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Autore: Roscoe24    31/08/2016    1 recensioni
Dean ha i suoi demoni, lei lo sa.
Amarlo, dopotutto, significa amare anche le presenze oscure che vivono in lui.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Salve a tutti! Prima di tutto grazie per aver aperto la storia! Vorrei dire qualcosa prima di lasciarvi alla lettura: innanzitutto, di solito scrivo le note alla fine, ma siccome questa storia è legata ad una mia storia precedente, se non riuscite ad avere un quadro chiaro della situazione potete trovare la precedente qui => http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3429526&i=1 Ma penso che questa piccola fic si possa leggere anche indipendentemente da quella sopracitata, a voi comunque la scelta! :D
In questa storia è menzionata anche la storia tra Sam e Amelia, volutamente modificata, perché quella originale, nonostante mi sia sforzata, non riesco proprio a farmela piacere. Sam che non si mette a cercare Dean per stare con lei non mi è mai molto andato a genio, avrei preferito più una cosa mista, nel senso.. Sam avrebbe potuto benissimo continuare a cacciare e cercare Dean pur stando con Amelia… cercare di far convivere le due cose, insomma.. non so, idee mie!
Ho divagato anche troppo! Spero che troviate la storia di vostro gradimento! Buona lettura (spero!) <3


                                                                                                                                             
                                                                                                                                                                                                   I’ve turned into a monster
                                                                                                                                                                       and it keeps getting stronger


Dean ha i suoi demoni, lei lo sa.
Amarlo, dopotutto, significa amare anche le presenze oscure che vivono in lui.
Non si può dire con esattezza quanti ne vivano nella sua anima, quello che Natalie sa è che hanno iniziato a divorargli il cuore quando Dean aveva quattro anni.
La morte di Mary è stato il primo episodio che ha avvelenato il cuore di Dean. La vita che è stato costretto a vivere, poi, ha fatto si che quei demoni diventassero sempre più oscuri, sempre più radicati – così forti da sembrare imbattibili, tanto che la loro presenza è stata accettata, come una convivenza. Dean sa che non può scacciarli, i suoi demoni.
Non c’è pace, per un uomo con la sua esperienza. Non c’è pace, per qualcuno che ha visto le cose che ha visto lui, le cose che ha vissuto lui.
Ho visto cose che voi umani non potete immaginare (1), mai frase fu più vera; mai nessuna frase potrà mai adattarsi alla vita di Dean quanto questa.
Gli incubi raccontati nelle favole, nelle storie, Dean gli ha visti con i suoi occhi. Tutti. E con il tempo, è dovuto diventare peggio di quegli incubi per riuscire a sconfiggerli, per riuscire a fare in modo che non lo perseguitassero più – che non perseguitassero più nessuno. Perché nonostante possano essere definiti incubi, quelli in cui Dean si imbatte, non si scacciano aprendo gli occhi e destandosi da un sonno tormentato, no, quelli con cui ha a che fare Dean sono incubi a cui bisogna tagliare la testa, dare fuoco, riempire d’argento, esorcizzare e bagnare con l’acqua santa. E sono spaventosamente reali.
Ma Dean ha cominciato a fare sogni, tremendi sogni, da quando è tornato dal Purgatorio.
Dean, che risucchiato dall’energia di Dick, è stato catapultato in questo luogo misterioso di cui non ha ancora proferito parola.
Dean non parla delle cose che ha visto, laggiù.
Non parla di ciò che è successo a Castiel.
Dean non ne parla e basta. Ha eretto un muro, alto fino al cielo, e non permette a nessuno di scavalcarlo. Nemmeno a lei.
A Natalie sembra di guardare un veterano che in guerra ha visto cose così terribili da rimanerne traumatizzato. Come gli artificieri che, tornati a casa, scambiano le buste di plastica volanti per possibili ordigni e sterzano; come i soldati, che abituati a sentire gli spari, si preparano all’azione se sentono i fuochi d’artificio. Chi è stato toccato dalla guerra, ha perso la sua anima (2). Chi ha combattuto la guerra, ha lasciato se stesso nel campo di battaglia, ha perso una parte di se che non riavrà mai più indietro.
Dean ha lasciato una parte di se in Purgatorio. È perseguitato dai ricordi, dalle visioni – a volte sembra persino che non si renda conto di essere di nuovo a casa.
Natalie ripensa a qualche giorno prima, quando, in un’area di servizio, Dean era sceso dalla macchina per guardarla mentre prendeva delle merendine al distributore automatico. Sentiva il suo sguardo addosso e, non appena era riuscita a incrociare i suoi occhi, aveva visto il viso tirato e contratto, lo sguardo severo e deciso di chi scruta il luogo intorno a se, in attesa che il pericolo, annunciato dal suo sesto senso, si materializzi di fronte a lui e tenti di ucciderlo.
