La palestra
Era passata solo una settimana dal primo giorno di
scuola, ma
già circolavano nuove voci, una più assurda dell'altra, su Luca, il
nuovo
compagno di classe di Giulia e Lidia. C'era chi scommetteva che la sua
precedente scuola lo aveva espulso per il suo comportamento violento
contro i
compagni di classe, chi giurava che facesse parte di un gruppo di
motociclisti
di corse clandestine, chi ancora diceva di averlo visto coinvolto in
una rissa,
e, infine, c'era chi aveva azzardato l'ipotesi che avesse combattuto
per
amore. Tutto questo trambusto era sorto perché Luca si era presentato
in classe
con un livido sulla mascella, qualche abrasione su entrambe le braccia,
e un
piccolo ematoma violaceo sulla clavicola molto simile ad un succhiotto.
Quando
i più temerari avevano tentato di chiedergli cosa fosse successo, lui
li aveva
fulminati con lo sguardo e li aveva liquidati con un breve e coinciso
"fatevi i cazzi vostri". Inutile a dire che le sue
parole riuscirono a far sì che nessuno gli ronzasse a torno, con
l'effetto
collaterale di alimentare i pettegolezzi e l'antipatia di chi aveva
ricevuto la
suddetta risposta. Luca, però, non se ne curava affatto. Si estraniava
dalle
chiacchiere con l'aiuto di un paio di auricolari e scribacchiava
qualche
appunto confuso su un agendina di carta riciclata.
Lidia guardò fuori dalla finestra dopo che la
campanella
aveva segnalato l'inizio della ricreazione. Il cielo era nuvoloso e
sembrava
che dovesse piovere da un momento all'alto, quasi come se il tempo
volesse riflettere
ciò che il cielo aveva nel cuore, come se la volta celeste attraverso
le nuvole
esprimesse la propria tristezza e la propria ostilità. A questo
pensiero Lidia
girò lo sguardo verso Luca e, involontariamente, rimase per qualche
minuto a
fissarlo. C'era qualcosa in quel ragazzo che richiamava il cielo in
quel
momento. Forse era il suo atteggiamento freddo e quegli occhi che non
infondevano calore. Forse era la sua assente voglia di comunicare.
Forse
entrambe le cose. La verità era che Lidia non lo sapeva. I suoi gesti,
le
ragioni dietro le sue azioni erano zone sconosciute. L’unica certezza
era la
curiosità e il timore, sentimenti opposti che pervadevano la sua mente
di
dissidi e di domande confuse.
Il ragazzo, sentendosi osservato, girò lo sguardo
verso di
lei e per qualche secondo i loro occhi si incrociarono. Per un attimo
gli occhi
di Luca cambiarono come se volessero capire quello che passava per la
mente di Lidia,
senza però riuscirci.
Giulia sorrise e fece capire all'amica che lui la
stava
fissando. La ragazza, vergognandosi, diventò rossa e distolse lo
sguardo.
“Il principe del mistero ha colpito ancora, vero?”
Lidia non rispose alla domanda perché sapeva dal
suo tono che
la stava punzecchiando e che dandole una risposta non avrebbe fatto
altro che
gettare benzina sul fuoco.
Giulia, notando l'atteggiamento dell'amica, non
smise di
ridere per tutto l'intervallo mentre Lidia diventava ogni minuto più
rossa.
Le ore rimanenti passarono da una lezione all'altra
non senza
bisbigli e mormorii che riguardavano l'argomento della settimana.
Lidia guardò perplessa Giulia che alzò le spalle e
disse:
“Che esagerati. Potrebbe essere successo qualunque
incidente...ma devo ammettere che lui sa proprio come attirare
l'attenzione.”
“Io credo solamente che voglia essere lasciato in
pace.”
“Questo non lo metto in dubbio...”
“Andiamo a fare un giro al parco oggi pomeriggio
dato che è
sabato.” La interruppe Lidia nel tentativo di reindirizzare l’argomento.
