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Autore: ignisfatuus    02/09/2016    3 recensioni
I tuoi occhi scuri mi vibravano dentro, nel petto, si stringevano al mio cuore e lo scuotevano, riuscivano quasi a cambiargli ogni senso. I tuoi occhi erano bui ma la mia luce bastava ad accenderli, a farli scintillare come i cristalli di questo lampadario sopra alle nostre teste, questi assassini di luce che pugnalandola la fanno in mille pezzi. Colori.
Genere: Erotico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“...to all the things I‘ve lost on you
tell me are they lost on you?
Just that you could cut me loose...
after everything I‘ve lost on you.
Is that lost on you?
Baby, is that lost on you?”


LP - Lost on you









Uso la prima persona, proprio come fosse una confessione o, perché no, una lettera ad una te più anziana, saggia e anche un po' banale. Te lo dico, anche se già lo sai, ogni tanto ripetersi non fa mai male: tutto quello che volevo eri tu.
Tu, senza pretese, né particolari complicazioni. Per fortuna ho cambiato idea e, oddio, ci sono voluti anni, la sola consapevolezza oggi mi spaventa, ma al tempo stesso non posso fare a meno di ridere perché per quanto folle io possa sembrare adesso, questa assurda emozione è tutto ciò che di te mi rimane. Tra poco ti rivedrò, mi rivedrai, so che ne sei già a conoscenza ed è forse stato questo dettaglio ad avermi dato più fastidio in assoluto. Devo però dirti per quale motivo sto scrivendo queste parole, ora con cautela ci arrivo, tu non darmi fretta e promettimi che riuscirai ad essere paziente e a stringermi come facevi poco tempo fa, quando ancora sapevi fingere di sapermi amare più di quanto già non avessi iniziato ad odiarmi.

A questa serata mi ci hanno letteralmente trascinata, non so se mi spiego. Ma cosa dico, lo sai, non sono mai stata un’appassionata di party esclusivi, delle cene formali, di quegli incontri in cui ci si guarda dall’alto al basso, sentendosi sempre migliore del prossimo. Dio, quanto detesto certi atteggiamenti, e pensare che una volta, ad incastrarmi in cose del genere, eri tu col tuo lavoro da onorare, con i tuoi colleghi da presentare, per poi lasciarmi in balia di quelli che neanche il tempo ha smesso di rendere ai miei occhi, solo dei sconosciuti dai sorrisi sempre troppo formali. Non so neppure io, ecco, il perché mi trovi qui questa sera, nella mia camera a fissare il mio riflesso allo specchio mentre mi accingo a scegliere cosa indossare. Non lo so proprio eppure ci sono, sebbene sia consapevole dei rischi che correrò tra poco… rischi che hanno il profumo di donna, non di una qualsiasi, e l’aspetto di un ricordo ancora troppo recente per essere considerato tale. Ho indossato il primo completo che ho tirato via dal mio armadio, pantaloni e camicia perché di abiti da indossare come maschere, quelli proprio non ne ho. Non ne ho mai avuti, a differenza di te che nel corso degli anni ne hai sfoggiati molteplici. Tessuti, colori, e tagli differenti. Ed io ero lì, pronta ad ammirarti, troppo piccola anche solo per potermi avvicinare e sfiorarti... con una mano, con il pensiero, con il bisogno di poterti confidare quanto, in fondo, stessi già morendo dentro. Raggomitolata nel tuo letto, sotto ad una coperta di fitti pensieri, tormenti, ascoltavo lo scroscio dell’acqua che ti cadeva addosso e immaginavo a quanto bella potessi essere anche in quel modo: vulnerabile, esposta, fragile come un’anima che non era ancora stata capace di volare, con quelle ali sempre troppo appesantite dal tormento tipico di chi non era in grado di amare.


Wishin' I could see the machinations
understand the toil of expectations
in your mind...
Hold me like you never lost your patience
tell me that you love me more than hate me
all the time
and you're still mine.



