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Autore: MadogV    05/09/2016    4 recensioni
La vita di alcune infermiere durante la seconda guerra mondiale
Genere: Drammatico, Guerra, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
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Ai miei cari lettori, non vi preoccupate, questa storia mi serve per staccare la spina dalle long, ma le long comunque continueranno a breve. Questa storia invece mi è venuta leggendo molte storie sul fandom seconda guerra mondiale…possibile, pensavo, che tutte le storie debbano avere per protagonisti crucchi, ebrei o soldati? Onde per cui ho scritto questa piccola follia, un po’ nonsense…

                                  Buona Lettura

 

 Gabrielle Ruf gliel’aveva detto di non mangiare prima del servizio, ma come suo solito aveva ignorato bellamente la cosa e ora si trovava a vomitare con la testa su un cesso mezzo otturato di un lurido bagno.

Ora capiva perché le infermiere del reparto erano così magre, non mangiavano oppure se mangiavano rimettevano poco dopo il servizio in reparto.

Ma quello in cui lei lavorava non era neanche un ospedale, quello era saltato tre mesi prima sotto i bombardamenti, quello era un “cazzo” di orfanotrofio abbandonato e fatiscente, un luogo lugubre e tetro in cui le urla che riecheggiavano non erano quelle dei fantasmi, ma dei feriti.

Un orfanotrofio sventrato e con una sola ala funzionante, neanche minimamente sufficiente per accogliere tutti gli operativi e i pazienti.

Era ancora assorta nei suoi pensieri e soprattutto sul “ma chi diavolo me lo ha fatto fare!”, quando Gabrielle la chiamò allarmata:” Rose, Rose corri. Il paziente 18 ha avuto una crisi, corri.”

Si rassettò alla meglio e peggio, ma non pensò neanche per un momento né di bere, né di sciacquarsi le mani con l’acqua- vuoi per il lavandino rugginoso, vuoi per lo sgocciolio marroncino che ne usciva fuori.

Corse a perdifiato per il lungo corridoio dalle mattonelle smaltate in parte saltate, rischiando così di inciampare, pulendosi le mani con l’acqua che Gabrielle le aveva passato ed entrò nella stanza numero 3-reparto urgenze.

Le urla, che già echeggiavano nel corridoio, ora sembravano il verso sinistro e disperato di un animale scannato con selvaggio piacere.

“Il paziente 18 ha avuto un altro attacco, tempo ci sia altro liquido nei polmoni.” Disse senza concitazione un’altra infermiera, dalle fattezze irlandesi, rispondente al nome di Molly Boot.

“Grazie.” Rispose lei e si avviò verso il letto del paziente ferito.

Cercava di abituarsi alla cosa e di farla passare per un lavoro ordinario, ma non lo era affatto.

Pazienti che non avevano nome, ma solo un numero, due stanze configurate, insieme, per 70 ospiti che dovevano contenere 200 feriti e degenti; per non parlare poi dell’unico dormitorio comune adibito a magazzino, lasciando così agli operativi la fantasia di dove allocarsi nei turni di pausa e di dove gettare un giaciglio per poter chiudere gli occhi, almeno per due minuti.

Il paziente 18 era sdraiato su una brandina di fortuna con il petto trafitto da due tubi.

“Non riusciamo a drenare il liquido.” Disse allarmata un’altra infermiera, June Vector, la più giovane della squadra.

Rose sospirò per un secondo, pensando:” perché tocca tutto a me?” e poi cominciò a sparare ordini a mitraglia:” Tu trovami un perforatore.” Disse a Gabrielle.

“Tu, trovami del disinfettante.” Disse a Molly.

“E in quanto a te.” Disse, rivolta alla più piccola:” Sedalo.”

Benché non fosse la più adatta a fare l’infermiera, in special modo con quei pazienti e in quella situazione disperata, la sua laurea in chimica le forniva una sorta di vantaggio, in quanto conosceva tutti i dosaggi e ti tipi di farmaci adatti per anestetizzare qualsiasi paziente; aprì

 il suo camice ed estrasse una siringa dal grosso ago in acciaio sterilizzato, poi cominciò ad armeggiare, con una gioia quasi sinistra, con le sue fialette e infine, senza preavviso trafisse il paziente, mandandolo nel mondo dei sogni.