Dean, laggiù, ha combattuto per la sua vita come probabilmente non aveva mai fatto prima.
Laggiù, probabilmente, si è sentito per la prima volta una preda.
Natalie si volta alla sua sinistra, dove, nel buio della notte, trova la figura di Dean, addormentato al suo fianco. È preoccupata per lui e si rende conto che, per la prima volta da quando sono tornati insieme, dopo quel fatidico anno in cui pensavano di aver perso Sam per sempre, non riesce a raggiungerlo. Non riesce a sfondare quel muro che ha eretto per proteggersi. Un anno in un luogo tanto atroce ha fatto si che sviluppasse difese a prova di mostro, figuriamoci a prova di umano.
Si sistema vicino a lui, muovendosi lentamente e, senza fare movimenti troppo bruschi, gli passa un braccio intorno al torace; il proprio petto contro la sua schiena.
Ma Dean fa i brutti sogni.
Dean ha i suoi demoni.
Dean è divorato da ricordi orribili.
Dean pensa ancora di dover lottare per sopravvivere e dunque, o uccide o viene ucciso.
Dean, quindi, si volta, veloce e scattante come un felino, e le stringe le mani intorno al collo.
E continua a stringere. Stringe, nonostante lei gli stia dicendo che va tutto bene, che ora è al sicuro, che adesso è a casa.
Stringe, mentre la guarda, ma non la vede. Per come la vede lui, la gola stretta fra le sue dita forti è quella di un essere mostruoso che vuole la sua testa su una picca.
“Dean.” Natalie non urla, piuttosto, gli accarezza i polsi, collegati a quelle mani che la stanno soffocando con la sola intenzione di ucciderla. Non ferirla. Ucciderla.
Quello è lo sguardo di qualcuno che non ha intenzione di far perdere i sensi all’avversario; è lo sguardo di qualcuno che vuole assistere all’attimo esatto in cui la vita abbandona l’essere che tiene stretto fra le mani.
“Dean, sono Nat. Guardami, ti prego.” La sua voce è un sussurro strozzato, le lacrime le scivolano dai lati degli occhi e vanno a finire sul cuscino.
Ma Dean stringe. Stringe perché se dovesse smettere, il mostro lo ucciderebbe. E lui non può morire, perché deve tornare a casa. Deve tornare da Natalie, da Sam. Non può morire perché deve riuscire a salvare Castiel. La sua mano deve stringere più forte quella dell’angelo e impedirgli di tornare da solo in quel luogo dove non esiste nient’altro se non la morte e la lotta per la sopravvivenza, dove la crudeltà è alla base di ogni comportamento e la ferocia aleggia così pesante nell’aria che sembra che quel posto si nutra di essa per rafforzarsi. Non c’è nient’altro se non caos, in Purgatorio. Un disordine privo di qualsiasi forma di naturalezza. Un sistema basato solo sulla legge del più forte, sulla capacità di uccidere a sangue freddo per primi senza sentire il rimorso che divora le interiora corrodendole, come fa l’acido.
“Dean.” Natalie allunga le sue mani sul viso dell’uomo, teso, con la mascella contratta e i denti serrati. Ma lui è ancora a cavalcioni sopra di lei e non ha intenzione di mollare la presa. E i suoi occhi continuano a saettare di rabbia, colmi di quella ferocia così estranea a Dean, pieni di una furia cruenta e omicida.
Un’altra lacrima scappa silenziosa e Nat sente la gola che brucia come se il fuoco dell’inferno si fosse trasferito nella sua trachea.
“Basta, Dean. Non devi fare così. Sono io. Guardami, per l’amor di Dio, guardami!
E finalmente la sente. La presa sul collo allenta, le mani abbandonano velocemente la pelle di Natalie e vengono sistemate all’altezza delle spalle della ragazza, appoggiate al materasso. Gli occhi dell’uomo, adesso, sono svuotati, confusi. Dean inizia a guardarsi intorno, come se non sapesse dove si trova, come se si fosse svegliato da un incubo fin troppo reale e adesso, notando un’altra realtà, si trovasse spaesato e disorientato.
Ma Dean non è uno stupido e quando si trova Natalie tra le gambe, vede le proprie mani vicino alle sue spalle e nota il segno che inizia a formarsi sul collo della donna, la disperazione lo assale.
L’ha rifatto. Di nuovo.
Ha di nuovo rischiato di ucciderla nel sonno, perché pensava fosse uno di quei mostri che nel Purgatorio tendono agguati nel buio.
Vede ancora i loro occhi che luccicano nell’oscurità. Alcuni cambiavano persino colore, quando lo mettevano a fuoco. Puntini rossi che decoravano il nero della notte.
