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Autore: Rowena    29/04/2009    4 recensioni
Storia di come il biglietto profetico di un biscotto della fortuna può cambiare le cose tra una strega ostinata e un Licantropo troppo vecchio, troppo povero e troppo pericoloso.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo so, lo so, mi sto impallando sulle proposte di matrimonio tra Tonks e Remus. Non so che farci, li adoro e continuo a sostenere che la Rowling non abbia concesso loro neanche il decimo dello spazio che meritavano nell'ultimo libro. Meglio così, in fondo, così la sottoscritta può scrivere tutte le follie che vuole... Il titolo è palesemente una ripresa dagli Abba (imparate, mai ascoltarli mentre si scrive), ma la storia non è una song-fiction.

Personaggi e luoghi non appartengono a me, ma a J.K. Rowling, alla Bloomsbury, alla Warner Bros. e a quanti altri ne detengono i diritti. Non scrivo a scopo di lucro e pertanto nessuna violazione del copyright è intesa.

Questa storia è stata scritta per la prima edizione delle Olimpiadi tra Writers Arena e Collection of Starlights.




L’estate anche quell’anno sarebbe stata molto calda, Tonks lo avvertiva con chiarezza, mentre raggiungeva la porta d’ingresso della Tana. Colto di sorpresa dalla sua Materializzazione nel cortile, uno gnomo dalla testa bitorzoluta le fece una linguaccia prima di correre a nascondersi dietro un grosso vaso di peonie, ma la ragazza, sovrappensiero, non se ne curò.
Un’altra riunione dell’Ordine della Fenice, la seconda dopo la morte di Silente.
Al ricordo dell’anziano mago defunto, le sfuggì un sospiro di malinconia: le sarebbe mancato da morire, con le sue stramberie e i dolci nascosti nelle maniche, sempre pronti per essere offerti a una strega pasticciona di cattivo umore. Era stato una persona così buona…
Il giorno seguente si sarebbe tenuto il funerale nel parco di Hogwarts, e tutti loro si sarebbero trovati lì per porgere l’ultimo saluto al loro mentore, che li aveva scelti uno per uno per aiutarlo a combattere Voldemort e i suoi seguaci.
Per quanto fosse grande il dolore, tuttavia, i membri dell’Ordine non potevano rimanere inerti: bisognava agire, eliminare le tracce del loro passaggio, le informazioni che potevano cadere in mano al nemico, qualsiasi indizio che si potesse ritorcere contro la società segreta.
Il giorno prima si era recata con Malocchio al numero dodici di Grimmauld Place, per ritrasformarla in una polverosa magione abbandonata da più di vent’anni. Erano stati molto scrupolosi e in più avevano posto nuovi incantesimi di protezione su tutta la casa: in particolare, Moody aveva insistito per un Sortilegio Urlatore che intimidisse gli intrusi.
Tonks dubitava che un Mangiamorte si sarebbe fatto fermare da una simile sciocchezza, ma lo aveva lasciato fare lo stesso, sapendo che con quel vecchio pazzo non si poteva discutere. Ora, se non altro, la prozia Walburga avrebbe avuto un concorrente nel fare baccano al minimo rumore.
Il pensiero del suo maestro, che l’aveva preparata con severità alla dura vita dell’Auror prima di ritirarsi più o meno volontariamente a vita privata, la tirò un pochino su di morale: se era riuscita a sopravvivere a un simile personaggio e ai suoi bislacchi sistemi d’addestramento allora era pronta ad affrontare qualsiasi cosa, dicevano spesso i suoi colleghi, eppure la tragedia appena accaduta non faceva che spingerla verso la disperazione più nera.
Alla perdita di Silente, inoltre, si aggiungevano poi tutti i suoi problemi personali, cominciando dai poteri magici che non le obbedivano più per arrivare a Remus. Era così arrabbiata con lui, se voleva convincerla a odiarlo quello stupido era sulla buona strada…
No, era una bugia: era sempre innamorata di lui, forse anche più di prima, e il suo cuore era così vittima dei suoi stessi sentimenti da non capire che era meglio mandare al diavolo una buona volta quell’uomo così ansioso, complessato e, nonostante tutto, terribilmente affascinante.
Dato che ormai era arrivata sulla soglia della porta della Tana, controllò di non avere gli occhi lucidi: sapeva di avere una faccia spaventosa, visto che non dormiva da due giorni, ma meglio di così non era riuscita a mascherare la sua angoscia, perciò doveva almeno assicurarsi di non scoppiare a piangere non appena entrata in casa.
Prese un bel respiro e bussò, ma alla prima battuta alla porta non rispose nessuno. Tonks attese, immaginando che Molly fosse impegnata in qualche faccenda, poi riprovò, di nuovo senza ottenere risultati.
Quando provò a entrare, scoprì che la porta era rimasta aperta, senza incantesimi di protezione; anche il tradizionale catenaccio era stato dimenticato e pendeva lungo lo stipite. Preoccupata, Tonks si affacciò nell’ingresso e chiamò i padroni di casa a gran voce. «Ehi, c’è nessuno in casa?»
Ancora nessuna risposta.
Che fossero tutti da Bill, a Hogwarts? Eppure in genere i Weasley facevano in modo di non lasciare la Tana incustodita, non in un periodo tanto cupo…
La strega ebbe un brutto presentimento a quel silenzio: a ogni sua visita, aveva sempre trovato il chiacchiericcio affettuoso di Molly, il caos creativo dei gemelli, o almeno un disco di Celestina Warbeck in sottofondo. Quella casa era piacevole da frequentare proprio perché anche nei giorni più bui era allegra e rumorosa; rispecchiava le abitudini di una famiglia splendida, e ora quella strana situazione la metteva seriamente a disagio: lasciò cadere una delle due grandi buste di plastica che aveva portato con sé e cercò la propria bacchetta nella tasca dei jeans, preoccupata, ma proprio in quel momento Molly comparve in corridoio.
«Tonks cara, che succede?», domandò allarmata vedendo l’amica sul piede di guerra.
