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Autore: Cara Jaime    29/08/2016    0 recensioni
Helen è nata in Minnesota e cresciuta in un ranch. A quindici anni si infortuna durante una lezione di educazione fisica. Questo le causa la perdita di una borsa di studio in atletica per l'università. Dopo essersi diplomata alla Fisher High School trova un lavoro come cameriera in un pub, per sostenere i costi di un corso di fotografia. Diventa però la sua ossessione quando riesce a fotografare del tutto casualmente uno strano fenomeno: una figura traslucida sullo sfondo di un'autostrada. Mandando la foto via Internet a diversi esperti e forum, scopre di aver fotografato un fantasma. Elettrizzata dalla scoperta, comincia da quel momento a cercare di replicare l'esperimento. Inizia a viaggiare negli Stati Uniti con il car sharing. Comincia a tenere un diario, dapprima privato, che decide poi di pubblicare in un blog personale, intitolato La Cacciatrice di Spiriti. Lì pubblica anche le sue fotografie. Un giorno viene contattata dal redattore di una rivista che tratta argomenti sovrannaturali, il quale le chiede di cacciare e scrivere articoli per loro. Con il supporto economico di questo nuovo impiego diventa così possibile alla nostra cacciatrice di fantasmi portare avanti la sua attività del tutto indisturbata.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Metto le chiavi sul tavolino del soggiorno. Sono appena rientrata da Dundee e mi sento appesantita. Mi guardo intorno nella stanza buia. Solo la luce dei lampioni ne rischiara l'interno.

Betsy e io siamo partite dalla Scozia col volo delle sei e mezza. Elias è venuto a salutarci all'aeroporto e ci siamo scambiati il numero di telefono per tenerci in contatto. Inoltre ci siamo promessi di scambiarci mail una volta al mese per aggiornarci su come vanno le cose. Posso dire di aver allacciato un legame di amicizia con lui, malgrado la parentesi sessuale.

Mi dirigo a passi lenti verso la mia stanza da letto e tolgo di dosso la borsa a tracolla. La poso accanto alla porta e mi spoglio sulla via del bagno, lasciando una scia di abiti dietro di me. Entro nel box e faccio scorrere l'acqua, regolando il miscelatore su una temperatura intermedia. Entro e abbasso la testa e le palpebre, appoggiando gli avambracci contro la parete di piastrelle. Rimango immobile, permettendo all'acqua fresca di impegnarmi i capelli castani e la pelle eburnea.

Mi sento stanca. Ho un gran bisogno di riposo e di smaltire il jet lag. In meno di due settimane ho fatto andata e ritorno da un fuso orario all'altro e posso dire di essere altrettanto... fusa. Sospiro profondamente. Grazie alla doccia e alla calma di casa mia mi sto rilassando.

Non oso ancora pensare a ciò ch'è accaduto in quel castello, quando Elias mi ha rianimata. Non sono una sciocca, so bene cosa mi è successo, ma il solo pensiero di ammetterlo mi spaventa a morte. Non posso pensarci.

Abbasso la manopola, interrompendo così il flusso dell'acqua e mi volto per uscire dalla doccia. Afferro un ampio asciugamano, nel quale mi avvolgo prima di lasciare la stanza. Mi reco in soggiorno dove, accanto al mobile della televisione, ho approntato una scrivania completa di sedia. Mi serve per lavorare da casa col portatile. Mi avvicino al trolley nel quale ho riposto l'apparecchio e lo estraggo per poi posarlo sul tavolo. Da cinque giorni non controllo le mail, perciò decido di farlo ora, prima di andare a letto. Lancio il sistema operativo e il programma si avvia automaticamente non appena ha finito di caricare. Il suono della notifica di ricezione di mail mi accoglie leggero, dandomi un senso di conforto, di normalità. È ciò di cui ho bisogno dopo la brutta esperienza. Nonostante mi faccia paura pensarci troppo nel dettaglio, mi trovo a pensarci spesso. Persino Betsy se n'è accorta. Si è dimostrata preoccupata nel lasciarmi andare a casa da sola, ma l'ho convinta con la promessa di chiamarla l'indomani. Sposto lo sguardo sull'area in cui compaiono le mail.

