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Autore: ester1991    05/09/2016    0 recensioni
La vita di Emily Mann era perfetta fino al suo sedicesimo compleanno.
Quando la sua esistenza venne travolta da un paio di occhi grigi azzurri e un segreto di famiglia dimenticato.
"Ti cerco ogni giorno per versare nel tuo cuore i palpiti del mio".
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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L'INZIO DI TUTTO.

Mi ricordo ancora tutto di quella notte di metà novembre, quella in cui nacqui.

L'aria era fredda e gelida, troppo perché fosse solo una semplice notte di novembre.

Da dentro la pancia di mia madre sentivo il fruscio del vento che muoveva incostantemente gli alberi, facendo sbattere le controfinestre contro i muri delle case accanto alla mia.

Sentivo dentro una strana sensazione, sapevo che stava per accadere un qualcosa d'importante: stavo per venire al mondo.

All'improvviso sentii una forza che mi spingeva, muovendomi verso il basso. Due mani forti mi aiutavano a uscire dalla mia casa, dal mio rifugio, verso l'ignoto. Mi feci coraggio, chiusi gli occhi.

Li riaprii, ancora titubante e spaventata e... vidi tutto!

La prima cosa che apparve davanti ai miei occhi fu il volto sfigurato di una donna, travolto da lacrime di gioia, dolore e sudore, con i capelli spettinati ed incolti, che le ricadevano sulla fronte bagnata.

Tuttavia, era una donna di una bellezza ineguagliabile.
La chioma leonina bionda e riccia incorniciava un paio di occhi verdi scintillanti, accompagnati da folte ciglia lunghe e nere di sotto le quali c'erano due labbra rosse, da cui nasceva un sorriso bianco e smagliante.

"Ciao Emily! Benvenuta a casa" , riuscì a dire mia madre, "sei bellissima... ", mi sussurrò.
Lei fu la prima persona che mi fece sentire bene; la prima che sentii di amare fin da subito, incondizionatamente ed indipendentemente da tutto e da tutti.

Non eravamo da sole, però.
Nella stanza, infatti, vi era una donna di colore con un grembiule e un vestito che sembrava di altri tempi. Insieme a lei un uomo, in divisa bianca, stava mettendo via gli strumenti di lavoro dentro ad una borsa in pelle nera.

" Miss Anna, potrei vedere la piccola Emily? ", chiese la donna in tono dolce, umile e premuroso.

Mia madre, esausta dal lungo e doloroso parto, rispose "Certo, Amelia", porgendomi alla signora.

"Per cortesia lavala. Molto delicatamente! ", disse poi, mentre mi guardava con occhi sognanti.

" Naturalmente, signora ", ribatté la governante, portandomi nel bagno accanto alla camera dov' ero appena nata.

Non appena fui pulita, tornai tra le braccia di mia madre che non smetteva di baciarmi e coccolarmi, dicendomi che ero la cosa più bella del mondo e della sua vita.

Mentre ero in braccio a madre, analizzavo la stanza in ogni minimo dettaglio, in ogni minimo angolo.

La camera era un azzurro spugnato e sprizzava da tutte le mattonelle un profumo di antico e di nobile.
Era ammobiliata con con uno stile ottocentesco che conferiva una realita' di nobiltà antica, ma persistente.

La cosa che catturò totalmente la mia attenzione fu un'opera d'arte. Aveva colori tetri: raffigurava una foresta di notte brulicante di vita, ma l'elemento che m'incuriosì di più fu una strana palla gialla, la fonte di luce del quadro: la luna!

Anche se ero appena nata e non avevo visto nulla di quel mondo, così vasto per una bimba come me, fu la cosa più bella che io avessi visto, anche se non era vera; più bella e splendente di mia madre! Un elemento che mi catturò da subito l'anima e l'attenzione.

All'improvviso, con foga, entrò nella camera un uomo di bell'aspetto, con capelli lunghi e bruni che ricadevano sulle spalle larghe e robuste.

Dalle braccia di mia madre passai a quelle di mio padre, il quale fu sorpreso quando mi vide. La nostra somiglianza era mostruosa, eravamo due gocce d'acqua: stessi occhi verdi, stesso naso e stessa espressione.

Senza perdere troppo tempo, mi girò per vedere un qualcosa sulla mia schiena.

Dopo avermi analizzato accuratamente, parlò con mia madre, " Anna è come temevamo. Nostra figlia ha il marchio della dannazione! ", disse allarmato, con il viso in fiamme, per la rabbia e paura.

