –”

“Fuori!”

Ungheria si chiuse nelle spalle, trattenne un grugnito in mezzo ai denti e si voltò per prima. Prussia fece roteare lo sguardo, ficcò le mani nelle tasche, e si girò con una piroetta, facendo singhiozzare il pavimento. Austria abbassò le palpebre, emise un ultimo sospiro di irritazione, aggiustò gli occhiali spingendoli all’indietro, e uscì anche lui. Si mise di fianco a Prussia, sollevò il mento, e lo guardò con disprezzo.

“Molto bravo, davvero.”

Prussia inarcò le sopracciglia e lo colpì con una spallata, facendolo sobbalzare.

Ungheria sgusciò in mezzo a loro due ed esibì il pugno gonfio e pulsante davanti al naso di Prussia. “Provaci a toccarlo!” ringhiò.

Prussia abbassò lo sguardo davanti al suo, ignorando il pugno. “Ficcati una museruola, cane da guard –”

Fuori!

Scapparono tutti e tre, come anatre davanti allo sparo del cacciatore.

 

.

 

Ungheria si strinse le mani fra i capelli, levò il viso al cielo e strizzò un’espressione di rabbia che le arrossì le guance e la fronte. “Sbattuta fuori!” Sfilò le dita dalle ciocche, gettò le braccia contro i fianchi, serrò i pugni facendoli tremare, e si voltò all’indietro. Lo sguardo ardente di collera puntato su Prussia. “Mi hai fatto sbattere fuori dalla riunione, razza di verme pezzente!”

Austria si scostò dal fianco di Prussia, si abbottonò il cappotto lungo il petto, e sbuffò leggermente, condensando una sottile nuvola di fiato davanti alla punta del naso.

Prussia scivolò via dall’ombra del portico fra le colonne, si infilò l’ultima manica della giacca, e sospirò. “Ti ho fatto solo un favore, anzi...” Sistemò la giacca, abbottonandosi anche lui. Scrollò le spalle e fece espressione indifferente. “Ho fatto un favore a tutti e tre, visto che c’era da piangere dalla noia.” Lisciò la stoffa lungo i fianchi, batté sul petto per stendere le pieghe, e sollevò lo sguardo. Esibì un sorriso brillante e gonfio di arroganza. “Almeno è stato uno spasso, no?”

Austria sollevò la punta del naso, come una smorfiosetta, e imbronciò il viso. “Io non mi sono divertito per niente.” Infilò l’ultimo bottone del cappotto, sotto la gola, e ribaltò il colletto, lisciandosi anche lui le spalline. Fini e delicate spazzolate date con il dorso della mano. “E sei pregato di non coinvolgermi più nelle tue bambinate.” Aggrottò le sopracciglia, la fronte rabbuiò. “Mi hai umiliato davanti a tutti e –”

Prussia sbuffò ridendo. “Solo perché abbiamo civilmente discusso a proposito del tuo sedere?”

Le guance di Austria tornarono color porpora, un velo di vapore gli appannò le lenti degli occhiali.

Prussia strinse le mani dietro la schiena, esibì il petto all’infuori, gonfio e sbordante come il suo sorriso, e gli marciò di fianco, battendo le suole come un soldatino. “Io mi sentirei lusingato, al posto tuo.” Sogghignò di nuovo.

Austria si strinse nelle spalle, la schiena prese a tremare. “Sei...” Schiacciò anche lui i pugni. Le dita fini e bianche divennero rosse come le guance. “Sei proprio...” I bollori che lo avevano invaso quando si era trovato con la pagina dei messaggi fra le mani tornarono ad avvampare come una gettata di vapore rovente dritta in faccia. Il fiato fremette squagliandosi davanti alla sua bocca. “Non hai davvero un minimo di...”

Ungheria strinse la sciarpa di due giri attorno al collo. “Austria, ignoralo.” Rimboccò i lembi di lana, sfilò di fianco ad Austria e lo prese a braccetto, i gomiti annodati. Lo fece camminare verso la gradinata e guardò Prussia di sbieco. “La guerra gli ha già dato alla testa.” Scesero il primo scalino della gradinata di pietra, discendendo il Reichstag.

Prussia rimase fermo dietro di loro. Serrò anche lui i pugni, si fece scuro in viso e digrignò i denti. “Chiudi la bocca.” Un soffio di fiato bianco sbuffò fuori dalle labbra ristrette.

Austria e Ungheria trotterellarono giù per la gradinata, uscirono dall’ombra della facciata e da quella delle colonne, e si immersero sotto il cielo grigio, brulicante di nuvole gonfie come panni da strizzare. Ungheria saltò insieme gli ultimi due gradini, Austria inciampò e lei lo sorresse stringendo di più il gomito.

Una zaffata di vento che odorava di fumo e di ferro li investì, fece ondeggiare i capelli di Ungheria dietro la schiena, le sbatté due ciocche davanti al viso, in mezzo alle labbra e sugli occhi, e lei le scostò intrecciandole alle dita. Gli occhi risalirono il cielo, riflessero il colore appannato e grigio delle nubi, e l’aria cristallina li rese più lucidi.