Mittente: Dalton
Come stai?

Sorriso ebete, rimanendo a fissare la striscia con il nome per un po'. Mi sento invasa da una sensazione di felicità pura.
Emozionata, clicco sul nome, aprendo così la schermata di lettura.

È passato un po' di tempo da quando ci siamo visti e non so se ti ricordi di me, ma ho deciso di rischiare.

Rischiare. Per me. Nessuno lo aveva mai fatto finora. Nonostante il rischio comporti solo una figuraccia. Tuttavia il mio petto si riempie di emozione. Le mie dita volano sui tasti bassi e morbidi della tastiera.

Helen
Re: Come stai?

Assolutamente. Mi ricordo di te. Come non potrei? Abbiamo passato dei bei momenti, anche se alcuni sono stati terribili, come in quella cantina. Ma non per questo ti ho dimenticato, anzi. Credo di...

Lui ha corso un rischio per contattarmi e non so nemmeno come ha fatto a trovare la mia mail, ma non mi importa. Ne sono felice. Quindi è il mio turno di rischiare.

Continuo...
...aver lasciato una parte di me lì con te.

Invio il messaggio. Rimanendo in trepidante attesa di una risposta.

https://www.youtube.com/watch?v=IwWUOmk7wO0

Il campanello della notifica mi sveglia. Apro lentamente gli occhi e mi ritrovo a guardare il mobile della TV. Le braccia conserte sopra il mobile, ho la testa adagiata su di esse, voltata verso sinistra. Cerco si sollevarla e il mio collo irrigidito protesta. Emetto un gemito e allontano il busto dalla scrivania, appoggiandomi allo schienale della sedia. Sospiro, e inizio a farmi un massaggio alle spalle contratte. Quando percepisco la tensione alleggerirsi sbadiglio e rivolgo lo sguardo allo schermo, poso la mano sul mouse. Il chiarore che proviene dalle due finestre di fronte a me, mi induce ad alzare lo sguardo, il quale viene accolto da un cielo plumbeo. Corrugo la fronte. Che ora è? Sposto il puntatore sulla barra delle applicazioni e leggo l'ora. 06:30. Caspita. Ho dormito pochissimo. Sarà stata mezzanotte passata, se non l'una, quando sono crollata. A dire il vero non lo so; non ho controllato l'orario. Sbatto le palpebre per disfarmi della foschia da risveglio e assottiglio lo sguardo per scoprire chi mi ha scritto.

Dalton
Re: re: come stai?

Che ne dici di vederci? Magari per bere un caffè.

Sospiro e scuoto la testa. Uomini... sempre a fare i macho, cocciuti nel manifestare i propri sentimenti liberamente, quasi fosse una debolezza. Personalmente lo ritengo un punto di forza. Rischioso, certo, ma quale azzardo viene senza ricompense?


Helen
Re: re: re: Come stai?

Certo, ma credo ti tocchi un lungo viaggio, dato che tu sei in Kentucky e io vivo in Alabama. :)

Invio. Chissà perché non ho dubbi sulla sua immediata risposta.

Dalton
Re: re: re: re: Come stai?

Veramente sono all'Alabama Hotel, in Monticello Dr.

Rimango a bocca aperta con l'espressione da pesce lesso. Lui è in città.
Vengo presa dalla frenesia di raggiungerlo immediatamente, ma mi devo frenare. Se lui vuole andarci con i piedi di piombo farò lo stesso. Non ho intenzione di buttarmi in una relazione in cui lui si trattiene. Quando anche lui avrà mollato i freni, allora mi concederò senza riserve. Eppure in Kentucky non si è fatto grossi problemi. Vai a capirli, i maschi.

Helen
Re: re: re: re: re: Come stai?

Allora è molto più facile. Ti aspetto al North Star, in High St a Columbus, per le undici e mezza.

Sì, perché prima voglio fare un'altra bella doccia e provare a infilarmi a letto ancora per un po'.

Dalton
Re: re: re: re: re: re: Come stai?

Ci sarò.

La sua risposta mi fa ben sperare.


