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Autore: HarleyHearts    02/09/2016    1 recensioni
Chiara Mirosi è una giovane ragazza che vive, insieme alla sorella maggiore Lavinia, in un piccolo trilocale a Milano.
Ha due migliori amici: Enrico, con cui condivide la passione per i fumetti e i videogiochi, ed Elisa, omosessuale dichiarata dall'età di 15 anni e "Grillo Parlante" del trio.
Steven Giliberts è un ragazzo italo-canadese che, caso vuole, vive nella stessa palazzina della ragazza, con un'esperienza traumatica alla spalle che l'ha spinto a trasferirsi nella città Natale della madre.
Un'esperienza traumatica che ha visto il padre del ragazzo togliersi la vita con un colpo di pistola, e la sorella minore di appena 11 anni bloccata su una sedia a rotelle.
Tra i due nascerà subito una splendida amicizia, avendo numerosissime passioni e gusti in comune, e chissà... Forse, da una semplice amicizia potrebbe nascere qualcosa di più.
- Prima storia della serie "Love is in the air"-
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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capitolo 1 capitolo 1
Lighter
Capitolo 1

I raggi, che filtravano dalla piccola finestra rettangolare dell'appartamento, illuminavano l'ambiente di una dolce luce mattutina.
Nonostante fossero solo le 6:30 del mattino, si poteva udire perfettamente il rumore frenetico del tipico traffico milanese.
I primi tempi in cui mi ero trasferita in quel piccolo trilocale, insieme a mia sorella maggiore Lavinia, avevo faticato non poco a prendere sonno.
Eravamo cresciute entrambe in un piccolo paesino di campagna, sperduto tra il verde della provincia milanese, dove regnava una quiete perenne sia di giorno che di notte.
Per questo, quando tre anni prima avevamo preso la decisione di trasferirci nella capitale della moda, prendendo quell'appartamento in zona Loreto, avevamo faticato entrambe ad abituarci al suo ritmo incalzante e frenetico.
Le prime notti erano state un vero incubo, ma alla fine avevamo imparato a conviverci.
Mi alzai dal letto a fatica, trascinandomi con passo pesante verso la cucina/soggiorno.
Nell'aria aleggiava ancora l'odore di caffè appena macinato, e nel lavandino c'erano i resti di una colazione appena consumata, sicuramente da mia sorella.
Lavinia, oltre ad essere più grande di me di ben dieci anni, lavorava come medico in un ospedale della città e per questo, nonostante vivessimo insieme, ci vedevamo quasi esclusivamente di sera, ma mai con frequenza.
Molto spesso capitava infatti che non ci vedessimo anche per un paio di giorni, tanto i nostri orari erano incompatibili.
Trattenni malamente uno sbadiglio, mentre premevo il pulsantino per azionare la macchinetta del caffè, per poi prendere la mia tazza in ceramica nera con su il simbolo di Batman dalla credenza.
Era una delle mie tazze preferite, e me l'aveva regalata il mio migliore amico Enrico un paio di Natali prima, insieme ad una bellissima action figure del Joker, che faceva bella mostra su una delle mensole della mia cameretta.
Enrico Ferri era il mio migliore amico dai tempi della terza media, ed eravamo veramente inseparabili.
Insieme alla nostra altra migliore amica, Elisa Roselli, formavamo il magico trio.
Io e lui avevamo in comune una grandissima passione per il mondo dei videogiochi e dei fumetti.
Eravamo entrambi due Nerd di prima categoria, e con la "N" maiuscola.
Elisa tollerava bene o male questa nostra passione, anche se lei non la condivideva minimamente.
Diceva sempre che i suoi interessi erano altri, e che cose simili non le sarebbero mai interessate.
Il trillo del telefonino attirò la mia attenzione così, con una tazza di Bat-caffè nella mano sinistra, risposi alla telefonata.