A quelle parole, dette con tono duro e preoccupato, mia madre scoppiò in un fiume di lacrime, senza parlare perché troppo sconvolta e impaurita.

Fui subito portata in uno studio, dove vi era odore d'incenso e di sigari alla menta. In un angolo della stanza, appollaiata sopra una poltrona, una vecchia zingara, silenziosamente, cominciò, a studiarci.

La donna aveva lunghi capelli bianchi, pelle ruvida e raggrinzita. Indossava un vestito di colore viola acceso, decorato da numerosi campanelli e simboli antichi, appartenenti di una magia nera, che non si era persa nel tempo, una magia forte e potente, ma allo stesso tempo molto pericolosa, forse troppo.

Mio padre si rivolse alla vecchia con tono implorante, " Ti prego cura mia figlia! La mia Emily ha il segno della dannazione eterna. Farò qualsiasi cosa la possa aiutare; sono pronto a qualsiasi cifra o sfida. Non ci sono problemi, basta che tu la salvi... " le disse, sconvolto.

La donna, a quelle parole, si alzò e mi prese in braccio.

Mi guardò, squadrandomi dagli esili e piccoli piedini alla testolina.
Aveva degli occhi grigi e freddi che congelavano chiunque osasse guardarli.
Mi rivolse un sorriso a cui non potei che rispondere.

La zingara disse: " Vostra figlia è forte e sono sicura che sarà una donna intelligente e potente, come ce ne sono poche. Ahimè, sente già il richiamo della sua specie. E' già legata spiriticamente con la madre della sua razza: la Luna! Mi dispiace, non possiamo fare nulla. Bisogna solo attendere e sperare di sbagliarci. Solo il tempo potrà darci la risposta che cerchiamo, mi scuso nuovamente... " sospirò, in tono solenne.

"Dio mio, non c'è un antidoto? " controbatté mio padre, speranzoso.

La zingara sbottò sprezzante, "Ricordati che è colpa tua e della tua famiglia, se ora il sangue del tuo sangue si trova in questa situazione! Vi dovreste vergognare. Voi avete portato il diavolo da un posto desolato ormai dimenticato in questa casa, in questa città", disse disgustata.

"Basta con queste sciocchezze! " , urlò infuriato un vecchio, entrando nella sala, con un bastone ed uno spiccato accento tedesco. Era il padrone di casa. Padre di mio padre, nonché mio nonno: il barone Friedrich Mann.

Alla sua comparsa, la zingara mi consegnò a mio padre e urlò "TU!" indicando con il dito il barone "Lo sai meglio di tutti. Tu hai stretto il patto! " gli gridò contro la donna.

"Vecchia pazza, come ti permetti di venire in casa mia a urlare stupidaggini su maledizioni e magia nera? Noi non abbiamo a che fare con quella roba, e tu", continuò il barone indicando suo figlio con l'indice, "credi a questa zingara a cui frega solo dei nostri soldi? " disse riducendo il suo sguardo a due fessure.

"Se sono solo bugie, guarda tu stesso la schiena di tua nipote, quella che porterà avanti la nobile e vecchia dinastia Mann! " rispose la donna, mostrando a mio nonno le mie minute spalle, su cui era presente uno strano segno.

Il barone, alla vista della mia pelle nuda, impallidì tutto a un tratto e il suo sangue gelò, poi, con voce sostenuta, disse, "È solo una voglia e ora fuori da casa mia!! E NON FARTI PIU' VEDERE!!"
gridò rabbioso, facendole segno di andarsene.

Prima di ubbidire, la vecchia mi si avvicinò " Cara mia, tu sei solo una neonata ora, ma so che mi capisci già, io lo so. Ti lascio questo medaglione: è di un materiale magico. Al momento giusto ti servirà, piccola mia. Sei così innocente e già con un tale peso sulle spalle... " sussurrò, dispiaciuta di abbandonarmi in quel mondo in cui ero solo una pedina.

Quella fu la notte in cui nacqui in una notte fredda, unica e misteriosa.

Una notte fatta da due domande che rimbombavano nella mia testa. Chi era la mia specie? E cosa c'era sulla mia schiena di così preoccupante?

Domande a cui trovai risposta molto tempo dopo.

***

L'infanzia è stato un periodo della mia vita di cui non ho molti ricordi.

Ero una bimba allegra, vivace che con le sue lunghe treccine e che con la spensieratezza, dei suoi quattro o cinque anni, viveva gustando ogni piccola scoperta giorno per giorno.