Il bar in cui ho dato appuntamento al cantante country è vicino a casa mia. È un caffè-barra-ristorante americano in cui vado spesso quando voglio gustare qualcosa di diverso dal solito caffè da asporto. Fanno un caffè alla menta fredda che secondo me è la fine del mondo; specialmente in estate. È un posto un po' troppo elegante per i miei gusti tipicamente rustici, ma di solito consumo seduta ai tavolini esterni, quindi non mi importa granché. Rispetto a stamani, il cielo si è rischiarato, lasciando il posto a uno splendido blu limpido. Il sole splende sereno e, nonostante il suo bruciore sulla pelle, all'ombra si sta una favola.

Quando arrivo, abbigliata in un paio di jeans strappati in voga oggi e una t-shirt dei Lynyrd Skynyrd, adocchio brevemente la facciata del locale; l'edificio è in mattoni rossi, l'entrata incorniciata da un rivestimento composto da assi di legno. In alto sopra l'ingresso di vetrate torreggia l'insegna gialla in caratteri che simulano la scrittura.

Sweet home Alabama
Where the skies are so blue
Sweet home Alabama
Lord, I'm coming home to you


Sposto lo sguardo sui tavolini esterni e riconosco la sagoma familiare di Dalton. Fremo e mi lascio andare a un ampio sorriso accattivante. Colmo la distanza che ci separa salendo gli scalini e svoltando a sinistra. Mentre mi avvicino con passo spedito e deciso, vedo il cantante alzarsi dalla sedia per accogliermi. Ha l'andatura rigida ma ciò non mi distoglie dal mio proposito. Mi avvicino velocemente a lui e mi alzo sulle punte dei piedi per avvolgere le braccia attorno al suo collo e ricompensarlo con un bacio torbido. Percepisco la sua sorpresa iniziale, ma subito dopo lo percepisco sciogliersi da ogni remora. Le sue braccia mi avvolgono in un abbraccio caldo e confortante e la sua bocca conquista la mia con passione. Il sollievo mi invade, oltre al fremito di passione suscitato dal suo bacio. Credevo ci fosse qualcosa di sbagliato tra noi. Lieta di essermi sbagliata.

Mi distacco solo nel momento in cui rimango senza fiato e gli rivolgo un sorriso languido. Scommetto di avere gli occhi lucidi e lo sguardo adorante. Non importa. Fa parte del rischio.

“Come stai, bellezza?” Ah, la sua voce... solo ora mi rendo conto di quanto avevo bisogno di sentirla.

“Ora benissimo.” Mi sta ancora tenendo tra le braccia e non mi spiace affatto. Una confessione mi sale alle labbra, ma decido di riservarla per un secondo momento. È troppo presto e non sono sicura dei suoi sentimenti nei miei confronti. Devo sapere se mi ha contattato con la sicurezza di trovare una donna pronta per lui al porto o se sono l'unica a cui si sarebbe rivolto indipendentemente dalle circostanze.

“Per quel caffè...?” sorrido furba. Odio rovinare il momento, ma devo fargli capire in qualche modo che ho bisogno di una dimostrazione chiara.

“Certo.” Le sue braccia lasciano la presa, ma nel suo tono percepisco una vaga delusione; il cuore mi si stringe. Scivolo via dal suo abbraccio e mi accomodo nel posto di fronte a lui. Un cameriere esce dal locale e raccoglie i nostri ordini, per poi tornare all'interno.

“Allora, che ci fai da queste parti?” Accavallo le gambe e passo un braccio dietro lo schienale della mia sedia.

“Sono in tour con la band.” Lo vedo squadrarmi. Fa un cenno col capo rivolto alla mia maglietta. “Ti piace il country rock?”

“Secondo te?” gli ammicco con un sorriso sghembo. Lo vedo unire le mani e appoggiare i gomiti sul tavolo per sporgersi verso di me.

“Secondo me ti piaccio molto anch'io.” Sento un tuffo al cuore. Dalton mi guarda dritto negli occhi e io faccio una fatica tremenda a mantenermi distaccata... ma devo farlo.

