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Autore: _Frame_    04/09/2016    5 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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N.d.A.

Buon compleanno a tutti! ^_^

Il primo settembre, giovedì scorso, abbiamo compiuto due anni di pubblicazione!

Il regalo di compleanno arriverà al capitolo 100. Stay tuned!

 

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95. Crisi e Amicizia

 

 

29 novembre 1940, Berlino

 

Francia districò le dita dalle ciocche di capelli, le carezzò con le nocche e le lasciò ricadere lungo il profilo del viso, fin dietro le spalle. Scostò la mano dalla guancia, se la posò sulle labbra e contenne un piccolo sbadiglio che gli fece scintillare le ciglia socchiuse. Riaprì di poco le palpebre, lasciando vedere due sottili spicchi color azzurro sbiadito, e proseguì la camminata attraverso il corridoio, marciando di fianco all’ufficiale in uniforme tedesca.

La pallida e lattea luce del primo mattino si rifletteva contro la neve incastrata nei cornicioni delle finestre, attraversava i vetri cristallizzati di ghiaccio, e si stendeva lungo le piastrelle di marmo in un lungo tappeto che rischiariva la loro camminata.

Svoltarono una curva, si immersero in un’ala del corridoio più stretta e buia con le finestre scavate nella parte più alta della parete, e l’ufficiale rallentò la camminata per stare più vicino a Francia. La sua ombra a investirlo e la sua presenza a stargli premuta addosso come un riflettore nella notte. Francia sentì un brivido di disagio percorrergli la schiena, pizzicargli la pelle ancora intorpidita dal sonno ed entrargli nelle ossa ancora irrigidite come legni secchi. Giunse le mani dietro la schiena, sollevò lo sguardo flettendo lievemente il capo di lato, e mostrò la guancia all’uomo con fare circospetto. La camminata così cadenzata gli faceva oscillare i capelli sulle spalle. Una sottile ciocca bionda gli sfuggì da dietro l’orecchio e gli piovve su un occhio, toccando il sopracciglio increspato in quell’espressione di disappunto, sulla difensiva.  

Venire a prelevarmi nel cuore della notte e portarmi a Berlino di fretta e furia senza nemmeno proferir parola.

Francia tenne gli occhi premuti sul viso dell’ufficiale scurito dall’ombra del copricapo. Lui non gli badò. Andò avanti a mento alto, spalle larghe, e facendo schioccare i tacchi sul pavimento come dei forti battiti di mani.

Francia sollevò le sopracciglia, morso dal dubbio e dal timore.

Qui deve essere scoppiato qualcosa di grosso.

Si immersero sotto uno spazio di corridoio più buio e freddo e Francia percepì ancora l’impronta della notte formicolargli addosso. Sciolse una mano da dietro la schiena e si strofinò un braccio, risalì fino alla spalla con il palmo e si strinse il mento fra le dita. Le sopracciglia inarcate, le palpebre ristrette, e un formicolio di disagio e sospetto a scavargli la carne.

Sarà per Gibilterra? Il tocco sul mento irrigidì, il passo rallentò, una fitta gli prese il cuore scaricando una scossa calda attraverso il petto. Sbarrò le palpebre, un barlume di vita e paura animò gli occhi sbavati di sonno. Oppure per Taranto?

Altra curva. I raggi di luce color neve sporca si stesero davanti a loro come lame, incrociandosi, e accogliendoli come due file di spade intrecciate. Il corridoio proseguiva.

Francia distolse lo sguardo dalla stazza dell’ufficiale che lo accompagnava. Si massaggiò il mento e tamburellò il polpastrello dell’indice sul labbro inferiore lievemente arricciato e ancora un po’ pallido per il sonno, come le guance.

Ma cosa potrebbero volere da me, in quel caso? si disse. Non hanno prove che io sia coinvolto nell’attacco.

I loro passi che schioccavano sulle piastrelle gli fecero vibrare le viscere. Francia sollevò un sopracciglio, si prese l’unghia dell’indice fra i denti e strinse di poco, celando l’espressione preoccupata sotto il lieve strato di ombra creato dai fili di capelli sparsi sul viso.

Che qualcuno abbia cantato contro di me?

Ruotò gli occhi verso l’ufficiale, lo percorse con lo sguardo dalle punte degli stivali fino alla cima del copricapo. Scivolò di un passetto più vicino a lui, raddrizzò le spalle, allargandole e sporgendo il petto infuori, e tornò con le mani dietro la schiena. Diede una piccola ed elegante scrollata al capo, e i capelli fluirono via dalle guance, cadendo dietro le spalle. Un minuscolo sorrisetto gli colorì le labbra.

Potrei anche provare a farlo cantare io per non arrivare del tutto senza difese.

Francia tossicchiò. “Dunque,” guardò la finestra che stava sorpassando alla sua destra, si finse indifferente, “chi mi desidera?”

L’ufficiale non mutò l’espressione che pareva una maschera di granito. Prese solo un cortissimo sorso d’aria. “Non sono autorizzato a rivelarle alcuna informazione, signore.” Accelerò il passo, e Francia dovette compiere un piccolo saltello per stargli dietro.

“Oh, suvvia,” chiocciò una risata, “non è necessario attenersi a tutte queste formalità.” Piegò il capo di lato, si infilò una mano fra i capelli e sparse una cascata d’oro sopra la sua spalla, sbattendo le ciglia. “Un’informazione piccola piccola.” Gli occhi dolci e ammalianti.

L’ufficiale inspirò e tenne lo sguardo fisso e rigido davanti a sé, come un cavallo con i paraocchi. La luce che arrivava di sbieco si incuneava fra le pieghe della sua uniforme, metteva in risalto le curve del petto, i muscoli tesi delle braccia raccolte dietro la schiena, carezzava la pelle del viso che sembrava scolpita sul marmo, e faceva scintillare i gradi appesi alle spalline.

Francia infossò un angolo della bocca nella guancia, tirando su un mezzo sorrisetto, e si avvicinò ancora di un passo. Si posò il dorso della mano sul viso, a riparare il movimento delle labbra, e camminò sulle punte dei piedi per arrivargli sopra la spalla.

“Ti hanno mai detto che hai proprio delle spalle ben piazzate e un visetto proprio caruccio?” Chiuse la frase con un lento battito di palpebre, le ciglia come ali di farfalla.

L’ufficiale voltò il capo, diede un piccolo colpo di tosse davanti al pugno chiuso, e si abbassò la visiera del copricapo sulla fronte. “Non funziona, signore.” Le guance si colorarono di rosa.

Il sorriso di Francia si stese, divenne sottile e seducente. “Mhm.” Vi batté di nuovo l’indice sopra, deliziato come se avesse appena succhiato un ciuffo di crema dolce dal dito. Portò il braccio davanti al petto, fece mulinare il polso, e un bocciolo rosso gli scivolò fuori dalla manica. “E funzionerebbe se ti regalassi una bella rosa rossa?” Francia sollevò la mano, raccolse la rosa fiorita dentro il palmo, e la porse verso l’ufficiale.

L’uomo scosse il capo, impassibile. “Nossignore.”

Francia avvicinò la rosa a una guancia, si carezzò la pelle con i petali freschi e umidi, di un profumo intenso e pungente, e fece boccuccia a cuore. La voce divenne liscia e setosa come un panno di velluto che scivola lungo la pelle. “E un bacino?”

L’ufficiale scattò scomponendosi per la prima volta. “Signore, la prego, si contenga.” Le guance rosse come il bocciolo, gli occhi di pietra incrinati da una crepa di imbarazzo.

Francia fece roteare lo sguardo al soffitto ed emise un piccolo sbuffo. Il sorriso si capovolse. Militari senza cuore, pensò, deluso. Rigirò la rosa fra le dita, facendo correre il gambo fra pollice e indice, e ne carezzò un petalo. Sospirò, avvilito. Non mi stupisco che non sappiano fare altro che ammazzarsi a vicenda. Fece di nuovo roteare il polso, schiudendo le dita a ventaglio, e rinfilò la rosa nella manica della giacca. Il suo dolce profumo si sciolse, lasciò spazio a quello del cuoio e del ferro che riempiva le pareti dell’edificio.

Il corridoio terminò con una porta soffusa dal tocco di uno dei raggi di luce. Il sole si stava alzando, splendeva sulla neve dei cornicioni riempiendo l’ambiente di un riverbero bianco e luccicante.

L’ufficiale fece un passo davanti a Francia e aprì lui la porta, spinse l’anta in avanti e si tenne in disparte, invitandolo a entrare prima di lui.

Francia portò un braccio davanti agli occhi e socchiuse le palpebre, riparandosi dalla luce più intensa della camera. Le finestre che arrivavano fino al soffitto concentravano la luce al centro della camera, scurivano le sagome nere di due figure che attendevano in piedi di fianco a una scrivania vuota. Una di loro rigida sull’attenti come l’ufficiale che stava accompagnando Francia, e l’altra raccolta in disparte, la spalla poggiata al muro, le braccia strette attorno al petto, e la fronte china a sfiorare la finestra.

Francia entrò. Abbassò il braccio dalla fronte, sbatacchiò le palpebre e le macchie di luce si dissolsero, rendendo la vista limpida. L’ufficiale lo seguì e chiuse la porta con uno schiocco.

Le due sagome si mossero. Quella ritta in piedi vicina alla scrivania voltò il capo, la luce si concentrò sui gradi militari cuciti sull’uniforme, si infossò nelle increspature della fronte corrugata, e gettò ombra sul suo sguardo austero. Il secondo ufficiale lanciò un’occhiata sia a Francia che all’uomo che lo aveva scortato lì. I suoi occhi si fermarono sul collega che ricambiò lo sguardo facendogli un gesto con il mento.

La seconda sagoma strinse le mani attorno alle spalle, facendosi più piccola. Restò poggiata alla parete e voltò la guancia, baciata di striscio dalla luce pallida come il suo sguardo. Occhi tristi, rossi e gonfi, carichi di stanchezza e lucidi come dopo un pianto durato un’intera notte, si girarono incontro a Francia.