Mi mancava però una cosa di cui ogni bimbo ha bisogno, una cosa che tutti noi dobbiamo avere: un amico.

Agli occhi di uno sconosciuto apparivo come una persona che aveva tutto.

In effetti, ero già proprietaria di mezza città. Essere una Mann apriva molte porte.

Mia madre, professoressa importante nella nostra città ( Halifax, in Canada ), insegnava nel campo finanziario e, inoltre, faceva parte di una delle famiglie più facoltose della comunità.

Mio padre, d'altro canto, era un membro importante del consiglio comunale. Spiccava per la sua genialità, nel trovare sempre la strada corretta, e per la sua bontà verso il prossimo.

Tutti pensavano che al momento dell'elezione si candidasse come sindaco. Ricordo di avergli chiesto il perché non lo fece, lui semplicemente mi rispose, " Amore, se io dovessi diventare sindaco non avrei più tempo per giocare con te e poi a zio Alan riesce così bene... " mi disse, sorridendo, mentre mi accarezzava i miei capelli corvini.

Ecco l'unica persona che rendeva migliori le mie giornate, giocando con me: mio padre. Massimiliano II Mann, figlio del tredicesimo barone della lunga casata dei Mann.

Sono grata a mio nonno ed a mia nonna per aver dato alla luce il loro meraviglioso figlio.

Purtroppo, io non li ho conosciuti.

Mio nonno morì quando io ero ancora troppo piccola. Ricordo solo un forte profumo di sigaro aromatizzato alla menta e d'incenso che usciva dal suo studio; un odore che non potrò mai dimenticare e potrei riconoscerei tra mille fragranze .

Mia nonna, invece, la bellissima Izabela, era morta prima che nascessi. Non sapevo molte cose sul suo conto; era una nobile donna rumena, della città di Sighisoara, municipio rumeno situato nella zona della Transilvania.

Vidi solo una volta il suo viso.

Giocando a nascondino con la mia tata, sono capitata in una stanza della nostra casa in cui non ero mai entrata. Era grandissima piena di scatoloni, quadri, armadi e lenzuola.

In particolare, mi colpì una vecchia coperta logora che sembrava nascondere qualcosa. La spostai ed incrociai due occhi verdi e grandi che mi osservavano.

La bellezza di mia nonna era stata catturata alla perfezione in quel ritratto.

Aveva gli stessi occhi di mio padre, labbra carnose e rosse ed i capelli neri corvini le incorniciavano il viso angelico.
Ora capivo da chi mio padre aveva preso la sua bellezza.

Sì, lui aveva un fascino ed un' eleganza ineguagliabili, perfino dai modelli più famosi.

La cosa che catturava di più l'attenzione però erano gli occhi verdi, caldi e freddi allo stesso tempo.

Vi erano delle volte che brillavano dalla contentezza, dalla spensieratezza ed altre volte che erano assenti.

Ricordo che ogni tanto, mentre giocavo con lui, si rattristava e guardava all'orizzonte; quasi come se stesse aspettando qualcuno o qualcosa. Ed anche se ero solo una bimba, avevo intuito che la cosa che lo tormentava aveva a che fare con me. Era come se vi fosse un muro invisibile, invalicabile in cui nessuno poteva entrare. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli perché era così il motivo della sua tristezza, ma avevo la sensazione che la cosa fosse legata in qualche maniera a me.

Penso che il rapporto tra lui e mia madre si fosse un po' guastato per quel motivo che lo rattristava.
Sono convinta al cento per cento che in cuor loro si amassero come la prima volta che si sono guardati.

Il momento della giornata che preferivo era l'ora della buona notte.

Dopo essermi lavata i denti ed essermi messa il pigiama, con fantasie sempre diverse, venivano mamma e papà a rimboccarmi le coperte. Amavo quel momento perché sembravamo una vera famiglia unita, nel bene e nel male.

Una volta al mese chiudevano le tende, nascondendo la mia adorata finestra dalla quale riuscivo a vedere la scuola pubblica. Un'istituzione più colorata e divertente rispetto alla Louise May Alcott dalla quale erano usciti alcuni tra gli uomini e le donne più famosi e brillanti del mondo.
Sicuramente, per mia madre, era un ottimo trampolino di lancio e la perfetta preparazione al mondo degli affari per me.

Una sera decisi di disobbedire e scostai le tende.

Solo allora conobbi quella che sarebbe stata la mia miglior amica e la fonte delle mie disgrazie: la Luna.