“Con questo tempo? E poi non me la fai. Vuoi
parlare d’altro
in modo che io non ti rinfacci i minuti che hai perso ad osservarlo.”
“Non è vero!”
Giulia la guardò e, cercando di rimanere seria,
alzò le
sopracciglia come a dirle “Ah sì?”, senza, però, riuscire a mantenere a
lungo
quella parvenza di superiorità. Dopo pochi secondi la sua espressione
era
diventata talmente ridicola che, mentre le sue labbra si incurvarono in
un
sorriso nonostante i suoi sforzi per reprimerlo, Lidia ruppe il
silenzio con
una sonora risata e una pacca sulla schiena della sua amica.
“Ah, ci rinuncio! Questa volta hai vinto. Per oggi
cercherò
di non rinfacciarti nulla”
“Ecco, brava”
“Però quel rossore…”
“La vuoi smettere? Guarda, c’è Roberto che sta
uscendo
dall’aula.”
Lidia trascinò Giulia con sé per salutarlo,
sperando di aver
messo una pietra sopra l’argomento.
“Finite le lezioni, Tappette?” disse Roberto
aprendo così un
nuovo conflitto armato.
“Bene, Gigante. Se la metti così che ne dici di una
sfida a
basket?” rispose Giulia dimenticandosi di aggiornarlo sul comportamento
di
Lidia.
Come risposta chiamò Gaia e Paolo che erano ancora
in classe
e, dopo avergli spiegato la situazione, si accordarono sull’orario e
sul luogo.
“Campetto dello sport, quattro e mezza. Due contro
due. Paolo
fa da arbitro.”
“Non fare il boss, Roberto. Quello è il mio
compito.”
“Non prima delle quattro e mezza” Replicò ridendo e
scambiandosi il cinque con Gaia.
Paolo a suo malgrado rise.
Quell’atmosfera di pace, ironia e autoironia era
stato da
sempre il loro solido equilibrio che negli anni della loro adolescenza
avevano
reso sempre più saldo. Ogni tanto scoppiava qualche litigio, ma non
duravano
mai a lungo. Si sostenevano a vicenda e molto spesso trovavano dei modi
per
cacciarsi nei guai per poi tirarsene fuori con qualche lacrima che alla
fine si
trasformava in sorriso.
Le sfide erano un loro modo di confrontarsi e
divertirsi in
armonia. Ma presto quell’equilibrio sarebbe stato incrinato per la
serie di
eventi che sarebbero andati ad intrecciarsi inesorabilmente con le loro
vite.
Un primo passo verso di essi era stato l’arrivo del nuovo studente. Un
secondo,
ciò che accadde nel pomeriggio.
Il campetto dello sport era una struttura di medie
dimensioni
e piuttosto vecchia. Dopo l’inaugurazione della nuova struttura, era
stato
abbandonato a se stesso, senza alcuna manutenzione né interna né
esterna.
L’erba ormai cresceva selvaggia dove il cemento era crepato e pezzi di
intonaco
dondolavano dalla struttura per poi cadere e sbriciolarsi sull’asfalto.
Il
comune non si era nemmeno preoccupato di chiudere a chiave la porta,
solo il piccolo
cancello d’ingresso era stato serrato con un lucchetto.
“Dai, Roby ce la puoi fare.” Disse Lidia che aveva
già
scavalcato il cancello.
“No che non ce la fa” Replicò Paolo con una
risatina
sommessa, guardando l’amico seduto sopra il cancello. “Ha paura delle
altezze.”
“Tutto ciò è semplicemente ridicolo.” Disse Gaia
rincarando
la dose. “Sei un vigliacco. Scendi da lì proprio come ci sei salito”.
“Dai, Gaia” –disse Giulia- “non fare così, ha solo
bisogno di
una spintarella”
Prima che Roberto potesse comprendere ciò che
voleva fare
Giulia, la ragazza lo aveva già raggiunto sul cancello e gli aveva dato
una
pacca sulla spalla che lo fece scivolare e restare appeso a penzoloni
aggrappato alle sbarre con una sola mano.
