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Autore: FiammaBlu    30/08/2016    6 recensioni
Questa breve FF inizia nel momento in cui, nel volume 49, Masumi si allontana in auto con i documenti dell'anagrafe per abbandonare il nome di suo padre adagiati sul sedile della sua auto. Il suo errare, pieno di dubbi, lo porterà molto lontano...
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Masumi Hayami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima parte

 

Aveva guidato per ore, senza rendersi conto del passare del tempo, finché la strada era terminata davanti a lui. Seguire la linea bianca di mezzeria era stato ipnotico e gli aveva permesso di placare il suo animo, tormentato e disgustato dalla piega che aveva preso la sua vita. Espirò il fiato che aveva trattenuto in quell’ultimo minuto, aprì lo sportello e scese dalla macchina.

Il vento fresco scosse il tessuto della camicia bianca che indossava e passò tra i suoi capelli, facendolo rabbrividire. Indossò l’impermeabile che aveva buttato sul sedile posteriore, infilò le mani in tasca e mosse qualche passo che lo portò sul bordo della scogliera. L’oceano Pacifico ringhiava e ruggiva, infrangendosi contro gli scogli appuntiti, ma essi, immobili e insensibili, stavano lì da millenni, impedendo al mare di andare oltre. Proprio come aveva fatto lui con suo padre.

Questa volta però lo aveva aggredito come mai prima di quel momento. Era stato il suo punto di non ritorno, lo sapeva. Aveva affrontato molti altri vuoti nella sua vita, ma nessuno era paragonabile a quello. Non aveva alcuna intenzione di sposare Shiori e, anche se parte del problema generato proveniva dalle sue stesse azioni, non avrebbe più proseguito su quella strada. Si sarebbe preso cura di lei finché si fosse ristabilita, ma niente matrimonio. Suo padre si ostinava in quell’assurda unione, senza comprendere, anche in questo caso, i suoi sentimenti. Non tanto quelli che provava per Maya di cui non poteva essere a conoscenza, quanto proprio i suoi desideri. Gli aveva imposto di farlo e lui aveva acconsentito sicuro che il suo amore non sarebbe mai stato ricambiato, per scoprire, qualche tempo dopo, i reali sentimenti della ragazza che aveva seguito e amato negli ultimi sette anni e che credeva irraggiungibile.

Si portò le mani fra i capelli al ricordo di quell’abbraccio stretto sul ponte della nave che, con tutta probabilità, era passata anche davanti a quel promontorio. Quell’attimo non sarebbe mai svanito dalla sua memoria e l’aveva tormentato ogni secondo da quel momento, divenendo la causa della sua attuale posizione. Rinunciando al cognome di suo padre, l’interesse della famiglia Takamiya sarebbe decaduto all’istante e così il fidanzamento sarebbe stato sciolto. Questo non lo esimeva dalle sue responsabilità, che si sarebbe assunto parlando direttamente con il nonno di Shiori, ma lo sollevava almeno da quel legame angosciante. Inoltre gli avrebbe permesso di scusarsi con Maya.

I suoi pensieri volarono nuovamente a quella ragazza che con la sua esuberanza e voglia di vivere aveva scaldato il suo cuore freddo facendolo tornare a vivere. Era stato un processo semplice, a dispetto di quanto fosse complicata la sua vita: l’aveva vista, ne era rimasto colpito e, da allora, come una goccia su una pietra, lei aveva scavato a fondo nella sua anima, entrandovi dolcemente finché, con le parole della Dea Scarlatta, gli si era dichiarata senza alcuna paura, stupendolo e cambiando drasticamente il corso della sua vita.

Fin da quando ti ho vista per la prima volta, io sapevo in fondo al cuore che tu saresti stata la mia rinascita, Maya. Anche se non volevo ammetterlo, anche se mi sono trincerato dietro scuse di ogni tipo, le mie rose erano quel segreto che non volevo rivelare neanche a me stesso… Esse sono la costante testimonianza dei miei sentimenti che ora ho accettato appieno e che non intendo più soffocare. Come ogni volta, per te è stato semplice confidarti, i tuoi occhi, le tue labbra che recitavano i versi che, ora lo so, provenivano da te e non dal dramma, la tua mano che mi ha accarezzato spontaneamente e senza timore, tutte azioni che mi hanno sconvolto e l’unica cosa che ho saputo fare è stato abbracciarti con una nuova consapevolezza.