Ma Natalie non ha gli occhi rossi, i suoi occhi sono casa. Lei è casa. Rotola al suo fianco, colmo di disprezzo e odio per se stesso e le volta le spalle. Non vuole guardare le conseguenze della sua violenza, diventata disumana, su di lei. Non vuole guardarla e vedere i segni dei propri incubi sulla sua pelle. Non vuole vedere quel segno rosso sul suo collo. Rosso come gli occhi dei mostri. Crudele quanto i mostri.
Lei paga il prezzo di ciò che è dovuto diventare per sopravvivere. Cosa può esserci di più sbagliato?
“Dean.” sussurra Natalie nel buio. La sua voce roca è un pugno allo stomaco, per Dean. L’uomo sente la piccola mano della donna che viaggia su e giù per la sua schiena, come la più dolce delle carezze. Inizialmente, il suo corpo scatta, come uno spasmo elettrico, pronto ad agire, ma poi il suo cervello lo informa della natura di quel contatto e, allora, si rilassa. Era troppo tempo che qualcuno – che lei – non lo toccava in quel modo. Era troppo tempo che un contatto non stava a significare necessariamente un imminente rischio di morte. Un anno in un posto come il Purgatorio sembra un decennio, e quando si torna alla normalità – almeno fisicamente, perché mentalmente sente quella condizione ancora estremamente lontana da se – sembra che il tempo passato laggiù sia davvero triplicato, trasmettendo la sensazione di essere mancato dalla Terra per un lunghissimo periodo. Esperienze del genere, tendono a far dimenticare che al mondo esistono anche le premure e le carezze fatte per dare conforto. 
“Sono un mostro.” Sussurra, sentendo le lacrime in agguato dietro agli occhi.
Natalie gli sfiora una spalla con le labbra e fa passare la mano, che fino ad ora usava per accarezzarlo, sul suo ventre e lo stringe a se, facendo si che la schiena dell’uomo aderisca al suo petto.
“No, non lo sei.” Nat appoggia il mento nell’incavo della spalla del cacciatore. “Hai visto cose mostruose. Ciò non fa di te un mostro.”
“Ho tentato di ucciderti. Più di una volta.” Dean sente un enorme groppo in gola e si trova a cercare la mano di Nat sulla sua pancia. Quando la trova, fa in modo che loro dita si intreccino. Sentire il calore della sua pelle lo tranquillizza un poco.
“Ma non l’hai mai fatto. E poi non vuoi uccidere me, vuoi uccidere i ricordi che ti perseguitano.”
“Non potrò mai cancellare ciò che ho visto dalla mia testa, Nat. Mai.”
“Lo so. Lo so, ed è terribile perché nessuno dovrebbe essere costretto a vivere ciò che hai vissuto tu.” Natalie lo stringe più forte a se: “Non chiudermi fuori, Dean. Parla con me. Magari non capirò, ma almeno il peso che ti porti dietro non sarà solo sulle tue spalle.”
Dean non può vederla, ma può immaginarsela. Sa come sono i suoi lineamenti, conosce a memoria i tratti del suo viso e sa perfettamente come si sente in questo momento solo sentendo il tono della sua voce. Non è arrabbiata, non ce l’ha con lui per averla quasi uccisa, bensì è preoccupata. È terrorizzata dall’idea che possano allontanarsi, che lui possa chiudersi in se stesso per non farsi raggiungere più, isolandosi da lei e da tutto. Natalie lo conosce fin troppo bene.
“Non è giusto.”
“Si che lo è. Sarebbe ingiusto lasciarti da solo in mezzo alla tempesta in cui ti trovi. Parlami.”
Dean deglutisce, sentendo improvvisamente una biglia in gola.
“Non stasera.” Chiude le palpebre e rivede quegli occhi rossi, lì, in agguato. Sono lì per lui. Vogliono ucciderlo e farlo soffrire. Rivede se stesso brandire la sua lama e usarla per tagliare gole e teste. Aveva così tanto sangue addosso, da non essere più in grado di tracciare un confine tra il proprio e quello delle sue vittime.
“Puoi almeno guardarmi?”
Dean continua a stringerle la mano così forte che Nat non sente il sangue affluire alle dita; la stringe come se dovesse aggrapparsi a lei per non sprofondare nella sua follia, nel suo terrore.
“Non stasera.”
Non fino a che il segno sul collo sarà visibile e lui assocerà quell’atto di violenza a se stesso e alla sua furiosa ira omicida.
“Non è colpa tua, voglio che tu lo sappia.”
Natalie gli bacia la nuca, tenendolo sempre stretto a se. Non lo lascia. Natalie lo tiene stretto, lo aiuta a passare dal portale per uscire dal Purgatorio. E Dean scivola, ma lei è più forte, lei stringe di più e lo porta in salvo.
Lui no.
Lui non è stato abbastanza forte.
Lui ha lasciato Castiel laggiù. Un angelo in Purgatorio.