La strega più giovane era sul punto di ribattere che forse toccava a lei porre una domanda del genere, vista la noncuranza con cui avevano chiuso la porta, ma lasciò stare; da qualche giorno preferiva non fare domande che potevano mettere in imbarazzo la signora Weasley.
E poi, meglio che fosse andata così, piuttosto che farsi chiedere per l’ennesima volta quale fosse il suo ricordo più imbarazzante relativo a suo cugino Sirius; l’intero Ordine della Fenice, infatti, sghignazzava al pensiero che alla tenera età di cinque anni Ninfadora avesse proposto all’allora ventenne Black di sposarla.
Molly, probabilmente, aveva dimenticato di porre gli incantesimi alla porta di casa in un momento di sconforto, e non era il caso di costringerla a confessare la cosa. Si sarebbe ripresa presto: a tenere occupata l’ansiosa madre, ci sarebbero cominciati i preparativi per il matrimonio di Bill e Fleur, che inaspettatamente era rimasta al fianco del fidanzato e si stava prendendo cura di lui con tanto amore, come se fosse tutto normale, come se non avesse riportato quelle brutte cicatrici. Giudicata come una bambolina dallo splendido aspetto e niente, più la strega francese aveva sorpreso tutti dimostrando di nascondere un grande cuore.
E a premiare il suo amore, il ragazzo non l’aveva allontanata da sé, no, aveva piuttosto anticipato la data delle nozze. Una fitta di sentimenti molto spiacevoli avvinse Tonks, che cercò di ricacciarla indietro per non rovinarsi la serata. Già Remus sarebbe stato presente e avrebbero dovuto cercare di sopportarsi a vicenda senza insulti o altre scenate.
Ninfadora scrollò le spalle, rilassandosi un poco e concentrandosi su Molly, sulla Tana, sulla riunione imminente… Insomma, su qualunque cosa che non fosse l’uomo che l’aveva piantata con le scuse più patetiche della storia. «Nulla, non ho sentito risposta e mi stavo preoccupando, ma esagero come al solito».
Si rivelava degna allieva di quel pazzo paranoico di Moody, in certe occasioni! Sua madre l’aveva perfino cacciata di casa quando aveva cercato di impedire che i suoi genitori partecipassero al grande piano per riportare Harry Potter nel mondo magico al suo diciassettesimo compleanno, accusandola di esagerare come sempre.
La signora Weasley le fece cenno di seguirla in cucina. «Mi dispiace di averti messo paura, ma Arthur è in giardino a smontare una delle sue diavolerie babbane e io ero uscita per vedere se aveva bisogno di qualcosa», si scusò arrossendo vistosamente.
Bella scusa, ma non avrebbe incantato la giovane strega: che la coppia fosse stata colpita nel profondo dall’incidente di Bill era più che chiaro, sebbene i due cercassero di non darlo a vedere. Che sciocchezza, agli occhi di Tonks: nella loro posizione, lei avrebbe fatto fuoco e fiamme per il suo primogenito, sarebbe andata a cercare Greyback per prenderlo a calci di persona. E pensare che quel figlio non era neanche stato pensato, ancora…
«Tonks? A cosa stai pensando?»
La ragazza sbatté le palpebre, perplessa. Si era tanto concentrata sul suo risentimento da estraniarsi completamente dalla realtà. «Scusami, stavo…»
«Non importa, non importa» la interruppe Molly credendo di sapere quale pensiero spiacevole avesse messo di cattivo umore la Metamorfomaga; dopo la scenata in infermeria, non sapeva se Tonks e Remus si fossero riappacificati, perciò era meglio non parlarne. «Piuttosto, cos’hai portato con te?» domandò curiosa notando per la prima volta le due grandi sporte di plastica che aveva con sé la giovane ospite.
«Oh, queste? Ho pensato che in questa baraonda non saresti riuscita a preparare la cena per tutti» spiegò Tonks, ma in quell’attimo il suo sguardo cadde sui fornelli, su cui si trovavano allineate diverse pentole. Che stupida, avrebbe dovuto sapere per esperienza che la signora Weasley non avrebbe mai rinunciato a far trovare la tavola imbandita ai propri ospiti, fosse cascato il mondo!
Insomma, aveva proprio toppato alla grande. «Non fa niente», biascicò delusa, «mi riporto tutto a casa e poi mi scaldo qualcosa domani».
E dire che si era divertita al ristorante cinese a scegliere cosa comprare per ognuno dei compagni! La ragazza sbuffò: non aveva importanza, avrebbe evitato di fare la spesa per qualche giorno. Era meglio così, in fondo; lei in cucina combinava solo disastri, e con il takeaway poteva cavarsela per un po’ senza tentare di appiccare il fuoco a tutta la casa.
«Che odori particolari… Hai cucinato tu?»
L’espressione di Molly era spaventata, in un certo senso, e Tonks non poté fare a meno di offendersi un pochino: ok, non era una cuoca fantastica, ma non aveva mai avvelenato nessuno!
«No», e a sentire quella parolina la padrona di casa sembrò rilassarsi, «sono passata dal mio ristorante cinese di fiducia e ho comprato da mangiare per tutti».
Spiegò che lei spesso mangiava lì, che amava i gusti insoliti e che aveva pensato di farle una sorpresa portando una cena un po’ particolare da far provare agli amici. La signora Weasley non aveva mai assaggiato la cucina etnica, in realtà, e storceva il naso anche quando la sua futura nuora proponeva di far gustare alla famiglia qualche piatto tipico della nouvelle cuisine francese, ma vista l’occasione… In fondo, la ragazza era stata davvero gentile a pensare d’aiutarla con la cena, perciò sentire com’era quel cibo così strano le sembrò un gesto carino verso la povera Ninfadora, così da non rifiutare del tutto la sua cortesia.
Nel giro di due minuti, dunque, entrambe si munirono di posate: c’era ancora tempo prima che gli altri arrivassero, perciò potevano concedersi quel bizzarro spuntino.