Sottili fiocchi bianchi, simili a polvere, disegnarono vortici di neve e chiazzarono la distesa cinerea che rivestiva il cielo di Berlino. Uno dei cristalli si staccò dal turbine, danzò sopra il viso di Ungheria, e si posò sulla punta del suo nasino.

Ungheria schiuse le labbra. “Oh.” Snodò il braccio da quello di Austria, si toccò il naso, trovandolo umido e più freddo. Sorrise. Gli occhi di nuovo alti e ridenti come il suo sguardo. “Nevica,” esclamò.

La neve si depositò anche sopra le spalle di Austria, a macchiargli il cappotto scuro. Austria piegò una smorfia e si spazzolò la stoffa.

Ungheria saltellò verso il prato che riempiva la Königsplatz, ingiallito dal freddo dell’autunno, e spalancò le braccia. Fece due piroette di seguito, i capelli disegnarono un arco attorno a lei, come il velo di un’odalisca, e la neve le scintillò attorno come un vortice di cristalli.

“La prima neve di stagione.”

Prussia discese l’ultimo gradino di pietra. Sollevò anche lui la fronte, sbatté piano le palpebre e raccolse negli occhi il riflesso del cielo che fioccava, spargendo neve come una cascata di zucchero sulla superficie della torta. Aprì un palmo, un soffio di vento gli investì il braccio, facendo dondolare la manica della giacca, e una spolverata di neve gli pizzicò la pelle della mano. Chiuse le dita, strofinò i fiocchi che si sciolsero subito, trasmettendogli un soffice pizzicore di freddo. Prussia fece un piccolo sorriso. La sensazione della neve sulla pelle gli trasmise un tiepido senso di pace e nostalgia attorno al cuore.

Ungheria stoppò le piroette, atterrò sulla punta di un piede, e tornò a saltellare verso gli altri due. Raccolse di nuovo l’incavo del gomito di Austria e anche quello di Prussia, un braccio ciascuno. “Corriamo!” esclamò.

Corse trascinandoseli dietro, si immersero nelle spire di vento ghiacciato e neve, fino a che i loro passi che battevano sulla pietra non scricchiolarono sopra l’erba indurita dal freddo. Ungheria sfilò le braccia dai gomiti di Austria e Prussia, tornò a spalancarle, e disegnò altre giravolte, tracciando scie più scure in mezzo al prato già imbiancato.

“Aah, non vedo l’ora che diventi tutto bianco!”

Austria camminò di altri due passetti nel prato impolverato. Chiuse un pugno davanti alle labbra, abbassò la fronte, e tossicchiò. Le guance tornarono rosse. “Fai attenzione di non scivolare.”

Prussia lo superò dandogli una spallata più soffice rispetto a quella di prima. “Visto?” Levò anche lui le braccia al cielo, spalancò i palmi. “Ve l’ho detto che vi ho fatto un favore a tirarvi fuori di lì.” Abbassò una mano e si massaggiò una spalla, facendo scricchiolare le ossa. Stare seduto gli aveva indurito la schiena e il collo.

Ungheria atterrò dalla piroetta, i capelli ricaddero sulle spalle, e lei intrecciò le mani dietro la schiena. “E va bene, e va bene,” ancora una macchia di sorriso a tenerle le labbra sollevate, “ma la prossima volta usa un po’ più di...” Sollevò gli occhi, fece roteare lo sguardo, e si pettinò un filo di capelli dietro l’orecchio. “Grazia e tatto.”

Prussia sbuffò dalle narici, soffiò un fiotto di condensa. “E rammollirmi come te, damerina della neve?” Le mostrò un soffice sorriso di scherno.

Ungheria calpestò un passo verso di lui e gli tornò a mostrare il pugno davanti al naso.

Austria socchiuse le palpebre, sospirò. “Grazia e tatto,” ripeté prima che Ungheria potesse stamparglielo sul naso.

Prussia e Ungheria si voltarono a guardarlo. Il pugno di Ungheria ancora congelato davanti alla faccia di Prussia e la mano di lui a tenerle il polso.

Austria infilò la mano in una tasca del cappotto, estrasse un piccolo fazzoletto bianco e si sfilò gli occhiali. Avvolse una lente, la ripulì da una macchiolina di neve sciolta frizionando piccoli movimenti circolari. “Ultimamente ci stiamo tutti dimenticando del significato di queste parole, temo.” Tolse il panno, rigirò la lente che scintillò.

Ungheria abbassò il braccio, dischiuse il pugno e la presa di Prussia si sciolse dal suo polso.

“Effettivamente,” disse Ungheria, alzando gli occhi apprensivi al cielo, “anche a me Germania è sembrato più nervoso del solito.”