“Cosa te lo fa pensare?” ribatto senza perdere la mia espressione sorniona. Per ora è la mia migliore difesa. Lui allunga una mano e inizia a giocare con le dita della mia posata sul tavolo a tamburellare rilassata.

Train roll on, on down the line,
Won't you please take me far away?

Sospiro languidamente e abbasso la testa sulle nostre falangi. Mi azzardo a rispondere la tocco. “Dalton...” Mi fa venire voglia di mettere le carte in tavola. Tuttavia non so se sia la cosa migliore.

“Lo so.” Lui cerca il mio sguardo e lo trova.

Now I feel the wind blow outside my door,
Means I'm, I'm leaving my woman at home.

“Che cosa sai?” mormoro. Voglio metterlo alla prova.

“Credi non sappia cosa pensano le donne di me? Questo è un cantante, gira per gli Stati Uniti, e avrà una donna in ogni porto. Il che era vero e mi stava pure bene; fino a qualche mese fa.” Ricambio il suo sguardo e sprimaccio le labbra tra di loro. Quindi la mia ipotesi non era del tutto errata.

“Cos'è successo?” Mantenendo una faccia neutra, supplicai mentalmente che non pronunciasse quelle parole. Infatti non lo fa, si limita semplicemente a sfoderare quel suo splendido sorriso. Mi trovo a tirare di nuovo il fiato, scuotendo piano la testa. Per fortuna il cameriere ci interrompe portando il mio caffè alla menta fredda e il suo single origin.

Tuesday's gone with the wind.
My baby's gone with the wind again.

Ho una paura tremenda. Se intende dire quello che penso, ovvero di aver rinunciato alle altre per me, non posso permetterlo. Come ha appunto detto lui stesso, è un uomo che gira l'America. Questo ci porterebbe a stare lontani per mesi. Ho il mio lavoro e non ho intenzione di rinunciarci per seguirlo; nemmeno se questo comporterebbe perderlo. Sì, farebbe male, ma lasciare la mia “caccia” agli spiriti sarebbe peggio. Sentirei di aver perso la mia identità. Le nostre dita si intrecciano sul tavolo mentre sorseggiamo le bevande in silenzio, e finalmente so cosa dire.

“Facciamo un passo alla volta. Va bene?” Evito di spostare lo sguardo dalle nostre mani al suo volto; non mi sento abbastanza forte in questo momento.

“Certo, bambolina.” Abbozzo un sorriso e faccio di nuovo un segno di diniego con il capo. Infine alzo lo sguardo.

“Quanto tempo resti?” E se lui fosse sufficientemente empatico, prenderebbe questa mia domanda come una confessione. Tuttavia non lo conosco così bene.

“Una settimana.” I nostri sguardi si immergono gli uni negli altri e mi sento perdere... Mi tornano in mente i momenti trascorsi insieme tra le lenzuola, ma stavolta sarà diverso. Quello era sesso, sola passione. Qui stiamo parlando di qualcosa di più. Non devo cedere così presto. Se vuole fare sul serio, me lo dimostri. “Domani sera sei libera?” Col cuore in gola e il respiro affaticato, deglutisco in modo che lui non se ne accorga. Almeno spero che non lo faccia.

“Certo.” Porto con nonchalance il mio bicchiere alle labbra, abbassando gli occhi con apparente tranquillità. Entro il weekend devo consegnare il pezzo sul castello di Glamis, ma ho tutto il pomeriggio e altri quattro giorni per finirlo. Il materiale è già tutto pronto nella mia testa, devo solo scriverlo. “Hai in mente qualcosa?” I suoi occhi si fanno furbi.

But I'm not home
I'm not lost
Still holding on to what I got
Ain't much left
Though there's so much that's been stolen

“Fatti trovare pronta alle otto,” dice solamente con un sorriso storto e riprende a bere il suo caffè con gusto. “È davvero buono,” dice alzando il bicchiere con un gesto. “Ottima scelta, piccola.” La sua sfacciataggine è incredibile. Gli sorrido, ma mi domando come faccia a sembrare così rilassato, quando dentro di me c'è una tempesta di sabbia. Mi sembra di stare giocando a poker. E non sono sicura di essere così brava a bluffare.