«Il commesso del ristorante mi ha dato anche parecchie bacchette, ma sarei capace di accecarmi da sola» commentò Tonks con la bocca piena, facendo scoppiare l’amica in una risata sincera.
Aveva preso diversi antipasti, involtini primavera, ravioli al vapore e frittelle, e poi minestra di mandorle, e zuppa d’anatra – forse inadatte al clima caldo ma ugualmente molto buone – ma il piatto forte era ben altro, una specialità che seguiva la stessa filosofia culinaria di Molly: più ce n’è meglio è.
Ninfadora aveva scelto le polpette di carne di Pechino, ossia palle fatte di maiale, funghi secchi e gamberi, il tutto ovviamente tritato, fritte in una salsa composta di olio, vino, sale e farina. Su un enorme piatto di plastica era disposto un numero consistente di polpette, guarnite con fette di limone e arancia, ma anche con gli stessi ingredienti sminuzzati con la carne. Il profumo, osservò deliziata la ragazza, era ottimo e Chen, il cuoco, si era superato ancora una volta.
Erano così invitanti che anche la signora Weasley, dopo la prima incertezza iniziale, vedendo la giovane strega mangiare di gusto si lasciò convincere e ne rimase colpita.
«Sono ottime, molto più gustose di quanto avrei mai immaginato», esclamò alla fine Molly deliziata, pulendosi la bocca con il tovagliolo.
Tonks sorrise: forse almeno una l’aveva fatta giusta, quel giorno. «E, per finire, i biscotti della fortuna».
Recuperò il pacchettino che conteneva i dolci a forma di mezzaluna, i suoi preferiti.
Inoltre, per lei, i bigliettini con gli auspici erano un gioco divertente, specie se fatti in compagnia; Molly sembrava promettere bene, mentre prendeva un biscotto e lo spezzava a metà.
«Se non ti rilasserai, cento anni di sfortuna avrai», recitò ridendo la strega di mezza età, prima di coprirsi gli occhi. «Non serviva leggere questo biglietto, me lo dicono già Arthur e i ragazzi… Forse sono un po’ troppo ansiosa, ma l’idea di essere ancora in mezzo a una guerra mi sconvolge».
Ecco, non si riesce nemmeno più a giocare, pensò egoisticamente Tonks, prima d’intenerirsi e di fare del suo meglio per consolarla. «Devi essere lucida, Molly, per essere d’aiuto. Fai come me, sto cercando di dimenticare i miei sentimenti fuori dalla porta ogni volta che l’Ordine si riunisce».
Sentendo l’ironia di Ninfadora, che si stava torturando una ciocca dei suoi capelli spenti per non cadere nell’ennesima crisi, la signora Weasley tornò a essere la solita chioccia e sorrise. «Niente pensieri tristi, su. Avanti, sentiamo cosa ha da dirti la fortuna!»
Tonks tirò su col naso, abbozzando addirittura un sorriso, e pescò dal sacchettino un dolcetto, lo ruppe e spiegò il foglietto con la predizione. Un attimo dopo, era di nuovo scura in volto.
«Ma non è possibile, pure i biscotti della fortuna si prendono gioco di me!» sbottò arrabbiata la ragazza, prima di mangiare con stizza le due metà del suo dolcetto.
Molly fissò la strisciolina di carta che la giovane strega stringeva ancora in mano: «Perché, cosa dice?»
«Cogli l’attimo finché ne hai la possibilità», lesse Ninfadora con voce piatta, «i tuoi numeri fortunati sono 03-08-14-22-31-34-42». Perfino la padrona di casa sembrava imbarazzata, come a darle ragione per la cattiveria del biglietto. «Come se io non volessi farlo, dannazione! Sono più di sei mesi che aspetto di cogliere l’attimo, stupido fogliettino, ma non sta a me decidere!»
La situazione sarebbe degenerata in fretta, Molly lo sapeva bene: aveva consolato spesso Tonks negli ultimi tempi, perciò sapeva bene che i suoi scatti di rabbia potevano essere molto pericolosi. «Calmati, Dora, è solo uno sciocco biglietto. Non è stato messo lì per te, è stato il caso…»
«Il caso, sì! Questo doveva leggerlo Remus, non io», sbottò furibonda; era tardi, ormai, sulla Tana stava per scoppiare un uragano. «Anzi, quando arriva glielo passo, così magari si sveglia».
Ottima idea, peccato che la serata sarebbe stata già fin troppo movimentata senza quell’uscita spiacevole. Molly fece sparire i piatti sporchi con un tocco di bacchetta e cercò di calmarla: «Non ce n’è bisogno, su. Il biglietto può riferirsi a qualcos’altro, forse, magari un trasloco, o un’altra decisione in sospeso… Non avvelenarti il sangue per nulla!»
Era un tentativo inutile, quella ragazza era una vera furia quando si metteva in testa qualcosa e lei lo sapeva; eppure, stranamente, Tonks prese un respiro profondo, lisciò il foglio che teneva ancora tra le dita e lo infilò in tasca, assicurando che sapeva bene quanto fosse grave la situazione dell’Ordine e dell’intero mondo magico, perciò avrebbe atteso un momento migliore per tornare a discutere con Remus della loro relazione ormai alla deriva.
Se Sirius fosse stato presente, avrebbe ridacchiato della promessa fasulla appena fatta da sua cugina, ricordandole che era nulla se teneva le dita incrociate sotto il tavolo, e avrebbe messo in guardia la signora Weasley sul conto della ragazza perché non si lasciasse prendere in giro.
Sirius Black, però, non era più presente, se n’era andato da un anno, perciò Molly finì di rassettare la cucina, ringraziò ancora una volta Ninfadora per l’assaggio esotico e si mise il cuore in pace.
Illusa.

*

Nel corso degli ultimi mesi, Remus John Lupin aveva imparato ad arrivare alle riunioni dell’Ordine al momento perfetto, ossia dieci secondi prima che Moody cominciasse la sua ennesima ramanzina.