Lui e Spagna incrociarono gli sguardi e Francia ebbe un breve sussulto, un vuoto al petto, che gli incollò i piedi al pavimento, fermandolo.

Il viso scarnito, infossato da ombre nere che si concentravano sotto gli zigomi, attorno ai grandi occhi incavati nelle orbite scure, cineree, appariva come una sottilissima maschera di carta bianca. Il verde delle iridi sfumava in un colore impolverato che ricordava quello di un bosco sommerso in un fitto banco di nebbia, freddo e silenzioso; sottili vene rosse tingevano il bianco del bulbo, ramificavano dagli angoli delle palpebre verso il centro, iniettando gli occhi di sangue. Le ciocche di capelli cadevano disordinate sulla fronte, sfioravano le sopracciglia e la punta del naso, coprendo le guance smagrite con la loro ombra. In mezzo a quello sguardo buio, gli occhi luccicavano ancora di più, come in preda a una forte febbre.

Francia ebbe una fitta al cuore. Per poco non lo riconobbe.

Al moto di pietà subentrò un rigetto di rabbia e risentimento. Francia strinse i pugni sui fianchi, aggrottò le sopracciglia lanciandogli un’occhiata dura, di accusa. Un filo di capelli scivolò sulla guancia e gli sfiorò le labbra increspate e vibranti di tensione.

La stanza si trasformò nella piccola capanna di legno immersa nel boschetto buio, solo la lanterna a olio riposta sul tavolo a illuminare la notte. L’aria si impregnò dell’odore del legno, della fredda nebbia che si infittiva nella foresta, del profumo della corteccia bagnata, delle foglie morte cadute a terra, e dell’aroma del vino Rioja appena stappato che schiumava dentro i calici.

“Devi promettermi che non farai una bravata delle tue per salvare Italia, d’accordo? Devi giurarmelo, Spagna.”

Francia capì quello che era successo. Le mani serrate tremarono e la rabbia rimontata dal petto infiammò la pelle ancora fredda, rendendo le nocche e le guance rosse. Cosa diavolo ha combinato? Schiacciò i piedi a terra, sigillò i pugni contro i fianchi, e si morsicò il labbro per contenere la voglia di andare là e mollargli uno schiaffo.

Spagna ricevette il suo sguardo infuriato. Arrivò come una frecciata, gli trapassò il petto conficcandosi nel cuore e piantando una scossa di dolore in mezzo alle costole.

Allontanò di getto il volto, nascose gli occhi sotto l’ombra dei capelli che oscillarono davanti alle palpebre, e anche le sue labbra tremarono, gli angoli della bocca torti verso il basso in un’espressione di vergogna e colpevolezza. Strinse di più le braccia attorno alle spalle, riparandosi il petto, e si fece piccolo nel buio angolino di fianco al vetro.

Girandosi verso la finestra, svelò la guancia bendata. Il viso era più gonfio sotto il rettangolo di ovatta tenuto fermo da due liste di cerotto perpendicolari. La pelle sfumava di rosso attorno alla benda, vene più grosse e scure salivano in rilievo e serpeggiavano sotto la fasciatura, dove il gonfiore si accentuava diventando quasi viola. Spagna sollevò una mano e se la posò sulla guancia ferita, restando chino, chiuso nella sua bolla di dolore che lo avvolgeva come una gelida nebbiolina nera.

Francia si accorse della guancia ferita, dei suoi occhi lucidi e gonfi di sofferenza, dell’alone di turbamento che lo circondava rinchiudendolo nell’angolino della camera. Ammorbidì lo sguardo, toccato da un soffio di compassione che raffreddò i nervi a fior di pelle, e gli occhi si impietosirono.

Guardò in disparte, pettinò via dal viso una manciata di capelli, districandoli dietro la spalla, ma tenne la voce fredda. Gli occhi socchiusi per non far notare che si erano inteneriti. “Buongiorno a lei,” disse. Il suo saluto cadde come un sasso in un pozzo, infranse la lastra di silenzio che rivestiva la stanza.

Spagna ruotò di nuovo gli occhi verso di lui, senza muovere il viso, in un breve scatto, e tornò a guardare fuori. Spinse di più la mano contro la guancia bendata e sospirò parlando contro le dita poggiate al viso. “Ciao.” Il tono bassissimo, un eco rauco e lontano di quello che era la sua voce.

Francia fece scivolare via le dita dai capelli, incrociò anche lui le braccia al petto e strinse le mani sugli avambracci. Si rivolse ai due ufficiali. “Perdonatemi, ma potreste gentilmente informarci su chi stiamo aspettando?” Il tono sempre morbido, ma più insistente di quando lo aveva chiesto nel corridoio.

L’ufficiale che aveva accompagnato Spagna fece un passo in avanti, si schiarì la voce e socchiuse la bocca, pronto a rispondere.

“Me ne infischio delle procedure, vi voglio fuori dai piedi. Là dentro dobbiamo esserci solo noi tre!”

Tutti e quattro gettarono gli sguardi contro la porta chiusa che aveva ovattato l’esclamazione proveniente dal corridoio. Passi violenti si avvicinarono, rimbombando fra le pareti, e uno scalpiccio più debole si mise a inseguirli, accompagnato da una voce più insicura e vacillante.

“M-ma signore, trattandosi anche di un paese che va contro la nostra politica, il protocollo prevede che –”

“Bene. Ora lo riadatto a modo mio!”

I due ufficiali si scambiarono uno sguardo perplesso, non ebbero tempo di commentare, e rimasero rigidi come pali.

Spagna mosse un timido passetto in avanti, lontano dal muro, ma sempre tenendosi stretto fra le braccia. Un barlume di confusione luccicò dentro gli occhi smorti, facendogli socchiudere le labbra bianche come gesso. Francia sollevò un sopracciglio, un primo pizzico di dubbio lo punse nel petto. Bruciava come quella voce graffiante, sempre più vicina, che lacerava l’aria sotto il suo passaggio.

“E se ve ne state là giuro che vi butto fuori a calci.”

“Ma signore, anche volendo non –”

 La porta si spalancò e si schiantò sul muro. Un’ombra si gettò all’interno della stanza, la luce bianca del corridoio incorniciò la sagoma che si era ingrandita all’entrata, e abbagliò gli sguardi di tutti. L’anta si scollò dal muro, tornò indietro trascinando con sé un velo di ombra, e immerse nel buio lo sguardo di Prussia fermo sulla soglia.

Gli occhi rossi penetrarono nella camera, squadrarono tutti come mirini, l’aria si caricò di una fitta elettricità statica che la rese più calda e difficile da respirare. Un terzo ufficiale gli arrivò alle spalle e si fermò, riprese fiato posandosi una mano sul petto, e si asciugò la fronte con l’altro braccio. Sollevò il capo, riaggiustò il bavero dell’uniforme, e compì un timido passo all’indietro, stando distante da Prussia.

Spagna sgranò le palpebre, affogò nel panico. Tornò a schiacciare la spalla al muro, gettò il viso alla parete e si nascose aprendo la mano sulla guancia ferita. Ingobbì le spalle, facendosi piccolo, e rimase rintanato nella sua stessa ombra di vergogna.

Lo sguardo di Prussia spianò la stanza, serio e profondo, e raggelò l’atmosfera, fermando anche i granelli di polvere congelati all’interno dei fasci di luce. Le palpebre si restrinsero sotto la curva delle sopracciglia, la voce suonò aspra e tagliente come una strisciata di cartavetrata sulla pelle.  

“Bene, bene.” Fermò gli occhi contro quelli di Francia, gli lanciò uno sguardo che gli fece rizzare i peli dietro la nuca. “Chi si rivede.”

Francia spalancò le palpebre, stese un passo in avanti, non cedette lo sguardo. “Tu?” Ricambiò l’acida gettata di disprezzo.

Prussia strinse una mano sul fianco e si premette il pollice contro lo sterno. Fece l’offeso. “Sì, io,” gracchiò, esibendo la punta di un canino.

Spagna, ancora nel suo angolino, cominciò a tremare tenendosi fermo il labbro inferiore con gli incisivi. Gli battevano i denti. Gelidi brividi di paura colarono attraverso la schiena come granuli di ghiaccio infilati sotto la maglia e lasciati sciogliere sulla pelle.

Francia distolse lo sguardo e si posò una mano sotto il mento. Sollevò le sopracciglia, tamburellò l’indice sul labbro, meditabondo. Quindi non c’entra Germania? Un breve attimo di tiepido sollievo gli fece distendere i nervi. Squadrò Prussia con la coda dell’occhio, da dietro un filo di capelli. Però, se Prussia si è tirato in mezzo, la cosa potrebbe essere più personale che politica e...

Lo sguardo gli cadde su Spagna – si era spostato più distante dalla finestra, stretto nelle spalle e con il viso così basso che non gli si vedevano gli occhi – e anche sui due ufficiali nella camera, che si guardavano attoniti.

Francia scivolò di un passo di lato e mirò la porta dietro le spalle di Prussia, sentendo un formicolio nascere sotto i piedi e risalire le gambe, dandogli ordine di uscire di lì.

Forse è meglio che me la squagli prima che vada a finire davvero male.

Prussia lanciò un’occhiata storta ai due ufficiali nella camera, strinse i denti. “Che fate ancora qua?”

Uno dei due, quello che aveva accompagnato Francia, balbettò una sillaba fra le labbra, “Ehm”, indicò l’altro, aprì una mano al soffitto e fece roteare il polso. Non seppe che dire.

Prussia gettò lo sguardo annoiato al soffitto e fece il gesto di chi scaccia un insetto con entrambe le mani. “Su, su, fuori, tutti fuori.” Li indirizzò alla porta.

I due ufficiali chinarono le spalle e si incamminarono, quello che aveva scortato Spagna si mangiò un’imprecazione fra i denti, senza farsi sentire. Francia scivolò dietro uno di loro, a passo felpato, e li seguì facendo finta di niente, esaminandosi con aria vaga le unghie di una mano, come stesse passeggiando fra le bancarelle di fiori al mercato.