Guess I've lost everything I've had
But I'm not dead, at least not yet
Still alone, still alive, still unbroken
I'm still alone, still alive, I'm still unbroken

“A proposito...” Lo vedo infilare una mano destro la schiena e far comparire un cartoncino rettangolare molto lungo.

“Cos'è?” mi sporgo incuriosita. Lui me lo porge e io lo rigiro tra le mani, dopo aver posato il mio bicchiere quasi vuoto.

“Il biglietto per il nostro concerto. Prima fila.” Abbozzo un sorriso e gli lancio un'occhiata.

“Chi ti dice che ho voglia di venirci?”

“Suvvia, sappiamo entrambi che adori sentirmi cantare.” Si stravacca sulla sedia con gli avambracci posati sui poggioli e io ridacchio. Non posso dargli torto, perché è così. Leggo la data.

“Sabato,” annuisco. “E va bene.” Tengo il biglietto stretto in una mano e finisco il mio caffè, guardando lui con decisione.


 

Nel soggiorno di casa mia, mezz'ora più tardi, ascolto la band a cui è dedicata la mia maglietta per ispirarmi a scrivere l'articolo; una sorta di meditazione atta alla concentrazione. Mi lascio trasportare dall'arpeggio iniziale della chitarra, e presto le corde della mia anima iniziano a vibrare con la musica.

He's the last rebel on the road...

'Cause he's the last rebel
And he's all alone, He's the last rebel
His friends are all gone
He's the last rebel, the last rebel on the road

Non riesco a concentrarmi. Penso solo a Dalton. Anzi, questo brano sembra parlare di lui. Dannazione, non mi ci voleva. Mi volto su un fianco. Ci rimango per una manciata di secondi, poi mi alzo nervosa e vado a sedermi davanti al portatile. Devo buttare giù qualche cosa, anche se mi manca l'ispirazione. Mentre il computer si avvia, penso, lo sguardo che sfiora la tastiera senza vederla. So qual è l'unico modo per levarmelo dalla testa; ma richiede l'unica cosa che non voglio fare. Non ancora. Prendo il cellulare e mando un messaggio al redattore.

Ehi, capo. Ho qualche difficoltà a riprendermi dal jet lag. Mi daresti una proroga per l'articolo sul Glamis?

Vado in camera e... alla vista del talamo mi blocco. La mia fantasia corre avanti a me e mi rimanda l'immagine di Dalton e me stretti tra quelle lenzuola. Sono per caso impazzita?! Emetto un verso di frustrazione e mi volto per lasciarmi cadere scompostamente sul materasso. Dio, quanto vorrei che fosse qui... Mi rannicchio in posizione fetale e lì rimango fino alla notifica di ricezione di un messaggio.

Certo. Ti sembra il caso di farti vedere da un medico?

Rispondo.

No, no. Ho solo bisogno di riposo.

Mezzo minuto dopo...

Okay, allora. Hai fino a domenica prossima. Poi lo voglio sulla mia scrivania.

È stata una fortuna trovare un redattore che raramente fa lo stronzo.

Grazie, capo.

Figurati. Rimettiti presto.

Sarà anche dovuto al fatto che tra noi c'è un rapporto di amicizia. Ciò non toglie che resti il mio superiore e entro domenica prossima devo aver scritto l'articolo. Però, finché non avrò risolto questa cosa con Dalton, sono sicura di non riuscire a scrivere.

Ehi.

Stavolta è Betsy a scrivermi. Guardo lo schermo del cellulare per un momento, sorpresa. Non mi aspettavo un messaggio da lei.

Ciao Betsy. Tutto bene?

Sì. Tu? Il capo mi ha chiesto un articolo in sostituzione del tuo.

Accidenti. Avrebbe potuto chiederlo a qualcun altro. La mia collega ha fatto subito due più due.

Diciamo... Ho qualche grattacapo, rispondo digitando sullo schermo.

Posso aiutarti?

Rimango a riflettere per un po'. Ci conosciamo appena lei e io, eppure dopo l'avventura condivisa in Scozia ho la sensazione di potermi fidare. Il mio senso senso sbaglia di rado, purtroppo o per fortuna, a seconda dei casi.