Stava facendo dello sfiorato ritardo una scienza esatta, tanto era il suo desiderio di concedere a Ninfadora il minor tempo possibile per aggredirlo ancora.
Con lui, tanto, nessuno si lamentava, essendo il disperato della situazione, il Lupo Mannaro sempre in fuga che era tornato davvero provato dalla sua missione alla colonia di Licantropi. Quella strana compassione era irritante, in un certo senso, ma ultimamente gli tornava comoda.
La caccia che gli faceva Tonks, poi, con le sue accuse e le crisi di pianto, buona parte dei membri lo compativa senza vergogna. Soltanto Molly lo squadrava da capo a piedi con severità, un rimprovero muto ma non per questo meno forte, ma lei si poteva considerare un caso a parte.
Lupin arrivava dritto da Hogwarts, era passato a trovare Bill per vedere i progressi che il giovane mago stava lentamente compiendo. Non avrebbe dovuto sopportare la mutazione completa, il che già era una fortuna, ma le cose non sarebbero comunque state semplici.
Sospirando, Remus fece per entrare alla Tana: un sottile presentimento cercò di avvertirlo perché facesse attenzione, ma prima che potesse badarvi la porta si era già spalancata, e una strana Tonks lo stava accogliendo con un sorriso obliquo.
«Per oggi non voglio darti fastidio», fu il suo saluto, il che inquietò ancora di più il mago, «ecco, puoi considerarla una specie di tregua».
Non aveva aggiunto altro, la piccola strega, solo gli prese una mano per infilargli un foglietto tra le dita. «Pensaci su, dopo» gli consigliò con un altro preoccupante sorriso, fin troppo simile ai peggiori ghigni di Sirius, quelli che lasciavano intendere che aveva in mente dei pessimi, pessimi piani.
Temendo qualche tranello, Remus fece per replicare, ma un Malocchio alquanto nervoso chiamò entrambi in cucina così da poter cominciare la riunione.
I discorsi non furono dei più allegri, ovviamente: la situazione di Grimmauld Place, la discussione se fosse intelligente porre di nuovo la vecchia sede dell’Ordine sotto Incanto Fidelius o se invece sarebbe stato più saggio cercare un posto diverso… I Weasley misero la Tana a disposizione, così l’argomento fu in breve accantonato.
La seconda questione riguardava Piton e il suo tradimento, ovviamente. Il mago strinse forte i pugni, obbligandosi a non esternare tutto ciò che pensava e che agitava il suo spirito.
Era molto nervoso, gli avvenimenti degli ultimi giorni lo avevano davvero sconvolto, a cominciare da ciò che era accaduto a Silente. Tuttavia, per quanto fosse affezionato all’anziano Preside, era successo qualcos’altro, quella tragica notte; la vicinanza di Greyback era riuscita a risvegliare i suoi sensi di lupo, che non erano mai stati così acuti dalla sua fuga dalla colonia, e da quelle lunghe ore riusciva a mala pena a controllarsi.
L’atteggiamento pacifista di Ninfadora era stato un bene, perché era in uno strano stato di collera che poteva scoppiare da un momento all’altro; non voleva farle del male, non voleva ferirla più di quanto non avesse già fatto.
«E quindi», ruggì Moody sputacchiando tutto intorno a sé, «io ritengo che sia necessario intensificare le misure di sicurezza, sia per quanto riguarda i luoghi a codice rosso che per i singoli membri dell’Ordine…»
Di questo passo, avrebbero girato tutti in armatura. Per cosa, poi: un incantesimo poteva essere letale lo stesso, anche se Malocchio avesse optato davvero per una svolta tanto assurda. Erano questioni importanti, Remus lo sapeva benissimo: Hogwarts doveva rimanere un luogo sicuro, bisognava pensare a nuove protezioni per Harry, che presto avrebbe compiuto diciassette anni, e i membri dell’Ordine avevano bisogno di mettere in salvo almeno le loro famiglie.
Per quanto tutto ciò lo preoccupasse molto, il Licantropo presto smise di ascoltare, stanco; doveva distrarsi, visto che uscire un attimo per prendere una boccata d’aria era impossibile – l’ultima volta che George aveva azzardato una simile richiesta si era ritrovato appeso al lampadario a testa in giù. Il foglietto di Tonks era nella sua tasca sinistra…
Tornò a concentrare la sua attenzione su Moody: in quel momento, il vecchio Auror stava insultando Mundungus, che teneva stretto per un orecchio, mentre quello si dibatteva piagnucolando di aver posto un’osservazione sensata.
Perfetto: qualunque fosse la causa che aveva portato a una simile sceneggiata, Malocchio non avrebbe lasciato la presa per almeno una decina di minuti, dunque poteva concentrarsi sull’ultima trovata di Ninfadora.
Sembrava un normale pezzo di carta, a prima vista: rigirandoselo tra le dita, poté notare che su un lato la calligrafia spigolosa di Tonks gli spiegava cos’era successo prima della riunione, la storia dei biscotti della fortuna e delle predizioni.
Ho mangiato quello destinato a te, non ti arrabbi, vero? Ho comunque conservato il biglietto, così puoi seguire i consigli della sorte. Sempre che questo non comporti troppe responsabilità, ovviamente. Così aveva scritto quella piccola strega, in un improbabile inchiostro fucsia per di più.
Tremando all’idea di cosa avrebbe trovato, Remus voltò il foglietto: il carattere era vagamente orientale, e la citazione sembrava abbastanza beffarda. Cogli l’attimo finché ne hai la possibilità. Sotto c’era un’altra annotazione di Tonks, che aveva anche tirato una riga sui numeri fortunati, in cui sosteneva che quello era un messaggio del karma, e che avrebbe fatto meglio a non disobbedire se non voleva reincarnarsi in un Vermicolo.
Gli venne quasi da ridere; tra tutte le opere di convincimento che la ragazza aveva tentato per tornare insieme, quella era tra le più buffe. Era una provocazione un po’ ironica, tipica della vecchia Dora, quella che rideva sempre e aveva i capelli rosa.