- Buon giorno, Chiara Chiaruccia. Come sta la mia ragazza preferita? -
Non riuscì a non trattenere un sorriso, riconoscendo la voce del mio migliore amico.
- Assonnata - risposi, lanciando una rapida occhiata all'orologio appeso al muro davanti a me - Te, Rico? -
- Bene, dai - lo sentì sospirare - Ti ho chiamata perchè al negozio di mia zia sono arrivati dei nuovi arrivi ieri sera, e tra questa mattina e oggi pomeriggio dovrebbero arrivarne degli altri. Mi ha detto di avvisarti prima, visto che oggi pomeriggio sei da lei -
Per potermi mantenere, e per poter guadagnare anche qualche soldo in più, avevo iniziato due lavori part-time.
Uno come commessa in un negozio d'abbigliamento e l'altro, sempre come commessa, ma nella libreria della zia materna di Enrico.
Sofia, la zia di Rico, gestiva una piccola libreria nei pressi di corso Buenos Aires dove, sia io che il mio amico, andavamo a dare una mano tre volte a settimana.
Quel posto era il mio piccolo antro incantato, e il buon 90% dei libri che componevano la mia collezione li avevo presi proprio da lei.
Era una donna tanto cara; mi faceva sempre qualche sconto di favore quando andavo lì a comperare qualche libro, e molte volte capitava che insistesse nel non volermi far pagare.
Mi vedeva come parte della sua famiglia e le dispiaceva farmi pagare tutti i libri che prendevo da lei, come a me dispiaceva quando si impuntava nel non volermi far pagare. Su questo discutevamo tanto, quasi ogni volta che andavo da lei in negozio.
Essendo la libreria di Sofia aperta anche fino a tardi, facevo i turni serali il martedì, il giovedì e il venerdì; mentre lavoravo lì di pomeriggio solo di sabato.
Lavoravo come commessa nel negozio d'abbigliamento invece il lunedì, il mercoledì e il venerdì di pomeriggio, e il sabato di mattina.
Dove trovassi il tempo per andare in Università, studiare ed uscire con gli amici proprio non lo sapevo.
- Ok - dissi, prendendo un sorso di caffè macchiato - Questa sera usciamo a bere qualcosa tutti e tre insieme? -
- Elisa non c'è - mi avvisò - Ha un appuntamento questa sera - spiegò, poco dopo, cogliendomi impreparata.
- Come un appuntamento? Con chi? - chiesi, curiosa.
La nostra amica non mi aveva detto niente. Che strano.
- Con la sua compagna di Università. Ti ricordi la famosa bionda e gnocca? Alla fine ha ceduto al suo intenso corteggiamento. Quando ci si mette, Elisa è capace di far capitolare chiunque -
Conobbi Elisa il primo anno di superiori, e già da allora affermava di essere omosessuale convinta.
I nostri vecchi compagni non la vedevano di buon occhio all'epoca, troppo ottusi ed arretrati per comprendere che persona meravigliosa avevano in classe, ma a me non era mai importato.
Non era l'orientamento sessuale a fare una persona, ma purtroppo questo in molti non riuscivano a comprenderlo.
Sapevo che Eli da un paio di mesi aveva iniziato a fare una corte spietata ad una sua compagna di corsi, la famosa bionda, ma quest'ultima sembrava non volerne sapere della mia amica.
Sembrava.
- Ma dai! - esclamai sorpresa, e felice allo stesso tempo per lei - Allora domani resoconto dettagliato - lo avvisai, con un sorriso sulle labbra.
- Ovvio, tesoro - lo sentì ridacchiare - Facciamo serata maratone e schifezze? Ti faccio provare quel videogioco di cui ti parlavo l'altro giorno in negozio -
La proposta era allettante, non potevo negarlo.
- Va bene. Approfittiamo dell'assenza di Eli brontolona per nerdare pesantemente -
Tendenzialmente facevamo sempre così: quando Eli non c'era, ci dedicavamo alle nostre piccole maratone nerd.