È come se avesse abbandonato un agnello in mezzo a un branco di lupi affamati e assetati di sangue.
Ha condannato il suo migliore amico a morte. Tanto valeva gli piantasse una spada angelica in petto.
“Dean, qualsiasi cosa sia successa laggiù, sono sicura che non è colpa tua.”
E sa benissimo che lei ne è convinta, perché ha sempre avuto fiducia in lui. Ha sempre visto del buono, in lui.
Ma Dean è diventato un mostro.
Dean ha abbandonato un suo amico.
Dean non merita perdono. E nemmeno comprensione. Non merita di averla al suo fianco. Non merita di essere scusato, o capito.
Dean non merita nemmeno di essere qui, probabilmente. Non dopo quello che ha fatto a Castiel.
Chiude gli occhi, lasciando che una lacrima gli solchi il viso. È amara, come il destino a cui Castiel è stato sottoposto a causa sua e della sua incapacità.
Mi taglierei la gola per farlo tornare qui, (3) ma non lo dice ad alta voce perché ha ancora troppo timore di parlare di quel posto – perché parlarne, significherebbe renderlo reale ancora una volta, renderlo concreto come la certezza che il sole sorgerà ogni mattina. E per lui, quel posto, è stato fin troppo reale. Non vuole revocarlo. Non ancora.


La mattina seguente, Dean si sveglia per primo. Vede il sole filtrare timido e pallido dalla finestra, come se volesse chiedere il permesso per entrare.
L’uomo si volta alla sua destra, trovando Natalie ancora assorta nel sonno. Le sue labbra piene sono leggermente schiuse, il suo respiro rilassato e regolare e le lunghe ciglia sfiorano le guance ricoperte di lentiggini. Il suo viso è bellissimo. È tutta bellissima.
La magia si spezza quando, però, la bellezza di Natalie viene corrotta dal segno violaceo e oblungo che ha sul collo, segno che combacia perfettamente con le dita di Dean.
Dean, che si morde l’interno della guancia per non lanciare un grido rabbioso. Dio, quanto si odia per ciò che le sta facendo passare. Quanto si odia per essere così egoista. Sa benissimo che Nat soffre, sa benissimo che vorrebbe essere messa al corrente di ciò che ha passato per essere in grado di aiutarlo, per fare si che quel peso che si porta dietro non gravi solo sulle sue spalle, ma sulle spalle di entrambi. Ma lui non lo fa. Lui non parla, si limita solo a starle vicino, perché è quello che vuole lui. Sentirla vicino. Aggrapparsi alla sua Natalie, che da sempre gli fa da ancora.
Non potrebbe vivere senza di lei, ormai è appurato. Ma non sa nemmeno quanto possa essere giusto per lei avere lui al suo fianco in un momento del genere, dove Dean altro non sembra che una bomba pronta ad esplodere.
Rimane a guardarla e con la mente viaggia all’anno passato, quando lei lo stava cercando.
Pensa a ciò che gli ha raccontato, ai viaggi fatti per riuscire a localizzarlo, all’esperienze vissute per riuscire a trovare un modo per salvarlo, ai patti a cui è stata costretta a scendere per riuscire ad avere informazioni dalle peggiori categorie di esseri esistenti. È stata abbastanza intelligente e calcolatrice da non scendere a patti con i demoni, ma ciò non vuol dire che la sua anima non sia stata dannata in quell’anno di estenuante ricerca, dove ha confessato di aver commesso cose poco ortodosse che si distanziano non poco dal concetto di moralità.
Ho fatto cose che non pensavo essere capace di poter fare. Ma tu eri sparito, Bobby era morto e Sam scappava sempre più spesso da Amelia, rifugiandosi da lei per ore. Era il suo modo di fuggire al dolore. Cacciava con me e poi fuggiva da lei. Il fatto è che rimanevo sempre più sola e milioni di domande intasavano il mio cervello. Avevo bisogno di risposte ed ero disposta a tutto per poterti riavere indietro.
Gliel’aveva raccontato qualche giorno dopo il suo ritorno in terra. Dopo che lui aveva tanto insistito per conoscere i dettagli di ciò che era successo mentre non c’era.
Che hai fatto, Nat?
Quello che andava fatto.

E questa frase implicava il ricorso ai peggiori metodi di tortura inventati dall’essere umano per riuscire ad estorcere informazioni ad altri esseri umani poco propensi alla conversazione. Le cose che Natalie ha imparato a fare riescono a sciogliere la lingua anche della più fedele delle spie. Non è una cosa di cui è mai andata fiera.
Ha utilizzato metodi che non le piace usare pur di riuscire in qualche modo a raggiungerlo, a riaverlo indietro. La sua anima è stata corrotta dalla ferocia e dalla bramosia di riaverlo con se, di salvarlo. Poco importava quali fossero i mezzi da utilizzare, fin tanto che il suo scopo si avvicinava, lei procedeva e agiva.