Prussia allungò il braccio e lo agguantò per il colletto. “Non fare il furbo.” Serrò la presa. Francia sentì la pressione sulla gola, si fermò, ed emise un sospiro di sconfitta. Prussia lo tirò verso di sé senza guardarlo, aveva gli occhi premuti su Spagna. “Voi due state qui con me fino a che non lo decido io.”

Spagna deglutì, gli occhi lucidi tremolarono di paura, e le guance divennero ancora più bianche.

L’ultimo ufficiale uscì, sigillò la porta, e la camera piombò nel silenzio. Francia arretrò di un passo, tirato dalla mano di Prussia che continuava a stringere sul suo colletto, e la suola schioccò. Sembrò uno schioppo di elettricità attraverso quell’aria pregna di tensione come l’afa in estate.

Prussia gli sfilò la mano di dosso, ritirò il braccio, e si spazzolò la spalla. Lo sguardo più disteso. “Dunque, immagino che...” Notò per la prima volta la guancia bendata di Spagna e storse un sopracciglio. “Che hai fatto alla faccia?”

Spagna ingoiò un sussulto, buttò gli occhi fuori dalla finestra. Incontro alla luce lattea sembrarono ancora più smorti, come vetro impolverato, e il viso ancora più sciupato. Si posò una mano sulla benda, si tenne distante, mogio. “Germania mi ha dato un pugno.”

Prussia dovette spingere una mano sulla bocca e una sulla pancia per trattenere la risata da idiota. “Gnahah, ah ah.” Strizzò gli occhi e divenne tutto rosso.

Francia si girò guardandolo storto, un sopracciglio corrugato in segno di predica.

Prussia sputacchiò le ultime risa contro la mano, sogghignò con voce più bassa, e tornò a spalle dritte, portamento composto, rischiarendosi la voce. Strofinò una nocca sulla palpebra, le guance persero colore. “Be’, complimenti per avere ancora la testa incollata alle spalle.”

Spagna divenne scuro in viso, più triste che offeso, e guardò di nuovo fuori dalla finestra. La mano carezzò la guancia gonfia e bendata, le unghie grattarono i nastri di cerotto.

Prussia annodò le braccia al petto, di nuovo serio, la voce ferma, e camminò davanti a Francia, verso la scrivania vuota. “Immagino abbiate già capito tutti e due perché vi ho fatti chiamare qui,” disse, e il suono dei suoi passi continuò a riempire l’ambiente.

“Ci hai fatto trascinare qui,” specificò Francia. Si prese un filo di capelli fra le nocche e attorcigliò l’estremità ondulata attorno all’indice. Sollevò il mento, mostrando il profilo con vanto. “E hai anche rovinato il mio sonno di bellezza.”

Prussia scosse le spalle, indicò Spagna con una spolliciata. “Lui non l’ho trascinato. Poteva decidere.”

Spagna si massaggiò di nuovo la guancia. “Che senso aveva che mi nascondessi?” Chinò il capo, premette la fronte sul vetro sporco di ghiaccio, e abbassò le palpebre. Le labbra vibrarono, la sua voce era flebile e fredda come una brezza d’inverno. “Non ho più nulla da perdere.”

Prussia gli lanciò un sottile e pungente sguardo di ammonimento. “Oh, questo è ancora tutto da vedere, fidati.”

Spagna non rispose. Restò con la mano sul viso, la fronte sulla finestra, e i capelli schiacciati contro il vetro. Il volto così bianco e trasparente da somigliare al ghiaccio di quella mattina.

Francia si avvicinò di un passo a Prussia ma si tenne lontano dalla sua ombra, voltato di profilo, e con le braccia conserte a proteggersi il petto. “Germania sa che ci hai fatti chiamare?” domandò. Il tono cauto.

Prussia diede una scrollata di spalle e sbuffò. “Ovviamente no.” Si girò, gli diede la schiena, e si strofinò la nuca. “Anzi, dovreste ringraziarmi del fatto che sto pensando io personalmente a questa faccenda. Se West vi avesse sotto mano sapendo tutto quello che so io, vi frantumerebbe la testa.” Buttò un’occhiata a Spagna da sopra la spalla, accennò un sorrisetto crudele. “O finirebbe di farlo.”

Francia si mise davanti a Spagna senza dargli il tempo di ribattere e stese un braccio per tenerlo dietro di lui. “Oh, lascialo in pace, ne ha già prese abbastanza,” però anche lui girò la guancia e gli rivolse uno sguardo di rimprovero, “da quello che ho potuto capire.”

Il buio sul volto di Spagna si concentrò all’interno delle palpebre, gli riempì gli occhi lucidi, dandogli un’aria da offeso. “Grazie.” E si tornò a stringere nelle spalle. La mano non si era ancora scollata dalla guancia, le dita bianche e sottili quasi si confondevano con la benda.

Prussia sollevò un sopracciglio, scettico, e studiò gli occhi di Spagna, cinerei e senza vita, cerchiati di stanchezza e velati di dolore. Sul serio è bastato un pugno per stenderlo e farlo ridurre in quella maniera? Gli tolse lo sguardo di dosso, si avviò verso la scrivania. West deve averlo colpito con qualcos’altro, non solo con le mani, realizzò.

“Dunque.” Prussia premette le mani sulla scrivania e vi salì sopra con un balzo, sedendosi sul bordo. Accavallò le ginocchia, fece dondolare una gamba e strinse le braccia al petto. Le spalle larghe e la schiena dritta, a stendere la sua ombra attraverso la camera. Gli occhi brillarono, tornò la fiammella di rabbia che bruciò prima su Spagna e poi su Francia. “Uno di voi due avrebbe la cortesia di spiegarmi cosa cazzo è successo a Taranto?”

Spagna sentì quella parola – Taranto, Taranto, Taranto – e il sangue gli si ghiacciò in testa. Il freddo della paura e il calore della rabbia e dell’umiliazione si mescolarono nel petto, sollevarono uno strato di pelle d’oca che lo fece rabbrividire nel suo angoletto. Si strofinò la guancia con più forza – aveva ripreso a pulsare di dolore – e storse una mezza smorfia di rancore che tenne nascosta nel buio. Sussurrò: “Chiedilo a Inghilterra.”

“Chiedilo a Germania,” sbottò Francia, e il commento di Spagna cadde come un grano di sabbia nel deserto.

Prussia sventolò una mano. “West ha detto quello che poteva dirmi.” Schiacciò l’indice sulla scrivania e vi tamburellò sopra come se stesse premendo ripetutamente un pulsante invisibile. “Ora voglio sapere tutto per filo e per segno, senza strani giochetti.”

Francia soffiò un soffice sorriso di indifferenza e fece due passetti di lato, sventolando una ciocca di capelli dietro la spalla. “E perché noi dovremmo sapere qualcosa che tu non sai?”

“Senti,” gli fece Prussia, “so che prendere per il culo la gente è il tuo lavoro, ma non provare a farlo con me. Voi due,” sollevò il dito e li indicò entrambi, “sapevate di Taranto, prima ancora che cominciasse.” Ritirò la mano, la strinse sul bordo della scrivania. I suoi occhi intensi e accusatori andarono su Francia e arrestarono la sua breve camminata. “Tu per primo.” La voce bassa, quasi ci stesse male nell’ammetterlo.

Il silenzio ritornò a sommergere la camera. Fuori dalla finestra passò una prima soffiata di vento che fece scricchiolare il vetro, i rami degli alberi spogli ci sbatterono sopra e le imposte gemettero. Cupi cigolii seguirono l’ululato del vento, la luce del sole riflesso sulla neve sbiadì, tornò un velo di buio che raffreddò l’aria all’interno della stanza.

Francia cedette lo sguardo, si spostò anche lui verso una delle finestre. Sospirò, le spalle caddero basse. “Come l’hai capito?” Lo sguardo sconfitto ma sereno come quello che aveva mostrato sulla spiaggia di Dunkerque.

“Perché sei l’unico che avrebbe potuto dirlo a Spagna,” rispose Prussia. Tornò a raddrizzare le spalle e ad annodare le braccia al petto, tamburellandoci le dita sopra. Gli occhi austeri si riaccesero. “Chi te l’ha spifferato?”

Francia ancora non lo guardava. Gli occhi rivolti fuori dalla finestra erano azzurri e cristallini come ghiaccio appena formato. Inspirò. Inutile nasconderlo. “Inghilterra.”

Prussia stritolò i pugni contro le braccia, sciupandosi la stoffa delle maniche. Snodò un braccio dall’intreccio e scaraventò le nocche sul tavolo. “Porca puttana, lo sapevo.”

Il colpo secco del pugno sul legno fece sobbalzare Spagna. Il poveretto emise un piccolo sussulto, gli occhi annegarono in una luce di panico, le pupille si strinsero, e lui si tappò d’istinto la guancia colpita. Il ricordo del pugno tornò a premere sulle ossa, a far pulsare la pelle e a far vibrare il cranio.

Prussia sollevò la mano, si massaggiò le nocche arrossate, e girò lo sguardo in disparte. “Lieto di sapere che stai ancora incollato alla faccia del nemico pugnalandoci alle spalle.”

Francia soppresse una risata di scherno che gli affilò le palpebre. “Pugnalandovi?” Si tornò a voltare verso Prussia, il sorrisetto morì dalle sue labbra, gli occhi tornarono freddi e seri, il viso alto e senza paura. “Inghilterra non è un mio nemico,” disse, “e voi non siete i miei alleati.” Si posò il mento sul dorso della mano, flesse il capo di lato, facendo fluire i capelli in mezzo alle dita, e sbatacchiò le ciglia come una cerva innamorata. Fece gli occhioni dolci. “Io sono solo un povero prigioniero,” disse con voce zuccherina.

Prussia lo linciò con un’occhiataccia. “E stai sicuro che lo diventerai ancora di più dopo questo bel teatrino.”

Aggrottò la fronte. Ogni traccia di ironia sbiadì dal volto di Francia come una maschera di ghiaccio sotto il sole cocente. “Non è colpa mia quello che è successo,” esclamò. Gettò un braccio alla finestra, e alzò la voce. “Non ho detto io a Inghilterra di silurare il porto, e non avrei nemmeno potuto impedirgli di farlo.” Si batté la mano sul petto. “Se avete tutto questo tempo da perdere e tutte queste energie da sprecare con me, andate a prendervela con lui, piuttosto.”