Una volta avevamo provato ad invitarla, ma non aveva fatto altro che brontolare per tutta la sera e da lì si è sempre rifiutata di partecipare una seconda volta.
Da qui il soprannome "Eli brontolona".
Seppur Eli non condividesse le nostre stesse passioni, non ci aveva mai giudicati, a differenza di molte altre persone nel corso delle nostre vite.
Avere queste passioni mi aveva creato non pochi problemi, soprattutto durante le medie e tutti gli anni delle scuole superiori.
Viviamo in una società in cui, se hai delle preferenze differenti dalla maggior parte della popolazione, vieni immediatamente additato come "strano" e "diverso". Che tristezza.
- È meglio se ti lascio, Rico. Devo prepararmi per andare a lavoro. Ci vediamo oggi pomeriggio da tua zia -
- Va bene, Chiaruccia. A dopo -
Salutato Enrico molto velocemente, e finita la tazza di caffè, mi precipitai in camera per prepararmi e andare a lavoro.
Lavoravo al "Florida's beach" da un paio di anni, più o meno da quando mi ero trasferita.
Era un piccolo negozietto, distante cinque minuti di metro da casa mia, che vendeva principalmente abbigliamento maschile, ma ne possedeva anche di femminile.
Ero stata assunta grazie ad un'amica di Lavinia, che caso volesse essere la sorella della proprietaria del Florida's, alla disperata ricerca di una nuova giovane commessa.
La paga non era un gran che, ma a me andava bene così.
Insieme a quello che mi dava Sofia per il lavoro in libreria, riuscivo a pagarmi la retta dell'Università.
Per le bollette, purtroppo, facevo un po' fatica a pagare sempre la mia parte, e molto spesso interveniva mia sorella.
Cercavo di pesarle il meno possibile, ma certe volte era dure; davvero molto dura.
Ero stata anche tentata di cercare un altro lavoro, ma di adatti alla mia situazione e ai miei orari era difficile trovarne.
Dovunque andassi, cercavano sempre persone con un'esperienza lavorativa alle spalle o che parlassero mille lingue differenti, compreso elfico e dothraki.
Non sia mai che a Thranduil venga la pazza idea di andare a comprarsi un paio di scarpe da ginnastica, e non ci sia una commessa che non parli la sua lingua. Giammai!
Anche gli elfi hanno diritto a fare acquisti al di fuori della Terra di Mezzo.
Indossata la divisa del negozio, composta da un pantalone nero e una t-shirt del medesimo colore con su il variopinto logo del negozio, legai i lunghi capelli castani in una coda alta e fissai il ciuffo laterale con una mollettina.
Avevo maledetto innumerevoli volte quell'idea malsana di ritagliarmi il ciuffo, che mi contornava il lato sinistro del volto; era già la seconda volte che avevo fatto lo stesso errore e, molto probabilmente, in futuro ce ne sarebbe stata una terza.
Presi al volo la giacca di jeans, e la borsa di tela con le chiavi di casa al suo interno.
Mentre uscivo dall'appartamento e chiudevo la porta in legno chiaro, incrociai la mia vicina di casa che stava appena rientrando.
La signora Rosalia era una vecchia e simpatica donna, dal sorriso contagioso e dall'incredibile bontà.
Fin dai primi tempi in cui io e Lavi ci eravamo trasferite là, era sempre stata molto gentile con noi.
Mi ricordo ancora lo stupore che ci colse, quando Rosalia venne a bussare alla nostra porta con tra le mani una teglia rotonda di torta al cioccolato.
Oltre ad essere gentile e cordiale come poche persone al mondo, era anche molto loquace.
Molto spesso si fermava a parlare con me e mia sorella, e ci invitava quasi sempre a prendere una tazza di the al limone in sua compagnia; un invito che accettavamo più che volentieri.
Rosalia era una persona deliziosa, tanto dolce ma purtroppo anche tanto sola.