“Ci servirà altra ropivacaina” Disse con freddezza, dopo aver sedato il paziente e aggiunse:” Nessuno dorme, se non gli do la mia ninnananna.”

Dopo cinque minuti arrivarono le altre due, con il materiale richiesto.

Il perforatore non era altro che una grossa barra di ferro con una spessa punta, usata per aprire i crani.

Disinfettatolo, Rose lo pianto nel costato del paziente, per poi estrarlo e sostituirlo con un altro tubo drenante.

Anche quella era fatta, il paziente era salvo.

Ma proprio mentre pensavano così, sopraggiunse la direttrice Augusta Raptor, un armadio a due ante fatto donna, dura come la roccia e socievole come l’ortica.

“Che cosa è successo qui?  Ho sentito urlare.” Disse con tono fermo, ma imperioso.

Rose si fece avanti e riferì:” Il paziente 18 avuto un'altra crisi, ma ora tutto è passato.”

“A costo però di alcuni sedativi e di un tubo drenante nuovo.” Ribatté la Raptor, quasi seccata.

Rose stava per ribattere, ma la direttrice, con un gesto la zittì e riprese a parlare:” Il paziente 18 è un peso per sé, per gli altri degenti e per questo ospedale, che non può permettersi sprechi inutili, i nostri fondi non ce lo permettono.”

Detto questo si avvicinò al paziente e, estratta la sua Enfield, sparò in testa al paziente.

“Sistematelo per i parenti, se verranno informati del decesso tra due giorni, dovrebbero impiegarne uno per arrivare…il che vi dà.” E si mise a contare con le dita sadicamente:” tre giorni per prepararlo.”

Andava sempre così, sei il paziente rappresentava un costo eccessivo la direttrice Raptor lo giustiziava e obbligava le infermiere ad “addobbare” il morto, come se fosse deceduto a causa della recrudescenza delle condizioni per cui si era trovato ad essere ospite della struttura.

Rose aveva affrontato l’inferno delle Ardenne e aveva operato in condizioni davvero disastrose, per questo era stata chiamata ad operare nella sezione speciale del Royale George; lei aveva accettato convinta di operare in un clima più civile, essendo lontano dai luoghi di guerra, ma si era sbagliata e tanto.

Se non fosse stato per il suo periodo al fronte, non sarebbe sicuramente stata in grado di affrontare questo nuovo inferno, ma, in effetti, non sarebbe stata chiamata affatto.

Infatti anche le sue colleghe erano comunque avvezze ad operare in luoghi disperati e con mezzi di fortuna, tutte, nessuna esclusa.

Gabrielle Ruff aveva lavorato con Rose sul campo di battaglia delle Ardenne, ed era stata lei a fare il nome di Rose come sostituto della dottoressa Patrice Winter, mandata alla Raf.

Molly Boot era lì coattamente, non che il lavoro le facesse schifo, ma stare lì faceva parte della sua sanzione per aver appoggiato i rivoltosi irlandesi durante la guerra civile degli anni 20.

June Vector invece non aveva esperienze su campi di battaglia, ma era comunque una chimica espertissima, il che la rendeva indispensabile.

Infine, anche la direttrice Raptor, nonostante non avesse avuto alcuna esperienza pratica con gli ospedali, era stata scelta in quanto devota e leale suddita dell’impero britannico, avendo sfondato il cranio del proprio figlio con un attizzatoio per camini, una volta scoperto che era una spia dei crucchi.  Questo fatto la rendeva una donna affidabilissima, incorruttibile e pronta a qualsiasi azione per il bene dell’Impero, onde per cui quella posizione prestigiosa, con annesso lauto stipendio.

Quel giorno, però oltre al paziente 18, a morire, naturalmente questa volta, furono anche il 23 e il 15, il primo per un aneurisma al cervello e il secondo a causa della febbre alta.

“Ormai i pazienti cadono come mosche.” Mugugnò Gabrielle, mentre si accendeva una sigaretta, guardando verso la città tentacolare, avvolta in una fetida nebbia.

“Siamo già al secondo anno di guerra e non se ne vede ancora la fine.” Sentenziò Molly seduta su uno degli scatoloni del magazzino

June non parlò nemmeno, ma fini di consumare il suo pasto.

“Ma non ti stanchi mai di mangiare fagioli?” Chiese quasi disturbata Rose.

“Perché?” Chiese lei con la bocca piena, poi ingoio:” A me mi piacciono.”