«Sei il peggior vigliacco che io abbia mai incontrato in tanti anni, e ti giuro, sono davvero tanti!», ruggì Moody contro Dung, che avrebbe di certo voluto trovarsi ovunque tranne che lì. Remus trasse un bel sospiro e tornò a osservare il foglietto, ma con sua sorpresa notò che le frasi scritte da Tonks erano cambiate.
Via, conosco un codardo ancora peggiore, dicevano adesso.
«Nemmeno Piton è al tuo livello», rincarò Malocchio, e ancora le gocce d’inchiostro ricominciarono a muoversi. No, io parlavo di qualcuno presente in questa stanza… E penso che tu sappia a chi mi riferisco.
Dora doveva aver notato che aveva cominciato a leggere il suo messaggio e ora muoveva di nascosto la bacchetta in tasca per far cambiare le frasi sul biglietto.
Com’on, baby, take a chance on me!
Silenzio. Remus si stava chiedendo quanto sarebbe durato quel gioco. Sentiva la rabbia alzarsi di nuovo, anche quello che aveva detto prima la ragazza sulle responsabilità le sembrava cattivo. In fondo, lui stava rinunciando alla propria felicità per amor suo…
Secondo me tu hai solo paura. Paura di me. Ma io non sarò qui ad aspettarti per sempre.
«Magari la smettessi, magari decidessi di lasciarmi in pace una buona volta!», gli sfuggì ad alta voce prima che se ne potesse rendersene conto. Tonks era dall’altra parte del tavolo, due sedie più in là, e sicuramente aveva capito a chi si stava riferendo.
Non vi erano dubbi: Lupin non aveva ancora afferrato del tutto di aver esternato ad alta voce il suo ultimo pensiero, che già la ragazza era partita a rispondergli. «Certo, così ti renderei tutto più semplice, vero?»
Ora l’attenzione collettiva era puntata su di loro, perfino Malocchio si era zittito per osservare meglio la situazione, ma Remus non si era accorto di questo: era così infuriato, che ogni dettaglio che non fosse il volto strafottente di Tonks gli appariva sfocato. Sentiva tutta l’ira che aveva in corpo pronta a esplodere.
«Sai benissimo che è stata una decisione dura da prendere anche per me», replicò prima di ficcarsi le mani in tasca per non far vedere quanto gli tremassero.
Peccato che la strega non avesse alcuna intenzione di rendergli le cose più facili. «Certo, sì è visto benissimo: sbaglio, o non hai impiegato più di dieci secondi per scaricarmi?»
Stava esagerando e Remus era strano, lo vedeva chiaramente, eppure nemmeno Dora era preparata a vederlo sbattere un pugno sul tavolo con tutta la sua forza. «Perché è la cosa migliore per te, dannazione!»
Per la prima volta da quando si erano conosciuti, l’uomo che amava le stava davvero facendo paura. Tuttavia, forse per orgoglio o per puro desiderio di non uscire sconfitta anche da questa discussione, Tonks continuò. «E chi ti credi di essere per decidere al mio posto che cosa è meglio per me?»
Ormai si erano alzati entrambi in piedi, e gridavano senza ritegno. Gli altri membri dell’Ordine si guardavano l’un l’altro, indecisi se intervenire o no, e Molly cominciava a temere per il servizio di piatti che aveva messo in tavola, sentendosi una vera idiota per aver creduto che quella cocciuta ragazzina fosse disposta a deporre le armi con tanta facilità.
Ma, per fortuna, tra loro si trovava un vero eroe, un Auror sopravvissuto a cose che le persone comuni non potevano neanche immaginare…
«Molto bene, signorini», tuonò Moody intromettendosi nel litigio, «io, come qualunque altra persona qui presente, so che avete avuto una tresca, ma io, come qualunque altra persona qui presente, so che non è un problema nostro!»
Quell’intervento rabbioso ebbe l’effetto sperato: sia Tonks che Remus ammutolirono in un attimo, presi in contropiede. Malocchio, però, non aveva ancora finito: «Adesso voi due uscite e vi chiarite una buona volta e, anche se sappiamo tutti benissimo che non troverete una soluzione definitiva, non vi voglio vedere rientrare finché almeno non abbiate raggiunto un compromesso che vi permetta di rimanere insieme in una stanza senza scannarvi».
L’istinto incattivito di Lupin fu sul punto di ribattere al vecchio che poteva anche farsi gli affari suoi – le esatte parole che aveva in mente qui non si possono riportare – ma alla vista di Ninfadora che chinava il capo e cominciava a ubbidire, il mago decise di comportarsi bene a sua volta.
In fondo, non era saggio rispondere come voleva a Moody, ne era la prova Mundungus, che era ancora tenuto saldamente per l’orecchio sinistro.
«Va bene, come dici tu» si degnò di aggiungere prima di seguire la ragazza, che lo stava fissando dall’uscio. «Molly, dove possiamo metterci? Non vorremmo creare disturbo».
Per meglio dire, Remus avrebbe preferito sapere in quale punto della casa potevano discutere senza fare troppi danni; magari in soffitta, così avrebbero fatto concorrenza ai rumori causati dal fantasma della Tana.
La strega sembrò pensarci su, poi consigliò che forse il posto più adatto era il giardino. «Così», spiegò in tutta serietà, «se proprio vi viene voglia di prendere qualcosa e lanciarlo lontano potete prendervela con gli Gnomi e portare anche avanti la disinfestazione».
Per un istante gli venne da ridere, poi osservò Ninfadora, i suoi capelli spenti, e il lieve tremore di cui era preda tutta la sua figura, e tornò a innervosirsi.
Ancora più perfetto, poiché non dava direttamente sulla cucina, Arthur suggerì invece il cortile sull’altro lato della casa, perché altrimenti visto quant’erano spessi i muri avrebbero pure potuto continuare lì dove si trovavano.