Un gabbiano garrì facendolo sussultare, volò rasente alla scogliera e si diresse in mare aperto con le ampie ali dispiegate. Masumi sapeva che la decisione di abbandonare il cognome di suo padre era drastica, ma lui non avrebbe capito nessun’altra spiegazione. Non gli interessava l’eredità degli Hayami né diventare l’amministratore delegato del gruppo Takatsu. Lui voleva solo smettere di indossare quella pesante maschera che diveniva ogni giorno più insopportabile. Hijiri aveva ragione: avrebbe dovuto incontrare Maya e spiegarle ogni cosa, scusarsi e sperare che lei comprendesse la sua posizione. Credere che quell’abbraccio sul ponte avesse lenito ogni ferita e chiarito i loro sentimenti, era un desiderio infantile e lui non aveva alcuna intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità neanche con Maya.

Aveva rimuginato così a lungo sul motivo per cui lei lo amasse da farsi venire il mal di testa. Niente aveva senso: lui l’aveva sempre maltrattata e pungolata, aveva vessato la signora Tsukikage, fatto chiudere la compagnia, era stato la causa della morte di sua madre e quando si stava arrendendo lui non l’aveva lasciata in pace finché aveva ripreso a recitare. Eppure non c’erano dubbi, le sue braccia intorno al suo corpo, le sue parole, quell’implorazione ad aspettarla.

Chiuse gli occhi e lasciò che il vento trascinasse via le lacrime liberatorie che presero a scendere senza sosta. Derivavano dalla gioia, dalla meraviglia della scoperta che quell’amore avrebbe potuto avere un futuro, dalla rabbia, dal senso di impotenza che l’aveva tormentato fino a quel momento, dalla frustrazione. Erano sgorgate spontanee, non aveva avuto bisogno di mettere la sua maschera, era solo su quello scoglio, non c’era nessuno e poteva essere se stesso fino in fondo. Strisciò i palmi sulle guance arrossate e si accorse che erano calde e venivano raffreddate immediatamente dal vento. Il suo cuore era spaccato fra i sentimenti che provava e le azioni che aveva compiuto. Non riusciva a trovare un modo per perdonarsi, come se qualcuno, dall’esterno, decidesse della sua vita e lo obbligasse ad agire in un modo che non gli apparteneva. C’era una forza immane contro cui lottava, un’intera cultura vecchia di millenni, un padre severo ed esigente, ma sentiva anche qualcos’altro, un’energia fredda e determinata, che spingeva le loro vite in una certa direzione senza che loro potessero in alcun modo veicolarle.

Maya, come puoi amare un uomo come me? Cosa ho mai io da offriti se non sofferenza e un rancore per le mie azioni che non potrai mai dimenticare? Quando ci incontreremo e scoprirai che sono il tuo ammiratore, io risponderò ad ogni tua domanda, non mi tirerò indietro, non ti mentirò!

Si asciugò le ultime lacrime, strinse l’impermeabile intorno al corpo, risalì in auto e fissò per un attimo i documenti sul sedile anteriore. La prima cosa da fare era parlare con il nonno di Shiori. Riaccese l’auto, fece retromarcia fino a trovare l’asfalto e tornò verso Tokyo con il cuore più leggero.

Il traffico in autostrada era intenso e sarebbe arrivato a sera inoltrata, ma non gli interessava: l’Imperatore Takamiya avrebbe ascoltato ciò che aveva da dire. Inoltre, come aveva promesso a suo padre, non aveva alcuna intenzione di tornare a casa e avrebbe preso una stanza in un albergo qualsiasi, meglio se lontano dalle zone che frequentava abitualmente e dove avrebbe potuto incontrare Maya. Non era il momento di vederla, la sua casa a Izu sarebbe stata perfetta e lui pronto ad affrontarla. Il ricordo corse all’istante alla sua risposta quando l’aveva invitata a trascorrere del tempo in sua compagnia in quel rifugio. Ancora non riusciva a capacitarsi di come potesse essergli uscita quella richiesta, forse il suo cuore aveva parlato prima della sua mente tale era il desiderio di passare del tempo con lei dopo aver scoperto i suoi sentimenti. Eppure lei aveva acconsentito a stare da sola con lui. Non poteva esserle sfuggito il particolare, quindi lei sapeva a cosa probabilmente sarebbe andata incontro…

Eppure ha detto di sì...