Appena la vidi, si accese una fiamma che mi ricordò un'emozione che avevo provato molto tempo prima. Ero legata alla luna senza un perché, quel corpo celeste che brillava e illuminava tutto.

Dal primo secondo che la conobbi, quella palla gialla enorme, divenne parte di me incondizionatamente.
Con lei potevo confidarmi, sfogare le mie rabbie, i miei dolori e le mie gioie.

Le giornate trascorrevano tutte uguali. Tutto era sempre monotono.
Andavo a scuola, studiavo, leggevo e mangiavo.

L'unica cosa che mi faceva sentire bene e che rompeva la solita routine era il tempo trascorso con la mia migliore amica ed alleata affidabile: la mia luna.

Gli anni passarono molto velocemente, in equilibrio e senza nessun grosso cambiamento. La nostra vita era sempre la stessa, le giornate erano tutte uguali. L'unica persona che amavo a cui mi sentivo legata rimaneva mio padre.

Purtroppo, con mia madre non avevo quello che si definisce una relazione tra due persone consanguinee, ma solo di due donne che vivevano sotto lo stesso tetto. Anzi, man mano che crescevo cercava di controllare la mia vita in tutto e per tutto dai i miei abiti ai miei amici, allontanandomi sempre di più.
Però, come tutti sappiamo il destino è dietro all'angolo pronto a scombussolare l'intera nostra vita. Il nostro era pronto a cambiare tutto.

Una notte senza luna, mentre io e mia madre stavamo litigando per l'ennesima insufficienza in matematica, sentimmo suonare il campanello.

Mia madre andò ad aprire ed io accolsi l'occasione per andare in camera mia a rimuginare sulle cose appena discusse, sul fatto che se ci fosse stato mio padre tutto questo non sarebbe successo. Mi buttai nel letto con le cuffie all'orecchio, pensando che alla porta avesse bussato qualcuno per chiedere un prestito o contrattare un ottimo progetto, ma mi sbagliavo.

Ricordo di aver sentito un tonfo, di essermi tolta le cuffie di colpo.

Sentii mia madre urlare " No... E' impossibile, Max! Per favore... ".
Non dimenticherò mai la scena che mi si presentò davanti.

Mia madre a terra piangeva, circondata da un mare di perle cadute dalla collana che ancora tormentava.
Appena incontrai il suo sguardo, capii tutto.

L' abbracciai forte, sentendo un dolore ed un pianto straziante che ci uccise entrambe. Per la prima volta sentii di aver qualcosa in comune con quella donna. Fino a quel momento, a parte l'eredità genetica, non avevo nulla da dividere con Anna Potter.

Ma ora tutto era mutato.

Adesso entrambe eravamo da sole al mondo, entrambe avevamo perso l'uomo della nostra vita, entrambe eravamo state abbandonate.

Dai poliziotti sapemmo cosa era successo quella notte. Mio padre aveva fatto un incidente a causa della scarsa illuminazione.

Non aveva visto un albero e c'era andato a sbattere addosso dritto.

Era stato sbalzato dalla macchina, facendo un volo di dieci metri, circa. Era morto sul colpo, senza rendersene conto e senza soffrire.

La notizia colpì l'intera cittadina che organizzò una veglia attraverso tutto il paese. Partecipammo tutti noi.

Rimanemmo per tre giorni chiuse in casa, senza parlare o mangiare; come due fantasmi girovagavamo per le camere, quelle stanze così piene di ricordi legati a quell'uomo eccezionale che era stato mio padre.

Il funerale si svolse nella cattedrale della città.

Non prestai attenzione né alla folla di gente che si era accolta fuori dalla piazzola del duomo, né alle corone di fiori o alle parole del sacerdote.

L'unica cosa che guardai fu la bara bianca ricoperta da un bouquet di rose rosse, davanti all'altare.

A differenza di molti non versai nemmeno una lacrima; le avevo finite la stessa notte in cui lui morì.

Quel giorno, tornata a casa, presi un ago da cucito e una candela bianca. Aspettai la notte per essere davanti alla colpevole della morte di mio padre: la Luna.

Feci un patto di sangue, promettendomi di non rivolgermi mai più a quell'amica che avevo amato con tutta me stessa ed ora odiavo con tutta l'anima. Perché se ci fosse stata, quella notte, con lei ci sarebbe stata quel po' di luce sufficiente per far vedere a mio padre l'albero ed evitarne la morte. Max sarebbe stato lí con me a rimboccarmi le coperte, come faceva sempre.

Invece, mi ritrovai sola in un mondo diventato freddo e senza amore.
***
   
 
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