Ti ho lasciato sempre fare, ti ho lasciato sempre troppo spazio, e tu te lo sei pure preso tutto, lo hai fatto a tal punto che d’un tratto, quando me ne sono andata, ho pensato di essermi ritrovata con un pezzo vacante affondato dritto nell’anima. Non importa.
Ho detto basta a te, a me insieme a te, alle tue mani, al tuo corpo, alla tua esistenza che ha saputo infettare la mia. Ho detto basta come ad una dipendenza, a sentimenti bianchi, troppo luminosi, di un bagliore lunare che mi rischiarava pallidamente, come luce artificiale. Anche oggi mi vesto di abiti che non mi appartengono, ma questa sarà l’ultima volta, perché mentre nuda mi accarezzo, riesco già a non pensare alle tue mani che un tempo scorrevano sopra e dentro di me, insinuanti come i più subdoli dei desideri. Lo sguardo sul mio letto ci cade a tradimento, e se rivedo noi due, intrecciate, sudate, affamate, al suo interno, è solo perché il tuo odore, improvvisamente, mi satura il petto. Ho trovato la tua sciarpa, di seta viola, di quel colore che dicevi fosse il frutto della nostra unione di anime. È pregna del tuo odore ed è colpa sua se sono finita a ripensare a noi due, al tuo rosso prepotente che cercava di sbiadire il mio blu che dicevi essere “selvatico”.

Quel mio colore non hai mai cercato di annientarlo, solo di renderlo meno vivido, ma alla fine che cosa hai ottenuto? Ci hai mai pensato? Paradossalmente, il contrario. Me lo hai acceso dentro, quel colore, più di quanto già non fosse. E mentre mi stringevi tra le lenzuola, mentre mi baciavi sulla bocca, graffiavi la pelle, succhiavi via il respiro… immaginavi, ti chiedevi mai se ci fossero cose che mi ero lasciata alle spalle per te? No, non puoi immaginare quanto io abbia perduto per te, quanto ho puntato e perso su noi due. Insieme.
Senti, a me non importa: voglio festeggiare questo ultimo incontro lasciando la mente libera di andare e perciò sono pronta, manca il trucco ma non importa, mi siedo sul letto e provo ancora una volta a ricordare. Ci impiego veramente poco, e questo penso sia crudele, a sentire di nuovo il tuo corpo sbattere sudato contro il mio, le tue mani possessive a stringermi tra le dita, come fossi solo materia da plasmare. Materia informe, insignificante, a cui serve il tocco di un artista per prendere finalmente forma. Per avere un senso di essere. Mi baci, mi violi con la lingua, lo fai con le dita, le unghie che mi graffiano e insistenti mi trascinano in un abisso fatto di gemiti e respiri che mi soffocando piano.
Sei irruenta come sempre, ribellarmi è inutile, mi lascio colpire e affondare. Sudiamo insieme, affanniamo insieme, ci prendiamo, divoriamo, consumiamo e amo, amo, amo… sto già urlando! Ti tiro i capelli e mi stringo attorno alle tue cosce, intrecciate al centro di questo letto iniziamo a danzare. Ricordi i miei seni premuti ai tuoi? Ricordi quanto ti piaceva toccarli, baciarli e torturarli tra i denti? Ricordi le mie dita dentro di te a scavare, la mia bocca insaziabile che ti divorava il collo, che colorava di bordeaux la clavicola, la pelle appena sopra al seno? Ricordi i tuoi “piccolina” sussurrati, i miei tanti “shh” soffiati sulla tua bocca spalancata, quando gemevi fortissimo e provavo a zittirti. Invano. Ricordi i miei occhi che si facevano più grandi e scuri, le mie parole farfugliate senza senso alcuno e le mie mani che ti stringevano al mio bacino, forti, e ti guidavano verso l’infinito…? Ricordi gli orgasmi selvaggi, i corpi in visibilio, le gambe che ti tremavano per così tanto tempo anche dopo… tremavi tra le mie braccia per tutta la notte, nonostante la bambina fossi io. Tremavi, tremavi, tremavi così tanto e in tutti gli anni trascorsi assieme non ho mai capito se fosse piacere, stupore o solo puro terrore. La paura che dal tuo incanto il mattino dopo potessi svegliarmi, che di volare da sola non avessi più paura; perché, quante volte hai provato a lasciarmi andare? Esatto. Nessuna. Tra le due sono sempre stata io la più coraggiosa.
Come adesso che mi trovo in questa sala gremita di gente, la musica di un pianoforte a lasciar danzare le sue note. Mi guardo in giro con finto interesse, la luce dorata, appena soffusa, a rischiare sorrisi di cui non potrà mai importarmi niente. Mi avvicino ad un tavolo e ti trovo, non finalmente, e sei di spalle. Hai la schiena scoperta in uno scollo vertiginoso che si ferma per pudore appena prima del fondo schiena. Penso che sei bella, perché mentire e professare il contrario? Certe cose non cambiano.
Hai le scapole sporgenti e in un puro riflesso di pazzia, ripenso a quando a dipingerti quel punto del corpo era la bocca mia. Lo facevo con la lingua, con le labbra, con la bocca che ti baciava come se venerasse delle ali che erano ancora troppo timide per rivelarsi. Ho scoperto solo col tempo che tu di ali non ne hai mai avute, che quella mancanza la distruggevi spezzando un poco alla volta le mie.