Aveva perso il marito quasi sette anni prima, in un terribile incidente stradale, e i suoi unici figli non andavano mai a trovarla.
Molto probabilmente non si sentivano nemmeno via telefono.
L'anziana donna aveva cercato di riempire il vuoto che aveva dentro con i suoi piccoli cuccioli di Welsh Corgi, Briciola e Cannella, ma purtroppo un vuoto come il suo era quasi impossibile da colmare.
In tutto il palazzo Rosalia era ben voluta da tutti, ed io e mia sorella eravamo quasi diventate una sorta di figlie adottive.
- Buon giorno, Rosa. Come stai? - la salutai cordiale, con un lieve cenno della mano, mentre sistemavo il mazzetto di chiavi nuovamente all'interno della borsa di tela.
- Buon giorno, Chiara. Io tutto bene, grazie. Te invece? Come mai sei già sveglia, cara? - chiese la donna dai capelli nivei, avvicinandosi con passo tremolante.
Mi sistemai una ciocca del ciuffo, sfuggita alla molletta, dietro all'orecchio.
- Devo andare a lavoro. Mi hanno aggiunto un turno di sabato mattina, da un paio di settimane - le spiegai - Te, invece? Come mai così mattiniera oggi? -
- È appena venuto quel ragazzo così gentile, del quarto piano, a prendere le mie cagnoline, per far fare loro una passeggiata al parco. È così gentile, ed è anche carino - aggiunse, con fare complice, regalandomi un simpatico occhiolino - Ed è pure single! -
Ridacchiai leggera per l'imbarazzo, con le gote colorate di un lieve rosa.
- Non mi interessano certe cose, Rosa, ma grazie lo stesso - la ringraziai, prima di salutarla augurandole un buon proseguimento di giornata.
Sarei rimasta molto volentieri a parlare ancora con lei, ma dovevo correre per andare a prendere la metro, se no sarei arrivata in ritardo in negozio e dovevo ovviamente evitarlo.
Riuscì a salire sul vagone della metro per un soffio, tanto da dovermi chinare lievemente in avanti per la fatica della corsa fatta.
Per un attimo, credetti pure di essermi giocata un polmone.
Quel giorno a lavorare con me c'era anche un'altra commessa; una ragazza poco più grande di me di nome Stefania.
Era una tipa silenziosa, che parlava davvero di rado, ma sotto sotto non era malaccio.
Quando arrivai al "Florida's Beach", la mia collega aveva già aperto e la trovai intenta a ripiegare alcune magliette su uno scaffale.
Essendo arrivata con qualche minuto d'anticipo, sulla strada mi ero fermata in un bar vicino in cui andavo ogni sabato mattina per prendere i caffè, e ne avevo presi due d'asporto. Uno macchiato per me, ed uno normale per la mia collega dai tinti capelli rossi.
Per me la giornata non iniziava prima del secondo caffè.
Ero una di quelle persone fortemente dipendenti dalla caffeina, e senza faticavo a vivere.
- Buon giorno, Stefy - la salutai, con un sorriso sulle labbra, appoggiando entrambi i bicchierini di carta sul bancone nero e lucido della cassa.
- Ti ho preso il caffè. Nero e senza zucchero; come piace a te -
- Grazie, Chiara. Sei un tesoro - mi ringraziò, ricambiando il mio sorriso di poco prima, mentre si avvicinava.
Le porsi il suo bicchierino, e presi a versare una bustina di zucchero nel mio.
Il Florida's non era molto grande come negozio, ma aveva una bella atmosfera. I muri erano di uno scuro nero, con su diverse stampe floreali e foto appese qua e là, e l'unica luce proveniente nella stanza veniva dalle luci al neon appese al soffitto.
Fortunatamente la mattinata in negozio passò molto veloce, tra la visita di un paio di clienti e la riorganizzazione del magazzino.
Verso mezzogiorno e mezzo ritornai a casa, e pranzai con un tramezzino al pollo comprato per strada.