Prussia fece roteare lo sguardo, sventolò la mano a scacciare via quei discorsi. “West ha i suoi motivi per essere con i nervi fuori dalle orecchie.” Rificcò le mani in tasca, si strinse nelle spalle, il respiro bianco ad aleggiare davanti al viso. Si era ingrigito. Gli occhi più scuri e profondi sotto il cielo annuvolato. “Questa cosa della campagna in Grecia sta scombussolando un po’ tutti.” Allungò un passo lungo il prato, fece strisciare la punta del piede contro l’erba e scavò una breve striscia scura in mezzo ai ciuffi ghiacciati.

Austria lo seguì. Si rinfilò gli occhiali. “Molto maturo da parte tua,” commentò, “metterti a giocare allo scellerato immaturo mentre tuo fratello avrebbe bisogno di sostegno e conforto.”

Prussia soffiò una risata in mezzo alle labbra che sembrò una pernacchia. “Pfft! Conforto!” esclamò. Diede un altro piccolo calcetto all’erba secca e fredda, guardò in basso, il vento gli scosse il bavero della giacca sulle guance. “Vedrai che appena Ita tornerà a casa saprà darglielo lui il conforto, e allora gli passerà tutto.”

Ungheria li raggiunse. Si posò una mano sul cuore e l’espressione si addolcì, preoccupata. “Italia torna a casa?”

Prussia annuì. “Probabile.” Gli occhi rivolti al cielo scavalcarono le nubi gonfie di neve, si persero in una luce più grigia e lontana. “Il prossimo anno, comunque, per vedere se forse si riesce a sistemare qualcosa di tutto questo bel casino.” Si strinse nelle spalle, incurvò un sorriso da fesso che gli bucò le guance, e gli occhi scintillarono di rosso. “O per farsi una sbaciucchiata con West e basta.”

Ungheria si prese il viso fra le mani, gli occhi si trasformarono in stelle. “Ooh.” Nel suo sguardo brillò la stessa luce maliziosa che era comparsa sulla faccia di Prussia.

Il viso di Austria restò serio. Freddo e cupo come il cielo sopra di loro. Lo rivolse a Prussia. “Perché non hai detto a Germania di intervenire subito?” La neve e l’erba congelata scricchiolarono sotto i suoi passi che si fecero leggermente più pesanti. “Anche se sta cercando di far comprendere a Italia la lezione e anche se posso capire le motivazioni che lo tengono lontano dalla guerra in Grecia, le condizioni di Italia sono comunque solo un danno all’alleanza.” Rivolse il viso davanti a sé, lontano da Prussia, e aggravò la voce. “Quanto tempo credi che passerà prima che il pericolo riesca a raggiungere anche noi?”

Prussia tirò su solo un angolo delle labbra. “Ooh.” Saltò di fianco ad Austria e gli punzecchiò la guancia con l’indice. “Qualcuno se la fa sotto, qualcuno se la fa sotto, qualcuno se la fa –”

“Taci e ascoltami per un istante.” Austria gli cacciò via la mano con un piccolo schiaffo, lo fronteggiò. “Una campagna militare resta pur sempre una campagna militare, a prescindere da chi sia l’avversario e da quanto piccola possa essere la conquista.” Aggrottò le sopracciglia, un sottile strato di condensa si solidificò attorno al suo volto, negli occhi brillò una minuscola scintilla di timore. “Hai idea delle conseguenze che potrebbero verificarsi se Italia dovesse perdere?”

Prussia ritirò la mano. Il suo sorriso si era sciolto come la neve sotto i suoi piedi. “E quindi cosa pensi dovremmo fare?” gli domandò, aspro.

Austria abbassò le palpebre. Un’aria di amarezza e sconforto gli attraversò il viso. “Penso che, se Germania non è intenzionato ad accorrere nei Balcani...” Incrociò le braccia al petto e sollevò il mento, solenne. “Ebbene, penso che dovresti essere tu a farlo.”

Ungheria sollevò un sopracciglio e guardò in basso. Un’aria indecisa le fece traballare la luce negli occhi.

Lo sguardo di Prussia stette a premere su quello di Austria. La neve cadeva attorno al suo viso, i fiocchi si depositavano sui suoi capelli, si confondevano con il colore candido, e il fiato usciva fioco e leggero, appannava la luce delle iridi che si era fatta più scura.

Prussia prese un piccolo respiro. “Se non intervengo,” disse, “è perché ritengo che le decisioni di West siano quelle giuste.” Superò Austria, tornò con le mani in tasca, e diede le spalle a tutti e due. La sua voce risuonava graffiante e profonda nel silenzio ovattato della neve. Era calma. “È lui che comanda la baracca, è suo il futuro della nazione ed è sua l’eredità che lascerà la guerra. Se lo lascio fare è perché voglio solo...” Si fermò, scrollò le spalle, fece aria vaga. “Capire fin dove è disposto a spingersi.”

Austria compì un passo in avanti. Lo sguardo austero, gli occhi e la voce accusatori. “Le sue decisioni saranno comunque sempre indirettamente guidate da te, perché è tua l’educazione che ha ricevuto.”