Sfrontata come sempre mi sposto lungo il perimetro di quella superficie lucida e imbandita, mi ritrovo così al tuo cospetto, pur essendo ancora dall’altro lato. Mi siedo e ti osservo, splendida nel tuo vestito grigio perla che con quelle sfumature naturali sembra valorizzare ogni tuo colore. Il castano scuro dei tuoi occhi, il biondo cenere dei tuoi capelli sciolti e lunghi, quelli che un tempo tra le mie dita erano stati corti. Persino il rosso tenue della tua bocca, ora che non poggia più sulla mia, riesce a catturare e ad incantare la mia attenzione.
Quelle stesse labbra che ora sono piegate all’insù in un sorriso nuovo, sconosciuto, che non è per me – non ricordo neppure quando lo è stato l’ultima volta – ma è volto a qualcuno che ha saputo strappartelo via con il suono di una sola parola. Pensare che fino a qualche anno fa, così, sorridevi solo a me. Richiamando inevitabilmente la tua attenzione, alzo il bicchiere davanti ai miei occhi: è uno scudo che frappongo tra me a te, come a proteggermi.
Con un sorriso e un movimento di polso faccio oscillare il calice a tal punto che il liquido scarlatto sul fondo del cristallo inizia a vorticare su se stesso. In quel mulinello ci annegò la mia disperazione, la mia gelosia, la mia possessività che mi urla di alzarmi e trascinarti via. In quel baratro alcolico ci getto anche la rabbia, un’onda scura che mi è arrivata addosso senza darmi neppure il tempo di chiudere gli occhi e prendere un respiro profondo. Non respiro. Annego.
Muoio e sorrido ad un riflesso sbiadito che appare contro al vetro tiepido: un sorriso che non ha niente a che vedere con quello che ti ho appena visto fare ma che, nonostante tutto, vuole ancora una volta lottare. La nostra fine la leggo così, tra le righe di un discorso muto che io posso solo osservare da lontano, apparire piano sulle vostre bocche che in segreto già so che stanno facendo l'amore.
Quella donna dalla carnagione esotica, i capelli corti dal taglio di chi vive la vita osando, ti sta osservando e nei suoi occhi pallidi ci vedo il vivido bisogno di volerti smembrare, dilaniare, divorare pezzo per pezzo. E la cosa davvero terrificante, che più di tutte mi spaventa, è che tu pur essendone consapevole, perché lo sei, ti lasci fare ogni cosa. Ti lasci prendere da quello sguardo proprio mentre tutto avviene sotto al mio, di sguardo. Impotente. Calpestato. Gli occhi di chi sa già come andrà a finire ma che ormai è troppo stanco anche solo per alzare una mano e dare alle carte in tavolo un nuovo ordine.
Che a giocare d’azzardo, tra le due, sei sempre stata tu quella più astuta.
Allora ti sfido a vincere anche questa partita, tu che nella manica hai sempre avuto l’asso giusto e sulla bocca lo stesso sorriso di un Jolly beffardo, che la prima volta mi ha persino stregato. Vinci per te, per voi due ma non farlo più per noi. Questa volta mi faccio volontariamente da parte e ti osservo senza interferire, curiosa di vedere fino a dove riuscirai a farti trascinare; curiosa di sapere se dopo, quando tutto sarà finito, ti sarà facile ripercorrere la strada al contrario e ritornare da me, già sicura di poterti nascondere ancora una volta nel vuoto che tu stessa hai lasciato.