Anche se la libreria di Sofia apriva alle tre in punto, mi sarei dovuta recare lì almeno un'ora prima dell'apertura per aiutarla con gli scatoloni dei nuovi arrivi.
Sospirai, buttandomi per un secondo sul divano foderato in stoffa nel piccolo soggiorno, con gli occhi fissi sul televisore spento.
Mi ricordavo ancora la lunga litigata che avevo fatto con Lavinia per far sì che ne prendessimo uno.
Lei sulle prime non era intenzionata a prenderlo perché sosteneva che potevamo fare tutto via computer, senza l'ausilio di uno "stupido televisore", ma non mi ero mai trovata d'accordo con il suo pensiero.
Alla fine, dopo mesi di suppliche pre-trasloco, ero riuscita a convincerla.
Ero una che puntava molto sull'esasperazione delle persone.
Per la seconda volta nella giornata andai a cambiarmi, dopo una rapida doccia, e mi diedi una sistemata alquanto frettolosa.
Mi tolsi la divisa del Florida's e la buttai malamente sulla sedia della scrivania, insieme agli altri vestiti lì momentaneamente appoggiati.
Presi un jeans sbiadito e leggermente largo, a causa degli anni di usura, ed una maglietta semplice bianca.
Al negozio di Sofia non c'era l'obbligo di divisa, così sia io che Enrico potevamo andare con indosso i vestiti di tutti i giorni.
I capelli li legai ancora in una coda alta, per una questione di comodità e di praticità.
Mentre osservavo il mio riflesso nello specchio, spostai una ciocca di capelli castani da davanti agli occhi scuri e me la rigirai tra le dita.
Non mi piaceva molto il mio colore naturale; lo trovavo fin troppo banale ed ordinario, quasi spento.
Insieme al mio incarnato cadaverico, poi, stonava proprio.
Forse un giorno mi sarei decisa una volta per tutte, e li avrei finalmente tinti.
Finito di prepararmi, e prese le ultime cose che mi servivano, uscì sul pianerottolo di casa.
La porta dell'appartamento della mia vicina era aperta e, a qualche metro di distanza, la trovai intenta a parlare con qualcuno.
Era un ragazzo, più o meno della mia stessa età, che teneva ancora al guinzaglio i piccoli Corgi della signora Rosalia.
Doveva essere il famoso ragazzo del quarto piano.
Era molto alto, con un fisico asciutto ed atletico.
I capelli, leggermente più lunghi rispetto alla norma, gli ricadevano morbidi sulle spalle in tante piccole onde corvine, e la mascella era contornata da un leggero strato di barba ben curata.
Era davvero un bellissimo ragazzo, ma bello sul serio.
Ma non bello come un modello in una campagna pubblicitaria dello shampoo, assolutamente no.
Quello era il tipo di ragazzo che sognavi in sella ad un destriero dal manto scuro come la notte, nelle veci di un affascinante guerriero vichingo, proveniente dalle inospitali e fredde terre del nord, di ritorno da una battuta di caccia al cinghiale.
- Oh ciao, Chiara - esordì Rosa, notando la mia presenza e voltandosi nella mia direzione insieme al ragazzo.
- Lei è la ragazza di cui ti stavo parlando, caro - la sentì dire, rivolta al corvino - Vieni Chiara, così ti faccio conoscere questo giovanotto -
Poteva la mia vecchia vicina di casa improvvisarsi Cupido in quella situazione?
A quanto pare sì, dall'ampio sorriso che vidi fare capolinio sul viso della donna.
- Ti voglio presentare Steven, vive al quarto piano, ed è lui il ragazzo tanto gentile che porta a spasso Briciola e Cannella quasi ogni giorno. Lei è Chiara, la mia carissima vicina di casa; ti ho già parlato di lei un paio di volte -
In tutta quella situazione, mi sentivo incredibilmente a disagio, e avere gli occhi azzurri del corvino puntati addosso non aiutava per niente.