Sentì il calore scaldargli le guance dopo il vento freddo del mare, strinse con forza il volante respingendo le immagini che gli inondarono la mente. Spinse sull’acceleratore riportando i suoi pensieri sulla sua prossima azione, certo che la sua decisione si sarebbe rivelata giusta. Nonostante ciò, un brivido freddo gli fece accapponare la pelle in contrasto con i pensieri suscitati dal ricordo di Maya.

 

Quando entrò in città, era già calata la sera. Imboccò l’uscita giusta e si diresse alla villa dei Takamiya. Avvertiva una strana sensazione alla base del collo, un avvertimento silenzioso che lo costrinse involontariamente a serrare la mascella. Era fermo ad un semaforo, si guardò intorno e la sgradevole percezione aumentò. C’erano altre macchine in coda, gente sui marciapiede, i negozi in chiusura, un gruppo di ragazzi davanti ad un fast food. Apparentemente era tutto come avrebbe dovuto essere, ma il presentimento che lo pervadeva non accennava a diminuire. Avrebbe potuto chiamare Hijiri e chiedergli informazioni su Maya. Tirò fuori il cellulare e osservò perplesso l’assenza di linea.

Qualcuno strombazzò quando lui non partì al semaforo verde, gettò il cellulare sul sedile sopra i fogli dell’anagrafe, innestò la marcia e partì, fermandosi qualche metro dopo in un parcheggio a lato del marciapiede affollato. Riprese in mano il telefono, che indicava ancora l’impossibilità di chiamare, lo spense e lo riaccese, ma la situazione non cambiò. Non era mai accaduta una cosa simile. L’inquietante sensazione aumentò a dismisura, tanto da fargli abbandonare l’idea di incontrare il nonno di Shiori quella sera, rimandando all’indomani, e di correre da Maya.

Una donna gridò, lui girò di scatto la testa e la vide. Tolse le dita dalla chiave di accensione dell’auto e scese, attirato come una calamita. Non fece caso alla gente intorno a sé, non badò alla spinta che ricevette, né si curò della frase scortese ringhiata dall’uomo, mantenne lo sguardo su quel cartellone pubblicitario appeso fuori da un hotel. Era Maya, bellissima negli abiti di Ardis e dietro di lei, Ayumi Himekawa, che aveva interpretato Oligerd. Si fermò davanti alla stampa, ma aggrottò la fronte leggendo lo slogan sottostante. Non aveva alcun senso e chi l’aveva redatto non capiva nulla di pubblicità. Doveva esserci un evento nell’attico di quell’albergo, ma non gli sembrava autorizzato dall’Associazione Nazionale per lo Spettacolo.

- Buonasera - una voce gentile si rivolse a lui e Masumi si voltò lentamente, faticando a staccare gli occhi dal volto sorridente di Maya.

- Buonasera - ripose individuando il portiere in livrea. Era un uomo anziano, ma si capiva ad un primo sguardo l’esperienza maturata in decenni di duro lavoro, serio e professionale.

- Desidera assistere? L’evento è aperto al pubblico - lo invitò con un sorriso gentile.

Masumi lo fissò, poi annuì, mosso da un terribile e ingiustificato presentimento. Il portiere lo accompagnò nell’atrio aprendogli la porta del lussuoso hotel. All’interno, un lungo tappeto rosso portava ad una scalinata. Sulla sinistra c’era la reception, le cui signorine gli sorrisero gentilmente facendo un lieve inchino, e la postazione del Consierge, in quel momento vuota.

- È la prima volta che partecipa ad un evento del genere? - gli chiese il portiere mentre attendevano davanti alle porte lucide di un ascensore.

- No - rispose brevemente lui. Non aveva intenzione di farsi riconoscere: se era un evento non autorizzato, avrebbe semplicemente avvisato l’Associazione Nazionale e loro si sarebbero occupati di tutto.

- È un giornalista? - indagò ancora l’uomo e Masumi colse la palla al balzo.

- Sì - annuì cercando di usare un tono che non insospettisse il curioso attendente. Le porte si aprirono e all’interno un altro valletto attendeva impettito nella sua livrea rossa e bianca.

- Allora avrà di che scrivere! Era tempo che la sensei non si faceva vedere! - aggiunse il portiere con un ampio sorriso - Accompagna il signore all’attico - aggiunse poi rivolto al valletto e tornando serio.

Masumi entrò nell’ascensore e annuì.