Si è sporcata le mani con litri di sangue caldo e scarlatto, solo per lui.
Forse, una spiegazione gliela deve, a quella donna addormentata al suo fianco che per lui ha messo da parte i suoi principi e ha fatto cose dalla dubbia moralità.
Molto probabilmente gliela deve. Deve riuscire a scavalcare quella barriera che ha costruito per proteggersi e tirare fuori ciò che lo tormenta, condividendolo con lei. Deve farlo, ma non adesso. Non si sente ancora pronto.
Rimane ancora qualche istante a contemplarla e poi, senza preoccuparsi troppo del fatto che possa svegliarla, la solleva, caricandola su di se, sentendo un impulso irrefrenabile di percepirla, di toccarla.
Natalie, inizialmente, mugugna qualcosa, ma poi si accoccola sul suo petto e torna a dormire. Dean, per un folle, malsano, fugace momento, si trova a pensare a quanto potrebbe essere facile da questa angolazione spezzarle il collo, soprattutto adesso che lei è così estremamente vulnerabile e rilassata. Basterebbe una piccola pressione verso destra, un colpo breve, deciso e intenso e la sua vita scivolerebbe via, passando attraverso le dita dell’uomo per raggiungere l’aldilà.
Ma poi rinsavisce, mettendo a fuoco la realtà che lo circonda e soprattutto il fatto che quel peso che sente su di se non è un mostro che vuole staccargli la trachea con un morso, bensì Natalie, la sua piccola.
Non chiamarmi come la tua macchina! – quel rimprovero riecheggia nella sua testa e suona così normale che Dean per un momento si sente di aver ritrovato un pezzetto di se, uno di quelli che gli sembrava fossero andati persi nel Purgatorio per rimanere nei meandri di quel luogo di sofferenza e non tornare più a far parte del suo essere.
Invece… invece sembra che quel pezzo di se stesso sia ancora lì, ancorato alla sua natura umana, prima che venisse corrotta dall’anno passato nel Purgatorio. È ancora lì e lo fa sentire un po’ più umano e un po’ meno mostruoso.
“Nat..”
“Mh..”
Dean le accarezza la schiena, sentendo la pelle liscia sotto i polpastrelli. Natalie ha la schiena perlacea e in alcuni punti è attraversata da piccole cicatrici biancastre che vanno a confondersi con il colore naturale della pelle della donna, se non fosse che, a volte, quei piccoli segni tendono a brillare, come se fossero stati riempiti di oro bianco.
Una volta, ha letto da qualche parte che i cinesi, quando qualcosa si rompe, aggiustano la cosa riempiendo le crepe con dell’oro, valorizzando così la rottura e ponendo attenzione ad essa, rendendo in questo modo anche la cosa stessa più bella. Natalie è così. Le sue cicatrici, sia quelle piccole, impercettibili a meno che non si sappia dove guardare, o toccare, che quelle grandi, sono state riempite di oro bianco e quando luccicano la rendono ancora più bella, ancora più vera. Natalie lotta e sopravvive.
Torna a pensare a ciò che ha fatto per lui.
Cosa ha fatto, esattamente?
Se rivolge questa domanda a se stesso, sa benissimo come rispondere. Ha fatto cose atroci. Ha combattuto come non aveva mai fatto nella sua vita. Ha condannato il suo migliore amico a morte. Ha quasi ucciso la donna che ama, più volte.
Ma se rivolge questa domanda a Natalie? Cosa ha fatto esattamente lei per cercarlo?
Se ci pensa, la cosa che più lo fa stare male non è il fatto che l’abbia fatto, perché qualsiasi azione abbia compiuto, lui non la giudicherebbe – come potrebbe, con la lista di mostruosità che ha fatto lui? – ma pensa a quali ripercussioni tutto ciò potrebbe avere su di lei, sul suo stato d’animo. A come si potrebbe sentire. A come si sente ogni volta che ripensa a quelle azioni. Si è pentita? Si sente sporca? C’è una parte di se che si detesta per quello che ha fatto?
Improvvisamente ha l’impressione che anche una parte di Nat sia finita nel Purgatorio, quella parte che era ossessionata dal volerlo far tornare da lei. Quella parte che aveva già perso Bobby e non accettava l’idea di perdere anche lui e Castiel.
Era da sola, Natalie.
Aveva Sam, certo, ma Sam si allontanava.
Sam aveva investito un cane e conosciuto Amelia e questa donna faceva si che le pene di suo fratello venissero alleviate.
Ma chi alleviava quelle di Natalie?
Chi si preoccupava che non impazzisse dal dolore, o a causa dell’atrocità che solo il dubbio può avere? Il senso di smarrimento, di impotenza, l’incapacità di riuscire nell’impresa che si era prefissata. Brancolava nel buio e continuava ad avanzare da sola, senza che nessuno le portasse una torcia, o un misero fiammifero per riuscire a vedere almeno ciò che stava vicino al suo naso. Niente. Natalie era sola.