Prussia inspirò a lungo mandò l’aria fredda e odorante di ferro fino allo stomaco, guardò il cielo. “Educazione?” Pronunciò quella parola come un poeta che canta il nome della sua Musa. Voltò la guancia, mostrò il viso ad Austria e a Ungheria. Il sorriso era tornato a intagliargli la forma della bocca. Largo e affilato, a forma di falce capovolta, ma con una ruga più maligna a infossarlo nelle guance e a bordare gli occhi che brillavano come biglie di sangue. “Allora direi che qui abbiamo tutti la nostra fettina di colpa, ti pare?”

Una spazzata di vento, gelo e neve investì tutti e tre.

I capelli di Ungheria le scivolarono davanti al viso, le punte ondeggiarono all’aria, toccarono le labbra torte lievemente verso il basso, coprirono le guance impallidite. Un’ombra scese sui suoi occhi. Li rese più tristi, lucidi di una scossa di dolore.

Ungheria guardò in basso. Un’altra ventata di neve le soffiò sul viso, agitò i capelli e lei li tenne fermi. La mano sollevata e intrecciata fra le ciocche a celarle metà del viso. “Sei scorretto,” mormorò.

Anche Austria allontanò lo sguardo, abbassandolo al suolo. Le mani ancora strette sulle braccia intrecciate strinsero, un leggero fremito lo attraversò fino alle spalle.

Il pizzicore della neve si sparse anche sulle guance di Prussia, raffreddò il sorriso, sbiadì le fiamme negli occhi, e gli fece rilassare le spalle. Prussia abbassò il capo e si strofinò la nuca, un po’ colpevole, e si girò verso loro due, avvicinandosi di un passo. “Sentite.” Si fermò e anche loro lo guardarono in viso. Mostrò i palmi in segno di rassicurazione. “Datevi una bella rilassata tutti quanti, va bene?” Rivolse un pollice all’indietro. “Ho visto guerre come queste passarmi sotto gli occhi per centinaia di anni, sono riuscito a ribaltare le sorti di campagne ben più rovinose di queste, e vi assicuro che non c’è niente di pericoloso.” Fece sventolare la mano, riacquistò il sorriso. “Ita farà la sua bella figura nel caso dovesse vincere, e noi faremmo la nostra bella figura nel caso fossimo costretti ad andare a salvarlo. È praticamente già vinta!”

Anche lo sguardo di Austria riacquistò la scintilla di vita. “E intendete davvero spingervi attraverso il territorio dei Balcani per arrivare in Grecia?”

Prussia sbuffò. “A meno che tu non voglia passare per sotto. Che razza di discorso è?”

“E quindi userete le armate già sistemate in Romania.”

“Esatto,” annuì Prussia, “quelle più...” Irrigidì. Ritirò il passo che aveva appena calpestato, segnò un’altra orma nella neve, e lo sguardo si ingrigì, scoccò sulla difensiva. “Come fai a saperlo?”

Austria tenne mento alto, solenne. “Io sono stato davvero attento durante la riunione.” Si girò e passeggiò lontano, solcando le impronte dei suoi passi sulla neve fresca.

Prussia sbuffò soffiando condensa bianca dalle narici, come un toro imbufalito. Si chinò, raccolse una manciata di neve e strinse il pugno, modellando una sfera deforme. Sollevò il braccio sopra la testa, accostò la mano libera a coppa attorno alla bocca. “Buu, secchione.” Scagliò la palla di neve. Austria flesse il capo di lato, la palla gli sfrecciò sopra la spalla e andò a schiantarsi al suolo in un’esplosione bianca.

Ungheria guardò Prussia di sbieco, schiacciò i pugni per contenere la voglia di stampargliene uno sul naso, e lo superò. Gli diede le spalle, rimettendosi affianco ad Austria.

La Königsplatz diventava sempre più bianca. Il colore che rivestiva il suolo e le chiome spoglie degli alberi si univa a quello delle nubi spumose che chiazzavano il cielo color fumo.

Austria sollevò gli occhi, senza fermarsi. “Però è curioso,” disse. Il tono disteso.

Prussia andò dietro a entrambi. Aggrottò un sopracciglio, ancora rosicchiato al cuore da quella punta di nervosismo. “Che cosa è curioso?”

“Le armate,” rispose Austria, e anche Ungheria gli lanciò uno sguardo interrogativo. “È comodo averle a disposizione in un terreno di confine come Romania. Eppure erano già là da prima che Italia decidesse di scendere in Grecia.” Si voltò. Squadrò Prussia da sopra la spalla. “Una bella coincidenza.”

Prussia sussultò, strinse i pugni all’interno delle tasche, ma non disse niente.

Ungheria fissò il cielo, aria pensosa, assorta e persa in mezzo ai vortici di neve, e si posò la punta dell’indice sul labbro inferiore. “È vero,” affermò. “Ne abbiamo discusso proprio quella volta della riunione, quando io e Romania abbiamo ceduto i territori e abbiamo aderito assieme all’alleanza.”

Prussia si pizzicò il labbro inferiore. Per la prima volta da quando erano usciti, sentì il freddo entrargli sotto la giacca, scivolargli dentro la pelle e bruciare sui muscoli, trasmettendo al petto una scossa di gelo e disagio.

