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Autore: Domithilda    03/09/2016    0 recensioni
Non racconto di una partita di scacchi. E' la storia di un amicizia che, come dico nel testo, "è una storia vera". Due ragazzi che sembrano l'uno l'opposto dell'altro, eppure in qualcosa si somigliano (lo scoprirete leggendo), e un terzo, il protagonista.
Seppur non parlo della giocata vera e propria, gli scacchi c'entrano, sono centrali come la scacchiera lo è per una partita.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una partita a scacchi

Questa è una storia vera. Ed è una storia che danza sull'amicizia; una storia che coinvolge con voce suadente due persone, che esistono davvero! Ma di cui non farò nome.
Ma per parlare di come io li conobbi occorre parlar prima dei loro problemi.
Lui, uno dei due lui, è straniero ma, forse, più italiano di tutti noi. E lui, l'altro lui, non sta in piedi e non solleva le braccia al cielo. Può parlare, indica gli oggetti col cuore.
Il primo corre come il vento. Non è raro trovarlo a rincorrere le nuvole, a cercar di superare i fili d'erba piegati dal soffio sfrontato delle correnti d'aria. Gareggia con le onde del fiume. Il passo suo equivale a trenta passi di un normale umano.
Il secondo, invece, non è rapido. A non conoscerlo per nulla si potrebbe paragonare alle tartarughe, che lente arrancano sul letto di un fiume prosciugato, tra sassi difficili da superare. Eppure riesce a far ragionamenti anche complessi, è preciso più di tutti ed è un grande esperto di cucina.
I due non hanno quasi nulla in comune. Se non la scuola d'appartenenza. È questo che li fa incontrare, la scuola, quel posto ripudiato dagli studenti e al contempo ambito da chi non può averlo. Forse anche perché entrambi sono nobili. Non parlo di nobiltà di stirpe, parlo di quella nobiltà che pochi hanno ma che se tutti avessero il mondo sarebbe migliore, quella che cantavano certi poeti in un certo periodo. È buffo vederli insieme, sembra quasi che il ragazzo che corre corre anche per quello che non può e quest'ultimo si arrovella sulle questioni anche per l'altro.