È un po' complicato parlarne via messaggi...

Vengo da te.

Guardando il suo ultimo messaggio, non posso fare a meno di domandarmi come mai Betsy sia così premurosa con me. Mi pareva di non piacerle.


 

Quello stesso pomeriggio ho preparato degli stuzzichini salati per la mia ospite. Mi sembrava un po' triste accoglierla col nulla, così ho dato fondo alla mia dispensa. Patatine, salatini e un paio di birre in frigo da consumare fredde. Sono sicura apprezzerà. Sto raccogliendo le briciole dal tavolino per gettarle, quando suona il campanello. Getto i bruscoli nel lavabo della cucina e corro ad aprire.

“Ciao Betsy, accomodati pure.” Mi faccio da parte con un sorriso. Mentre lei mi saluta entrando, noto che indossa una semplice t-shirt bianca di due taglie più grande e un paio di jeans stile seconda pelle. Pensavo di essere io quella acqua e sapone. Forse qualcosa in comune ce l'abbiamo, dopotutto. “Ho pensato che uno stuzzichino ti avrebbe fatto piacere.” Le indico dove può poggiare la borsa, ovvero il mobile dietro al divano, quindi la precedo. Siedo sui cuscini e alzo lo sguardo su di lei, incuriosita. Esito ancora un po' prima di dire qualcosa, giocherellando imbarazzata con le mie unghie.

“Lo so.” Lancio uno sguardo sottecchi alla collega, e incontro il suo. Mi guarda dritto negli occhi. Non l'ha mai fatto così apertamente. “So che effetto faccio alla gente.” Annuisco.

“Non c'è problema,” faccio un cenno di noncuranza con una mano. Poi la allungo e catturo un fiocco di patatine tra le dita. Comincio a rosicchiarlo.

“No, invece.” La sua voce ferma torna ad attirare la mia attenzione. I suoi occhi stanno fissando il mio tavolino come se non lo vedessero. “Ti ho trattata come un'estranea e ora mi sento in colpa. Avrei dovuto aiutarti in Scozia, invece mi sono limitata a seguirti.” Sfarfallo le ciglia con aria perplessa.

“Ma che stai dicendo?” La osservo mentre mi accomodo meglio sul sofa, flettendo una gamba per sedermi sul polpaccio. Mi appoggio allo schienale con una spalla e inclino leggermente la testa da una parte. “Tu mi hai dato una mano. Sei stata con me tutto il tempo e...”

“Non ti ho protetto!” Sgrano gli occhi quando sbotta in quel modo.

“Di cosa stai parlando?” Mi sporgo verso di lei e cerco di prenderle una mano, tentando di capire a cosa si riferisca. “Non mi sembrava di aver ingaggiato una guardia del corpo,” ironizzo con un mezzo sorriso. Lei si alza evitando il mio tocco, al che io mi ritiro. Il suo gesto mi ha infastidita; mi sento come se rifiutasse la mia compassione e ciò mi irrita. Perché non mi permette di esprimermi? La scruto senza nascondere il mio stato d'animo.

“Non mi piace che mi si tocchi.” Sta in piedi, accanto al tavolino. Ora è lei a tormentarsi le unghie.

“Non lo farò.” Metto da parte il mio orgoglio e scuoto la testa. “Promesso.” Le mostro indice e medio incrociati. Lei sembra sollevata, le sue spalle non sono più tese. Torna a sedersi. Aspetto che sia di nuovo a suo agio, sebbene Betsy appaia sempre sul chi va là. La vedo esitare, allungare la mano per prendere un salatino e infilarselo in bocca. Lo scrocchiare del cibo nella sua bocca è l'unico rumore nella stanza.

“Quando sono stata posseduta...” gesticola, tenendo lo sguardo sulla ciotola dei salatini. Posso percepire le sue rotelle girare dietro a quegli occhi. “Quando mi sono ripresa, tu eri a terra; e non respiravi.” Mi guarda. Sbatto le palpebre un paio di volte. Dove vuole arrivare? “Ho visto il curatore in ginocchio accanto a te mentre cercava di rianimarti.” Annuisco. Questo spiega il brusco risveglio. Scuoto il capo rassegnata.