Dunque uscirono dalla stanza e s’incamminarono verso l’esterno: non erano neanche arrivati, quando lei si voltò e lo spinse indietro, furibonda. «La devi smettere di fare così, maledizione!» gridò con foga, togliendogli qualunque dubbio su come volesse continuare il discorso. «Te lo ricordi o no? Io sono rimasta ad aspettarti, morendo dalla paura, mentre tu eri lontano per quella stupida missione, a torturarmi al pensiero di cosa sarebbe potuto accaderti, e tu cosa fai al tuo ritorno? Mi scarichi senza pensarci due volte, senza tanti complimenti. Non ti vergogni?»
Dora era sull’orlo delle lacrime, ma tirò su col naso per contenersi: non voleva piangere di fronte a lui, o ancora una volta si sarebbe dimostrata debole e troppo emotiva.
Remus aprì la porta di casa, l’attraversò e si sedette sul primo gradino, cercando di pensare a una giusta risposta. Si vergognava? Da morire, perché era stato un vero egoista e Tonks non poteva neanche immaginare quanto si facesse schifo per la sua decisione; era giusto così, tuttavia, doveva permetterle di avere una vita normale, per quanto una simile parola potesse adattarsi a una Metamorfomaga pasticciona e confusionaria.
«In effetti, sì» rispose cercando di rimanere calmo, «non avrei dovuto chiederti di aspettare il mio ritorno; sono stato stupido, mi sono comportato come un ragazzino che sta per andare al campeggio estivo. Dovevo lasciarti libera prima di partire».
«Lasciarmi libera?», ripeté con stizza la ragazza, quasi incredula. «Sono diventata un cane, allora, un botolo pulcioso da abbandonare in autostrada come fanno i Babbani! Sta’ a vedere che ora mi confondi con mio cugino…» commentò ancora, sentendosi offesa dalla sua scelta di parole. Andò a piazzarsi di fronte a Remus, che stava sempre sullo scalino e aveva nascosto il volto tra le mani, come se non volesse più parlare; era arrivata la resa dei conti. «Non puoi decidere da solo che è finita, ci sono anch’io in ballo e pretendo di poter decidere per me».
«Tu non sai cosa potrei diventare…» mormorò appena il mago in risposta, ricordando con orrore ciò che aveva visto e compiuto alla colonia. Storie terribili, che non aveva avuto il coraggio di raccontare a Tonks. Forse avrebbe dovuto, così da convincerla una buona volta a lasciarlo in pace.
Peccato che la giovane avesse ereditato la testardaggine dei Black.
«Oh no, tu non sai chi sei e cosa puoi diventare, perché altrimenti non crederesti neanche per un istante di essere come Greyback!» lo interruppe appunto Ninfadora, capendo all’istante dove volesse andare a parare. «Io sono sicurissima che non potresti mai comportarti come quel mostro, l’ho capito non appena mi hai confessato di avere un piccolo problema peloso».
A Remus scappò una risata sarcastica: sembrava di essere tornato a Hogwarts, quando aveva dovuto convincere i Malandrini che non fosse poi così divertente avere a che fare con un Lupo Mannaro. Non che in quell’occasione fosse stato ascoltato più di tanto, ma in quel caso si era trattato di uno contro tre: non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa da una ragazzina!
«Non puoi rendere tutto così facile, ci sono complicazioni e tu lo sai» le disse alzandosi in piedi e avvicinandosi alla ragazza: non era altissimo, ma anche così la sovrastava di diversi centimetri, per questo lei portava i tacchi.
Neanche la sua ultima osservazione sembrò toccare quella scriteriata, che incrociò le braccia e lo fissò negli occhi con aria impertinente. «Abbiamo già dormito insieme sotto lo stesso tetto, a Grimmauld Place, anche nelle notti di Luna Piena».
Certo, quando l’istinto di mostro era sedato e passava la notte accucciato sul pavimento come un normale lupo. Perché voleva costringerlo a sottolineare le ovvietà? Perché doveva ricordargli che Piton, che per più di un anno aveva garantito il filtro necessario per tenersi a bada, era alla macchia in quanto traditore e assassino?
«Non avrò più la Pozione Antilupo, lo sai? Non sono capace di prepararmela da solo».
Sempre più ferita, Tonks gli voltò le spalle: la Tana non le era mai sembrata così soffocante, da quando aveva preso a frequentare quella casa di matti, eppure sentiva il bisogno di quella discussione e non era intenzionata a cedere. «E secondo te io sono diventata un Auror così, vincendo il titolo alla lotteria? Ho preso una E ai M.A.G.O. e sono stata l’unica del mio anno. Dovresti fidarti di me».
Come dirle che credeva ciecamente in lei? Remus le avrebbe affidato la propria vita in qualunque genere di missione pericolosa, se ce ne fosse stato il bisogno, e ovviamente se avessero superato tutto quel pasticcio. «Non sei tu il problema», ringhiò, «e lo sai benissimo senza che te lo ripeta per l’ennesima volta!»
Per un attimo si lasciò andare e cinse la ragazza con le braccia: «Lo vorrei tanto, Dora, vorrei poterti stare accanto ogni giorno…»
Rimase rigida, presa di sorpresa da quella stretta così forte e dolce, che amava da morire. Non cedere, Tonks, non dargliela vinta!
«Allora segui il consiglio del biscotto della fortuna», gli rispose.
Ma che testona, si ritrovò a pensare Remus, cominciando a credere che non sarebbe riuscito a vincere quel confronto. Avrebbe voluto darle retta e chiudere così quella separazione, non poteva nemmeno immaginare quanto desiderasse dimenticare la propria, inesorabile coscienza e tutti i suoi sensi di colpa. «Non posso, lo sai benissimo».
Era una sfida a chi era più ostinato, all’ultimo sangue. Una musichetta da film western avrebbe fatto da perfetta colonna sonora a quella specie di duello. «Cogli l’attimo, Remus», gli ripeté ancora, «oppure dimmi che non sei più innamorato di me. Guardami in faccia, però, mentre lo dici».