Lo sguardo di Austria si restrinse, sospettoso. “Cosa nascondete?”

Prussia chiuse le braccia al petto e si guardò in giro. “Nascondendo? Noi? Niente.” Un sorriso sghembo gli fece tremolare le labbra. “È come hai detto tu.” Sfilò una mano dall’intreccio e la fece sventolare di fianco a una guancia, come stesse allontanando la neve. “Semplicemente è una bella coincidenza,” annunciò.

Austria e Ungheria incrociarono gli sguardi. Tutti e due inarcarono un sopracciglio, scettici.

Prussia zampettò verso gli alberi piantati ai lati del prato, mise lo sguardo in ombra, e diede la schiena a entrambi, scrutando le loro espressioni sospettose da sopra la spalla. Il sorriso di circostanza cadde piatto.

Anche se si tratta di loro, la voce nella sua mente divenne più cupa, non posso lasciarmi sfuggire niente sul piano di invasione verso Est. Fece roteare lo sguardo, un altro brivido si arrampicò lungo la schiena. Almeno fino a quando la direttiva non sarà ufficiale.

“Non è che stai mettendo in testa strane idee a Germania, vero?” domandò Ungheria.

Prussia stropicciò la fronte, congelò il respiro nel petto. Si voltò, lanciò a Ungheria uno sguardo sbilenco ma più duro di quelli precedenti. “Strane idee di che tipo?” Un altro soffio di neve passò in mezzo a loro, pizzicò le guance, la punta del naso, e i fiocchi si sciolsero in mezzo ai capelli.

Ungheria fece correre le dita fra le ciocche inumidite, abbassò lo sguardo velato da una vena di disagio. “Non lo so, non riesco...” Districò la mano dai capelli e chiuse le braccia sul petto, strofinandosele come se le fosse venuto freddo. Scosse il capo. “Non riesco a fare a meno di pensare che tu ti stia semplicemente divertendo alle spalle di Germania mentre lui continua da bravo a fare tutto quello che gli hai insegnato tu.”

Prussia scattò di un passo in avanti. Una strana fiammella di calore a bruciargli nel petto e nello stomaco. “Ehi, ehi, frena un attimo.”

Austria e Ungheria irrigidirono ma non si mossero. Gli sguardi incollati a quello di Prussia.

Prussia si spinse i palmi contro il petto, allargando le spalle, e ridacchiò come per liberarsi di un peso. “Io non lo sto obbligando a fare assolutamente nulla,” disse, scuotendo la testa.

Austria corrugò la fronte. “Però continui ad assecondarlo.”

Prussia ricambiò l’occhiataccia di disprezzo, fulminandolo. “E secondo te non dovrei farlo?”

Ungheria si intromise. “Non quando le cose stanno prendendo la piega di adesso.”

“E come dovrebbero andare le cose, secondo te?”

“Non in questa maniera,” esclamò Ungheria. “Perché non ti sembra...” Tornò a strofinarsi gli avambracci, e il suo sguardo basso rabbuiò in una ruga di malessere, come se un grumo di neve le fosse scivolato sotto il cappotto, lungo la curva della schiena. “Non ti sembra che la guerra stia diventando qualcosa di diverso?”

Prussia sollevò un sopracciglio. “Diverso da cosa?”

Ungheria abbassò le palpebre. Sospirò. Il disagio divenne un buio e profondo senso di rassegnazione che le scavò il petto. “Da qualsiasi guerra che ci siamo mai ritrovati ad affrontare.” Il fischio del vento in mezzo agli alberi trascinò via le sue parole. “Anche rispetto all’ultima.”

Gli occhi di Austria divennero più scuri. Lui rabbrividì, incrociò le braccia sul ventre e camminò di due passi lontano da loro, facendo scricchiolare l’erba secca e congelata sotto i suoi piedi. Si lasciò alle spalle quella sensazione viscida che gli era entrata nella spina dorsale.

Prussia distese lo sguardo. Socchiuse le palpebre, sollevò il mento, e la sua voce uscì condensandosi in una piccola nube. “Forse.” Tornò con le mani in tasca e anche lui riprese a camminare. Scrollò le spalle. “Ma ormai è impossibile tornare indietro e fermarla, no?”

“Non lo sarebbe,” insisté Ungheria, “se tu avessi guidato Germania nel modo giusto fin dal primo momento.”

Prussia alzò gli occhi al cielo, annoiato, e farfugliò pianissimo in mezzo ai denti per farle da verso.

Ungheria gli corse dietro, la voce più acuta e arrochita dal freddo. “È questa la nazione che speravi diventasse?”

Questo lo bloccò.

Prussia si girò sentendo due braci ardere al posto degli occhi. Digrignò la mandibola, strinse i pugni nelle tasche e sentì le unghie penetrare nei palmi. “Non ti permettere, la cosa riguarda me e lui.” La sua rabbia sollevò un’ondata di vento. La neve gli vorticò attorno al viso, l’aria soffiò in mezzo ai capelli, agitò il bavero della giacca.