“Mi spiace; ancora non capisco dove vuoi arrivare.”

“Helen, lui ti stava rianimando,” esclama dando maggiore enfasi alle parole. “Il cuore ti si era fermato.”

“Ah...” Quel tipo di rianimazione... Distolgo lo sguardo iniziando a sentire uno strano disagio crescermi nel petto. Mi ritrovo a stringere la maglietta a quel altezza. Dimeno piano la chioma. “No... Non potevo essere morta.” La guardo. “Il mio cervello lavorava ancora, ho fatto un sogno!” La mia veemenza stupisce anche me. Mi rilasso e indietreggio con il busto, essendomi allungata verso Betsy. Non riesco a guardarla.

“Non so cosa dire,” comincia lei, ma le afferro saldamente un polso, attirando il suo sguardo nel mio.

“Qualsiasi cosa sia successa, non è colpa tua. Hai capito.” Dalla sua espressione capisco di averla colta di sorpresa. La vedo fare un lieve cenno positivo con il capo.

“A proposito... ch'è successo?” Scuoto la testa.

“Dio solo lo sa...”

“Quando torni a lavoro?” Un tuffo al cuore, che inizia a battere per conto suo. Diamine.

“Devo... sistemare alcune cose...” Rimango sul vago. Non mi sento sufficientemente in confidenza con lei per dirle quello che succede nella mia vita. Invece, quando Betsy se ne va, chiamo Jimmy.

Jimmy, alias James Wingfield, è il mio migliore amico da quando avevamo dieci anni. Siamo cresciuti insieme, abbiamo frequentato le stesse scuole, almeno finché lui non è partito per laurearsi. Abbiamo condiviso di tutto ed è quanto di più vicino a un fratello per me. Devo attendere solo uno squillo prima di udire lo scatto della risposta.

“Ciao Besen.” Sorrido. Era un po' che non sentivo quel nomignolo. Quando avevo quindici anni mi prestavo a fare la babysitter ai bimbi del vicinato. Una sera ero a casa mia con il figlio di un anno dei vicini, i Gromley. Insieme ai miei genitori erano andati a una festa country “per vecchi”, così rimasi a casa a fare la balia. Alle nove il bambino dormiva già e alla televisione davano uno di quei film dell'orrore che adoravo. Così mandai un messaggio a Jimmy e lo invitai a vederlo insieme. I miei lo conoscevano, ma se avessero saputo che eravamo in casa da soli, mi avrebbero fatto passare un supplizio. Il piccolo dormiva tranquillo, raggomitolato sulla poltrona, quando nel sonno disse il mio nome. Come sempre, lo storpiò dicendo “Besen”, invece di “Helen”. Da allora è diventato il mio soprannome. Jimmy mi chiama sempre così.

Gli raccontai delle mie ultime avventure, tralasciando il fatto che ero quasi morta. Per qualche motivo mi sentivo ancora a disagio con quell'idea. Era il caso di abituarmici prima di dirlo a qualcuno, specialmente a Jimmy. Si sarebbe di certo alterato e nel mio stato non ero sicura di poterlo affrontare nel modo giusto. Spiegai la situazione tra me e Dalton. Dopo un lungo silenzio, udii un sospiro dall'altra parte della cornetta.

“È una situazione complicata. Lo ammetto. Ma hai fatto bene a parlarmene, come hai agito nel modo migliore con lui. Non è facile rimanere lucidi in certi momenti, ma tu te la sei cavata alla grande.” Sbuffo.

“A volte penso che se non fosse per il mio senso di sopravvivenza non sarei qui a quest'ora.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo.” Il suo tono pungente mi riscuote. Ho detto quella frase con ironia, senza nemmeno pensarci troppo. Forse è questo il problema.

“Tranquillo, non intendevo sul serio. Era una battuta.” Non so come, percepisco il sollievo di Jimmy.

“Sei una tosta. Non è facile romperti.”

“Mi piego, ma non mi spezzo. Giusto?”

“Giusto.” Una pausa colma di silenzio. “Non farti troppe illusioni. Prendi questa storia come viene.” Non poteva darmi consiglio migliore.


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