“Si dice a me piacciono o mi piacciono.” La corresse Molly divertita.

“Zitta tu, non accetto lezioni da chi non è inglese madrelingua, mangiapatate.” Ribatte June.

E prima che Gabrielle e Rose potessero intervenire, le due erano a terra a tirarsi i capelli, a graffiarsi e a mordersi,

“Non ti permettere, scozzese pidocchiosa.” Ringhiò Molly.

“Zittà, cagna scissionista.” Ribatté June.

Anche quello faceva parte della quotidianità, il dover dividere le due ogni giorno.

Per fortuna c’era sempre una nuova emergenza che le riportava automaticamente all’ordine.

Prima c’era stato il paziente 18, ormai deceduto, ora il paziente 4 urlava in preda a dolori fortissimi, gridando che non si sentiva più le gambe.

“Oggi chi glielo dice che le gambe sono tre settimane che gliele abbiamo amputate.”

“Vado io.” Disse June:” So come fare.”

“è la quarta volta che vai.” Le disse dietro Rose, con fare ironico:” Non ti sarai mica innamorata del bel tenebroso.”

“Oh, ma piantala.” Fu la risposta secca di June.

Ma non che Rose avesse tutti i torni, il paziente 4 era davvero un bel giovanotto gallese, ma di lui sapevano solo il suo quadro clinico e nient’altro; questo per evitare che si creasse un legame fra operati e operatori e valeva per tutti i pazienti, a cui veniva assegnata un numero e una cartella, era miss Raptor la sola a sapere chi erano e da dove venivano.

In aggiunta per evitare comunque eventuali legami con i pazienti anche gli operativi venivano cambiati ciclicamente: non più di quattro infermiere e per un ciclo di non più di nove mesi.

Rose con il suo gruppo era al secondo mese e aveva già visto morire, naturalmente o guidati, 35 pazienti, tutti reduci storpiati sui campi o civili vittime dei bombardamenti,

Naturalmente la legge vietava la morte assistita, ma in quei frangenti la legge contava poco, contava solo la sopravvivenza di una struttura che, prima della guerra, fatturava quasi 1,5 milioni di sterline l’anno e che ora arrivava a stento, tirando la cinghia fino all’estremo, a quindicimila sterline di finanziamenti.

Fondi che dovevano coprire tutte le spese, tanto i farmaci, quanto le forniture, tanto le riparazioni, quanto gli stipendi, che erano di soli 1,800 sterline a testa per tutto il periodo; ma Rose, come le altre, si era abituata a far di economia, andando a mangiare da Dwayne Potter una sola volta alla settimana, la domenica, per il resto scatolette e scatolette.

Ne stavano mangiando un anche in quel momento, quando la sirena cominciò a suonare, avvertendo l’arrivo di un nuovo paziente.

“Ok, signorine, al lavoro.” Disse Rose in tono semiserio, per poi dirigersi, in qualità di capo delle operative, verso l’ufficio della Raptor a ritirare la cartella clinica.

§§§

“Allora, cosa abbiamo?” Chiese Gabrielle

“Un caso gravissimo.” Ribatté Rose:” Il paziente 174 è vittima di un’esplosione in cui ha perso il secondo, il terzo e il quarto dito della mano sinistra, ha riportato una leggera commozione celebrale e ora è di là che butta sangue da tre ferite…una nella zona addominale, una nella zona intercostale e la terza all’arto inferiore sinistro.”

“Dovremo cauterizzare, ma credo che purtroppo dovremmo operare a crudo.” Intervenne laconica June:” ho finito la ropivacaina, e anche il metoexitale scarseggia, temo che dovremo andare al mercato nero.”

Gabrielle assimilò l’informazione con un mugugno di fastidio.

“Se non operiamo, il paziente potrebbe anche morire.” Ribatté Rose.

Non ci fu discussione e si decise di operare a crudo, tanto urlo più urlo meno.

Ma quando ci si trovò davanti al paziente, Molly rimase di pietra: si trattava di suo nipote: Angus.

“Zia, sei tu?” Mormorò il ragazzo flebilmente, quando la vide.

“Si, sono io, piccolo mio.” Disse con fare materno Molly.

“è tuo nipote!” Disse stupita June:” ma siamo impazziti…qui la Raptor ci spella vive se dovesse saperlo.”
“Non lo è” Mentì Molly:” Mi avrà confusa con qualcun’altra. Ho solo fatto finta.”