“Nat.”
“Si?”
“Sei sveglia?”
“Mi hai chiamata due volte, sono sveglia per forza.”
“Sei scorbutica, la mattina.”
“Dovresti sentire te, la mattina. Sei intrattabile.”
Dean la abbraccia e lei si aggiusta meglio, incastrandosi nel suo corpo.
“Che c’è, Dean?” la sua voce si è addolcita.
“Com’è stato per te?”
Non ha bisogno di chiedergli a cosa si riferisce, lo sa già.
“Complicato. Difficile. Frustrante. Ma non c’ero io in un luogo biblico di cui nessuno sapeva effettivamente l’esistenza finché non ci sei finito. Quindi non dovresti preoccuparti per me, quanto più che altro provare a parlare di ciò che è successo a te.”
No, non vuole parlare di ciò che è successo a lui. Non vuole dire degli agguati subiti e successivamente commessi. Non vuole parlare di Benny, suo alleato e amico, con cui ha elaborato piani per riuscire a trovare Castiel.
Rivive un episodio in particolare, quando quel pensiero gli attraversa la mente.
È di nuovo in Purgatorio, intorno a lui solo alberi, alti e rigogliosi, nebbia leggera e un tappeto di foglie morte – come la maggior parte delle creature con cui si scontrava – a fare da pavimento. È di nuovo insieme a Benny, il vampiro che la prima volta che ha avuto a che fare con un mostro gli ha salvato il culo. Avevano pattuito un’alleanza: un umano non era fatto per stare in un luogo come quello, creato appositamente per intrappolarci i mostri che sulla Terra erano giunti alla fine della loro vita, così esisteva un portale da cui Dean sarebbe potuto uscire tranquillamente. Ciò che voleva Benny era una passaggio per tornare nel mondo dei vivi insieme a Dean.
Non sa niente, amico.
La voce di Benny gli risuona nella testa. Lo percepisce di nuovo alle sue spalle, mentre lui è intento a discutere con una creatura orrenda, dai denti fini e aguzzi e il naso schiacciato sul viso. I capelli dell’essere, lunghi, sporchi, pieni di nodi e disordinati, ricadono sulle spalle della creatura – che trasmette un odore nauseabondo e stomachevole, un puzzo forte di sudore, sangue e urina.
Invece scommetto che qualcosa sa.
Si rivede mentre afferra il mostro e lo scaraventa contro l’albero più vicino, bloccandogli il collo con l’avambraccio sinistro, mentre nell’altra mano tiene la lama che gli punta sotto al mento.
Guarda la creatura annaspare, in cerca di aria e lui, spinto da un moto di sadismo, lo spinge ancora di più contro il tronco legnoso e scheggiato dell’albero, togliendogli sempre di più aria. Sente la profonda necessità di fargli del male con la stessa intensità con cui si può sentire l’odore del disinfettante che penetra nelle narici; o l’odore della ruggine che si insidia nella bocca, arrivando addirittura a dare l’impressione di sentire il sapore ferroso in gola.
Sensazioni così forti da risultare concrete. Era così che si sentiva, era così che percepiva la necessità di fare del male a quell’essere: concreta, reale, corporea.
Dov’è l’angelo?
Non ha riconosciuto la sua voce quando è uscita. Ricorda che per un fugace momento si era concentrato sulla stranezza con cui aveva percepito la sua voce. Era diversa. Più roca, più bassa, profonda come un buco nero, rugginosa. Estranea. Come ad evidenziare che ciò in cui si stava trasformando, dentro a quella foresta, era così lontano da ciò che era stato prima di finirci, che persino la sua voce era destinata a mutare.
L’hanno visto al fiume. Se mi lasci andare ti ci porto. La voce del mostro esce a stento, come dei rantoli sommessi.
Dean, coperto di sangue, in parte fresco, in parte secco, si apre in un sorriso derisorio e infila la punta della lama nella carne dell’essere. Un rivolo delicato di sangue scende dal collo della creatura che, spaventata, decide di parlare.
Gli descrive nei minimi dettagli il percorso da seguire per arrivare al fiume, dove con tutte le probabilità si trova Castiel, l’angelo che ogni mostro esistente in Purgatorio vuole uccidere.
E poi, dopo aver ottenuto le informazioni che desiderava, Dean trafigge il mostro facendo passare la lama da sotto al mento fino al palato, bucandolo da parte a parte, e sporcando l’arma di sangue, che esce copioso dalla bocca del mostro e scende come una cascata dalla lingua, uscendo poi sul mento e andando ad imbrattare gli stracci che quella creatura usava per coprirsi.  