- La ringrazio, farò del mio meglio -

Le porte si chiusero sottraendolo alle attenzioni dell’anziano uomo e si trovò a tirare un sospiro di sollievo. La signora Tsukikage è qui? Com’è possibile che abbia accettato di partecipare ad un evento del genere? Credevo fosse impegnata con lo spettacolo dimostrativo…

Il viaggio fu breve e non gli diede tempo per altre riflessioni. Il valletto rimase impettito e in silenzio tutto il tempo e quando le porte si aprirono si esibì in un inchino perfetto continuando a guardare fisso davanti a sé. Masumi si addentrò nell’ampio ingresso pieno di gente. Sulla destra c’era un tavolino con due signorine che distribuivano dei gadget probabilmente relativi all’evento, il pavimento era coperto da una elegante moquette rossa e le pareti, che formavano un semicerchio che convergeva verso una doppia porta spalancata, erano tappezzate di poster di Maya nelle sue rappresentazioni. Ogni sguardo era diretto all’interno della sala gremita. Erano state previste delle sedie, ma la quantità di gente che si era presentata era stata molto superiore delle aspettative. Sulla destra, oltre il tavolino con i gadget, c’era un gruppo di ragazzine eccitate per qualcosa, una addirittura piangeva mentre un’altra indossava l’abito che Maya aveva usato quando aveva rappresentato Satoko.

Masumi le osservò perplesso, avanzò di qualche passo, ignorato dalla gente intorno, e raggiunse il centro delle due doppie porte. Non voleva entrare né farsi riconoscere, ma era curioso di sapere chi aveva organizzato quell’evento. L’associazione Nazionale aveva allontanato tutte le compagnie teatrali e i produttori per essere libera di realizzare la messa in scena dell’autentica “Dea Scarlatta”, quindi non riusciva a comprendere come potesse esserci qualcuno disposto a irritare il Presidente Yamagishi.

L’ampia sala era stipata di persone, in cima c’erano alcuni giornalisti seduti sulle prime sedie e dei fotografi avevano installato le loro macchine ai piedi del palco rialzato che ospitava il tavolo con gli intrattenitori. Non riconobbe alcun giornalista e questo fece riemergere quella terribile e inspiegabile sensazione. Lasciò vagare lo sguardo intorno finché i suoi occhi si posarono su un tavolo ovale coperto da una splendente tovaglia bianca. Deglutì, sentendo il suo cuore contrarsi per la paura e un brivido gelato attraversargli la schiena.

Un enorme mazzo di rose scarlatte faceva bella mostra di sé in un elegante vaso, bianco anch’esso.

Com’è possibile?

Lentamente tornò a guardare la sala, nessuno si curava di lui, tutti erano in attesa della sensei. I sussurri lievi intorno, il sangue che gli ribolliva nelle vene, la confusione che aveva in testa, gli resero impossibile ascoltare lo speaker, ma l’applauso che scaturì dopo le sue parole gli indicò che la signora Tsukikage sarebbe entrata presto. Il tendaggio rosso alle spalle del tavolo sul palco si separò appena ed effettivamente una donna comparve nel tripudio generale, ma non era la signora Tsukikage. Aveva capelli neri alle spalle, indossava un abito nero e lungo, ma non era lei. Un’impostora? Non posso crederci…

La folla la acclamava e la donna si sedette con garbo al tavolo, rivolgendo sorrisi e inchini a tutti. Una ragazza accanto a lui, vestita in modo eccentrico, applaudiva con vigore tenendo un albetto colorato sottobraccio e, curioso di sapere chi fosse la donna sul palco, attirò la sua attenzione.

- Mi scusi - la chiamò avvicinandosi a lei - Mi sa dire chi è quella persona? -

La ragazza, che rideva felice, smise di applaudire, si voltò verso di lui e la sua espressione cambiò. Dilatò gli occhi, le sue guance persero tutto il colore diventando esangui, s’irrigidì e fece un passo indietro, stringendo al petto il libretto che era tornato freneticamente nelle sue mani come se avesse un valore inestimabile.

Masumi sollevò un sopracciglio perplesso a quella reazione. La ragazza lo fissava con espressione sbalordita. Forse mi ha riconosciuto…

Rimase immobile, in attesa di una risposta. Vide la giovane deglutire, ma non perse quella posizione arretrata e rigida, poi finalmente parlò.

- S-Suzue Miuchi - balbettò con tono appena udibile stringendo con forza l’albo colorato fra le mani.

 
   
 
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