Era un giorno caldo di una stagione sbarazzina, la Primavera. Il sole splendeva alto conferendo ai fiori quel giusto tepore per poter sbocciare in tranquillità. Il piazzale era più luminoso rispetto agli altri giorni, gli alberi tendevano i rami verso il cielo limpido, come per attingere maggiore forza. Dei tavoli erano disposti davanti alla gradinata in modo casuale ma tutti distanti il giusto. Giovani e anziani si agitavano ai margini, nuotavano tra gli spazi vuoti, sussurrando, guardando, indicando. Su ogni tavolo vi era adagiata una scacchiera sopra la quale, ordinatamente, erano disposte le pedine degli scacchi. Brillavano sotto il sole, sembrava che la cima di tutte fosse un diamante. Ai margini dei tavoli: gli sfidanti. Sguardo concentrato, puntato sulle caselle bianche e nere. Sorprendente: gli spettatori sembravano ancora più coinvolti dei giocatori. Gli occhi saltellavano da un viso all'altro, le labbra erano tormentate dai denti, le pellicine delle unghie venivano crudelmente strappate e una domanda straziava i cuori di tutti: Chi vincerà? Quelle due parole serpeggiavano sui visi, infondo agli occhi, fino all'animo, ma mai passavano per la labbra o si stiracchiavano tra la voce. Erano silenziose. Il silenzio sembrava regnare ovunque trasferendo fittizia tranquillità che mascherava l'agitazione. Il tavolo che destò la mia attenzione, però, non era affatto un tavolo silenzioso. Tutt'altro. I due sfidanti ridevano gioiosi e l'atmosfera era totalmente diversa. Mi sembrò di essere in una festa bizzarra: su tutti i tavoli regnava tensione, pareva tutto schiacciato, mentre su quell'unico tavolo spiccavano, come una roccia in mezzo al mare, le risa e i battibecchi amichevoli. Se tutto era grigio lì regnava l'arcobaleno. Non trattenendo la mia strabordante curiosità, scatenata da quell'insolita allegria, mi avvicinai. Ai margini di quel tavolo centrale vi trovai una coppia ancor più stravagante della situazione. Ovvero i due di cui ho parlato fin'ora. Vi giuro, se li vedesse insieme pensereste a due facce di due diverse medaglie. Lui (che non corre) di pelle così lattiginosa che sembrava poter bruciare da un momento all'altro sotto la luce primaverile, capelli d'oro, gli occhi turchini tenui, da far invidia ad un topazio.
Lui (che corre) di carnagione scura, i capelli corvini arricciati intorno al viso ed occhi così profondi da poter inghiottire il mondo. Sembravano racchiusi in un mondo tutto loro, attorno al tavolo non vi erano spettatori, gli unici a guardare e commentare erano loro stessi. E questo li divertiva più che mai. Un uomo tozzo con accenni di barba sul mento mi si avvicinò con fare circospetto “Li lasci stare, è la terza partita che giocano per conto loro, si sono segnati al torneo ma non stanno partecipando.” e s'allontanò sbuffando mentre scrollava le spalle. I miei occhi tornarono comunque a quel tavolo animato. Mi misi vicino a quello che corre e guardai interessato gli scambi di gioco.  Fu avvincente.
Entrambi avevano grande tecnica e abilità, nessuno dei due si lasciava intimorire da tranelli o mosse finte, quando ne scovavano una si ridevano in faccia con beffe cordiali. Lentamente e senza accorgermene entrai nella loro sfera ed iniziai a commentare con loro e loro commentavano con me. Ridevamo insieme ed era come se giocassimo insieme, ero un terzo sfidante che sfidante non era. Il sole si fece meno bollente e la primavera più fresca e gioiosa. Il tempo passò così in fretta che non me ne resi conto, credo nemmeno loro ci fecero tanto caso. Cambiammo i ruoli, mi fecero giocare prima con l'uno e poi con l'altro, mi trovai in grandi difficoltà eppure mai sentii quella tensione solita che abbraccia chi sta sostenendo una sfida. Nel mentre che le ore passavano loro mi raccontavano chi erano e ciò che facevano, io raccontavo di me ed insieme parlavamo.
Poi giunse la sera. La notte che vuol prevalere alla luce solitamente spazza via la giornata, la calma si impossessa di tutti e tutti tornano nelle proprie abitazioni, davanti ad un pasto caldo, sotto le coperte, sul divano. Così il piazzale si svuotò, uno a uno andarono via, e mi apprestai anche io a far ritorno.
“Torna a casa?” Mi parlò colui che corre, mentre muoveva le maniglie della sedia dell'amico.
“Non dovrei?” Chiesi ai miei nuovi conoscenti.
“Si potresti” Si intromise allora colui che non corre. “Oppure...”
“Oppure?”
“Oppure potremmo andar insieme a mangiare qualcosa e parlar di scacchi.”
Accettai quell'invito senza pensarci due volte.

È così che li ho conosciuti. Sono passati anni da quel luminoso giorno. A ripensarci ora mi vien da sorridere per la banalità di come ci siamo incontrati. È banale il modo in cui la vita può prendere vie inattese nel giro di poche ore. Tutti e tre abbiamo preso strade diverse, ci siamo separati col passare degli anni. Tuttavia il legame con cui siamo stretti è fin troppo solido per potersi corrodere nel tempo.

Oggi, un bel giorno di inizio estate, il sole splende alto. Solo un'altra volta ho visto i suoi raggi essere così potenti, era quasi cinquant'anni fa. In mezzo a giovani, troppo giovani, si mischiano vecchi fin troppo vecchi. I tavoli silenziosi sono coperti da un manto di tensione, eccetto su uno. Risa gioiose si levano al cielo e insulti amichevoli si scontrano accaniti. Mi avvicino.
Al margine un uomo stempiato i cui occhi incavati potrebbero inghiottire l'universo, dall'altra parte un uomo fermo su una sedia, i capelli candidi riflettono il sole e gli occhi il cielo.
Si voltano ed entrambi sorridono, c'è una sedia vuota accanto, mi seggo, dando il via ad una nuova partita destinata a durare per l'eternità.

  
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