Benny aveva assistito alla scena senza obiettare mai. Aveva capito che, quando si trattava di trovare l’angelo, le regole le faceva Dean e l’unica cosa che lui poteva fare era rispettarle.
Dean torna al presente, scacciando quel ricordo: “Preferirei di no.”
Natalie, ancora sdraiata su di lui, allunga una mano per accarezzargli una guancia. Dean chiude gli occhi per sentire quella sensazione di calore beato che si propaga dentro al suo cuore. È come sentire un balsamo addosso, come se riuscisse piano piano a ricordare che esistono anche atti d’amore e non solo azioni violente e cruenti.
“D’accordo. Non ne parleremo.”
Dean le accarezza la testa, intrecciando le dita ai lunghi capelli ramati. In un primo momento, quel gesto è timoroso, quasi come se avesse paura, toccandola, di ferirla, di farle del male. Ma poi si rende conto che ciò che sta facendo l’ha già fatto altre mille volte e, negli anni, ha sempre saputo che Natalie l’ha sempre trovato rilassante e mai doloroso, quindi piano piano le sue dita si fanno più sicure.
“Voglio sapere di te, Nat.”
“E cosa vuoi sapere?” la donna inizia a tracciare con l’indice il perimetro del pentacolo sul petto di Dean. Parte dalla stella, arrivando al cerchio, seguendo poi le lingue che partono da esso.
“Quello che hai fatto.”
“Vuoi sapere nel dettaglio cosa ho fatto, o vuoi sapere se lo rifarei?”
No. Non vuole sapere quello che ha fatto. Non vuole costringerla a fare qualcosa che lui stesso non si sente di fare: rievocare demoni, rivivere momenti, dare nuovamente vita a quei momenti. Obbligarla a ripercorrere quel sentiero non è quello che ha intenzione di chiederle. Anche perché sa benissimo che qualsiasi cosa abbia fatto, la perseguita dal giorno stesso in cui è stata fatta. Lo sa, perché Natalie si agita nel sonno, a volte. E pronuncia frasi sconnesse, frasi a cui lui non riesce a dare un senso, ma ha la netta sensazione che derivino da momenti che Natalie vorrebbe cancellare con tutto il cuore, ma che purtroppo non può eliminare. Ciò che è stato fatto, e che la tormenta, ha marchiato – e macchiato – il suo cuore con un inchiostro nero, indelebile e velenoso.
Costringerla a parlare di ciò che ha fatto, quindi, è l’ultima delle sue intenzioni. Sa anche troppo bene che i suoi incubi la perseguitano e non vuole assolutamente che lei si trovi costretta a dar voce – e vita – a quei tormenti.
“Lo rifaresti?”
Lei non esita un attimo: “Altre duecento volte, se fosse necessario.”
Nonostante tutto, non ha esitato.
Nonostante i ricordi che la perseguitano e le atrocità, non ha esitato. C’è una romantica follia dietro a tutto ciò. Una pazzia sottile, estranea al mondo in cui vivono i normali esseri umani, ignari di tutte le creature mostruose che popolano il pianeta. C’è qualcosa, in loro, che li diversifica dagli altri esseri umani. Non si parla solo della loro conoscenza, ma quanto, piuttosto, della loro mentalità, del modo in cui hanno imparato a ragionare: esiste sempre una via d’uscita, un modo per raggirare la morte, o l’esilio in un mistico luogo biblico. E non importa quanto ci vorrà, non importa a cosa dovranno andare in contro, a quali patti dovranno scendere, in quali luoghi oscuri si dovranno addentrare, fin tanto che c’è anche solo una minima, misera, possibilità di salvare l’altro, agiranno, aggrappandosi a quella possibilità e trovando una soluzione.
C’è una follia disperata, morbosa, nelle loro azioni.
“Non ti sei pentita, non ti senti..”
“Sporca?” lo interrompe – per non dire precede. “Vuoi sapere se mi sento macchiata nell’anima per quello che ho fatto? Si, Dean. Ma è un prezzo che sono disposta a pagare, se significa riaverti qui.”
Natalie pensa all’anno passato, ai viaggi fatti da May per riceve informazioni, alle giornate intere passate con la donna per trovare nuovi incantesimi, nuovi modi per venire in contatto con entità che avrebbero saputo darle delle informazioni che da sola non avrebbe trovato.
Piccola, ti stai avventurando un po’ troppo oltre. Rischi ogni giorno di più di avvicinarti alla magia nera. Non posso permetterti di farlo.
Devo trovarlo, May. Non posso perderlo. Non di nuovo.

Ricorda come May avesse sospirato, un sospiro stanco, preoccupato. Le rughe, sul suo viso, sempre più marcate.