Ungheria lo fissò dritto nelle pupille, sentì fluire il calore anche dentro di lei, nel petto, e socchiuse le labbra per ribattere.

Austria la precedette. “Perché lo stai assecondando?”

Prussia e Ungheria lo guardarono. Una zaffata di aria gelata freddò le loro espressioni, schiarì il rossore sulle guance.

Austria spinse un dito sulla montatura degli occhiali e li aggiustò alla radice del naso. “Tu non agisci mai se non guidato da fini personali,” dichiarò. “Ed è chiaro che stai cercando di trarre vantaggio anche da questa situazione, essendo Ger –”

“Io non lo sto usando!”

Il suo urlo graffiò l’aria innevata come una striata di unghie sulla lavagna. Il vento gridò, scosse le fronde degli alberi, un piccolo stormo di uccellini infreddoliti spiccò il volo e si allontanò dietro le nubi, puntini neri all’orizzonte.

Prussia squadrò Austria, poi Ungheria. Loro non cedevano. Gli sguardi fermi e accusatori.

Prussia sollevò il mento, prese un respiro profondo. “Bloccare una guerra,” lo disse quasi spuntando. Spinse due dita contro una tempia, battendovi sopra. “Vi siete bevuti il cervello?” ribatté con voce indignata.

Ungheria premette un passo in avanti. “Tu hai affrontato molte più guerre di lui e sai come ci si riduce quando –”

“Ma non succederà.” Prussia accostò una mano al petto. I fiotti di condensa uscirono più gonfi, spessi e bianchi. “Se non sto intervenendo è perché ho piena fiducia nelle sue decisioni e perché abbiamo l’occasione di rifarci la faccia dopo quello che è successo...” Strinse le dita, allontanò di colpo lo sguardo che tremò leggermente. Un misto di rabbia e umiliazione che ancora gli cicatrizzava la pelle. “Quella volta,” farfugliò fra i denti. Il ricordo riemerse come un solco bianco che tagliava il cuore in due.

Austria e Ungheria si scambiarono uno sguardo più mite. Un barlume di comprensione disciolse la rigidezza nei loro occhi, li ammorbidì.

Prussia serrò i pugni. “E voglio andare avanti.” Sollevò il pugno, lo schiuse, si guardò la mano spalancata davanti al volto. La pelle bianca e rossa, in tensione, le pieghe scavate nella carne, i fiocchi di neve che volteggiavano attorno. Bruciava. Una fiamma scarlatta ardeva all’interno del palmo, spargeva un’aura rossa tutt’attorno al bordo, come stesse andando a fuoco. La voce di Prussia si fece più grave e intensa. “Voglio andare avanti perché erano secoli che non mi sentivo bruciare in questa maniera, erano secoli in cui non provavo di nuovo la gloriosa sensazione di trovarmi sopra le teste di tutti.” Stritolò le dita, gettò il pugno sul fianco. Il fuoco continuò ad ardere nel suo petto e nelle sue iridi. “Finché il gradino regge,” si voltò, “non ho intenzione di scendere.” Calpestò un passo spremendo per bene la neve sotto la suola, come a evidenziare la sua affermazione.

Austria sollevò le sopracciglia. “Se si trattasse...” Prussia non si fermava, lui lo seguì. “Se si trattasse un giorno di dover scegliere fra scendere dal gradino e farci rimanere Germania sopra, o rimanere tu sopra il gradino e buttare giù Germania...” Rimase alle sue spalle, Ungheria al seguito, e abbassò di poco la voce. “Cosa sceglieresti?”

Prussia diede un piccolo calcio alla neve, di striscio, schizzandola in uno spruzzo candido. “Che cretinata,” sbottò. Si infilò due dita sotto il bavero della giacca, slargò la stoffa e forzò un sorriso meno arrogante e sicuro degli altri. “Sceglierei un gradino che regga abbastanza per tutti e due.”

Austria scosse il capo, e si prese la fronte nella mano, avvilito.

Ungheria allontanò gli occhi dalla sua espressione sconsolata e lo sguardo volò all’indietro, si posò sul profilo grigio del Reichstag che si faceva sempre più piccolo alle loro spalle, le scie di impronte sull’erba cristallizzata di bianco sempre più lunghe e sottili, distanti. “Forse non dovremmo allontanarci troppo,” disse, infilandosi nel silenzio interrotto solo dallo scricchiolio dei passi. Accelerò, zampettando davanti a Prussia. “Dovremmo almeno tornare indietro a scusarci per bene quando finirà la riunione.”

Prussia diede un altro piccolo calcetto alla neve, le guance rosse e gonfie come quelle di un bambino imbronciato. “Vacci tu.” Ribaltò una roccia incrostata di terra nera.

Austria si lamentò dietro di loro. “Io non ho nulla di che scusarmi.”

Prussia sollevò una mano, le diede una forma a becco e imitò una bocca che blatera a vuoto.