“E anche se fosse così.” Ribatté Gabrielle:” è comunque un comportamento eterodosso, ci caccerai nei guai.”

“Ok, la smetto.” Rispose lei e poi disse:” June per favore fai qualcosa… non possiamo operarlo a crudo.” E concluse con una frecciatina:” O anche la pietà verso un paziente adesso è comportamento eterodosso.”

Gabrielle incassò con un borbottio, mentre June rispose che purtroppo non era possibile.

“Ok.” Disse Molly cercando di calmarsi.” Ora prendo in mano io la situazione.”

“Rose vammi a prendere ago e filo, devo ricucirlo al più presto.”

“Gabrielle vammi a prendere attizzatoio e ferri.”

“Tu, June, renditi utile e portami delle garze sterili, possibilmente.”

Poi cominciò ad operare, scucendo e sfasciando e per poi di nuovo ricucire e fasciare, fra i guaiti di dolore del paziente, infine concluse cauterizzando le ferite con un grosso coltello da cucina riscaldato sul braciere.

Poi Molly uscì dalla stanza, dato che le operazioni sui pazienti avvenivano direttamente nel reparto stesso.

Dietro di lei venne Rose.

Quando furono nell’adrone parlò:” è tuo nipote, vero?”

“Si.” Rispose Molly fra le lacrime.

“Dovremmo denunciarlo.” Riprese Rose

“Non ti prego...” Ribattè Molly, afferrandole il camice:” Ne parlerò con Abe.”

“Molly devo parlarti…come amica.” Disse Rose

“Dimmi.”

“Non voglio casini.” Concluse, ma avrebbe voluto consolarla e stringerla a se, ma da tempo aveva barattato la sua umanità per l’ordine interiore

Una volta dentro le trovò sedute lungo il corridoio

“è il nipote, vero?” Chiese June

“Si.”

“Diamine, qui finiamo nei casini.” Sbotto Gabrielle

“Lo so.” Ribatté Rose/ Millicent:” Ma ora abbiamo altri 207 pazienti bisognosi delle nostre cure. A lavoro ragazze.”

 

 

L’indomani si recarono a Whitechapel in cerca dei farmaci sotto banco.

Ma mentre giravano fra i vicoli, Molly notò suo marito Abe in compagnia di alcuni individui loschi e con una scusa si allontanò dalle altre.

“Che fai, Abe?” gridò rivolta al marito

“Niente.” Disse lui, mezzo ubriaco:” Tu, invece…non dovresti essere al lavoro.”

“Non fare casini, come al tuo solito.”

“Non ti permettere di dirmi quello che devo fare.”  Disse e poi le mollò uno schiaffo.

Ma prima che potesse sferrarne un altro, si ritrovò a terra privo di sensi.

“Mangiapatate.” Disse June:” Sei hai un problema, ci siamo noi qui per te.”

“Grazie.” Disse:” Ma non serve.”

“Purtroppo sì.” Ribatté Gabrielle:” Ci dispiace, ma tuo nipote non c’è la fatta.”

“La Raptor.” Chiese quasi priva di emozioni.

“Setticemia.” Rispose Rose:” Era un caso già in fase avanzata. Sicuramente le dita non le ha perse nell’esplosione.”

“E come lo sai?”

“Ne ho viste di cose in guerra che farebbero accapponare lo stomaco e quelle ferite erano certamente da taglio.” E poi si rivolse al redivivo Abe:” Non è vero?”

“Che vuoi troia?” Ribatté Abe intronato sia per l’alcool che per la botta ricevuta.

 “è colpa tua?” Chiese Molly distrutta

“Si, quell’imbecille si è fatto prendere dalla paura e ha fatto saltare tutto il piano, io ho detto di andarci piano, ma Sheamus è un vero macellaio.” Disse con la bocca impastata.

Se non fosse stato per le due amiche, Molly sarebbe stramazzata al suo.

“Il mio Angus:” Singhiozzo in un fiume di lacrime.

“Dobbiamo denunciarlo. Non c’è altro da fare.” Concluse Rose.

Ma a Molly non interessava più niente, aveva perso il suo adorato nipote.

“Ora dobbiamo tornare all’ospedale, ci sono altri pazienti che ci attendono.”

CONTINUA

 

 

Alla prossima e grazie per aver letto e recensito

   
 
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