Era un ultimatum bello e buono, ma nemmeno il mago, abituato fin da quando aveva dieci anni a raccontare bugie senza vergogna, riuscì ad aggirare il problema. «Cosa vuoi che faccia?», sbottò con rabbia sentendosi messo alle strette. «Non posso darti niente, finirei solo per trascinarti in un incubo».
«Balle!», esclamò lei in un modo che gli ricordò inquietantemente Malocchio Moody. «Sei solo incredibilmente spaventato perché dopo tanto tempo una persona vuole starti accanto a prescindere da quello che sei».
«E allora cosa dovrei fare, signorina Io-riesco-a-leggerti-dentro?», domandò con tutto il sarcasmo che aveva. Trovava ridicolo che fosse una ragazzina come lei l’unica persona capace di comprenderlo così a fondo; perché era vero, gli ultimi ad accettarlo come amico, senza chiedersi neanche per un istante se potesse essere pericoloso, erano stati i Malandrini, seguiti solo da Lily. Proprio perché erano stati casi così rari e incredibili, gli pareva impossibile che accadesse un’altra volta; e anche se Tonks sembrava decisa e consapevole di quello che stava promettendo, la paura vinceva la sua voglia di vivere.
Paura di perderla lo stesso, paura che lei si stancasse, ma soprattutto paura di rovinarle la vita. «Sentiamo, Tonks, tu che hai sempre la risposta pronta: cosa dovrei fare?» ripeté con rabbia.
La ragazza non fu colpita neanche un po’: anzi, lo fissò con una strana allegria negli occhi e sorrise. «Dovresti sposarmi».
Ecco, questa risposta Remus non l’avrebbe mai azzardata. Era folle, non stavano più neanche insieme, e adesso di punto in bianco avrebbero dovuto sposarsi?
«Cosa?» Annaspava, domandandosi se Ninfadora lo stesse prendendo in giro o se davvero si aspettasse una proposta di matrimonio.
Lei tornò a essere seria in un lampo, rabbuiandosi per l’ennesima volta. «Hai capito benissimo, il tuo udito è anche più acuto del normale», commentò dimostrando di non avere dimenticato le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure. «Dovremmo davvero sposarci».
«E tu sei pronta a diventare la moglie di un reietto come me?»
«Ma che reietto e reietto», sbuffò la ragazza, «quando finirà la guerra anche tu sarai salutato come un eroe, alla faccia dei vecchi pregiudizi».
Ingenua speranza. Forse per un po’ i normali umani si sarebbero ricordati del suo valore, ma poi sarebbe tornato tutto come prima, com’era sempre stato. La comunità magica non sarebbe mai stata pronta ad accettare i Mannari tra loro, anche perché il simbolo della sua specie era Greyback, il cacciatore di bambini.
L’uomo tornò a sedersi, abbastanza sconvolto; non aveva neanche la forza di cominciare la solita tiritera sulla differenza d’età, sulle sue difficili condizioni economiche, o sul costante pericolo che comportava la convivenza con un Licantropo. Tanto Tonks non l’avrebbe ascoltato, come sempre!
«Dora…»
«Niente Dora: fammi una proposta decente, perché almeno quella me la merito».
Remus rimase in silenzio: questa svolta proprio non se la sarebbe mai aspettata!
Poteva ripetere che non gli era concessa una simile fortuna, ma a dirla tutta si era stancato perfino di se stesso: era davvero così infastidito da Tonks? No, certo che no: non era mai stato tanto amato e desiderato da una donna e, in effetti, la cosa lo lasciava spesso incredulo.
Si allontanò da lei di un paio di passi. Era adulta, se voleva qualcosa sapeva i rischi che comportava… No, quella era una bugia: si sarebbe accorta di tutti i sacrifici necessari per rimanere con lui solo cominciando a vivere davvero come una coppia, legando i rispettivi destini, e fino a che non si fosse scontrata con la dura realtà non avrebbe accettato le sue ragioni.
Il loro amore era abbastanza forte da superare il disprezzo della gente, magari anche un allontanamento dalla famiglia della sua compagna, le difficoltà economiche e, ovviamente, le sue trasformazioni mensili?
C’erano così tanti interrogativi su cui riflettere, e Tonks aveva tutta l’aria di non concedergli più di un minuto per prendere la sua decisione. Sposarsi in genere voleva anche dire pensare a una famiglia, e a quel pensiero gli si drizzarono i capelli; si chiese quali sofferenze avrebbe dovuto patire un bambino figlio di un Licantropo, se la sua mutazione avrebbe nel caso comportato degli effetti sul piccolo innocente. Nel caso, non avrebbe mai permesso che un neonato si dovesse macchiare di una simile sventura, mai.
Ma se non ricordava male Greyback alla colonia sosteneva che un Mannaro non avrebbe mai potuto generare un figlio con una comune umana, e sembrava sicuro di ciò che andava a raccontare in giro… Avrebbe dovuto controllare.
Buffò, pensò: non aveva ancora chiesto a Dora di sposarlo e già si domandava se avrebbe potuto avere una famiglia, due se non tre bambini dai capelli multicolori come la mamma e con la sua stessa voglia di vivere. Era un sogno meraviglioso, che gli scaldò in un istante il cuore.
Forse Ninfadora aveva ragione, forse si stava solo negando una felicità a lungo desiderata per paura che poi tutto gli fosse portato via. Era tutto a portata di mano, in fondo, e si sentì all’improvviso uno sciocco solo per aver pensato di rinunciarvi.
Cosa diceva quel biglietto del biscotto della fortuna? Forse, riconobbe almeno con se stesso, non aveva mai ricevuto consiglio migliore.
Osservò il volto di Ninfadora cambiare rapidamente espressione, mentre s’inginocchiava e con un sorriso allargava le braccia. «Com’on, baby, take a chance on me».
La strega si aspettava di tutto, davvero di tutto, ma non che quel pazzo le desse retta; credeva che avrebbe fatto scena muta, ancora, così da offrirle l’ennesimo motivo per continuare ad aggredirlo, ma quella mossa inattesa l’aveva gelata sul posto.