Ungheria arricciò verso il basso un angolo della bocca ed evitò di proferir parola verso tutti e due. Puntò con lo sguardo un piccolo spazio fra due alberi innevati, dove i rami componevano un piccolo arco e un fioco raggio di luce grigia riempiva l’ambiente riparato dalle zaffate di vento. Ungheria sorrise. Raccolse il braccio di Prussia, saltellò indietro, strinse anche quello di Austria, e li trascinò verso i bordi del giardino.

“Venite, andiamo a sederci.”

Prussia e Austria accelerarono per starle dietro, e Austria dovette saltellare dopo aver inciampato in un sasso.

Ungheria sollevò le spalle. “Non possiamo addentrarci troppo, altrimenti finiremmo per tornare a casa troppo tardi, e rischia di fare buio.” Sfilò le braccia dai loro gomiti e si sedette per prima sotto i rami, poggiando la schiena sul tronco di un altro albero. Il panorama innevato della Königsplatz steso davanti a lei, sotto il cielo annuvolato. Ungheria stiracchiò le braccia al cielo, e il viso si rasserenò. “Almeno non siamo costretti a stare al chiuso, no?”

Prussia emise un sospiro ma alla fine si sedette anche lui. Incrociò le gambe, sfiorò il ginocchio di Ungheria, e poggiò anche lui la schiena all’albero, senza toccarle la spalla. Austria guardò il suolo, la neve mescolata alla terra, foglie secche, incrostate nel ghiaccio, appiccicate ai rametti spogli piovuti dagli alberi, sassolini umidi e impiastricciati di fango sciolto e solidificato con il freddo. Storse una smorfia di disgusto. Allungò un piede e diede una prima grattata al terreno, scostando le foglie e due piccoli ramoscelli biforcuti. Prese un respiro di incoraggiamento e si mise accovacciato senza toccare terra con le ginocchia. Aprì una mano e spazzolò polvere, neve e sassolini con il fianco, tenendo le labbra sigillate per non rendere ovvio il raccapriccio che gli storceva la bocca.

Ungheria lo notò. Allentò la sciarpa per raggiungere i bottoni del bavero e si slacciò il cappotto, sfilandoselo dalle spalle. Lo stese come una coperta dove Austria stava spazzolando e vi batté sopra la mano, mostrandogli un sorriso. Lo invitò a sedersi.

Austria nascose il rossore di imbarazzo abbassando la fronte e si sedette. Le ginocchia raccolte al petto e i piedi poggiati al suolo fuori dal cappotto, per non sporcarglielo.

Prussia dovette girarsi e tapparsi la bocca per non scoppiare a ridergli in faccia. Che razza di due...

“Speriamo che a Germania passi presto,” disse Ungheria. Giunse le mani sulle caviglie e fece dondolare le ginocchia. “Se è dall’inizio della campagna che non riesce a sbollire la rabbia, non voglio pensare a come si ridurrà se sarà necessario aspettare fino a primavera.”

Prussia scosse le spalle. Sul viso tornò un’aria indifferente, quasi annoiata. “Mah, quest’ultima incazzatura è solo per Taranto.” Raccolse una manciata di neve. Non era molto fredda, aveva la consistenza di una farina soffice. Si aiutò con entrambi i palmi e ne fece una sfera. “West ha già castigato Inghilterra come meritava, ma deve proprio essergli rimasta sullo stomaco.” Tenne la palla di neve su una mano sola, la fece rimbalzare e la riacchiappò al volo. La palla sbriciolò qualche cristallo. “Se ci fosse stato Italia al posto di Romano, probabilmente avrebbe già ridotto Inghilterra a uno scoglio senza vita e poi lo avrebbe triturato,” schiacciò le dita, spremette la palla, “in un pugno solo.” Dischiuse la mano ed era bagnata. Gocciolò sottili rivoletti che gli inzupparono la manica. La neve si era sciolta.

Austria fece roteare lo sguardo, strinse le braccia attorno alle gambe. “Forse non è stato l’attacco su Taranto di per sé a mandarlo in collera, ma più che altro la presenza di Spagna.”

Prussia bloccò la mano contro il busto – si stava asciugando la pelle sulla giacca – e si impietrì come una statua. Il ghiaccio su cui era seduto risalì le gambe, gli scaricò una scossa di intensi brividi lungo la schiena e dentro le ossa.

Si voltò. La mano ancora sul petto, lo sguardo di ghiaccio, e sollevò un sopracciglio. “Spagna?” Lo chiese con calma. Troppa calma. Dentro di lui, si era già accesa una miccia che sfrigolava nel buio, emettendo solo una pallida luce e un rumore impercettibile.

Ungheria scoccò un’occhiata interrogativa ad Austria. “Spagna?” Sollevò le spalle dall’albero, si sporse. “Cosa c’entra Spagna?”

Austria tenne la fronte bassa ma incrociò gli occhi con Prussia. Esitò, smarrito. “Non te l’ha detto?” Non c’era traccia di presunzione nella sua voce.

Prussia spinse una mano a terra, davanti ai piedi di Ungheria, e si sporse con le spalle verso Austria. “E a te cos’avrebbe detto?” La neve sotto il suo palmo si sciolse come se l’avesse toccata con un ferro rovente. Le sue dita tremarono, i bollori cominciarono a salirgli alla testa, il sangue a battere contro le tempie.