When you get older, plainer, saner
will you remember all the danger
we came from?
Burning like embers, falling, tender
longing for the days of no surrender...
years ago
and will you know.



Sai che cosa penso? Ad insegnarmelo sei stata tu, senza neppure saperlo. Che non è vero quello che si dice dei vuoti, che sono spazi fatti per essere riempiti. No, non è così che la penso e ne sono sempre più convinta ad ogni secondo che passo qui a questo tavolo, ad osservarti in silenzio. Il mio vuoto questa notte me lo tengo stretto, contro al petto, come fosse nostro figlio, lo stesso che una notte dopo l’amore mi avevi promesso e che invece, questa sera, fingi abilmente di avere già dimenticato.
Perché allora eri brava ad incantarmi, ubriacarmi, travolgermi e annientarmi. I tuoi occhi scuri mi vibravano dentro, nel petto, si stringevano al mio cuore e lo scuotevano, riuscivano quasi a cambiargli ogni senso. I tuoi occhi erano bui ma la mia luce bastava ad accenderli, a farli scintillare come i cristalli di questo lampadario sopra alle nostre teste, questi assassini di luce che pugnalandola la fanno in mille pezzi. Colori.
Li vedo vorticare sui volti dei presenti, scappare da ogni pelle solo per poter carezzare la tua. Lo vedo il rosso della nostra rabbia, sfiorarti la bocca, accendere le tue labbra. Vedo il verde di una vecchia speranza sparirti tra i capelli, il rosa antico di un primo bacio nascondersi nell’ombra della tua gola.
Il blu di quella passione, che so non dimenticherai (perché almeno questa sono stata brava a cucirtela addosso) ti colora lo sguardo… sì, quel colore, il mio, ti copre gli occhi e quella che per te è solo l’ennesima sconosciuta, neppure è in grado di percepirne la consistenza. Mi fa davvero una gran pena. E no, questa volta non è la gelosia a farmi parlare, bensì la magia di una illuminazione che mi aiuta, con estrema lucidità, a ragionare. Il mio colore te l’ho tatuato addosso, non ti lascerà mai libera di fingere che io non ci sia più nella tua vita.

A noi, che del destino ne abbiamo riso nella luce bianca di una Luna sempre troppo piena, ora io voglio brindare.
Alzo di nuovo questo calice e con esso anche i miei occhi, posandoli sul tuo volto che, forse richiamato dal vociare insistente dei miei pensieri, si è voltato di nuovo nella mia direzione.
Brindiamo. Per una illusione lunga anni, pianti, silenzi, bugie, troppi sentimenti.
Brindiamo. A te, Regina di cuori, al tuo cuore che non sarà mai più rosso, perché quel colore te l’ho appena strappato via di dosso, dalla bocca che ora mi fissa schiusa e stupita.
Brindo a te e alla tua nuova vita, ti auguro di vincere tutte le tue future scommesse, di continuare ad essere abile nel tuo gioco di carte, lo stesso a cui da questa sera ho smesso ufficialmente di partecipare.
  
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