“Bene, adesso molla la presa. La terra sotto ai
tuoi piedi è
molto più vicina di ciò che pensi.”
Roberto si lasciò andare, non perché avesse vinto
la paura,
ma semplicemente perché la mano aveva perso la presa sulle sbarre. Una
volta a
terra guardò con aria risentita Giulia e disse:
“Te la farò pagare sul campo di basket. Piccola
peste! Non
aspettarti nessuno sconto.”
“Questo lo vedremo.” Replicarono in coro Giulia e
Lidia.
Paolo diede una mano a Roberto a rialzarsi da terra
e seguì
le ragazze che li avevano preceduti all’interno del campetto.
Lo scenario all’interno, se possibile, era ancora
più pietoso
dell’esterno: le linee del campo erano quasi del tutto cancellate, i
canestri
erano arrugginiti e senza rete e la maggior parte delle sedie che
componevano
gli spalti erano state rimosse da vandali. Per fortuna il pavimento del
campo
non presentava crepe, altrimenti sarebbe stato molto facile cadere
durante la
partita.
I due schieramenti si posizionarono sul campo: Gaia
e Roberto
da un lato, Lidia e Giulia dall’altro. A bordo campo, invece, Paolo si
preparava a usare il pollice e l’indice come sostituti del fischietto
di gara.
“Pronti, partenza, via!” - urlò Paolo- “La gara ha
inizio,
signori. Oggi siamo qui per assister a una partita fenomenale. Tappetti
contro
Tappette. La gente urla negli spalti. È un vero e proprio delirio.
Delle
esclamazioni di gioia, sostegno e qualche insulto random volano da
entrambe le
parti. Ah ecco che Giulia perde il possesso di palla grazie a un
favoloso intervento
di Roberto che viene acclamato come una star. E poi inaspettatamente le
ragazze
iniziano anche a osannare l’arbitro”
Il suo discorso vanaglorioso venne interrotto da
Gaia che
urlò un “ma per favore!” mentre metteva a segno un punto a favore per
la sua
squadra.
“Fai la cronaca della partita” concordò Roberto
mentre
ghignava e gongolava nella direzione di Giulia.
“Non è ancora finita. Anzi è appena iniziata”
Replicò Giulia
a denti stretti.
“Il campo si sta infervorando già da adesso.
Auspico che non
si inizi a fare il gioco sporco. Ed ecco che Lidia tocca per la prima
volta
palla, con un favoloso dribbling sorpassa gli avversari e tira… ma
purtroppo
non va a segno. Il disappunto del pubblico si fa sentire, ma un coro di
non ‘arrendetevi
e forza’ esplode scacciando a calci i criticoni. Il rimbalzo preso da
Gaia non
ha portato alcun vantaggio perché la palla è stata rubata da Giulia che
finalmente pareggia i conti.”
Un figura confusa si appiccicò alla finestra e
piano piano
prese forma. Poteva essere tranquillamente scambiata per l’ombra
proiettata da
un albero, tranne per il fatto che l’unica vegetazione al di fuori del
campo
erano le sterpaglie. Lidia fu l’unica a notarla e in essa vi vide un
ragazzo
non molto più grande di lei che le faceva segno di seguirlo.
“…Giulia va di nuovo all’attacco e mette Roberto
sulla
difensiva. La marca in modo così serrato che è costretta a passare la
palla a
Lidia e… ahi, ahi che botta!”
Tutti quanti accorsero dalla ragazza per accertarsi
che
stesse bene. Di certo un palla d basket in pieno viso non era stata una
sensazione piacevole.
“Stare più attenta, no eh? Che cosa stavi
guardando?” le
disse Gaia tra il preoccupato e il furioso.
“Ho visto qualcuno dalla finestra.” Si umettò le
labbra
secche “Un ombra… o qualcosa del genere”.
Tutti seguirono lo sguardo di Lidia e indugiarono
per qualche
secondo sull’erba incolta e sulla grondaia arrugginita appena visibili
dalle
finestre sporche della palestra.
“Non sembra esserci nessuno.”