Ci sono altri modi per farlo che escludono la magia nera. Ti dirò tutto ciò che so, ma ti prego bambina mia, non toccare quella soglia. Ricordati cosa si dice “Se il diavolo ti tocca, vuole l’anima”. La magia oscura funziona allo stesso modo. Se si lascia toccare è perché vuole qualcosa in cambio, e spesso e volentieri ciò che brama è l’anima di chi la usa.
May era stata convincente. Anche perché, aveva pensato Nat, se avesse davvero ceduto la sua anima, aver riportato indietro Dean per stare con lui sarebbe stato inutile, dal momento che, quella ad essere intrappolata chissà dove, a quel punto, sarebbe stata lei. E allora, Dean avrebbe iniziato la sua frenetica ricerca per riportarla da se. Era una storia che sapeva già come sarebbe andata a finire ancora prima che effettivamente si realizzasse, quindi tanto valeva agire in un modo diverso.
D’accordo, May. Niente magia nera. Ma, ti prego, aiutami a trovare un’alternativa.
L’alternativa di May era la non-violenta ricerca di incantesimi antichissimi di localizzazione e il dialogo pacifico con entità disposte a parlare con lei. Il problema era venuto fuori quando entità meno pacifiche e più malvage, che guarda caso erano molto più informate sul Purgatorio, decidevano di non collaborare. E allora lì Natalie interveniva a modo suo.
Ricorda una volta in particolare, quando un demone si era impossessato di una bambina di sei anni con la convinzione che Natalie Duvall, rispettabile cacciatrice – per quanto un cacciatore possa essere rispettabile – non avrebbe mai toccato una bambina.
Quel demone non sapeva quanto fosse disperata Natalie. La questione, senza entrare troppo nei dettagli, era finita con una bambina portata d’urgenza all’ospedale per ferite multiple da taglio e una Natalie che aveva ottenuto tutte le informazioni che le servivano.
Non era riuscita a dormire per mesi interi, sentendo ancora l’eco delle grida di una bambina innocente che risuonava nelle sue orecchie e che la consumavano fino ad accarezzare quella soglia della pazzia che fa sentire le voci e che destabilizza l’equilibrio umano. E dopo mesi di insonnia, quando riusciva ad assopirsi un poco, gli occhi supplicanti della bambina, che il demone le mostrava ad intervalli regolari mentre era intenta a scarnificarla con una spada angelica, le si paravano davanti, facendole attorcigliare le budella. Ogni volta, si trovava a liberare grida di angoscia che risuonavano nel buio fitto e denso della notte. Iniziava a piangere, stringendo le mani al ventre e dondolandosi in posizione fetale al centro del letto, che era sempre troppo freddo, troppo vuoto e che le ricordava costantemente che la sua solitudine era ciò che la spingeva a fare le atrocità che stava commettendo, o comunque pianificava di commettere. E urlava. Urlava fino a che non le bruciava la gola. Gridava come una pazza furiosa in preda ad una crisi isterica. Era in quei momenti, che Natalie aveva capito che la sua anima era dannata. Toccata dal diavolo e dall’inferno. Corrotta da quel profondo e malsano grado di ossessione compulsiva che solo gli esseri umani sono in grado di provare, quando si trovano a vivere situazioni in cui la sofferenza sembra rischi di portarli alla morte.
Ha sofferto da morire. Si dice. E lei sa che è una frase tremendamente vera.
Si sentiva mostruosa, ma la cosa ancora più terrificante è che non aveva intenzione di fermarsi. E non l’ha fatto fino a che non è riuscita a trovare un modo per comunicare con Dean.
“Mi dispiace, Nat.”
“Sei qui, no? Quindi ne è valsa la pena.” La voce le trema un poco, incrinandosi quel che basta per far capire a Dean che forse è meglio non continuare quel discorso, così la stringe a se e inizia a cullarla.
Natalie, dopo aver zittito le urla della piccola e aver scacciato i suoi occhi supplicanti, riesce ad addormentarsi. Ormai ha imparato a farlo. Ormai ha capito che gli incubi che viviamo da svegli, non ci abbandonano mai, tanto vale imparare a conviverci.
Natalie ha i suoi demoni. Adesso Dean lo sa.





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(1) Frase tratta dal monologo di Blade Runner;
(2) La faccenda delle buste di plastica che vengono scambiate per ordigni viene menzionata in Capitan America – The Winter Soldier, non so se è vero, ma mi è venuto in mente e l’ho aggiunto. Avevo letto in un articolo, invece, che i soldati tornati a casa, in America, sono molto sensibili ai fuochi d’artificio del 4 Luglio;
(3) Frase tratta dal film Brothers (2009);
(4) Il titolo, così come la citazione iniziale, provengono da Monster – Imagine Dragons;
(5) L’episodio che riguarda il ricordo di Dean è What’s up, Tiger Mommy? – (8x02)  


Grazie ancora per aver aperto e letto la storia,
Alla prossima! <3 
   
 
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