Prussia annuì. “Già fatto, non ti preoccupare.”

Francia a quel punto esitò, una piega di dubbio e preoccupazione gli attraversò il viso, lo immobilizzò lì dov’era, il braccio ancora spalancato verso la finestra. Anche Spagna sollevò il capo, una punta d’ansia a ravvivargli il colore degli occhi.

Prussia diede una spolverata al tavolo, gesti superficiali e noncuranti come il suo tono di voce. “West gli ha già dato una bella castigata,” disse, e sfregò la polvere fra i polpastrelli. “Probabilmente ora sarà un colabrodo, non riuscirà nemmeno a reggersi in piedi. Altrimenti fidati che avrei fatto trascinare qui anche lui.”

Spagna fece scendere la mano dalla guancia e se la posò davanti alle labbra. Gli occhi impauriti si abbassarono in mezzo ai piedi. Lo stanno continuando a bombardare? Uno strano formicolio gli creò una spirale di disagio dentro lo stomaco, sollevando un senso di nausea. Spagna si morse il labbro. Però...

Lo rivide in piedi davanti al cielo notturno, i fumi delle esplosioni a galleggiargli attorno alle gambe, gli occhi incattiviti che guardavano in basso, l’ombra stesa sotto i capelli che li faceva scintillare, e le mani strette in tensione, le vene gonfie e le ossa sporgenti, circondate da scintille rosse, che avevano appena scagliato i colpi addosso al corpo di Romano.

Anche se in quel momento lo avrei voluto fare anche io...

Spagna si strofinò il braccio, sentendosi ancora più colpevole di prima. Socchiuse gli occhi e si appoggiò al muro.

Non riesco proprio a sentirmi bene come avrei immaginato.

“Io...” Francia si voltò, chiudendosi nelle spalle. Lo sguardo scosso, gli occhi ingrigiti da un sentimento di colpevolezza. I capelli ricaddero sulle guance e sfiorarono i sottili movimenti della bocca. “Io gli avevo detto di non immischiarsi.” Indicò Spagna e sollevò lo sguardo su Prussia, le sopracciglia inarcate. “Mi aveva dato la sua parola.”

Prussia levò i palmi al cielo, incredulo. “E tu gli ha creduto?”

“Ho voluto crederci.”

“Anche dopo la cazzata delle Ardenne?” Prussia balzò giù dal tavolo, le suole emisero uno schiocco secco. Due falcate pesanti e si piazzò davanti a Francia, fronteggiandolo. Aprì un braccio verso Spagna, e all’incredulità degli occhi si unì l’asprezza della voce indignata. “Anche dopo aver realizzato che la sua testaccia vuota non sta facendo altro che creare un danno dietro l’altro?”

Spagna inarcò un sopracciglio. “Ehm.” Sollevò la manina davanti alla spalla. “Io sono qui.”

Prussia e Francia si voltarono all’unisono, pugni serrati e visi neri. “Chiudi il becco!”

Spagna incassò la sgridata ma sentì una brace di energia fargli scattare qualcosa dentro, pungergli il cuore umiliato. Avanzò di un passo, indicò Francia e rivolse a Prussia uno sguardo più fermo. “Lui ha più responsabilità di me dietro a tutto questo!”

Francia si voltò completamente verso di lui, il viso immutato. “Ma tu mi avevi promesso che non avresti fatto stupidaggini.” Premette un indice sull’aria, contro il petto di Spagna. “Mi avevi dato la tua parola!”

Spagna stropicciò la fronte, gli occhi tristi e arrabbiati, lucidi come biglie di vetro. “Non mentire, sapevi che l’avrei fatto comunque. Sapevi che...” I pugni strinsero contro i fianchi, le spalle tornarono indietro, lo sguardo scivolò sul pavimento. Spagna prese un breve respiro simile a un singhiozzo, trattenne un fremito delle labbra. “Che non sarei riuscito a starmene indietro. Sapevi chi c’era coinvolto, e sapevi che sarebbe finita in questa maniera. Tu hai...” Sollevò la fronte. Gli occhi gonfi e rossi, umidi e luccicanti, da far pena a una roccia. Le labbra vibrarono, gli angoli torti verso il basso, e lasciarono uscire un leggero lamento stridente. “Hai permesso a Inghilterra di fare una cosa simile.” Il peso nel petto si sciolse, andò a bruciare in mezzo alle palpebre, perle di lacrime traballarono in mezzo alle ciglia e rischiarirono il colore delle iridi.

Prussia lanciò una vaga occhiata a Francia, Francia indurì lo sguardo contro quello di Spagna. Nessuno dei tre aprì bocca.

Spagna si strofinò una manica contro gli occhi e parlò dietro il braccio. La voce scossa. “Hai deciso di spendere più tempo a convincere me di non intervenire, di non aiutare qualcuno che avrebbe sofferto,” fece scivolare giù la mano e svelò un viso più rosso ma occhi più vivi e fiammeggianti, “piuttosto che convincere Inghilterra a non fare del male a qualcuno.”

Francia sbarrò le palpebre, inorridito. “Che cosa stai –”

“Seriamente.” Prussia si intromise. Si rivolse a Francia e si mise a braccia conserte, un sopracciglio sollevato e l’altro aggrottato, la palpebra socchiusa e l’occhio scettico. “A che gioco stai giocando, si può sapere?” Sbuffò una risata cinica, compì un piccolo passo, allontanandosi. “Detta così, sembra quasi che tu sia complice di Inghilterra per l’attacco.”

Francia gli rivolse uno sguardo severo. “Non essere ridicolo,” si portò una mano sul petto, “io ero il primo a non voler vedere succedere una cosa simile.”

Prussia completò il passo e si fermò. Gli occhi di Spagna tornarono più placidi, la fronte distesa, le guance più pallide.

Francia guardò entrambi. “Credete che mi sia piaciuto quello che ha fatto Inghilterra?” domandò, e nessuno rispose. Si avvicinò di un passo a Prussia che gli dava la schiena e spinse anche l’altra mano contro lo sterno. “Non avevo alcun potere di fermarlo, altrimenti sarei stato il primo a impedire un disastro del genere, anche andando contro i miei stessi interessi.”

Prussia scrollò le spalle, si girò di profilo. “Perché non sei andato tu stesso a Taranto, allora?” domandò. “Se anche tu volevi impedire a Inghilterra di far del male a Italia, allora perché non hai agito di persona?”

Francia aggrottò la fronte e rivolse il viso al muro, pur tenendolo alto. “Io ho già dato le mie spiegazioni a riguardo,” rispose. “E non è che ho spifferato tutto per il bene di Italia o per quello di Romano. Non mi sarei mai intromesso fino a quel punto.” Flesse il capo e indicò Spagna con un’alzata di mento. “L’ho fatto per lui.”

Prussia sbatacchiò le palpebre, stropicciò la fronte, intontito. “Eh?” Rilassò la tensione sulle spalle, le dita si stesero sugli avambracci incrociati. Guardò Spagna, poi di nuovo Francia, inarcò un sopracciglio. “Che vuoi dire?”

Francia, in risposta, si posò una mano sotto il mento, sollevandolo leggermente, e inviò un’occhiata a Spagna. Un’occhiata distesa che diceva: Forza, diglielo tu.

Sul viso di Spagna tornò quel velo grigio di vergogna e colpevolezza che gli diede un aspetto smorto e sciupato. Girò la guancia, i capelli arruffati gli nascosero gli occhi. Parlò piano, a bassa voce. “Voleva...” Sollevò una mano e se la posò dietro la nuca, a coprirsi il collo. “Voleva avvisarmi in tempo,” mormorò, “in modo che io non mi deprimessi quando sarebbe successo.”

Prussia sbuffò, acido. “Balle.” Gli occhi ristretti, ardenti come braci roventi, sfilarono su entrambi, passando come una lama di rasoio che brucia sulla pelle. “Ditemi la verità.”

Francia spinse un indice a terra. “È questa la verità!”

“La vera verità!”

“Vuoi la verità? D’accordo!” Francia rivolse entrambe le braccia contro Spagna, ma senza girarsi, continuando a fronteggiare Prussia. “Speravo che lo facesse, ecco.”

Sia Prussia che Spagna sbarrarono gli occhi, Spagna sbatté le palpebre e schiuse le labbra, trovò la forza di sollevare la testa.

Francia levò la fronte al soffitto e ci posò sopra una mano, i capelli sciolti dietro le spalle e una rosea espressione di sollievo a tingergli le guance, a curvargli le labbra. “Ooh, mi sono tolto un peso,” sospirò e si posò la mano libera sul cuore.

Spagna slargò gli occhi, impietosito, e capì molte cose.

Prussia strinse i denti, tornò a corrugare la fronte e si voltò di scatto. Diede una brusca strofinata alla testa, scompigliandosi tutti i capelli, per sopprimere i bollori che gli facevano prudere la mano. “Che razza di...” Farfugliò imprecazioni in tedesco, gorgogliando e mangiandosi le parole in mezzo alle labbra.

Spagna emise un breve sospiro e rivolse a Francia un’occhiata mite, addolorata e ancora intimidita. “È vero?” Un’altra pugnalata di colpevolezza gli trafisse il cuore.

Francia fece scivolare la mano dal viso, districò i capelli fra le dita, ma tenne lo sguardo alto. “In realtà,” si rivolse a Prussia, le punte delle ciocche ancora attorcigliate in mezzo alle nocche, “speravo che agisse in maniera più intelligente ed elegante di come ha fatto.”

Prussia fece una risata che somigliò a un colpo di tosse. “Lui?” Indicò Spagna con un’alzata di palmo. Il sorrisetto ironico a incurvargli le labbra. “Cosa pretendevi che riuscisse a fare?”

Spagna lo guardò di traverso ma non riuscì ad arrabbiarsi.

“Forse non si trattava tanto di quello che sarebbe riuscito a fare,” rispose Francia. Le dita scivolarono giù dai capelli, li sistemarono dietro la curva dell’orecchio accompagnandoli con un gesto fine. “Ma di quello che sarebbe riuscito a dimostrare provandoci.”