Steven mi porse una mano, con un luminoso sorriso stampato in volto - Piacere di conoscerti - lo sentì affermare, con un forte accento inglese.
Bello e pure straniero? Stavo male.
Con le guance ancora imporporate, risposi alla sua stretta di mano mormorando un - Il piacere è mio -
A primo impatto, Steven mi sembrò subito una bella persona.
Un ragazzo cordiale ed educato; qualità praticamente estinte nella maggior parte dei miei coetanei.
Sfortunatamente non rimasi molto a parlare con loro, dovendo correre in libreria e non avendo molto tempo a disposizione.
Per fortuna il negozio di Sofia si trovava proprio in Porta Venezia, una zona praticamente attaccata a Loreto, così impiegai davvero pochi minuti per arrivare.
Il negozio di Sofia era il mio piccolo antro di paradiso.
Non era una libreria dalle ampie dimensioni, ma rimaneva lo stesso ben fornita; con gli scaffali colmi di libri, che coprivano per intero tutte le pareti presenti, ed alcune librerie di dimensioni più ridotte sparse in più punti del negozio.
Le luci al neon bianche, poste sul soffitto, erano spente e l'intera stanza era illuminata dalla luce naturale del sole, proveniente dalle ampie e pulite vetrine all'entrata.
La zia di Enrico era già dietro al bancone in legno chiaro, munita di occhiali da lettura in ferro sottile ed elenco di fogli nella mano destra, su cui stava scarabocchiando con una biro blu qualcosa a me sconosciuto.
L'indomabile cascata di ricci castani era stata rinchiusa in una crocchia disordinata, ad un lato della testa, mentre gli occhi scuri scrutavano con aria critica i foglie pinzati.
Quando entrai, il campanello collegato alla porta d'ingresso annunciò il mio arrivo, e Sofia alzò fulminea gli occhi verso di me.
La vidi aprirsi in un ampio sorriso materno - Ciao, Chiara! - mi salutò, avvicinandosi per poi abbracciarmi con energia - Come stai? - chiese poco dopo, gentile.
- Bene - ricambiai il sorriso - Te, invece? -
La donna si lasciò sfuggire una smorfia, che andò ad incresparle le labbra sottili.
Ok, c'era qualcosa che non andava.
- Io bene... - rispose - Ma sono lievemente preoccupata per mio nipote - confessò, facendo impensierire anche me.
- Perché? Cosa è successo a Rico? -
- Non so come dirlo... - iniziò a parlare, incrociando le braccia sotto al seno formoso - È da quando è arrivato che lo vedo strano. Ora è fuori sul retro a fumare; a me non ha voluto dire niente, nemmeno mezza parola, magari con te sarà diverso... -
Sapere che il mio migliore amico non stava bene, mi fece correre sul retro del negozio.
La porta sul retro, che dava su un piccolo vicolo da dove facevamo entrare la merce in arrivo, era lievemente socchiusa.
La aprì e trovai subito Enrico, appoggiato al muro vicino, intento a fumarsi una sigaretta.
Dai mozziconi ancora fumanti a terra, dedussi che fosse già alla quarta di fila.
Non stava per niente bene.
Non appena si accorse della mia presenza, mi fece un sorriso tirato; forzato.
Quello era il segno che la situazione era più grave del previsto, insieme alle numerose sigarette fumate fin troppo velocemente per il nervosismo.
- Che è successo? - chiesi, togliendogli il pacchetto di mano.
Quel pazzo era già pronto ad accendersi una quinta sigaretta davanti a me e, nonostante fossi anch'io una fumatrice, avevo deciso di fermarlo; stava davvero esagerando.
Ci mise un po' a darmi una risposta, ma quando lo fece sgranai gli occhi.
- Marika -
Bastò quel nome, per farmi capire.
- Raccontami tutto -



   
 
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