Austria fece un saltello in disparte. Fece sguardo offeso. “A me non ha detto niente, ho sentito che ne parlava con Giappone prima dell’inizio della riunione.” Ruotò gli occhi in disparte, si passò una mano fra i capelli dietro la nuca. “A questo punto, forse non dovrei...”

“Sì, devi eccome.” Prussia stese un braccio e agguantò Austria per il bavero. Lo costrinse a voltarsi, gli soffiò un getto di condensa sul collo. Gli occhi ricominciarono a bruciare come due lanterne rosse nella notte. “Cosa ci faceva là Spagna?” La mano che lo stringeva tremò, le vene salirono in rilievo, pulsarono assieme al suo cuore già gonfio di collera.

Austria gli strinse il polso, alzò leggermente la voce. “Non lo so, e sei pregato di togliermi le mani di dosso.” Gli scollò la mano dalla giacca e Prussia tirò indietro il braccio. Quello sguardo caldo e tagliente non lo lasciò, gli stette addosso come un marchio di fuoco, a bruciargli sulla pelle. Austria si lisciò la stoffa nel punto in cui gliel’aveva sgualcita. “Ho solo sentito che era lì, anche se non ha potuto fare niente per intervenire,” spazzolò anche la spalla, “e che era arrivato al porto ancora prima di Germania.”

Ungheria si portò una mano davanti alla bocca. Gli occhi luccicarono di commozione. “È andato a soccorrere Romano?”

Prussia spalancò gli occhi. E West non mi ha detto nulla?

Austria smise di ripulirsi, lesse l’espressione confusa, smarrita e arrabbiata di Prussia. Anticipò la domanda. “Probabilmente Germania non te l’ha detto per evitare che tu facessi qualche stupidaggine precipitandoti con azioni impulsive e avventate.”

Prussia schiacciò un pugno a terra. “E ne avrei tutto il diritto!” Tornò a schiena dritta, raccolse la testa fra le mani, stringendo le dita all’altezza delle tempie, e guardò per terra, in mezzo ai piedi. La neve si tinse di rosso.

Spagna a Taranto.

La sua piccola figura bloccata contro il muro da due pugni, il suo e quello di Francia, che lo tenevano stretto per il bavero dell’uniforme francese. Il suo sguardo basso, in ombra, ma ancora forte, senza la minima piega di pentimento.

Prussia sentì lo stomaco ribollire come un calderone sul fuoco.

Questa me la paga.

“Non mi pento di quello che ho fatto,” echeggiava il suono della voce di Spagna che rimbombava nella cella. “Se state insistendo tanto solo per farmi dire che mi dispiace per quello che è successo, allora state perdendo tempo.”

I bollori di rabbia montarono alla testa come latte che trabocca sul fuoco.

Non posso credere che dopo tutto quello che è successo, quell’idiota continui a...

Prussia irrigidì. Gli occhi ancora spalancati che fissavano la neve, la bocca socchiusa, le labbra lievemente tremanti, e un sopracciglio storto che gli incrinava il viso di pietra.

Un momento, meditò, Austria ha detto che Spagna era lì ancora prima di West, quindi sapeva dell’attacco ancora prima che cominciasse.

Sollevò le spalle e scattò sulle ginocchia, sorreggendosi solo su una mano.

Cosa sperava di concludere, intervenendo? E poi... come faceva a sapere che ci sarebbe stato un attacco?

Restrinse gli occhi, si prese il mento fra le dita, stringendo sulle guance.

Inghilterra non si fida di nessuno, quindi la soffiata deve essere saltata fuori da qualcuno che gli è molto vicino, ma che è vicino allo stesso modo anche a Spagna.

Austria si sporse con le spalle, gli cercò il viso. “Prussia?” Un barlume di allarme a fargli luccicare le lenti.

Ungheria aprì una mano sulla fronte e sospirò. “Ti prego, non dirmi che stai pensando di...”

Prussia sporse una mano verso di lei e gliela posò sulla bocca, zittendola. Voleva sentire solo il suono del suo cervello che continuava a ronzare come un ingranaggio.

Vicino a Inghilterra e vicino a Spagna, rimuginò. L’unico che può avere avuto un contatto stretto con entrambi è...

La realizzazione gli trafisse la testa come un fulmine forcuto, gli schioccò dritto nel cervello come un tuono.

Prussia saltò in piedi come una molla, un leggero strato di neve scivolò giù dalle sue spalle, il vento gli soffiò in faccia agitando i capelli e la giacca.

Serrò la mandibola, i denti stridettero e le ossa della mano chiusa a pugno scricchiolarono. Un altro moto di rabbia gli risalì lo stomaco, schizzò alla testa accendendogli gli occhi di rosso.

Sulla pelle tornò la sensazione in cui si era trovato immerso nella cella, durante l’incidente delle Ardenne. L’odore del chiuso e dell’umido sporcato da un delicato e familiare aroma di rose.

   
 
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