Il ghigno di Prussia tornò piatto, lo sguardo interrogativo. “Dimostrare che cosa?”

Francia sollevò il mento. La luce penetrante dalla finestra si era fatta più intensa, candida e fredda, come una cascata di cristalli di ghiaccio. Splendette nei suoi occhi azzurri, limpidi, incrociati con quelli rossi di Prussia. “Che a questo mondo esiste ancora un po’ di amor comune.”

Prussia imbronciò il muso, i pugni fremettero e tornarono subito fermi, le sopracciglia increspate in un’espressione buia.

Francia sfilò in mezzo a loro due e strinse delicatamente le braccia al petto. Il mento alto e il passo sicuro. “Spagna ha fatto quel che ha fatto nel peggior modo possibile, ma almeno aveva intenzioni migliori di Inghilterra e di voi tutti messi assieme.”

Prussia storse la punta del naso, forzò di nuovo il mezzo ghigno. “E pensavi davvero che mettendo in guardia lui saresti riuscito a fare qualcosa di concreto per salvare la situazione?” Spinse le punte delle dita contro il petto, sotto la croce di ferro. La voce di colpo più grave. “A questo punto avresti potuto avvertire direttamente noi.”

Spagna ebbe un altro tuffo al cuore. Si aprì un vuoto allo stomaco che gli diede un conato di nausea, lo fece sbiancare come una presa di sale, e dovette mettersi le mani sulla bocca per non gemere.

Gli occhi di fuoco di Prussia divennero quelli di ghiaccio di Germania che lo avevano congelato sulla banchina del porto. “Se tu avessi davvero voluto salvare Romano dall’attacco di Inghilterra, allora non ti saresti messo in testa di fare tutto da solo con le tue misere forze, ma saresti venuto ad avvisare me.”

Spagna deglutì. Ricacciò in fondo alla pancia il conato di vomito, sentì risalire un’ondata di sudori gelidi.

Francia fece roteare gli occhi al soffitto. “Oh, andiamo,” passeggiò davanti a Prussia, rimestò l’aria con un aggraziato movimento del polso, “non volevo vedere un intervento militare, ma un...” Tenne gli occhi alti, assorti. Si posò un indice sul labbro e vi batté sopra due volte, scrollando le spalle. “Un qualcosa di più sentimentale, non? In più,” aggiunse, “avvisando voi mi sarei comportato da alleato vero e proprio.” Voltò il capo verso Prussia, guardandolo da sopra la spalla su cui si adagiavano i capelli. Lo sguardo limpido, sincero, ma sicuro di quello che diceva. “Ed è l’ultima cosa che voglio.”

Prussia tornò verso la scrivania, le braccia di nuovo conserte al petto. “Politicamente, preferisci comportarti solo da marionetta, allora?” Si voltò, si appoggiò solo con i fianchi, e accavallò le gambe tenendo solo un piede sollevato. “Bene,” annunciò, “ti darò io un valido motivo per giocare in questa maniera.”

Spagna e Francia si scambiarono un’occhiata obliqua, distaccata, mezza in ombra, ma gli occhi di entrambi sbavarono nella perplessità, un soffio di brividi li morse lungo la schiena raggelando la pelle.

Prussia fece dondolare il piede accavallato. “Visto che siamo qui per l’ennesima volta per colpa del nostro scemo, direi di continuare a macinare su quello che ha seminato lui.” Sollevò la fronte, i capelli scivolarono via dagli occhi, rivelando due lucide perle calde come sangue appena zampillato. “West gli aveva proposto la presa di Gibilterra. Ovviamente ha rifiutato.” Spostò lo sguardo su Francia. “Ora io passo l’ordine a te.”

Francia esitò, le palpebre aperte irrigidirono, diventando più scure e le labbra rimasero piatte, sigillate. Non disse niente. Spagna emise un piccolo gemito di incredulità e arretrò, come se gli avessero sparato in mezzo ai piedi.

Prussia sollevò le sopracciglia, mise ancora più in luce il colore degli occhi. “Non hai voluto metterti contro Inghilterra quando avevi la possibilità di scegliere se intervenire o meno come difesa durante i combattimenti aerei.” Sciolse le braccia dal petto e strinse le mani contro il tavolo su cui era poggiato. Le ossa delle falangi scricchiolarono. “Ora è un ordine,” disse, più cupo. “Sarai tu a occuparti della presa di Gibilterra, e sarai tu a starci affianco se il Leone Marino dovesse salpare definitivamente.”

Spagna si fece scivolare un’unghia fra le labbra e la morse. Gli incisivi strinsero, il viso contratto dall’ansia si fece grigio come quello di un cadavere, sudori gelidi gli scivolarono dietro il collo, il cuore accelerò facendogli sentire il battito fin dentro le orecchie.

Se Francia ci finisse di mezzo...

I denti pizzicarono la pelle. Il sapore del sangue gli entrò in bocca, disgustandolo.

Allora la colpa sarebbe solo mia.

“No.” Francia fece un passo verso Prussia, scosse la testa. “No, non lo farò,” disse con viso e voce calmi. “La mia sconfitta deve penalizzare solo me stesso.” Si toccò il petto. “E non accetto il fatto che vadano di mezzo altre nazioni per degli errori commessi solo da me. Oltretutto, Inghilterra sarà un gran bastardo sotto molti punti di vista, ma è stato l’unico che mi è rimasto affianco durante la campagna di primavera.” Avvicinò il viso a quello di Prussia, tanto da fargli sentire il profumo di rose spanto dai capelli che cadevano davanti alle guance. Sbatté le ciglia. “Non riuscirete a costringermi in nessun modo a fargli del male.”

Prussia restò impassibile, viso di pietra. Gli guardò il punto del torso fra la spalla e la clavicola, e tornò sui suoi occhi.

“E lui si è forse trattenuto quando si è trattato di far del male a te?”

Francia trattenne il respiro ma non si mosse. Un’improvvisa scossa di dolore lo trapassò lì dove Prussia aveva posato lo sguardo, assunse la forma della cicatrice che Inghilterra gli aveva inflitto durante i combattimenti aerei.

Spagna si scansò dal suo angolino buio e si fece avanti, ribattendo prima di Francia. “No, no, fermo.” Si avvicinò a entrambi, le mani protese e tremanti, per separarli. Gli occhi affogati nel dolore che li rendeva ancora più lucidi, larghi e infossati. “Prussia,” lo pregò con voce vibrante, prossima al pianto. Anche lui ricordava la cicatrice, il lacero che biancheggiava sotto la luce rossa della lanterna che bagnava la pelle di Francia. Spagna scivolò davanti a Francia, gli spinse una mano sulla spalla, e porse l’altra verso Prussia. “Prussia, ti prego, non...” Si aggrappò con le dita alla sua manica, in segno di supplica. “Non facciamoci del male in questa maniera.”

Prussia digrignò i denti. “Chiudi la bocca.” Strappò via il braccio con un gesto brusco, spinse le spalle all’indietro. “Se siamo qua a mettere in scena tutto questo teatrino è solo colpa tua.”

“Allora...” La mano di Spagna spinse Francia più lontano. Fu lui a tenersi davanti a Prussia, a riagguantargli il polso, e a portargli il viso davanti agli occhi. “Allora mi prendo le mie responsabilità.”

Prussia sbuffò, come se la cosa non lo toccasse. “Potevi pensarci prima.” Gli tolse il polso dalla mano, scollò i fianchi dalla scrivania, e camminò di un passo lontano dai due. “E comunque,” continuò, dandogli la schiena, “voi due avete delle responsabilità differenti.” Immergendosi nel fascio di luce bianca e stendendo l’ombra dietro di sé, la sua figura apparve ancora più larga, le spalle più dritte. Emanò una profonda aura solenne. “Compito di Francia è la protezione difensiva e offensiva dei possedimenti coloniali, mentre tu ha un margine di manovra più alto.” Strinse le mani dietro la schiena. “Però...” Girò la guancia, lanciò una frecciatina a Spagna. “Se a questo punto accetti di occuparti di Gibilterra...”

Spagna strinse i pugni. Ricominciò a tremargli la spina dorsale. “Di Gibilterra...” Chinò il capo e si strinse il braccio, gli diede una strofinata. “Di Gibilterra avevo già parlato con Germania.” Scosse il capo. Lo disse anche se faceva male. “E non intendo rimangiarmi quello che ho detto.”

Francia tornò a scivolargli davanti, si intromise fra lui e Prussia. “Perché tutta questa foga solo per uno stretto?” chiese, sinceramente curioso.

Prussia scoccò un’occhiata anche a lui. “Non ci arrivi?” Si girò. Il raggio di luce gli incorniciò la sagoma, splendette sui suoi capelli, creò una mascherina d’ombra attorno agli occhi. “Dobbiamo chiudere il Mediterraneo, perché così tarperemo le braccia a Inghilterra quando sarà ora di andare a recuperare Italia e lui vorrà intervenire per difendere Grecia dal nostro attacco.”

Spagna ingollò un ansimo che andò ad aprirgli un buco alla bocca dello stomaco. “Andate...” Un barlume di sollievo e speranza luccicò in mezzo agli occhi, gli fece socchiudere la bocca, ne uscì un sospiro soffice, quello di un uomo smarrito nella calura del deserto che ha appena avvistato un lago di acqua cristallina. “Andate davvero a prendere Italia?” Strinse un pugno sopra il cuore e lo sentì battere soffice contro le nocche. Fu un palpito caldo.

Prussia annuì. “A quanto pare.” Gli occhi tornarono su Spagna, e il loro colore bruciante scottò al posto del dolce e tiepido battito che gli aveva carezzato e alleggerito il cuore. “Come vedi...”

Spagna irrigidì lo sguardo e tenne la mano stretta al petto, già sulla difensiva.

Prussia rivolse il viso al soffitto, aguzzò un sorriso maligno. “Aiutandoci con Gibilterra, avresti la possibilità di fare qualcosa di realmente utile per aiutare Romano.”

Spagna sbiancò, gli angoli della bocca tremarono verso il basso, gli disegnarono una triste e disperata smorfia da animaletto in trappola. Gettò lo sguardo a terra, si nascose dietro la frangia di capelli spettinati. “Sei scorretto,” sussurrò.