Delle voci abbastanza vicine per essere udite, ma
sufficientemente lontane da non essere capite, presagivano
l’avvicinarsi di due
o più persone all’entrata nord della struttura.
“È ora di tagliare la corda”
“Per una volta sono d’accordo con te”
"Non è la prima volta".
"Ma stai zitto"
Giulia e Lidia fecero segno ai due di tacere,
mentre Paolo
controllava se dall’uscita più vicina potevano squagliarsela, prima di
essere
beccati in reato di violazione di domicilio. Badando a tener occhi e
orecchie
ben aperti, si lasciano alle spalle il cigolio di una delle porte della
palestra e, senza correre, si affrettarono a scavalcare il cancello per
mettere
quanta più strada possibile tra loro e chiunque fosse entrato nel campo
da
basket.
“Fermi” disse Lidia ansimante “siete troppo veloci
e poi
siamo…” “lontani”. Si portò una mano al petto e una al muretto che
segnava il
nome della via. “No…Oh, no!”
E proprio mentre Lidia si tastava il collo e capiva
cosa si
era lasciata dietro, la mano di un ragazzo raccolse la catenina dal
ciondolo a
forma di chiave che, dopo la caduta, era scivolata sul pavimento della
palestra.
“Ragazzacci, lasciano bottiglie e sporcizia
dappertutto”
“Muoviamoci” disse la seconda voce maschile, mentre
si
metteva in tasca l’oggetto che aveva appena raccolto “Non siamo qui per
questo”
si passò una mano tra i capelli “Prima chiudiamo il portale e meglio
sarà per
tutti”.
“Odio questo lavoro”
Ignorando le lamentele del collega, il giovane si
fece avanti
e, portando una mano davanti al volto come per mostrare gli anelli che
aveva
sulle dita, disse:
“Revelio”
Una luce, che nessun umano avrebbe potuto guardare
senza
restarne accecato, avvolse l’intera palestra per mostrare ai guardiani
il
confine che era stato violato. Dal suo colore violetto, appresero due
notizie.
Quella buona era che nessun umano aveva accidentalmente varcato il
portale,
quella cattiva era che uno spirito aveva avuto accesso al mondo
terrestre.
“Afferra lo spirito, Edoardo. È ancora nelle
vicinanze”.
“Lo so meglio di te.”
Chiuse gli occhi e nella sua mente iniziò a
definirsi, con
pennellate bianche e nere sempre più precise, la stessa palestra che ad
occhi
aperti avrebbe visto a colori: spalti divelti, canestri senza rete, le
soffice
volute del portale e una macchia bianca dalle sembianze confuse presero
forma
nel suo personalissimo mondo parallelo. Era lui. Lo aveva trovato. Una
scarica
di euforia mista a compiacimento personale trasformarono la curva delle
labbra
indignate per il degrado della palestra in un ghigno soddisfatto e
strafottente.
“Sei mio!”. Alzò i palmi delle mani contro il
fantasma e lo
colpì con un onda d’urto tale da farlo indietreggiare fino ad
inciampare sull’ingresso
del portale.
“È ora di sigillare quel bastardo”.
“Clauditis te”
Con uno chiocco delle dita la nuvola viola si
dissolse e la
palestra tornò ad essere più desolata di prima.
“Stai attento a come parli. C’è andata bene solo
perché era
uno spirito malinconico. Se ci fossimo trovati di fronte ad uno spirito
iroso,
o peggio, ad un Viandante, le cose non sarebbero andate così bene”.
“Luca, smettila di farmi la paternale…” “ehi,
aspetta.”
Il viso sudato del ragazzo si contorse in una
smorfia e,
senza girarsi, fece un cenno stanco al suo compagno.
“Lascia perdere, torniamo a casa”.
Angolo dell'autrice:
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito. Se avete qualche commento o qualche appunto da fare, lasciate una recenzione o tuttalpiù contattatemi sul mio profilo di efp. Se invece non volete (per un motivo o per un altro), vi ringrazio ugualmente per aver letto fino a qui. Alla prossima.
D.