«Avanti, Dora, cogli l’attimo finché ne hai la possibilità», la canzonò Remus, che ora sembrava divertirsi.
Tonks si diede un pizzicotto, scoppiò in lacrime e si tuffò tra le sue braccia. Non c’era un anello di fidanzamento, ma il mago le sussurrò all’orecchio che sua madre gli aveva lasciato quello di famiglia perché lo donasse alla ragazza giusta.
«Allora… Siamo davvero fidanzati?»
«Sì, sempre che tu non abbia già cambiato idea», le rispose lui con un sorriso.
«Io? Mai e poi mai», ribadì con aria serissima la strega, diventando improvvisamente seria, quasi minacciosa. «Tu, piuttosto, fai attenzione a non ripensarci, o sarà la volta che scoprirai quanto davvero posso assomigliare a mia zia Bellatrix».
Ok, poteva togliere quel quasi e ammettere che la sua fidanzata – uh, doveva abituarsi a chiamarla così – era proprio minacciosa.
Lupo avvisato…

*

La riunione era ormai finita da un pezzo, ma di quei due ancora non c’era nessuna traccia.
Dal cortile non arrivavano rumori, mentre prima per un po’ si erano sentita urla e accuse anche molto taglienti. I gemelli erano andati a spiarli, o almeno ci avevano provato prima che Malocchio li riacchiappasse al volo, ma non erano riusciti a capire a che punto fossero arrivati. «Non sarà meglio andare a controllare come stanno?», domandò incerta Molly, iniziando a preoccuparsi.
Alastor si servì una terza porzione di arrosto, prima di scrollare le spalle: «Rilassati, devono superare questa cosa. È possibile che in futuro saranno costretti a lavorare in coppia per l’Ordine, ed io pretendo di avere la sicurezza che non si uccidano a vicenda».
Sì, ma sei sicuro che non sia già successo, vecchio pazzo, pensò la strega temendo per le sue piante e le galline che razzolavano nel cortile.
Proprio in quel momento, si sentì bussare alla porta che dava sul giardino. «Il castigo è finito, nonno Alastor?», chiese con i suoi soliti modi impertinenti Tonks, facendo una linguaccia in direzione del suo vecchio maestro.
Pareva sollevata agli occhi di tutti.
La sua sfrontatezza, al solito, non sembrò sconvolgere Moody, che ridacchiò e le fece cenno di entrare. «Dipende, piccola pazza: dov’è Remus, devo chiedere a Hagrid di prestarmi gli Snasi per cercare il suo cadavere?»
Gli altri presenti non erano ancora abituati a questi dialoghi strampalati, e li fissarono a occhi aperti; certo, ora capivano meglio cosa volesse dire il detto che un Auror, se superava l’addestramento con Malocchio, era pronto ad affrontare anche le peggiori bestie mitologiche.
Anche la testa di Remus fece capolino dalla porta: «Credo che per ora sarebbe una misura un tantino eccessiva, Alastor, comunque grazie per l’interessamento».
I Weasley, Minerva McGranitt e perfino Dung tirarono un sospiro di sollievo.
«Allora, siete riuscire a trovare un accordo?»
«Oh sì», rispose una Tonks molto, molto gongolante.
La cosa si faceva interessante. «E quali sarebbero i termini della tregua?», incalzò un malizioso Malocchio Moody.
«Sarebbero… Che dovrai farmi da damigella d’onore, Alastor», rispose Tonks sempre più cattiva, «anche se non ti vedo molto bene in albicocca».
«Di che diavolo parli, ragazzaccia?»
Si sentì un rumore di cocci, e tutti si voltarono verso Molly, che fissava il terzetto con aria sconvolta: «Voi, voi… Siete fidanzati, state per sposarvi!»
«Indovinato» confermò Remus, «e ovviamente siete tutti invitati. Non sarà una cosa in pompa magna, anche perché le mie finanze non lo permettono, ma sarebbe stupendo avere tutti i nostri amici intorno a noi».
Le sue ultime parole furono coperte dall’ovazione di gioia e felicità che accolse quell’annuncio: in un attimo, la guerra imminente fu dimenticata, le preoccupazioni che ormai accompagnavano ogni giorno rimandate al futuro, la tristezza che aveva accompagnato tutto l’Ordine dalla morte di Silente cancellata, tutto per festeggiare come era giusto un evento ormai davvero insperato. I gemelli abbracciarono Tonks, cominciarono a fare battutacce di pessimo gusto, almeno fino a che la madre non li raggiunse e diede a ciascuno un signor scappellotto.
«Ti prego, Tonks, sposati prima di Fleur», la pregò Fred massaggiandosi la testa.
Il fratello continuò subito: «Sì, così a Flebo viene un colpo!»
La ragazza scoppiò a ridere, incredula. «Oh no, quella sa essere un’arpia quando vuole. E poi, sarà anche il grande momento di Bill, che si merita un giorno di festa in pompa magna: la nostra sarà una cerimonia intima, con poche persone».
Specie per non attirare l’attenzione dei parenti serpenti, pensò combattuta tra l’amarezza di avere due zie pazze e il sadico piacere che le dava l’immaginare come avrebbero reagito quelle due streghe.
Per non parlare di sua madre… Meglio non pensarci, si disse sentendo il primo brivido scenderle lungo la schiena! Merlino, Andromeda Tonks sapeva essere veramente la degna sorella di Bellatrix, quando voleva, e di certo la notizia del fidanzamento l’avrebbe fatta scattare all’attacco per convincerla a non rovinarsi la vita. Voleva bene a Remus, che conosceva da quando lui era adolescente e frequentava Sirius, ma non l’avrebbe certo ben visto come genero.
La strega si strinse al suo uomo, che la fissò negli occhi e con un sorriso la abbracciò forte.
Mentre l’Ordine festeggiava l’annuncio, Ninfadora Tonks si lasciò cullare dal suo futuro marito, accantonando pensieri tristi e preoccupazioni.
Avrebbero affrontato tutto quanto l’indomani. Insieme.

   
 
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