Il ghigno di Prussia si ammorbidì, ma non scomparve. Annuì. “Sì, mi hanno già detto qualcosa di simile.”

Francia rivolse a Spagna uno sguardo compassionevole, anche se lui non lo vide.

Prussia ficcò le mani in tasca e gonfiò il petto. “Dunque...” Schiacciò un passo davanti a Spagna e lo fece sobbalzare. Piegò le spalle in avanti, fronteggiando il suo viso gobbo. “Cosa intendete fare?” E guardò anche Francia. Lui ricambiò l’occhiata di sfida.

Spagna strinse le labbra, prese un respiro che gli fece fremere le spalle, gli scivolò attraverso la gola arrochita, bruciò in fondo allo stomaco. Il mormorio della sua voce si confuse con lo scricchiolare dei rami secchi contro il vetro ghiacciato. “Germania ti ha detto della riunione per Gibilterra, allora.” Un breve soffio di vento fischiò contro le finestre.

Prussia sollevò le spalle. Distese lo sguardo, la luce negli occhi si abbassò senza più bruciare. Prese anche lui un sospiro. “Sì.” Fece un passo all’indietro, riportò Spagna alla luce. “E mi ha anche detto che ti aveva offerto un,” incurvò la voce, fece roteare gli occhi, “premio se avresti accettato.”

Spagna trattenne il fiato. La bocca assunse un sapore amaro e pastoso che gli incollò la lingua al palato, annodò la pancia, il crampo di paura arrivò come un pugno in mezzo alle costole. Gli tremarono le ginocchia, il viso basso divenne pallido come quello di un fantasma.

“Strano, sai,” commentò Prussia. “Non pensavo che avresti rifiutato.” Fece uno sguardo sinceramente ammirato. “Mi hai sorpreso.”

Francia storse un sopracciglio, occhi annebbiati dalla confusione. Non capiva.

Spagna nascose la metà del viso non bendata dietro una mano, le dita affondate nei capelli e il capo ancora chino in mezzo alle spalle. Scosse il capo, trattenne un singhiozzo fra i denti e fu costretto a sussurrare per non far sgorgare un reflusso di pianto. “Non potevo farlo.” Un altro tremito lo fece arricciare ancora di più in se stesso, le gambe flesse quasi cedettero.

“E ora potresti?” gli chiese Prussia. Tornò a mettersi davanti a lui, le mani cinte sui fianchi, gli occhi che lo cercavano. “Se io ti riproponessi lo scambio ora, accetteresti le condizioni?”

Spagna affondò i denti nella carne del labbro, sentendola bruciare. Un fischio gli ronzò nella testa, come quando si era trovato seduto davanti a Germania nella camera sotterranea, a stringere i pugni sul tavolo e a lottare contro la voce che gli martellava le tempie, urlandogli di accettare. Ingoiò a vuoto, aveva la gola secca e amara come segatura. “No.” Tornò a scuotere il capo, i capelli ondeggiarono davanti alle palpebre. “No, perché...”  

“Ho sbagliato quel giorno a proporti l’affidamento di Romano. Non meriti di averlo sotto la tua custodia, gli faresti solo del male.”

Spagna si coprì la guancia bendata. Tremava, aveva le labbra bianche, il viso come quello di un fantasma, gli occhi lacerati dal dolore. “Perché ho capito di non meritarmelo.”

Francia gli rivolse uno sguardo compassionevole e comprensivo. Dovette serrare un pugno contro il fianco per trattenersi dal poggiargli una mano sulla spalla, in segno di conforto.

Spagna premette il braccio contro il viso, un primo singhiozzo gli scosse la schiena ingobbita. “Io non merito Romano.” Un secondo singhiozzo tamponato dalla manica, e qualche goccia di lacrima gli bagnò la stoffa, sgorgando da quegli occhi lucidi e rossi che avevano già pianto abbastanza. “Non merito niente.”

Anche Francia sentì una fitta al cuore e allontanò lo sguardo. Prussia socchiuse le palpebre, cercò di non rendere ovvio il fatto che anche i suoi occhi si fossero impietositi.

Spagna sfregò il braccio sul viso, asciugò gli ultimi zampilli di pianto dalla pelle bianca. “E poi...” Tirò su col naso, rafforzò la voce. Guardò Prussia con occhi che erano più rossi dei suoi. “E poi dovete smetterla di trattare le nazioni come degli oggetti,” gorgogliò, il tono ancora bagnato dalle lacrime ingoiate a forza. “Romano si salverà da solo, e allora...”

“E allora cosa?” lo bloccò Prussia. Sciolse la maschera di compassione e sollevò un piccolo sorriso tagliente, il mento alto, lo sguardo saccente. “Correrà da te?”

Spagna socchiuse le labbra, la voce gli rimase incastrata come un sasso nella gola. Un tuffo al petto gli scaricò una scossa elettrica che lo paralizzò, le mani si strinsero d’impulso cacciando le unghie dentro i palmi, le braccia tremarono contro i fianchi.

Prussia allungò un passo in avanti, lo fece arretrare e rimpicciolire nella sua stessa ombra. Lo guardò dall’alto. “E se invece venisse a saperlo?”

Altro passo. Spagna finì addosso al muro, vi batté la schiena e cacciò un piccolo gemito di spavento. Vi premette sopra le spalle, si aggrappò con le mani alla parete, e flesse le ginocchia che avevano ripreso a tremare.

Prussia schiacciò un altro passo davanti a lui, chinò le spalle e portò il viso davanti al suo, fissandolo dritto nelle pupille ristrette dalla paura. “Se venisse a sapere che tu avevi la possibilità di portarlo via dalla guerra e che hai rinunciato perché te la facevi sotto al pensiero di metterti contro Inghilterra?” Assottigliò le palpebre, affilò lo sguardo che tagliava come una lama di rasoio premuta sotto la gola. “Se venisse a sapere che hai preferito che fosse lui a prenderle al posto tuo?”

Spagna sussultò di nuovo, strinse le mani al muro graffiando l’intonaco. Il cuore trafitto da una dolorosa scossa di consapevolezza.

Francia si mise di mezzo, agguantò Prussia per la spalla, lo guardò duramente. “Smettila.”

“Io...” La vocina strozzata di Spagna fece girare entrambi. Spagna scosse il capo, un gesto più sicuro. “Io non ho rifiutato per quello, e poi...” Le mani strette al muro tremarono, vi schiacciarono le nocche, e i denti strinsero facendo vibrare la bocca. “E poi...” Tirò su il viso di colpo, sfiorò quello di Prussia, rispecchiò la sua espressione tagliente. “Non vi crederebbe!”

Prussia diede uno strattone con la spalla, si liberò dalla presa di Francia. “E secondo te a chi crederebbe?” Arretrò di un passo, si mise la mano vicino alla croce di ferro. “A quelli che lo stanno aiutando e sostenendo, a quelli che in primavera andranno a salvargli la vita in Grecia,” gli gettò il palmo contro, “o a te che sei rimasto a guardare mentre lo massacravano a Taranto?”

Lo sguardo di Francia volò su Spagna, fece un gesto con la mano come per proteggerlo da quelle parole. “Non ascoltarlo.”

“E invece deve,” esclamò Prussia. Gli occhi si infiammarono, la bocca digrignata fece stridere i denti e gli stampò un ringhio d’ira sulle labbra. Prussia strinse una mano e piantò l’indice verso il basso. “Dovete ascoltarmi tutti e due, aprire bene le orecchie e rendervi conto una buona volta che questa è una guerra e che non stiamo giocando.”

La sgradevole sensazione di colpevolezza tornò a premere sia su Francia che su Spagna. Francia voltò il viso, lasciò che i capelli fluissero sulla guancia e gli nascondessero lo sguardo. Spagna tornò a capo chino, le mani schiacciate al muro rilasciarono la tensione, le dita aderirono nella loro interezza per tenergli sostenuto il peso del corpo.

Prussia inspirò a lungo, sfreddò i bollori che bruciavano nel petto. “Allora...” Tornò con le mani attorno ai fianchi, scoccò un’occhiata a Spagna. “Farai come dico?”

Anche Spagna prese un sorso di fiato per darsi coraggio, il labbro inferiore vibrò ma la voce uscì ferma e sicura. “Le mie condizioni non sono comunque cambiate. Anzi...” Si aiutò con le mani e tirò su le spalle, avvicinò i piedi per non far ballare le ginocchia. Tornò dritto ma ancora con la schiena al muro. “Anzi, sono anche peggiorate.” Rivolse a Prussia uno sguardo sincero, più mite. “Come potrei mettermi contro Inghilterra? Mi...” Il vento delle esplosioni tornò a bruciargli sulla pelle, l’odore del sangue e del fumo a penetrargli le narici, il colore del fuoco riflesso sul mare brillò nei suoi occhi. Un moto di panico li rese più lucidi. “Mi disintegrerebbe,” mormorò.

Prussia scosse le spalle. “No,” indicò Francia, “se Francia interverrà in tua protezione.”

“Io non farò un bel niente.” Francia incrociò le braccia contro il petto e sollevò il viso. Gli occhi limpidi e determinati. “Perché a questo punto non si tratta più solo di sconfiggere Inghilterra in una singola battaglia, ma di buttargli contro tutta Europa.” Scosse il capo, si voltò. “E io non ci sto.” Camminò lontano da Prussia, seguendo la scia di luce gettata da una delle finestre. “Combattere è un conto,” affermò, “ma non sarò mai il responsabile della distruzione di una nazione.” Le mani strette agli avambracci annodati sfioravano il petto. Lo sguardo di Francia si intristì, lui sollevò di poco le dita e si toccò il torso all’altezza del cuore, dove una delle cicatrici marchiate dai proiettili riprese a bruciare. Sospirò. “Lo sono già stato della mia.”

Prussia storse il naso. “E credete che saremo noi a trattenerci dal distruggerlo?”

Spagna si sporse verso di lui spingendosi con le mani sul muro. “Non potrei comunque,” disse. “Germania me l’ha già detto...” Sollevò una mano e la tenne davanti alla gola, le dita tremanti a sfioro del collo. “Me l’ha già detto che mi ammazzerà la prossima volta che mi metterò in mezzo. Io ormai non sono più niente.” Disse quelle parole provando una fitta al cuore che lo riportò di nuovo indietro, accasciato sulla banchina del porto di Taranto sotto l’imponente ombra di Germania. “Sul campo di questa guerra,” ripeté la voce di Germania nella sua testa, “vali meno di un qualsiasi essere umano.” Spagna lasciò ciondolare il capo fra le spalle, distrutto e scoraggiato. “Valgo meno di un qualsiasi essere umano.”

Francia restò in disparte, non intervenne. In parte, sapeva che aveva ragione.

“Nemmeno io mi tratterrò contro di voi, se è per questo,” disse Prussia. “Non mi tratterrò più contro nessuno.” Si girò verso una delle finestre, rivolse il viso al cielo che si stava già annuvolando, una coltre grigia rivestì la luce lattea del sole riflesso sullo strato di neve e ghiaccio. “Questo è il punto di svolta.” Si fermò davanti alla finestra, giunse le mani dietro la schiena allargando ancora di più le spalle. La sua sagoma nera e larga davanti allo specchio di luce. “Il punto di svolta in cui davvero si capirà chi merita di sopravvivere in questa guerra.”

Francia restrinse le estremità delle sopracciglia. “Quindi tutto quello che è stato costruito finora non vale più niente per te?” Si avvicinò, assumendo un tono indignato. “Sei disposto a gettarlo via come se non avesse mai contato qualcosa?”

Prussia sghignazzò una risata che gli fece traballare le spalle. “Costruito?” Solo dopo si girò, la fine espressione d’ironia ad aguzzargli il sorriso. “Cos’è stato costruito e cosa ha mai contato qualcosa?” Di colpo, le labbra caddero piatte, gli occhi animati dalla fiammella rossa divennero più bui e profondi, come la sua voce. Si mise una mano sul petto, spinse le dita contro la croce di ferro. “La nostra amicizia?” domandò, senza ironia.

Francia e Spagna si scambiarono un’occhiata perplessa e insicura, gli sguardi di entrambi esitanti dell’indecisione.

Prussia abbassò le palpebre, la stanza si fece più buia attorno a lui. “Non esistono le amicizie,” scosse il capo, “non fra nazioni.”

A Spagna tremò la bocca, la voglia di ribattere bruciava nel petto come un tizzone, ma la trattenne mordendosi l’interno della guancia.

Prussia fece un paio di passi di lato, si spostò dalla luce della finestra e i suoi passi risuonarono schioccanti nel silenzio. Sventolò la mano, distolse gli occhi dagli altri due. “Le amicizie sono solo dolci illusioni che ci creiamo per passare il tempo quando non dobbiamo buttarci le pistole alla testa l’uno contro l’altro,” disse con una punta di amarezza.

Spagna stavolta scattò, i pugni stretti davanti al petto. “Non è vero,” esclamò. “Non è vero, io continuo a crederci, sei solo tu che...”

Prussia lo guardò storto, la fiamma degli occhi lo zittì, di nuovo la fine lama di coltello a spingere sotto la gola.

Spagna non cedette. Provò con Francia, gli rivolse uno sguardo implorante indicando Prussia con entrambe le braccia. “Diglielo anche tu che...”

Francia si girò. I capelli disegnarono un morbido arco attorno alle sue spalle e ricaddero sulla guancia, lo nascosero.

Spagna sgranò gli occhi, allibito. “E-ehi, non vorrai...” Spinse un timido passetto alle spalle di Francia, mostrò i palmi al cielo, deluso, incredulo. “Non vorrai dargli ragione?”

Francia strinse una mano attorno alla spalla e stette voltato, in silenzio, un’aura più grigia e fredda ad aleggiargli attorno come una bava di vento durante una tempesta.

Dalle labbra sbiancate e ancora socchiuse di Spagna uscì un flebile sospiro. “Quindi...” Guardò per terra, in mezzo ai piedi. Un minuscolo e avvilito sorriso di disperazione gli increspò la bocca. Tremò. “Quindi solo io continuo a crederci?” Si aprì un altro vuoto nel petto, scavò nella carne e nelle ossa, togliendogli il fiato.

Prussia si strinse di poco nelle spalle. La voce aspra e tagliente, ma gli occhi in qualche maniera più tristi. “Guarda a cosa hanno portato le amicizie.” Flesse il capo e incrociò lo sguardo con Spagna. “Ti hanno forse impedito di soffrire? Stanno salvando te e il tuo paese dalla rovina?” Indicò Francia con un’alzata di mento. “Hanno forse salvato anche lui?”

Francia irrigidì, Spagna socchiuse la bocca ma non riuscì a parlare. Il dolore aveva risalito il petto e si era incastrato in fondo alla gola.

Prussia girò i tacchi, accelerò il passo verso la porta. “Noi tre non siamo più amici.”

Quelle parole lacerarono l’aria stagnante come un fulmine che arpiona il cielo ed esplode nel terreno. Spagna le sentì arrivare come un secondo pugno di pietra scaraventato sull’altra guancia.

“Se continuerete ancora a crederlo,” continuò Prussia, “temo che riceverete brutte sorprese nel momento in cui penserete che mi tratterrò davanti a voi.” Sbuffò seccato, liquidò tutti e due con uno sventolio di mano. “Fate quel diavolo che volete di Gibilterra, fate quel diavolo che volete dei vostri paesi.” Ruotò solo lo sguardo da sopra la spalla, digrignò la bocca esibendo la luce di un canino fino alla gengiva, gli occhi divennero due crudeli luci rosse in mezzo al buio. “Ma fra noi finisce qui.”

Francia si girò di profilo, scosso, e lo sguardo di Prussia andò subito su lui. “E tu,” Prussia lo fulminò, “scordati le scorrazzate in giro per il mondo.”

Francia arricciò una smorfia sollevando la punta del naso, una smorfia di sprezzo.

“Da adesso in poi cominceremo a stringerti le catene,” gli disse Prussia. “E vediamo poi se avrai ancora tanta voglia di andare ad abbaiare in giro.”

D’istinto, Francia infilò le dita sotto la manica e si massaggiò la pelle del polso, gonfia e arrossata. Le piaghe erano ancora aperte, sia fuori che dentro.

Spagna zoppicò di un passo in avanti, tese il braccio verso Prussia, lo sguardo di supplica. “A-aspetta.”

Prussia non si fermò. Andò avanti, lontano.

Spagna strinse i denti, raccolse gli ultimi grammi di energia che gli scaldavano il corpo e li inviò alle gambe, costrinse i piedi a staccarsi dal pavimento e gli corse incontro.

“Prussia!”

Gli si appese al braccio, tirò per bloccarlo proprio davanti alla porta, e gli premette la fronte contro la scapola. “Ti prego,” mormorò. I denti stretti, le braccia fasciate attorno al suo gomito, il petto che faceva male. “Non,” singhiozzò, ma non pianse, “non puoi...”

Prussia si girò, e la stoffa della manica stretta da Spagna frusciò sotto la presa delle sue braccia. Aggrottò la fronte, lo guardò dall’alto con quegli occhi accusatori, inflessibili come l’acciaio, duri come la pietra e brucianti come fuoco.

Spagna fece scivolare la guancia sana contro il suo braccio, il viso sollevato gli toccò la spalla, lo sguardo pietoso assunse una piega di supplica che gli fece luccicare le palpebre rosse di pianto e bordate di stanchezza. “Ti chiedo solo...” Allentò di poco la presa delle braccia, fece scivolare la fronte dalla sua spalla. “Solo un ultimo favore da amico, allora.” Serrò le dita sull’orlo della manica, si tenne appeso. La voce stridette in un piccolo rantolio da bestiolina ferita. “L’ultimo.”

Prussia storse un sopracciglio, tirò via il braccio sfilando la manica dalla presa di Spagna. “Quale?”

Spagna arretrò a testa bassa. Ci mancò poco che non si mettesse in ginocchio, mani a terra, con la fronte davanti ai suoi piedi. Lo guardò con i suoi occhi vuoti e tristi, gli toccò il braccio un’ultima volta, senza stringere.

“Prenditi cura di Romano al posto mio.”

Prussia strabuzzò un occhio solo, increspò l’altro sopracciglio e sottrasse il braccio come se avesse preso la scossa. Fece quel gesto con sguardo distaccato, rude, ma non disse di no.

Uscì sbattendo la porta in faccia a Spagna, l’eco del botto si propagò assieme a uno scricchiolio dell’intonaco, la camera tornò in silenzio, l’atmosfera densa e ovattata interrotta solo dal flebile respiro di Spagna.

Spagna non si voltò. Scivolò con un piede in avanti e poggiò la mano sulla porta, chinò la fronte sfiorando il legno con i capelli ricaduti sulla fronte.

“È davvero finita?” stridette.

Gli occhi di Francia emisero un breve e malinconico luccichio. Lui strinse anche l’altro braccio al petto, scaldandosi quel freddo vuoto che si era aperto nel cuore. “Sì.” Annuì lentamente, i capelli sulle guance. “Temo di sì.”

Spagna strinse le labbra e restò accasciato sulla porta. Non ebbe più lacrime da versare.

 

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Diari di Francia

 

Ero in crisi con me stesso.

La mia prigionia si sarebbe fatta più stretta, il mio ruolo da nazione conquistata sarebbe diventato più opprimente, e non mi sarebbe stato più possibile agire di testa mia come avevo comunque continuato a fare nonostante il controllo forzato che avevano preso su di me. Poi c’era il rischio che Germania mi costringesse a partecipare con lui allo sterminio di Inghilterra o a un attacco verso Spagna. Facevo tanto l’uomo maturo, ma anche a me tremavano le ginocchia a immaginarmi una simile ipotesi.

Si stava avverando proprio quello che temevo e che – va bene, lo ammetto – un po’ ero andato a cercarmi da solo.

In parte ero anche fiero di me stesso, perché stavo correndo dei rischi e in questo modo dimostravo di essere ancora una nazione viva con una volontà propria. Essere vivi durante il corso di una guerra, tuttavia, ha il suo prezzo.

Ovviamente continuavo a sperare in una svolta di qualche genere. Speravo che Germania sarebbe stato talmente tanto preso da altre conquiste o a tenere a bada Italia che si sarebbe dimenticato di Inghilterra e del ruolo che o io o Spagna avremmo dovuto coprire in tutto questo. E in effetti è più o meno andata così, ma questo è un altro discorso.

Anche se lo avevo sgridato – e quella sgridata se l’era meritata tutta! – quello che mi preoccupava più di tutti era rimasto Spagna. Io continuavo, tutto sommato, a sentirmi inflessibile e in grado di reagire se non altro psicologicamente. Possedevo una grande fortuna: un popolo molto forte e coraggioso che mi dava la spinta e il sostegno per resistere e non arrendermi nella lotta alla mia libertà.

Spagna era distrutto. Giuro, in tutti i secoli trascorsi assieme non l’avevo mai visto in quelle condizioni. Ero seriamente in pena per lui e per come avrebbe potuto reagire il suo animo ai disastri che ci stavano accadendo attorno e a quelli che poi si sarebbero aggiunti.

Ovviamente, iniziai pure a preoccuparmi per Prussia, anche se in maniera molto diversa. Cominciai a credere che anche lui stesse iniziando a perdere se stesso dentro quella guerra, ma in maniera molto più profonda rispetto al passato. Nonostante le centinaia di guerre e di battaglie che lui ha affrontato in più rispetto a Germania, mi sembrò di vederlo cadere negli stessi errori di suo fratello. Invece che bloccarlo e guidarlo su un’altra strada, lo assecondava, quell’imbécile!

È stata una guerra che ha dato un po’ alla testa a tutti, assolutamente.

Non comprendevo le motivazioni di Prussia, non capivo cosa lo spingesse a essere di nuovo così brutale, perché arrivati a quel punto era chiaro che la scusa della vendetta su ciò che era accaduto in passato non reggeva più. Doveva per forza esserci qualcos’altro dietro. Qualcosa che forse né io né nessun’altro sarebbe mai riuscito a capire.

Ero così impegnato a ragionarci sopra, che non mi resi nemmeno conto di come la nostra amicizia fosse ormai bruciata per sempre. Quando me ne resi conto, ormai era troppo tardi per tornare indietro e anche troppo tardi per far tornare indietro Prussia.

Forse è vero che fra nazioni non dovrebbero esistere amicizie e affetti, e forse è anche vero che sono solamente dolci illusioni create per nascondere il sapore dell’amara verità che ci circonda. Ma non crederò mai che siano proprio queste illusioni a essere la causa delle disgrazie che ci travolgono. 

È vero che non sono le amicizie a impedire i cataclismi, a fermare le guerre e a mantenere la pace, ma non penso che sia su questo che ci si debba concentrare. Io penso che l’unica cosa importante da tenere a mente è che le amicizie sono importanti perché aiutano a superare questi momenti e ad andare al di là delle sofferenze.

 

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Diari di Spagna

 

Ero in crisi con me stesso.

Ora avevo davvero perso tutto. Non avevo più uno scopo, o un qualcosa a cui aggrapparmi per riuscire a tenere duro e andare fino in fondo a quella storia. Avevo solo me stesso. Un me stesso con cui comunque non volevo più avere nulla a che fare, considerando tutto quello che avevo combinato e tutta la vergogna che mi ero caricato addosso.

Ero molto ingenuo, ma almeno avevo avuto una speranza. La speranza che la guerra sarebbe finita in fretta, che il senso del bene comune sarebbe riuscito a bloccare l’avanzata di Germania, o che lui stesso avrebbe riconosciuto da solo il momento adatto per fermarsi. La speranza di rivedere Romano, la speranza che sia lui che Italia ne sarebbero usciti sani e salvi, che non sarebbero stati coinvolti in tutto il disastro che poi è scaturito. Avrei davvero voluto essere io a salvarli, anche per dimostrare a me stesso che non ero stato completamente inutile durante la guerra. È vero, non sono stato completamente inutile, ma per i motivi sbagliati.

Anche quella speranza era così andata in fumo, perché mi ero reso conto di non essere davvero più in grado di fare qualcosa.

Dopo Taranto, iniziai a sentirmi un fantasma. Davo ragione a Germania sul mio conto, sul mio comportamento, e mi lasciai addirittura influenzare quando mi disse quelle cose riguardo Romano, sul fatto che avrei voluto salvarlo solo per me stesso e non davvero per lui. Ero così distrutto, così debole e così senza difese, che davvero gli credetti. Non so se me lo disse solo per ferirmi o perché anche lui ci credesse davvero, ma quelle parole mi fecero più male del pugno. E quando dico questo... cioè, quanti possono raccontare di aver preso un pugno serio da Germania e di aver visto la luce del giorno dopo?

Ebbi terrore delle sue parole, delle sue accuse, e iniziai ad avere ancora più paura quando realizzai che Romano avrebbe potuto sapere tutto.

Questo era anche uno dei motivi che poi mi spinse a rinunciare a salvarlo. Non sarei mai riuscito a guardarlo in faccia, non avrei mai avuto coraggio di guardarlo negli occhi. Come avrei potuto presentarmi davanti a lui dicendo cose tipo: “Ehi, Romano! Sono quello che ti ha messo nei guai nelle Ardenne, che non è riuscito a portarti al sicuro mentre Inghilterra ti stava riempiendo di botte a Taranto, e che ha addirittura rinunciato a te quando lo stesso Germania mi ha proposto di portarti in salvo!” Era tremendo.

Temevo che mi avrebbe disprezzato e odiato per come non ero riuscito a proteggerlo in nessun caso, nemmeno a Taranto, e per come mi ero lasciato sfuggire la possibilità di portarlo via quando Germania me l’aveva proposto.

Lo avevo già perso fisicamente, e ora vivevo con il panico che potesse essere lui stesso a decidere di allontanarsi da me per sempre.

Così persi davvero ogni qualsiasi voglia di agire e reagire.

Ormai la mia esistenza era un’ombra. Un’ombra per me stesso e un’ombra per gli altri. E non riuscivo a trovare la forza e la voglia di riacquistare un po’ di consistenza.

Le mazzate poi arrivarono una dietro l’altra.

Come se non fosse bastato lo scontro con Germania, poi ci andarono di mezzo anche Francia e Prussia. Di nuovo.

Rendermi conto che fra i tre io ero l’unico che continuava davvero a credere alla nostra amicizia mi devastò. Lo so, eravamo in guerra, non potevamo preoccuparci l’uno dell’altro ma solo di noi stessi, però... però non ci riuscivo.

A questo punto pensai davvero di essere rimasto l’unico idiota sulla faccia del pianeta che non aveva capito come andavano le cose.

Mi sentii stupido, ingenuo, illuso.

Mi venne davvero da credere che quei dolci momenti di felicità che ero riuscito a crearmi nella mia vita non fossero altro che inutili bugie. E fu un bicchiere molto amaro da mandare giù.

 

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Diari del Magnifico di Prussia

 

Ero in crisi con me stesso.

Io in crisi con me stesso? Pffft, ma per favore! (Ora immagina che in questo punto io mi stia scompisciando dalle risate). Perché mai sarei dovuto essere in crisi con me stesso? Il sottoscritto non è mai stato in crisi con se stesso, io non sarò mai in crisi con me stesso, non lo sono nemmeno adesso! Be’... okay, più o meno non lo sono, adesso. A volte.

Eddai, quella non era una vera e propria crisi. Chiamiamola, uh, riflessione e analisi profonda dei miei nobili pensieri.

Quello che dissi comunque era vero, e anche adesso non ho intenzione di rimangiarmelo. La nostra amicizia non poteva in nessun caso andare al di sopra della guerra, era inconcepibile. Io lo accettavo meglio degli altri, ma perché stavo vincendo. Ed è ovvio che tutti i perdenti diano dell’ingiusto a chi sta vincendo, lo sapevo e non ne feci un dramma.

Quello che davvero mi faceva inferocire era che fra i tre io stavo passando per ‘quello cattivo’. Quei due si stavano comportando come dei grandi idioti e alla fine veniva fuori che quello in torto ero io! Fronteggiavano quella faccenda come se non ci fossimo mai trovati in una situazione simile, come se fosse stata la prima volta in cui ci ritrovavamo ad affrontare sentimenti e litigate di quel genere. Perché ora io ero quello senza cuore. Perché ora io ero quello che si butta brutalmente a capofitto nella guerra dimenticandosi di tutto il resto. Perché ora io ero quello che si preoccupava alla cieca solo del suo paese, delle sue conquiste, dimenticandosi del rispetto dell’avversario, dell’etica, e del bla bla bla – cazzate!

Sono arrivati in quattro a farmi la predica, pur non avendo la minima idea del perché e del percome io stessi permettendo tutto quello che ci stava succedendo intorno. E questo mi faceva tremendamente incazzare.

Durante la guerra ho avuto pienamente le occasioni di dimostrare il motivo per il quale non mi feci fermare da nulla, e anche ora non me ne pento. Io non mi pentirò mai di avere lottato per il motivo che mi ero imposto perché, anche se non lo capivano, nemmeno la mia era una scelta fine a me stesso.

Sapevo bene che ormai la nostra amicizia era finita, e sapevo anche che non ci sarebbe più stato modo di rimetterla insieme.

Che diavolo, cosa avrei dovuto fare secondo loro? Disperarmi? Gettarmi ai loro piedi implorandoli di rimanere amici con la promessa di ‘tornare sui miei passi’?

Non mi sono pentito di aver continuato a marciare per la mia strada, e non mi pento di essere rimasto accanto a mio fratello, sia durante i suoi successi che durante i suoi fallimenti ed errori. Non mi sono mai pentito di avere scelto mio fratello a loro.

C’è solo una cosa di cui mi pento, forse. Il fatto che non ho mai detto a tutti e due che, in fondo in fondo, in un remoto angolino del mio nobile e antico cuoricino, dispiaceva anche a me averli persi.

   
 
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